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domenica 8 settembre 2019

Per un tempo che non sapeva


di Giovanna Rotondo Stuart

“E torno sempre a casa”. aveva detto Lorenzo guardandosi intorno. “E meno male che puoi” gli aveva risposto sua madre, ricordando quel tempo, anni fa, in cui era tornato per la prima volta. Se l’era trovato seduto sul gradino della porta di casa, non molto in sé.
L’aveva aiutato ad andare in terapia al Sert, lui ce l’aveva messa tutta per tirarsi fuori da una dipendenza da alcol e per quasi un anno non era uscito di casa, lavorava e basta. 


Ma poi aveva incontrato una ragazza e aveva abbandonato la terapia: un errore che fanno in molti appena stanno meglio. E, ovviamente, non era durata. Lui, per non bere, giocava e i soldi non gli bastavano mai. Chiedeva soldi a tutti, doveva soldi a tutti, non si capiva cosa ne facesse. E rubava per giocare. Le mandava spesso messaggi sullo Stato affarista e biscazziere: “Lo Stato non dovrebbe guadagnare con le macchinette mangiasoldi. Ci sono molti che si rovinano giocando.” Quei messaggi sullo Stato affarista erano una richiesta di aiuto! Lei non aveva capito subito, ma il suo bisogno di soldi era tale che ci era arrivata presto. A quel tempo il gioco d’azzardo era diventato legale e si poteva giocare dappertutto, anche al bar sotto casa, un disastro per i giovani e le persone più fragili.
Il gioco, come qualsiasi dipendenza, devasta chi lo pratica e le persone che gli vivono intorno. La cosa terribile era la quantità di denaro che si poteva perdere in breve tempo. L’illusione che la volta prossima sarebbe potuta essere la volta buona era, più che una speranza, una necessità. Ma non si poteva reggere a lungo perché si finiva sul lastrico, si finiva in galera, si finiva male. Ed erano in tanti! Lei l’aveva aiutato a riprendere la terapia: alcolisti anonimi, giocatori anonimi, tentativi di ogni tipo, la maggior parte erano gruppi di auto aiuto, dilettanti, facevano ciò che potevano per non soccombere. Ma era difficile farcela.
Alla fine aveva iniziato una terapia di lunga durata, l’aveva voluto lui e fortemente: “Non voglio vivere così” aveva detto. A quello stadio di dipendenza uno da solo non ce la fa, deve essere aiutato. La dipendenza è una malattia terribile, difficile da guarire.
Lorenzo se ne andò in taverna dove avrebbe vissuto per un tempo che non sapeva. Si guardò intorno, non mancava nulla, era un’abitazione a tutti gli effetti: il soggiorno con angolo cucina e due grandi porte finestre che davano sul giardino, il bagno si trovava nella zona notte, divisa in due da una grande libreria a giorno. Tuttavia non era la sua casa, quella che amava e dove aveva sognato di vivere tutta la vita. Ma non era andata così. Sua moglie, qualche settimana prima, gli aveva dato il benservito: “Non vedo un futuro insieme” gli aveva detto. Lui non aveva capito a che tipo di futuro lei si riferisse, era uno che aveva bisogno delle sue abitudini, soprattutto della famiglia intorno a sé, e gli bastava. Quando l’aveva incontrata, Lorenzo era in cura da pochi mesi e, a detta dei suoi terapeuti, non era pronto ad affrontare la vita di coppia. L’avevano sconsigliato dall’intraprendere una relazione, ma lui non aveva voluto sentir ragioni neanche quella volta ed erano andati a vivere insieme. Sia la terapia che il rapporto di coppia avevano avuto alti e bassi, ma lui non aveva mai pensato che la loro storia potesse finire.
L’angoscia di quei giorni era profonda, gli ricordava un altro tempo della sua vita e non sapeva se piangere o morire. Aveva passato notti insonni paralizzato dalla paura, finché non si era deciso a ricorrere all’aiuto del medico che gli aveva prescritto dei farmaci. Pensava soprattutto ai bambini, a non poter più leggere
loro le storie la sera prima di andare a letto o portarli a scuola al mattino, vivere con loro la quotidianità, tutto ciò gli sarebbe mancato da star male e lo faceva star male al solo pensarlo.
Non capiva perché fosse andata così. Si rendeva conto che la seconda parte della sua esistenza, anche dopo tanti anni, era conseguente agli avvenimenti della sua adolescenza. Si portava appresso la sua vita passata in ogni respiro, il mattino presto appena sveglio era il tempo in cui si rivedeva come in un film: rivedeva il suo passato di alcolista prima e giocatore d’azzardo poi e, anche se non faceva più male come una volta, faceva male lo stesso. Aveva fatto un fatica immane per uscirne e mai, mai avrebbe ripetuto quelle esperienze terribili che erano parte della sua vita passata.
Dopo sette o otto anni il gruppo terapeutico gli aveva detto che poteva considerare raggiunto l’obiettivo:
“Siamo contenti di te, Lorenzo” gli avevano detto. “Hai fatto un buon percorso, un percorso di responsabilità, non abbassare mai la guardia, mai, per nessuna ragione. Non bere alcol neanche per il brindisi di Capodanno e considera attività di gioco solo quelle sportive. Le ricadute sono sempre in agguato. E fatti vedere ogni tanto!” Lui si era sentito bene, come qualcuno che finalmente aveva visto un sogno realizzarsi.
Ricordava quel passato in cui una parte di sé sognava e cercava un modo per potersi assumere le responsabilità di una vita normale. Ma ciò non poteva avvenire, per il semplice fatto che la sua realtà non era quella di una persona normale. I suoi pensieri erano indirizzati per intero a cogliere quelle gratificazioni che erano diventate la sua vita. Quello era stato il suo vissuto, lui ne era consapevole, si rendeva conto della sua tragicità ed era convinto del percorso compiuto: non poteva dimenticare. Dimenticare avrebbe voluto dire falsare i suoi pensieri e i mezzi che si era costruito per fare delle scelte responsabili. Lui era passato dall’adolescenza all’età adulta senza formazione, senza sapere dove fosse e senza partecipare alla vita della famiglia. “Per me è tutto nuovo” ricordava di aver mormorato un giorno, durante una delle sedute terapeutiche
Adesso si addormentava presto la sera per svegliarsi all’alba, ma non gli dispiaceva svegliarsi all’alba, “devo fare qualcosa” si disse, dopo un paio di mesi di quella vita “devo scaricare tutta la tensione che sto accumulando”, doveva fare qualcosa che lo aiutasse a liberarsi dalla tensione e dai pensieri. L’avrebbe aiutato a concentrarsi sul lavoro e a stare meglio con i bambini. Aveva deciso di iscriversi a una palestra, era anche un modo per sentirsi parte di qualcosa. E ogni tanto di andare a correre.
In palestra, quasi da subito, aveva incontrato Marina, un sua ex compagna di scuola del liceo: non si vedevano da più di vent’anni! Anche lei era in un momento di difficoltà. In qualche modo questa cosa li aveva uniti e avevano incominciato a vedersi. Dopo un paio di mesi di vita disperata, si era sentito meglio, meno solo: “Mi ricordo bene di te, mi piacevi molto ma tu non te ne sei mai accorto, eri agitato e alquanto sopra le righe, ma eri un buono” gli aveva confidato lei un giorno:
“Mi dispiace che ti sia trovato in una botte senza neanche rendertene conto. Non sei stato il solo, eravate tanti stupidi giovani di buona famiglia” sembrava quasi che volesse dar voce a pensieri che l’avevano accompagnata per anni.
Avevano incominciato a uscire e, quasi senza rendersene conto, si erano ritrovati a far progetti per il futuro:
“Potremmo andar via, andare a vivere da qualche parte, all’estero o lontano da qui”, diceva lei.
“Io devo aspettare che i miei figli crescano” obiettava lui, quando lei era particolarmente vivace sull’argomento.
“Ma il tempo passa presto” continuava lei “non c’è nulla di più veloce del tempo”.
“Ho la sensazione di non aver mai scelto” disse lui un giorno con amarezza e, completando il pensiero, “né la mia vita, né le compagne della mia vita” e aggiunse, dopo una breve pausa “vorrei poter scegliere con la mente libera”.
“Puoi farlo adesso, sei cosciente e hai compiuto un percorso di tutto riguardo. Devi avere solo il coraggio di ricominciare daccapo”.
Lui la guardò ed ebbe l’impressione di rivivere situazioni passate, come se lei lo stesse conducendo per mano verso una meta per cui lui non si sentiva pronto.
Comprese che non aveva ancora finito quel percorso che aveva iniziato anni prima: trovarsi solo con sé stesso per un tempo che non sapeva.
E a quel punto aveva deciso di tornare a casa.

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