“E torno sempre a casa”. aveva detto Lorenzo guardandosi
intorno. “E meno male che puoi” gli aveva risposto sua madre, ricordando quel
tempo, anni fa, in cui era tornato per la prima volta. Se l’era trovato seduto
sul gradino della porta di casa, non molto in sé.
L’aveva aiutato ad andare in terapia al Sert, lui ce l’aveva
messa tutta per tirarsi fuori da una dipendenza da alcol e per quasi un anno
non era uscito di casa, lavorava e basta.
Ma poi aveva incontrato una ragazza e aveva abbandonato la terapia: un errore che fanno in molti appena stanno meglio. E, ovviamente, non era durata. Lui, per non bere, giocava e i soldi non gli bastavano mai. Chiedeva soldi a tutti, doveva soldi a tutti, non si capiva cosa ne facesse. E rubava per giocare. Le mandava spesso messaggi sullo Stato affarista e biscazziere: “Lo Stato non dovrebbe guadagnare con le macchinette mangiasoldi. Ci sono molti che si rovinano giocando.” Quei messaggi sullo Stato affarista erano una richiesta di aiuto! Lei non aveva capito subito, ma il suo bisogno di soldi era tale che ci era arrivata presto. A quel tempo il gioco d’azzardo era diventato legale e si poteva giocare dappertutto, anche al bar sotto casa, un disastro per i giovani e le persone più fragili.
Ma poi aveva incontrato una ragazza e aveva abbandonato la terapia: un errore che fanno in molti appena stanno meglio. E, ovviamente, non era durata. Lui, per non bere, giocava e i soldi non gli bastavano mai. Chiedeva soldi a tutti, doveva soldi a tutti, non si capiva cosa ne facesse. E rubava per giocare. Le mandava spesso messaggi sullo Stato affarista e biscazziere: “Lo Stato non dovrebbe guadagnare con le macchinette mangiasoldi. Ci sono molti che si rovinano giocando.” Quei messaggi sullo Stato affarista erano una richiesta di aiuto! Lei non aveva capito subito, ma il suo bisogno di soldi era tale che ci era arrivata presto. A quel tempo il gioco d’azzardo era diventato legale e si poteva giocare dappertutto, anche al bar sotto casa, un disastro per i giovani e le persone più fragili.
Il
gioco, come qualsiasi dipendenza, devasta chi lo pratica e le persone che gli
vivono intorno. La cosa terribile era la quantità di denaro che si poteva perdere in
breve tempo. L’illusione che la volta prossima sarebbe potuta essere la volta
buona era, più che una speranza, una necessità. Ma non si poteva reggere a lungo
perché si finiva sul
lastrico, si finiva in galera, si finiva male. Ed erano in tanti! Lei l’aveva
aiutato a riprendere la terapia: alcolisti anonimi, giocatori anonimi,
tentativi di ogni tipo, la maggior parte erano gruppi di auto aiuto,
dilettanti, facevano ciò che potevano per non soccombere. Ma era difficile
farcela.
Alla
fine aveva iniziato una terapia di lunga durata, l’aveva voluto lui e
fortemente: “Non voglio vivere così” aveva detto. A quello stadio di dipendenza
uno da solo non ce la fa, deve essere aiutato. La dipendenza è una malattia
terribile, difficile da guarire.
Lorenzo
se ne andò in taverna dove avrebbe vissuto per un tempo che non sapeva. Si
guardò intorno, non mancava nulla, era un’abitazione a tutti gli effetti: il
soggiorno con angolo cucina e due grandi porte finestre che davano sul
giardino, il bagno si trovava nella zona notte, divisa in due da una grande
libreria a giorno. Tuttavia non era la sua casa, quella che amava e dove aveva
sognato di vivere tutta la vita. Ma non era andata così. Sua moglie, qualche
settimana prima, gli aveva dato il benservito: “Non vedo un futuro insieme” gli
aveva detto. Lui non aveva capito a che tipo di futuro lei si riferisse, era
uno che aveva bisogno delle sue abitudini, soprattutto della famiglia intorno a
sé, e gli bastava.
Quando l’aveva incontrata, Lorenzo era in cura da pochi mesi e, a detta dei
suoi terapeuti, non era pronto ad affrontare la vita di coppia. L’avevano
sconsigliato dall’intraprendere una relazione, ma lui non aveva voluto sentir
ragioni neanche quella volta ed erano andati a vivere insieme. Sia la terapia
che il rapporto di coppia avevano avuto alti e bassi, ma lui non aveva mai
pensato che la loro storia potesse finire.
L’angoscia di quei giorni era profonda, gli ricordava un altro
tempo della sua vita e non sapeva se piangere o morire. Aveva passato notti
insonni paralizzato dalla paura, finché non si era deciso a
ricorrere all’aiuto del medico che gli aveva prescritto dei farmaci. Pensava
soprattutto ai bambini, a non poter più leggere
loro le storie la sera prima di andare a letto o portarli a scuola al mattino, vivere con loro la quotidianità, tutto ciò gli sarebbe mancato da star male e lo faceva star male al solo pensarlo.
loro le storie la sera prima di andare a letto o portarli a scuola al mattino, vivere con loro la quotidianità, tutto ciò gli sarebbe mancato da star male e lo faceva star male al solo pensarlo.
Non capiva perché fosse andata così. Si rendeva conto che la seconda parte della
sua esistenza, anche dopo tanti anni, era conseguente agli avvenimenti della
sua adolescenza. Si portava appresso la sua vita passata in ogni respiro, il
mattino presto appena sveglio era il tempo in cui si rivedeva come in un film:
rivedeva il suo passato di alcolista prima e giocatore d’azzardo poi e, anche
se non faceva più male come una volta, faceva male lo stesso. Aveva fatto un
fatica immane per uscirne e mai, mai avrebbe ripetuto quelle esperienze
terribili che erano parte della sua vita passata.
Dopo sette o otto anni il gruppo terapeutico gli aveva detto che
poteva considerare raggiunto l’obiettivo:
“Siamo contenti di te, Lorenzo” gli avevano detto. “Hai fatto un
buon percorso, un percorso di responsabilità, non abbassare mai la
guardia, mai, per nessuna ragione. Non bere alcol neanche per il brindisi di
Capodanno e considera attività di gioco solo quelle sportive. Le ricadute sono sempre in
agguato. E fatti vedere ogni tanto!” Lui si era sentito bene, come qualcuno che
finalmente aveva visto un sogno realizzarsi.
Ricordava
quel passato in cui una parte di sé sognava
e cercava un modo per potersi assumere le responsabilità di una vita normale. Ma ciò non
poteva avvenire, per il semplice fatto che la sua realtà non era quella di una persona
normale. I suoi pensieri erano indirizzati per intero a cogliere quelle
gratificazioni che erano diventate la sua vita. Quello era stato il suo
vissuto, lui ne era consapevole, si rendeva conto della sua tragicità ed era convinto del percorso
compiuto: non poteva dimenticare. Dimenticare avrebbe voluto dire falsare i
suoi pensieri e i mezzi che si era costruito per fare delle scelte
responsabili. Lui era passato dall’adolescenza all’età adulta senza formazione, senza
sapere dove fosse e senza partecipare alla vita della famiglia. “Per me è tutto
nuovo” ricordava di aver mormorato un giorno, durante una delle sedute
terapeutiche
Adesso si addormentava presto la sera per svegliarsi all’alba,
ma non gli dispiaceva svegliarsi all’alba,
“devo
fare qualcosa” si disse, dopo un paio di mesi di quella vita “devo scaricare
tutta la tensione che sto accumulando”, doveva fare qualcosa che lo aiutasse a
liberarsi dalla tensione e dai pensieri. L’avrebbe aiutato a concentrarsi sul
lavoro e a stare meglio con i bambini. Aveva deciso di iscriversi a una
palestra, era anche un modo per sentirsi parte di qualcosa. E ogni tanto di
andare a correre.
In palestra, quasi da subito, aveva incontrato Marina, un sua ex
compagna di scuola del liceo: non si vedevano da più di vent’anni! Anche lei
era in un momento di difficoltà. In qualche modo questa cosa li aveva uniti e avevano
incominciato a vedersi. Dopo un paio di mesi di vita disperata, si era sentito
meglio, meno solo: “Mi ricordo bene di te, mi piacevi molto ma tu non te ne sei
mai accorto, eri agitato e alquanto sopra le righe, ma eri un buono” gli aveva
confidato lei un giorno:
“Mi dispiace che ti sia trovato in una botte senza neanche
rendertene conto. Non sei stato il solo, eravate tanti stupidi giovani di buona
famiglia” sembrava quasi che volesse dar voce a pensieri che l’avevano
accompagnata per anni.
Avevano incominciato a uscire e, quasi senza rendersene conto,
si erano ritrovati a far progetti per il futuro:
“Potremmo andar via, andare a vivere da qualche parte, all’estero
o lontano da qui”, diceva lei.
“Io devo aspettare che i miei figli crescano” obiettava lui,
quando lei era particolarmente vivace sull’argomento.
“Ma il tempo passa presto” continuava
lei “non
c’è nulla di più veloce del tempo”.
“Ho la sensazione di non aver mai scelto” disse lui un giorno
con amarezza e, completando il pensiero, “né
la mia
vita, né le compagne della mia vita” e aggiunse, dopo una breve pausa “vorrei
poter scegliere con la mente libera”.
“Puoi farlo adesso, sei cosciente e hai compiuto un percorso di
tutto riguardo. Devi avere solo il coraggio di ricominciare daccapo”.
Lui la guardò ed ebbe l’impressione di rivivere situazioni
passate, come se lei lo stesse conducendo per mano verso una meta per cui lui
non si sentiva pronto.
Comprese che non aveva ancora finito quel percorso che aveva
iniziato anni prima: trovarsi solo con sé stesso
per un tempo che non sapeva.
E a quel punto aveva deciso di tornare a casa.
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