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domenica 21 ottobre 2018

Se questo è un gioco


(di Giovanna Stuart)
(illustrazione dal web)
Martina assisteva alla conferenza sbigottita, sentiva l’ansia e la rabbia montarle dentro. Un insieme di sentimenti misti a indignazione e incredulità per quanto stava ascoltando.  Il  rappresentante del governo parlava di gioco d’azzardo in maniera impersonale, come se sciorinasse informazioni  su una serie di partite di calcio: il deficit, il guadagno,  le problematiche. Monotonamente.  Le cifre che lo stato guadagnava sul gioco d’azzardo erano incredibili. Almeno otto miliardi l’anno! E sulla pelle delle persone. Purtroppo non c’erano solo quelli che si limitavano a giocare qualche gratta e vinci, c’erano anche quelli che giocavano molto e, pur senza rovinarsi, potevano perdere una grande quantità di denaro e questo aveva risvolti negativi sulle persone che gli vivevano intorno. E c’erano pure quelli che si rovinavano totalmente, trascinando in rovina tutta la famiglia, e non solo per una generazione, e non eran pochi.


Ricordava una povera ragazza con due bimbe piccole, tutt’e due in età prescolare, il cui marito si giocava tutto ciò che riusciva a guadagnare - quando guadagnava - alle slot machines e lei non poteva comprare da mangiare per le bambine. Più di una volta Martina le aveva fatto la spesa:
“e mangia anche lui” si lamentava lei, “se io chiedo la carità, lo faccio per le mie figlie, non è giusto che lui mangi quello che io ricevo per loro”.
Ogni tanto Martina ci pensava - o forse ci pensava sempre, abbiamo pensieri che non ci lasciano mai - e si chiedeva che fine avesse fatto lei e le sue bambine.
Non l’aveva più vista, sapeva che si era trasferita in un luogo più vicino alla sua famiglia di origine ed era aiutata dai servizi sociali, sperava che questi l’aiutassero a trovare un lavoro, senza portarle via le bimbe per darle in affido o inserirle in  qualche cooperativa.
C’erano diversi rappresentanti delle sale da gioco presenti alla conferenza. Non molto pubblico, la cosa le dispiaceva, era un argomento importante e ci sarebbe dovuta essere più gente, le persone dovevano rendersi conto di quanto stava accadendo al paese. Ma non aveva visto né un manifesto né un volantino che pubblicizzasse l’incontro: lei stessa l’aveva saputo per caso. Un realtà devastante quella del gioco d’azzardo soprattutto se diventava patologico, una realtà di cui lei, pur non avendo mai giocato, era stata vittima, e per cui aveva subito gravi conseguenze insieme a tutta la sua famiglia. 
Una dottoressa relazionava i presenti in maniera molto competente sulle malattie causate dal gioco d’azzardo: “il gioco può causare dipendenza, ciò non avviene subito, qualcuno se ne rende conto prima di giungere allo stadio finale e riesce a tirarsi fuori, dopo diventa un’ossessione che non si può più controllare, poiché il bisogno diventa compulsivo e, pur rimanendo in una sfera di lucidità, la persona non è in grado di controllare l’impulso a giocare, riducendo sul lastrico se stessa e le persone che gli stanno intorno, chiedendo soldi a tutti, rubando. “E non vive più!” diceva la relatrice.
“Negli ultimi anni le situazioni di dipendenza sono aumentate più del cento per cento a causa dell’accessibilità dell’offerta di slot machines, videolottery, gratta e vinci e altri prodotti mangia soldi disseminati su tutto il territorio nazionale, per non parlare delle sale gioco, vere bische legalizzate. Si calcola che per ogni dipendenza ci siano almeno sette persone che subiscono le terribili conseguenze di questa patologia: povertà, emarginazione sociale, famiglie distrutte”.
Inoltre, come tutte le dipendenze, il gioco d’azzardo, oltre a non divertire, alienava. La dottoressa aveva mostrato foto di persone che giocavano alle slots e alle videolottery: degli automi spiritati che aspettavano, nella risposta di una macchina, la loro chance. Non c’era abilità in questo tipo di gioco, non s’interagiva con nulla e nessuno, neanche con la macchina. Si era totalmente passivi: un’azione meccanica a cui veniva data una risposta meccanica, in un intreccio di luci e suoni striduli.
Lei si era confrontata più di una volta con situazioni penose, aveva conosciuto un tizio che di lavoro faceva l’assicuratore, anche lui aveva due bambine, ma più grandicelle delle altre due, giocava con tutto, ma soprattutto con le slot e le videolottery: si era giocato i soldi che gli avevano affidato i clienti, il risparmio della famiglia, ipotecato l’appartamento appena finito di pagare, una disfatta! Per un periodo di tempo era riuscito, con salti mortali, a tener nascosto il suo disagio, poi non ce l’aveva più fatta a contenere i debiti, ed era stato costretto a dirlo all’assicurazione e alla moglie. L’assicurazione, per coprire lo scandalo, aveva pagato i conti dei clienti e lui avrebbe dovuto restituire ogni mese, su un diverso lavoro che gli avevano assegnato, tre quarti di qualsiasi somma avesse guadagnato, e per il resto della sua vita. La moglie aveva chiesto il divorzio e se n’era andata con le figlie. Lui era riuscito a mettere insieme un gruppo di auto aiuto per non morire e andava a mangiare alla Caritas, dormendo in luoghi di fortuna. Anche di lui non sapeva più nulla. Alcuni si suicidavano, simulando incidenti di varie forme, troppo disperati per chiedere aiuto, ma anche consapevoli che essere aiutati non era cosa facile per l’enorme quantità di debiti che avevano  accumulato.
Uno dei rappresentanti delle sale gioco stava parlando degli orari di apertura delle stesse, avevano perso un ricorso sulla richiesta di apertura 24 ore su 24 e dovevano chiudere da mezzanotte alle dieci, cosa che non accadeva in tutti i comuni. Alcuni sindaci, più di altri, si adoperavano per la riduzione del danno mediante la chiusura notturna dei locali, numero massimo di slot per superficie e sale da gioco a non meno di 500 metri distanza dai luoghi sensibili: scuole, oratori, ospedali e altri luoghi frequentati da minori. Ma non serviva a molto,  inoltre la pubblicità che si faceva su internet e in televisione e la possibilità di giocare on line creavano delle situazioni non controllabili. Qualcuno stava dicendo che bisognava, per decenza, eliminare la pubblicità che imperversava sui mass-media.
Si stava parlando di prevenzione: assolutamente ilare, si disse Martina. Che senso aveva fare prevenzione in un contesto in cui non ci si poteva difendere? Terrificante il prezzo che si pagava!
E questo era il gioco legalizzato, quello controllato dallo stato: il padre e la madre che mandano i propri figli alla rovina sapendo di farlo, anzi studiando sistemi per rendere il più avvolgente possibile l’adescamento. Parallelo al gioco d’azzardo legalizzato, gestito dallo stato, c’era quello gestito dalle mafie di cui si sapeva poco o niente sul giro di affari, ma era indubbiamente vastissimo.
Aveva chiesto al rappresentante del governo perché lo Stato facesse il biscazziere e gestisse il gioco  d’azzardo e questi gli aveva risposto che lo Stato, legalizzando il gioco - non diceva mai gioco d’azzardo - lo toglieva al controllo delle mafie.
Certo, lo stato aveva reso legale il gioco d’azzardo, si poteva giocare dappertutto, senza più nascondersi o dover cercare una bisca clandestina, le bische si trovavano ovunque, persino nei bar e super mercati, bastava una slot machine e avevi una bisca legalizzata. Un paradosso! Facendo questo lo stato ne aveva fatto uno strumento di rovina e morte alla luce del sole e alla portata di tutti. Ed era diventato un pusher. Sì, un pusher, uno che spinge alla dipendenza.
Le associazioni di volontariato si prodigavano per la riduzione del danno: “ma il recupero del danno era sempre minimo se paragonato a quello ricevuto”. Rifletteva Martina con grande scoramento.

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