di Marina Fichera
Pensavo che a Matteo, il mio unico figlio di sei anni, la
nuova cameretta sarebbe piaciuta un mondo. E invece, da quando ci siamo
trasferiti nella nuova casa, ha iniziato a dormire poco e male. Ogni mattina,
stanco e assonnato, mi raccontava strane storie, popolate da leoni, elefanti,
clown tristi e persino una donna cannone senza una gamba! Pensavo che questi
racconti fossero solo frutto del trauma per il recente trasloco, da Roma alla
Brianza. Sapete com’è a quell’età, la nuova città, la prima elementare, il
clima grigio del nord... E così non avevo mai dato peso a quello che mi
raccontava, almeno fino a ieri notte.
Ieri notte, dopo avergli raccontato una delle tante favole
da me inventate, quella del lupo vegetariano che diventa influencer insieme
alla nonna di Cappuccetto Rosso – la adora - ho spento l’abat-jour e... ho
visto una lama di luce spuntare dall’armadio! Per un attimo ho pensato fosse un
mio problema visivo, mi era già capitato di vedere dei flash ed erano emorragie
della retina, per cui mi sono allarmata per i miei occhi, ma poi la curiosità
mi ha spinto ad avvicinarmi all’armadio e ho iniziato a sentire degli strani
rumori.
Con circospezione ho avvicinato l’orecchio all’anta del
mobile, ipotizzando che ci fosse un topolino, del resto siamo in campagna, potrebbe
essere normale, ho pensato. Nel buio ho toccato per sbaglio l’anta e subito
un rumore di rapidi passi ha riecheggiato dall’interno. Come se qualcuno da
molto lontano, o molto piccolo, stesse correndo.
Il mio cuore si è fermato come un orologio rotto e una
goccia di sudore è scesa dalla mia tempia destra. Sono rimasta immobile, non so
bene per quanto tempo, ma devono esser passati un bel po’ di minuti, perchè a
un certo punto ho sentito nuovamente dei passi. Questa volta però sono stata ferma e in
silenzio. Dovevo capire a tutti i costi cosa stesse accadendo nell’armadio
azzurro della cameretta di mio figlio Matteo.
Quando l’anta dell’armadio si è leggermente dischiusa è
apparso lui. Un omino di mezza età, grande come un puffo o poco più, vestito
con una giubba rossa, pantaloni e stivali alla cavallerizza e un cappello a
cilindro calcato in testa, come un domatore del circo. L’ho afferrato con
rabbia per il tronco e gli ho messo un dito sulla bocca per non farlo gridare.
Il piccolo mostro mi ha morso il pollice!
Accecata dalla paura e dalla rabbia ho portato la
creatura in soggiorno e solo quando si è calmato ho tolto il pollice, che nel
frattempo si era gonfiato.
«Chi sei? Cosa ci fai nell’armadio di mio figlio? Parla!»
«Tu lasciami andare e ti racconterò tutto! Ti ho morsa
perchè pensavo mi volessi uccidere!»
«Ma figurati, io non farei del male a nessuno!» ho risposto,
offesa.
«Certo, questo lo dici tu, ma io come faccio a fidarmi di
te se non mi liberi? Ti giuro che sono innocuo, non vedi quanto sono piccolo?»
I suoi occhietti azzurri mi han fatto capire che diceva
la verità; mi sono calmata e l’ho messo a sedere sul divano.
«Chi sei? Cosa ci fai nell’armadio di mio figlio? Chi
siete e perché lo spaventate? Parla!»
«Ho capito, ora rispondo! Mi chiamo Osiride, e sono il
direttore del grande circo Galbusera. L’area su cui è stato costruito questo
palazzo, fino a qualche anno fa, apparteneva al mio circo e alle sue persone.»
Ero pietrificata ma molto incuriosita.
«Al tempo eravamo un circo famoso in Brianza e non solo. Ci
esibivamo in tutto il Nord Italia e persino in Svizzera. Almeno fino a quando,
una dozzina d’anni fa, un gruppo di animalisti locali iniziò a scagliarsi contro
noi e i nostri amati animali. Il nostro bellissimo leone Reone, il
nostro meraviglioso elefante Elegante, i nostri maialini canterini con il
famoso duo I Salamini, sono sempre stati parte della grande famiglia del
circo. Ma gli animalisti iniziarono un’enorme campagna d’odio e noi ci trovammo
a un bivio. Dare in affido a un safari park i nostri amati animali o fallire
tutti insieme. Naturalmente scegliemmo la seconda via, eravamo e siamo sempre
stati un’unica famiglia, umani e animali.
Prima del tracollo definitivo però, preso dall’ansia,
decisi di tentare un’ultima carta e andai da un famoso mago. Uno di quelli
veri, sai, che pratica magia bianca e nera. Volevamo che lanciasse una magia
per farci tornare grandi, grandissimi e riconquistare l’amore del nostro
pubblico, animalisti compresi. Peccato che quel disgraziato fosse appena stato
lasciato dalla moglie e avesse iniziato a bere come una vecchia spugna
scozzese...
È così che accadde “l’incidente”.
Il mago ubriacone formulò la magia in modo sbagliato e
fece diventare tutto il circo piccolissimo: tendone, gabbie, persone e animali
ridotti alla grandezza di un puffo o poco più... Una magia da cui non era
possibile tornare indietro. Eravamo rovinati per sempre! Poveri noi!
Ci nascondemmo nel bosco per la vergogna. Reone era
diventato grande come un topo, Elegante sembrava un coniglio spelato. Colombina,
la donna cannone, provò a lanciarsi in aria per non perdere l’allenamento ma un
cacciatore la scambiò per un tordo e lei perse una gamba. Il nostro clown
Ronald cadde in una profonda depressione. Eravamo tutti rovinati e disperati.
Poco dopo degli avidi speculatori si impossessarono del
nostro terreno e costruirono questo palazzo. L’anno scorso, dopo anni di stenti
nel bosco decidemmo di trasferirci nelle cantine del palazzo, in fondo il
terreno era ancora nostro.
Poi siete arrivati voi, abbiamo visto il bambino e
abbiamo pensato che sarebbe stato bello esibirsi di nuovo per qualche piccolo
spettatore. Non pensavamo di spaventarlo, anzi! Mi scuso a nome di tutti noi,
perdonateci, per favore.»
il racconto mi ha molto commossa, i miei occhi erano colmi
di lacrime che non volevo cadessero, in fondo ero molto arrabbiata e non volevo
mostrarmi debole. Ho pensato però che fosse l’occasione buona per spiegare a
Matteo – ma anche a me stessa – che alcune volte abbiamo paura di chi non
conosciamo, solo perchè non abbiamo ancora avuto la possibilità di conoscerlo.
Visto che non era tardi sono andata a svegliare Matteo e gli ho presentato il signor Osiride. Abbiamo aperto le ante dell’armadio. Reone, Elegante, Colombina e tanti altri sono usciti felici e si sono esibiti per noi, orgogliosi di far parte del circo Galbusera, diventato piccolissimo per amore e uno stupido “incidente” ma rimasto grande nel cuore.
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