appunti sparsi di viaggio di Marina Fichera
Le isole Fær Ǿer
o Føroyar - in italiano Faroe - sono una manciata di piccole isole a metà
strada tra la Scozia e l’Islanda, sperdute nell’Oceano Atlantico del Nord. Il
nome Fær Ǿer vuol dire isola delle pecore e in effetti, ancora oggi, la
popolazione ovina è circa il doppio di quella umana, che conta poco più di
52.000 anime.
Le diciotto isole che formano l’arcipelago delle
Faroe appartengono al Regno di Danimarca ma godono di un’ampia autonomia
politica, tanto da non far parte dell’Unione Europea nè aver aderito al
Trattato di Schengen.
Di solito si va in queste remote e poco conosciute località
per due motivi: scattare foto alla splendida e selvaggia natura e fare
spettacolari trekking su stretti sentieri a picco sul mare.
L’iconica cascata di Múlafossur (foto di
Marina Fichera)
Io sono andata sempre
per due motivi, ma completamente diversi.
Il primo era una
curiosità nata durante la mia infanzia, quando i colorati francobolli faroesi,
parte della collezione filatelica di mio padre, mi ammaliarono. Eppure, anche
se coltivavo il pensiero di andarci da decenni, l’avevo sempre considerata una
meta troppo vicina e perciò continuamente rimandata. Solo nell’agosto
del 2021, viste le restrizioni ai viaggi extraeuropei conseguenti alla
pandemia, ho preso tre voli e sono atterrata nelle verdi isole delle pecore.
Il secondo motivo, che per molti è una ragione per
cui non andare alle Faroe, è l’arcaica e selvaggia pratica della grindadrap.
Volevo provare a parlare con gli abitanti, discendenti diretti dei vichinghi, per
cercare di capire come sia possibile praticare ancora questa caccia alle balene
e ai delfini, tanto feroce quanto inutile e inaccettabile.
Purtroppo uno
scambio più lungo di poche parole con i faroesi – una popolazione giovane, per
quel che ho visto - è stato quasi impossibile. Qui si incontrano moltissime
pecore ma pochissime persone e quelle che incontri stanno lavorando. Le rare
volte in cui ho potuto, in qualche modo, interagire con i faroesi si sono
dimostrati gentili ma freddi, che sembrerebbe una battuta, ma non lo è.
Una ragazza in una vecchia scuola composta da una sola stanza, ora trasformata in un minuscolo museo con negozio/caffè, mi ha raccontato la storia delle ingiallite foto appese alle pareti. Poi, quando le ho chiesto quanti abitanti aveva il villaggio mi ha risposto, con un bel sorriso, “d’estate circa venti” e non ho avuto il coraggio di chiederle altro.
La chiesa del villaggio di Viðareiði (foto di Marina Fichera)Nella maggior
parte dei villaggi che ho visitato, e che contano dai dodici ai quattrocento
abitanti, non c’è praticamente nulla e non si incontra quasi nessuno.
Spesso, dopo aver percorso strade che si srotolano
lungo ripidi pendii a picco sull’oceano,
si arriva all’imbocco del fiordo e si trova un mucchietto di case rosse
e nere con i tetti d’erba, affacciate sull’oceano, strette strette tra loro
come a proteggersi dalla furia del clima nordico. Unici luoghi pubblici sono la
bianca chiesetta, di solito aperta un’ora a settimana e, per i centri maggiori,
la scuola. Per il resto non si trova un negozio, un piccolo bar, una farmacia. Il
nulla.
Case a Saksun (foto di Marina Fichera)
La capitale
delle isole Faroe, Tórshavn – che vuol dire “porto di Thor”, l’antico dio
scandinavo - è una della capitali più piccole al mondo. Vivace e tecnologica –
sede di molte start-up digitali - con poco più di ventimila abitanti, Tórshavn
è l’unico centro abitato in grado di offrire una serie di servizi per noi
fondamentali, ma che qui non sono per nulla scontati. Molti abitanti delle
isole devono percorrere decine di chilometri oppure prendere un battello o un
elicottero per poter trovare negozi, bar, ristoranti, supermercati, hotel,
l’ospedale o il cinema, presenti solo a Tórshavn.
Per rendersi
conto dell’estrema essenzialità a cui sono abituati i faroesi basti pensare che
in tutte le diciotto isole ci sono solo quattro farmacie. Ho fatto il conto che
nel giro di cinquecento metri da casa mia ce ne sono almeno sette!
Strada faroese (foto di Marina Fichera)
Al di fuori dalla capitale e di Klaksvik, la
seconda città dell’arcipelago – con circa cinquemila abitanti - gli unici
luoghi pubblici dove poter mangiare sono i rari distributori di benzina. Organizzati
come piccoli autogrill vendono generi alimentari, surgelati, articoli per la casa,
riviste e tutti hanno una piccola tavola calda che serve vari tipi di hot dog.
Qui, anche se può sembrare strano, si mangia quasi
esclusivamente carne. Carne fornita dalle migliaia di pecore che pascolano
ovunque e che, prima della macellazione, vengono deposte dagli
allevatori – con l’uso di apposite corde - per un certo periodo sulle scogliere, in
modo che le carni si insaporiscano dei profumi del mare!
Alle Faroe si paga per fare la maggior parte delle
cose, trekking compresi. Qui infatti non esiste il pubblico demanio perciò
all’imbocco di molti sentieri, tutti privati come quello che porta al lago
sospeso di Sørvágsvatn o sull’isola di Mykenes, si trova qualcuno che strappa
un biglietto, quasi sempre pagato a caro prezzo. Ma la cosa più strana, e anche
abbastanza irritante, è stata dover strisciare la carta di credito per poter
attraversare un tornello stile stadio e percorrere il sentiero che permette di
accedere alla spiaggia di sabbia nera di Saksun.
La rotatoria del tunnel sottomarino (foto di Marina
Fichera)
Una delle particolarità delle isole sono i vari
tunnel sottomarini, naturalmente a pagamento, che collegano le principali
località faroesi. L’ultimo, aperto al traffico nel dicembre 2020, è un’opera
mastodontica e unica al mondo. Il lungo tunnel a forma di Y - oltre undici
chilometri - collega l'isola di Streymoy all'isola di Eysturoy e comprende la prima rotatoria sottomarina mai
costruita, a ben 180 metri sotto il livello del mare. La rotatoria è abbellita
da grandi sculture metalliche ed effetti di luce.
La sensazione
più frequente che ho provato camminando sotto i cieli arruffati da nubi oscure
e sopra le onde violente di un mare plumbeo è stata la malinconia. La
sensazione che manchi qualcosa, ma non capisci esattamente cosa sia. Forse
perché alle Faroe non ci sono alberi e si è sempre esposti, come nudi di fronte
alla durezza di una natura primitiva quanto affascinante. O forse perchè in una
settimana il sole ha fatto solo rare apparizioni. Non mi era mai capitato,
neanche in altri paesi ancora più a Nord che ho visitato.
Il silenzio,
manca anche il silenzio. Sembra assurdo ma qui il silenzio, perennemente
schiaffeggiato dal gelido vento oceanico, non è mai silenzioso. E quando
non c’è vento – cioè quasi mai - è il mare a farsi sentire, perchè nessun punto
sulle isole dista a più di cinque chilometri dalla costa. Potente, quasi
arrogante, il profondo e freddo mar nordico ti ricorda che sei sperduto nel
nulla.
Certo, sono suoni ben diversi rispetto a quelli a cui
siamo abituati nelle nostre città, sono i suoni dei miti scandinavi,
dell’impermanenza e della durezza a cui i faroesi sono abituati. E immagino che
per questi motivi gli abitanti dell’arcipelago siano a loro volta riservati e ruvidi
come i pesanti maglioni di lana grezza che indossano.
Dopo una movimentata traversata in traghetto, su un
mare che per noi mediterranei sarebbe stato improponibile da solcare ma che qui
è la normalità, il 16 di agosto sbarco sull’isola di Mykenes, la più
occidentale dell’arcipelago. La piccola isola è il luogo ideale per ammirare
migliaia di pulcinelle di mare, i simpatici uccellini dal grosso becco
colorato, che ricordano i pinguini. Vedere per la prima volta dal vivo le
pulcinelle di mare è una bella emozione. Sono migliaia e sono teneri e buffi nei
loro voli sghembi in picchiata dalle scogliere, il fatto che riescano a vivere
qui è per me strabiliante.
A Mykenes c’è un vento cattivo, che sbatte a terra
e fa lacrimare, e un nebbione che neanche a novembre in Pianura Padana e
risalire il ripido pendio dall’attracco del traghetto alla strada sterrata che
attraversa l’isola non è per nulla facile. Mi chiedo chi me lo ha fatto fare,
ma poi sorrido pensando che, finalmente, sono tornata a fare un normale
ferragosto anormale, al freddo e all’avventura!
Fiordi e declivi
dai quali temere che da un momento all’altro spuntino dispettosi troll o
malvagi giganti; spiagge deserte e scogli che hanno visto l’ascesa e il declino
di antichi guerrieri vichinghi; villaggi intrisi di superstizioni e miti
scandinavi, ormai quasi disabitati; tecnologia e start-up; erba verde e umida
di rugiada e nebbia; nervose nuvole maltrattate da venti glaciali. Queste sono
le Faroe.
Isole sperdute nel
mare del Nord dove, da secoli, tutto è in continuo mutamento ma tutto, in
fondo, resta sempre uguale.
Se il tempo non
ti piace aspetta cinque minuti e vedrai che cambia
Antico
proverbio faroese
Bellissimo articolo, Marina! Scritto in modo avvincente, ma soprattutto intriso delle stesse emozioni e stati d'animo che quelle isole hanno suscitato in me! Sensazioni intense, a volte dure, come la natura di quel luogo, relativamente vicino ma per noi quasi "impensabile"
RispondiEliminaGrazie Federico!
EliminaIo sono sempre stata affascinata dalle isole del.nord, le Faroe, le Orcadi.
RispondiEliminaLa tua descrizione è affascinante , respinge e attira. Come resistere in un' isola in cui non c' è neanche un bar? Un punto di ritrovo? Ma tu dove hai dormito ? Dove hai mangiato?E com' è la popolazione, oltre che taciturna, è bella come i vichinghi delle saghe?
Ciao, abbiamo dormito in case locali prese in affitto, ma non abbiamo avuto alcun contatto con i proprietari. Per mangiare quasi sempre nelle stazioni di servizio, la sera a casa cucinavamo cibo portato dall'Italia, anche se si trova anche lí ma è molto caro. La mancanza di punti di ritrovo ha "sconvolto" 6anche me. Loro sono abbastanza belli, e hanno tanti bambini.
EliminaCiao
Marina