Martina assisteva
alla conferenza sbigottita, sentiva l’ansia e la rabbia montarle dentro. Un
insieme di sentimenti misti a indignazione e incredulità per quanto stava
ascoltando. Il rappresentante del governo parlava di gioco
d’azzardo in maniera impersonale, come se sciorinasse informazioni su una serie di partite di calcio: il
deficit, il guadagno, le problematiche.
Monotonamente. Le cifre che lo stato
guadagnava sul gioco d’azzardo erano incredibili. Almeno otto miliardi l’anno!
E sulla pelle delle persone. Purtroppo non c’erano solo quelli che si
limitavano a giocare qualche gratta e vinci, c’erano anche quelli che giocavano
molto e, pur senza rovinarsi, potevano perdere una grande quantità di denaro e
questo aveva risvolti negativi sulle persone che gli vivevano intorno. E
c’erano pure quelli che si rovinavano totalmente, trascinando in rovina tutta
la famiglia, e non solo per una generazione, e non eran pochi.
Ricordava una
povera ragazza con due bimbe piccole, tutt’e due in età prescolare, il cui
marito si giocava tutto ciò che riusciva a guadagnare - quando guadagnava -
alle slot machines e lei non poteva comprare da mangiare per le bambine. Più di
una volta Martina le aveva fatto la spesa:
“e mangia anche
lui” si lamentava lei, “se io chiedo la carità, lo faccio per le mie figlie,
non è giusto che lui mangi quello che io ricevo per loro”.
Ogni tanto
Martina ci pensava - o forse ci pensava sempre, abbiamo pensieri che non ci
lasciano mai - e si chiedeva che fine avesse fatto lei e le sue bambine.
Non l’aveva più
vista, sapeva che si era trasferita in un luogo più vicino alla sua famiglia di
origine ed era aiutata dai servizi sociali, sperava che questi l’aiutassero a
trovare un lavoro, senza portarle via le bimbe per darle in affido o inserirle
in qualche cooperativa.
C’erano diversi
rappresentanti delle sale da gioco presenti alla conferenza. Non molto
pubblico, la cosa le dispiaceva, era un argomento importante e ci sarebbe
dovuta essere più gente, le persone dovevano rendersi conto di quanto stava
accadendo al paese. Ma non aveva visto né un manifesto né un volantino che
pubblicizzasse l’incontro: lei stessa l’aveva saputo per caso. Un realtà
devastante quella del gioco d’azzardo soprattutto se diventava patologico, una realtà
di cui lei, pur non avendo mai giocato, era stata vittima, e per cui aveva
subito gravi conseguenze insieme a tutta la sua famiglia.
Una dottoressa
relazionava i presenti in maniera molto competente sulle malattie causate dal
gioco d’azzardo: “il gioco può causare dipendenza, ciò non avviene subito,
qualcuno se ne rende conto prima di giungere allo stadio finale e riesce a
tirarsi fuori, dopo diventa un’ossessione che non si può più controllare,
poiché il bisogno diventa compulsivo e, pur rimanendo in una sfera di lucidità,
la persona non è in grado di controllare l’impulso a giocare, riducendo sul
lastrico se stessa e le persone che gli stanno intorno, chiedendo soldi a
tutti, rubando. “E non vive più!” diceva la relatrice.
“Negli ultimi
anni le situazioni di dipendenza sono aumentate più del cento per cento a causa
dell’accessibilità dell’offerta di slot machines, videolottery, gratta e vinci
e altri prodotti mangia soldi disseminati su tutto il territorio nazionale, per
non parlare delle sale gioco, vere bische legalizzate. Si calcola che per ogni
dipendenza ci siano almeno sette persone che subiscono le terribili conseguenze
di questa patologia: povertà, emarginazione sociale, famiglie distrutte”.
Inoltre, come
tutte le dipendenze, il gioco d’azzardo, oltre a non divertire, alienava. La
dottoressa aveva mostrato foto di persone che giocavano alle slots e alle
videolottery: degli automi spiritati che aspettavano, nella risposta di una
macchina, la loro chance. Non c’era abilità in questo tipo di gioco, non
s’interagiva con nulla e nessuno, neanche con la macchina. Si era totalmente
passivi: un’azione meccanica a cui veniva data una risposta meccanica, in un
intreccio di luci e suoni striduli.
Lei si era
confrontata più di una volta con situazioni penose, aveva conosciuto un tizio
che di lavoro faceva l’assicuratore, anche lui aveva due bambine, ma più
grandicelle delle altre due, giocava con tutto, ma soprattutto con le slot e le
videolottery: si era giocato i soldi che gli avevano affidato i clienti, il
risparmio della famiglia, ipotecato l’appartamento appena finito di pagare, una
disfatta! Per un periodo di tempo era riuscito, con salti mortali, a tener
nascosto il suo disagio, poi non ce l’aveva più fatta a contenere i debiti, ed
era stato costretto a dirlo all’assicurazione e alla moglie. L’assicurazione,
per coprire lo scandalo, aveva pagato i conti dei clienti e lui avrebbe dovuto
restituire ogni mese, su un diverso lavoro che gli avevano assegnato, tre
quarti di qualsiasi somma avesse guadagnato, e per il resto della sua vita. La
moglie aveva chiesto il divorzio e se n’era andata con le figlie. Lui era
riuscito a mettere insieme un gruppo di auto aiuto per non morire e andava a
mangiare alla Caritas, dormendo in luoghi di fortuna. Anche di lui non sapeva
più nulla. Alcuni si suicidavano, simulando incidenti di varie forme, troppo
disperati per chiedere aiuto, ma anche consapevoli che essere aiutati non era
cosa facile per l’enorme quantità di debiti che avevano accumulato.
Uno dei
rappresentanti delle sale gioco stava parlando degli orari di apertura delle
stesse, avevano perso un ricorso sulla richiesta di apertura 24 ore su 24 e
dovevano chiudere da mezzanotte alle dieci, cosa che non accadeva in tutti i
comuni. Alcuni sindaci, più di altri, si adoperavano per la riduzione del danno
mediante la chiusura notturna dei locali, numero massimo di slot per superficie
e sale da gioco a non meno di 500 metri distanza dai luoghi sensibili: scuole,
oratori, ospedali e altri luoghi frequentati da minori. Ma non serviva a
molto, inoltre la pubblicità che si
faceva su internet e in televisione e la possibilità di giocare on line
creavano delle situazioni non controllabili. Qualcuno stava dicendo che
bisognava, per decenza, eliminare la pubblicità che imperversava sui
mass-media.
Si stava parlando
di prevenzione: assolutamente ilare, si disse Martina. Che senso aveva fare
prevenzione in un contesto in cui non ci si poteva difendere? Terrificante il
prezzo che si pagava!
E questo era il
gioco legalizzato, quello controllato dallo stato: il padre e la madre che
mandano i propri figli alla rovina sapendo di farlo, anzi studiando sistemi per
rendere il più avvolgente possibile l’adescamento. Parallelo al gioco d’azzardo
legalizzato, gestito dallo stato, c’era quello gestito dalle mafie di cui si
sapeva poco o niente sul giro di affari, ma era indubbiamente vastissimo.
Aveva chiesto al
rappresentante del governo perché lo Stato facesse il biscazziere e gestisse il
gioco d’azzardo e questi gli aveva
risposto che lo Stato, legalizzando il gioco - non diceva mai gioco d’azzardo -
lo toglieva al controllo delle mafie.
Certo, lo stato
aveva reso legale il gioco d’azzardo, si poteva giocare dappertutto, senza più
nascondersi o dover cercare una bisca clandestina, le bische si trovavano
ovunque, persino nei bar e super mercati, bastava una slot machine e avevi una
bisca legalizzata. Un paradosso! Facendo questo lo stato ne aveva fatto uno
strumento di rovina e morte alla luce del sole e alla portata di tutti. Ed era
diventato un pusher. Sì, un pusher, uno che spinge alla dipendenza.
Le associazioni
di volontariato si prodigavano per la riduzione del danno: “ma il recupero del
danno era sempre minimo se paragonato a quello ricevuto”. Rifletteva Martina
con grande scoramento.
Giovanna Rotondo Stuart
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