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domenica 7 giugno 2020

LE TRE CREME - 2A PARTE - di Enrico Jessoula


Non aveva ancora chiuso la porta di casa che Martino le lanciò urlando la domanda del giorno:
- Mamma, mamma, lo sai come si ripara uno pneumatico? -
Ormai era un’abitudine: tutte le sere al rientro veniva bersagliata da domande strane. Rosaria prese fiato, appoggiò la borsa sulla poltroncina in anticamera e rispose con un'altra domanda:
- Hai forato la bici o stai leggendo uno dei tuoi soliti libri astrusi? -
- Saranno astrusi per te - replicò il bimbo, piccato - è un’importante collana di libri tecnici per bambini. Comunque ripeto la domanda: sai come si fa a riparare uno pneumatico? -


Era entrata in sala, nel campo visivo del figlio, fermamente decisa a prenderla alla leggera:
- Certo, si mette una pezza alla camera d’aria, con un procedimento… -
Non riuscì a terminare, bloccata dalla fragorosa risata del bimbo:
- La camera di che? E’ un sacco d’anni che non si usano più: gli pneumatici delle automobili sono tutti tubeless, privi di camera d’aria. -
Il silenzio galleggiò nell’aria per qualche secondo, denunciando l’imbarazzo di Rosaria, prima che Martino tornasse alla carica:
- Allora? -
- Allora cosa, come si riparano gli pneumatici? Non ne ho la minima idea. -
- Ascolta, è interessante. A volte si usa ancora la pezza che dici tu, direttamente sullo pneumatico. Ma il rimedio più usato è quello d’infilare un chiodo di gomma nel buco che si è prodotto, restituendogli così la piena funzionalità. -
- Chiodo di gomma? Non so di cosa tu stia parlando. -
- Non capisci, mamma? E’ semplicemente geniale: inserendo una materia omogenea, questa viene inglobata, assorbita dallo pneumatico, che torna come nuovo! -
Rosaria era stordita. Martino, un ricciolino di dieci anni, lineamenti gentili e sguardo dolce, le era sempre sembrato più adatto alla poesia che non ai libri tecnici che invece prediligeva.
“Da qualcuno deve aver preso, questa passione per la tecnica e le automobili” rifletté, mentre si toglieva la giacca della divisa.
Il pensiero corse inevitabilmente al suo ex-marito che aveva impiantato una fiorente officina prima di abbandonarla per la segretaria, una bionda che successivamente gli aveva messo una serie infinita di corna. Le voci più maligne dicevano che collaudasse, a turno con i vari meccanici, il molleggio di tutte le auto lasciate in riparazione.
“Ben gli sta” pensò, interrompendo il filo dei suoi pensieri. Si avvicinò al figlio, sedendosi sul bracciolo della poltrona:
- Ehi, sapientino, me lo dai un bacio? E’ l’ora di andare a tavola: che cosa mi hai preparato di buono? -
- Bastoncini di pesce nel freezer - rispose Martino, prestandosi a quello scherzo abituale - e per finire gelato della casa. A proposito, è vero che ti occupi del caso del pasticciere? -
- Vero - sospirò lei, commentando amaramente: - e non ci capisco nulla. Tutti lo amano, ma lui è morto. Dai, lascia il tuo libro e mettiti a tavola, in due minuti è pronto! -
Ciò detto, versò poco olio in una padella antiaderente e lasciò che si scaldasse prima di vuotarci dentro la confezione di bastoncini.

- Commissario, ci sono novità? -
- Avete individuato l’assassino del pasticciere? -
- E’ emerso qualche nuovo indizio dagli interrogatori di oggi? -
- Commissario, ci dica in quale direzione pensa di orientare le indagini… -
Rosaria, appoggiandosi alla porta d’ingresso, sia per chiuderla che per non collassare, scoppiò a ridere di gusto mentre Martino, sventolandole davanti alla bocca un cornetto gelato come fosse un microfono, la bombardava di domande come aveva visto fare tante volte ai giornalisti in televisione.
Stando abilmente al gioco, s’incamminò decisa verso la sala, rispondendo con frasi vaghe:
- Ancora niente di nuovo. -
- Quando avremo qualcosa di concreto vi informeremo. -
- Assassino? Chi vi ha detto che si tratta di omicidio? -
Guadagnò rapidamente il divano e vi si gettò sopra, esausta.
Era passata un’altra giornata, sfiancante e infruttuosa come la precedente. Non aveva proprio voglia di parlarne con quella specie di cronista scatenato; cercò quindi di riportare il discorso sui temi abituali:
- Martino, hai diritto alla domanda del giorno, non a mille - disse sorridendo al bimbo che aveva ancora il cono gelato in mano - comunque quel microfono è meglio rimetterlo nel freezer. -
Catturò al volo un’espressione strana negli occhi di Martino, dalla quale non era il caso di sfuggire.
- Che cosa c’è? Mi guardi come se avessi visto un elefante nel salotto. -
- Pensavo a quello che hai detto - replicò il bimbo, sgranando vieppiù gli occhi - che potrebbe anche non essere un omicidio. -
Sospirò rassegnata. Aveva commesso un passo falso, con quel “chi vi ha detto che si tratti di omicidio” e sapientino non era certo tipo da demordere, quando aveva qualcosa in testa.
- Tu non sai come si svolgono queste cose; ora te lo racconto, ma tu non lo dici a nessuno, vero? -
Il bimbo annuì con fare serioso, incrociando due dita davanti alla bocca per formalizzare il patto di segretezza.
- Allora Martino, la mamma va a questo ristorante “Tutto scorre” e comincia a interrogare. Ieri, il proprietario, che mi dimostra che Serge gli aveva fatto raddoppiare le vendite, perciò è poco probabile che l’abbia eliminato lui; oggi sento i collaboratori, ad uno ad uno. Lo amavano tutti: lo percepisci dall’atteggiamento, dallo sguardo, più che dalle parole. Però, uno di loro deve averlo ucciso; chi altri, se no? -
- Appunto - annuì il bimbo.
- Lascio per ultima Margherita, che mi è stata indicata come la fidanzata di Serge. Se vuoi, è anche la maggior indiziata, perché è lei a preparargli la scodellina con la crema pasticciera, tutti i giorni. -
- Anche il giorno del delitto dunque. Cherchez la femme… -
Lo guardò stranita:
- Chi te le dice queste cose, sempre uno dei tuoi libri astrusi? Comunque interrogo Margherita, ventott’anni, di dieci più giovane di Serge. Sembra affranta, mi racconta la loro storia, da quando Serge è venuto da Parigi, pochi mesi fa. Le chiedo a bruciapelo se ha qualche idea sul possibile assassino. -
- E lei, e lei? - interloquì il bimbo, eccitato: non era mai capitato, prima d’allora, che la mamma gli raccontasse così dettagliatamente del suo lavoro.
- Lei mi rivolge uno sguardo interrogativo, due occhi chiari come laghetti di montagna, umidi di pianto; poi scuote la testa e afferma con sicurezza: “Non posso credere che si tratti di omicidio”. -
- E tu? -
- Naturalmente le chiedo di spiegarsi meglio; lei mi esprime la sua teoria, secondo la quale… -
Vedendo i due occhioni neri del figlio fissi su di lei, capì che, avendo cominciato a raccontare, doveva andare fino in fondo.
- Insomma, secondo Margherita, Serge era così abile nel captare sapori ed odori che non avrebbe mai potuto essere ingannato da una sostanza velenosa introdotta nella crema che adorava. L’avrebbe scartata all’olfatto, prima ancora di assaggiarla; mangiarla tutta, certamente no. -
- Perciò? -
- Perciò lei è convinta che Serge si sia suicidato, che per qualche motivo abbia scelto di uccidersi proprio con quella crema pasticciera che amava tanto ed aveva appena insegnato ai collaboratori. -
- Cavolo…e tu ci credi, a questa teoria? -
- No, però non posso escludere nulla. In realtà anche Margherita, pur sembrando convinta, non riesce a capirne il motivo; dice che Serge sembrava assolutamente felice di stare in Italia, di lavorare al “Tutto scorre”, di vivere con lei. -
Vide una raffica di domande affiorare nello sguardo pensoso del figlio, per cui decise di prenderlo in contropiede, ripiegando sul loro gioco abituale:
- Noi dobbiamo anche cenare: che cosa mi hai preparato di buono? -
- Sofficini al formaggio nel freezer. -
Si vergognò un po’ di quell’andazzo a surgelati, che andava avanti ormai da troppi giorni:
- Martino, domenica sono finalmente libera; ti faccio gnocchi di patate e vitello tonnato. -
Lui la guardò speranzoso, deglutendo:
- Promesso? -
- Promesso. Lo sai, le promesse si mantengono sempre. -

Quella mattina, Rosaria aveva incontrato Aldo, il ragazzo concupiscente del ristorante. Erano in riva ad un piccolo lago al quale era giunta, per caso, nel corso di una passeggiata. Il giovane era ammantato di un alone di mistero, ma lei sapeva che era lui, anche se non gli somigliava totalmente ed esibiva dei modi raffinati che non le erano risultati evidenti al primo incontro. Si era lasciata condurre per mano fino ad un bosco di betulle e ad un capanno di legno di cui Aldo aveva le chiavi; delle chiavi enormi che le sue mani girarono senza sforzo nella toppa.
Era entrata trasognata nel capanno. Mentre quelle mani la accarezzavano e la spogliavano, adagiandola sul materasso disteso a terra, Rosaria si rese conto che stava per commettere una trasgressione grave in quanto, come commissario di polizia, non poteva intraprendere un rapporto amoroso con un possibile indiziato di un delitto. Ma per fortuna l’uomo misterioso non era più Aldo; si era trasfigurato in un suo giovane collega, subito sostituito dall’insegnante di fisica del figlio. Non ebbe il tempo di capire quale dei tre uomini fosse veramente l’individuo che si stava coricando su di lei, quando si sentì penetrare con dolcezza.
Stavano facendo l’amore da un po’ di tempo, non sapeva dire quanto. Sentiva crescere l’eccitazione a ogni spinta dell’uomo dentro di lei; il suo respiro si era fatto affannoso, nel riscoprire un piacere antico, quasi dimenticato…
In quel momento, un pianto sommesso, prima lontano, poi sempre più vicino, la risvegliò dal deliquio. Martino stava piangendo, sdraiato sul suo letto, la testa affondata nel cuscino.
“Perché piange?” si domandò ansiosa Rosaria, prima di precipitarsi nella camera del bimbo.
Questi sembrava sconvolto; le buttò le braccia al collo e cominciò a farfugliare frasi che Rosaria inizialmente non riuscì a distinguere. Lo calmò infine, con una overdose di carezze:
- Che cosa ti succede - disse - hai fatto un brutto sogno? Un incubo? -
Martino scosse decisamente la testa. La sua voce era ferma, anche se piagnucolosa:
- Sono disperato, perché ho capito chi ha ucciso Serge: è stato il mio amico Lorenzo. Ora lui finisce in galera e non potremo più giocare assieme. -
Rosaria si domandò se il ragazzo non stesse delirando; istintivamente, allungò una mano a toccargli la fronte, suscitando una reazione rabbiosa:
- Ti dico che sono sicuro - disse con tono determinato, mentre si alzava dal letto e, di passaggio, accendeva il computer - suo papà ha una fabbrica di aromi: ne produce centinaia, tutti differenti l’uno dall’altro, combinando varie essenze per arrivare al risultato finale. -
Rosaria era piuttosto irritata per quell’idea balzana che aveva bruscamente interrotto un sogno così piacevole. Cercò di controllarsi e si dispose ad ascoltare il figlio con pazienza:
- Allora, spiegami perché dovrebbe essere stato proprio lui. -
- Perché è estremamente orgoglioso di questo lavoro del padre, della sua capacità di riprodurre qualsiasi gusto. Inoltre, va spesso in fabbrica e si vanta di avere accesso a tutti quegli aromi, dai gamberi, al cioccolato fondente, alle fragole. Sai quante volte gli ho sentito dire che, se la prof lo facesse arrabbiare, le porterebbe una tavoletta di merda, camuffata dall’aroma di cioccolato fondente? Dice che non si accorgerebbe di nulla, ride pregustando la scena: “Grazie Lorenzo, proprio la mia cioccolata preferita”…ah…ah… -
- Credo che il tuo amico Lorenzo abbia solamente troppa immaginazione - disse Rosaria arruffandogli teneramente i capelli ricciuti - inoltre non capisco che cosa c’entri questo con la morte del pasticciere. -
Martino la invitò ad avvicinarsi al computer, mentre lui stava digitando freneticamente, fino a trovare quello che cercava.
- Vedi? Questo è il sito del papà di Lorenzo, voglio dire, della sua azienda. Produce aromi: delle sostanze alimentari che migliorano il gusto di tutto quello che mangiamo e beviamo, dagli antipasti fino al dolce. -
Percepì di aver finalmente catturato l’attenzione della mamma, per cui proseguì soddisfatto:
- Ora guarda, vado alla ricerca del prodotto Z24. -
Come per incanto, sullo schermo si materializzò la scritta “Z24 = crema pasticciera”, seguita dalle indicazioni per l’uso e dai formati – dal chilo fino ai venticinque chili – in cui era disponibile.
Martino allargò le braccia:
- Ecco qua, il “veleno” che ha ucciso Serge. -
- Martino, un aroma alimentare non è un veleno. -
- Ma non capisci, mamma? E’ geniale, come usare il chiodo di gomma per riparare lo pneumatico! - le lanciò uno sguardo di sfida, prima di proseguire - Ha ragione Margherita: la stricnina è amarissima, per cui Serge se ne sarebbe accorto subito; per contro, la dose doveva essere piccola ma non troppo, per uccidere in breve tempo. -
Rosaria tentò di smorzare i toni:
- Ma tu queste cose come le sai? Leggi troppi libri astrusi. -
Martino continuò imperterrito:
- Qui subentra l’idea geniale: l’amaro del veleno può essere corretto da un dolcificante, ma il gusto resterebbe diverso, facilmente individuabile per uno come Serge. Se però aggiungi un aroma che copre il gusto, puoi riuscire a riprodurre una sostanza dal sapore omogeneo con la crema di base. Solo così avrebbe potuto ingannare un super-esperto. Margherita ha visto giusto, ma sbaglia la conclusione. Si tratta di omicidio: l’ha ucciso il mio amico Lorenzo - concluse con un singhiozzo.
Rosaria era rimasta a bocca aperta. La fantasia del figlio la stupiva sempre, ma quella mattina aveva superato qualsiasi precedente. Peraltro, l’esistenza di uno specifico aroma alla crema pasticciera le sembrava oggettivamente inquietante.
Cercando di minimizzare e dissimulare la sorpresa, commentò ridendo, mentre gli arruffava nuovamente i capelli:
- Mi sa che tu vuoi portarmi via il posto; per fortuna sei troppo giovane per fare il commissario. -
Martino proseguì il corso dei suoi pensieri:
- Oggi a scuola glielo dico, a Lorenzo, che ormai la polizia l’ha scoperto, sa che l’ha ucciso lui. -
- Cosa dici, Martino, la polizia non ha scoperto un bel niente. -
- Come no? La polizia sei tu, lui lo sa. -
Le ci volle una buona mezz’ora per calmarlo, convincerlo a non dir niente a Lorenzo, comportandosi a scuola come niente fosse. Nello sforzo di minimizzare la vicenda, arrivò a garantirgli che si trattava di pure coincidenze:
- Fidati del fiuto di un commissario: Lorenzo non c’entra niente e, per quel che ne so, nemmeno suo padre ed i suoi aromi. Intanto, chissà quante fabbriche di aromi esistono; inoltre, non pensi che, forse, Lorenzo non lo conosceva nemmeno questo Serge? -
Martino annuì poco convinto, mentre infilava svogliatamente i libri nella cartella.

Nel corso della giornata, nonostante i suoi sforzi di dimenticare le assurde fantasticherie del figlio, il suo pensiero era corso più volte a Saverio, il papà di Lorenzo.
L’aveva conosciuto alla festa di fine anno della scuola. Era un bell’uomo, simpatico, calabrese e separato come lei; con tali premesse, era arrivato rapidamente a delle avance piuttosto insistite che lei aveva faticato, non poco, a respingere. Per tenerlo a bada, aveva accettato di annotare il suo numero di telefono e l’indirizzo dell’ufficio, perché “E’ più facile trovarmi là che a casa” aveva detto lui.
In realtà Rosaria non si sentiva pronta per nuove avventure sentimentali e, per questo motivo, tendeva ad evitare di incontrarlo nuovamente.
Ma la curiosità è femmina, per cui verso le undici del mattino, con le indagini ferme a un punto morto, recuperò sull’agendina personale l’indirizzo della fabbrica di Saverio. Era nell’hinterland milanese, ma abbastanza facile da raggiungere dal commissariato.
Rilesse stupefatta l’annotazione, domandandosi come potesse venire in mente di metter nome “Forz’aroma” ad un’azienda produttiva; scosse infine la testa al pensiero che il calcio fosse ancora l’interesse dominante degli italiani, se non l’unico.
Decise di andarci in borghese e senza prendere appuntamento, giocando sul fattore sorpresa per ottenere il massimo risultato dalla visita. Certo, c’era il rischio di non trovarlo in fabbrica, ma decise che era un rischio che valeva la pena di correre.
Alle dodici in punto, Rosaria si aggirava nel suo ufficio, guardando con curiosità alcune fotografie sulla produzione degli aromi appese alle pareti. In stabilimento, nella zona del controllo qualità, la segretaria raggiunse Saverio, che stava assaggiando alcuni prodotti.
Con fare misterioso, lo chiamò in disparte prima di sussurrargli:
- Dottor Morales, c’è di là un commissario di polizia. Vuole parlare con lei, l’ho fatto accomodare nel suo ufficio. -
Saverio sobbalzò:
- Un commissario di polizia? Che cosa vuole da me? -
L’espressione della segretaria non lo aiutò: si capiva benissimo che non ne sapeva nulla.
- Vengo subito - poi, rivolto al tecnico - tu vai avanti con le prove, ne riparliamo nel primo pomeriggio. -
Quando aprì la porta del suo ufficio, ebbe un moto di stupore misto a sollievo:
- Rosaria, sei tu? Ma che bella sorpresa - disse, muovendosi rapidamente incontro alla giovane donna, per abbracciarla.
Fu fermato bruscamente:
- Altolà! Sono qui in servizio. -
- Capisco, capisco; ma accomodati almeno - disse Saverio indicandole una poltroncina e sedendosi dall’altra parte della scrivania - toglimi intanto una curiosità: sei davvero un commissario di polizia? -
- Commissario Rosaria Campo, squadra omicidi - rispose lei, mettendogli sotto il naso il tesserino di riconoscimento.
- Omicidi? - balbettò l’uomo - Non me l’avevi detto, quel giorno alla festa della scuola, che facevi questo mestiere. -
Lei lo guardò dritto negli occhi, con un sorriso ironico:
- Quel giorno, mi sembravi interessato solo a portarmi a letto. -
Il commento del commissario, unito alla parola “omicidi”, gli aveva fatto raggelare il sangue, ma cercò di mantenersi calmo:
- Cosa dici, Rosaria, ti avrò corteggiata: una bella donna come te… -
- Vuoi dire che lo fai con tutte? Anche salutarle baciandole sulla bocca? -
Si stava proprio divertendo, a tenerlo sulle spine. Voleva fargliela pagare, perché il giorno della festa a scuola sarebbe potuta nascere davvero una affettuosa amicizia, se non fosse che lui aveva una fretta tremenda di sedurla, il che le aveva dato fastidio.
Lo vide sbiancare, alla sua ultima battuta, cercare di recuperare con la bocca impastata, come un ubriaco che si sforza di mantenere la calma:
- Non ricordo; se è così, mi dispiace di averti mancato di rispetto. Dimmi, come posso esserti utile? - concluse con un sorriso accattivante.
- Non preoccuparti, non sono così vendicativa da accusarti di omicidio - disse lei, in tono conciliante - sono qua più che altro per curiosità, diciamo per farmi una cultura in materia. Sai com’è, Martino, mio figlio, dice che il suo amico Lorenzo ha un papà che produce aromi, di tutti i tipi, capaci di ingannare chiunque. -
Rasserenato dalle parole di Rosaria, Saverio si sentì in dovere di puntualizzare:
- I miei prodotti non si prefiggono di ingannare nessuno. Sono una componente importante della filiera alimentare e completano, direi perfezionano, alimenti che sono già ottimi in partenza. Diciamo che danno il tocco finale, quello decisivo perché un prodotto piaccia. -
- Ho capito, ma spiegami come avviene questo processo. E’ vero che mescolate tante essenze base? -
- A seconda del gusto da ottenere, arriviamo a mescolarne alcune decine. Ci sono aromi più semplici ed altri più complessi; noi ne produciamo a centinaia - estrasse da un cassetto un depliant colorato e lo allungò verso Rosaria - se vuoi fartene un’idea, questo è il catalogo. -
Il commissario fece scorrere con attenzione il catalogo, commentando le varie sfumature, le fragoline di bosco piuttosto che i fragoloni maturi, il cioccolato fondente, gianduia, al latte. In realtà, era alla ricerca del prodotto Z24; giunta a quel punto si fermò di botto, assumendo un’aria stupita:
- Alcuni mi sembrano difficilissimi da ottenere; ad esempio, sono molto interessata a come riuscite a riprodurre l’aroma della crema pasticciera. -
- Anche tu? - reagì lui in tono enfatico - Perché attira tutti, la crema pasticciera? -
Lo guardò esterrefatta:
- Perché, c’è qualcun altro? Io l’ho detto perché mi sembra un gusto molto particolare, difficile da replicare. -
- Vero, è questo che interessava anche Piero. -
- Piero? -
- Sì, Piero…oddio, ora mi sfugge il cognome. E’ il padrone di un ristorante fuori Milano, lungo il Naviglio. -
Rosaria dissimulò a fatica la violenta emozione e lo stupore che si erano impadroniti di lei; doveva mantenere il controllo dei nervi, anche perché Saverio non sembrava essere al corrente dei recenti avvenimenti relativi al “Tutto scorre”
- Non m’interessa come si chiama. Piuttosto, mi dicevi che, anche lui, era perplesso sulla possibilità di riprodurre quel gusto, quel profumo così particolari. -
- Certamente. Gli ho spiegato che noi usavamo degli strumenti scientifici. Seguimi, te li faccio vedere. -
La prese per un braccio e la scortò al laboratorio di analisi dove le presentò un omino piccolo con degli occhiali grandi:
- Questo è Filippo, il nostro capo analista - poi, rivolgendosi a lui: - che cosa stai analizzando ora? -
- Una salsa ai tartufi. Serve per condire la pasta, oppure per dare il gusto alla carne, la fonduta, qualsiasi cosa - si rivolse al capo con aria implorante, sperando che bastasse così.
Capì al volo che non bastava, doveva dire all’ospite qualcosa sul processo:
- Gli strumenti base sono questi due - disse, accarezzando due macchinari sul tavolo - lo spettrografo di massa e il gascromatografo; immetto la sostanza da analizzare e loro mi dicono gli ingredienti principali per ottenere quell’aroma. Vede sullo schermo queste punte: indicano le essenze base da utilizzare. -
Rosaria sorrise:
- Grazie, non sono un’esperta, ma credo d’aver capito. -
Tornati in ufficio, riprese il discorso, facendo la finta tonta:
- Credo d’aver capito che, se voglio ottenere un aroma specifico, basta portarti un campione; tu lo analizzi e lo riproduci. E’ così che ha fatto quel tuo cliente che citavi prima, di cui non ricordo il nome. -
- Sì, Piero. Saputo come operavamo, è venuto a trovarmi con una coppetta di crema pasticciera. Una cosa squisita, ti assicuro, un sapore ed un profumo mai sentiti in vita mia. Mi ha chiesto se riuscivo a riprodurgliela; ho immaginato che volesse ottenere lo stesso gusto utilizzando componenti meno costosi, oppure un processo semplificato. -
- E poi? - chiese il commissario con finta noncuranza.
- La sfida era difficile e l’impegno gravoso, ma alla fine accettai, a fronte, devo ammettere, di un compenso piuttosto alto. Con lui, facemmo numerose prove d’assaggio, che è sempre il test decisivo. Ogni volta lui portava una coppetta di quella crema fantastica e insieme affinavamo, sempre più, il gusto e il profumo della sostanza che dovevamo produrre. -
- Dai, ormai raccontami com’è andata a finire - disse Rosaria - mi hai talmente incuriosita. -
Saverio si accarezzò il ciuffo che gli scendeva sulla fronte, assumendo un’aria pensosa.
- Mah…è finita in maniera strana. Come d’accordo, gli avevo preparato un campione, con l’intesa che avrebbe pagato lo sviluppo e un minimo di cento chili di prodotto che gli dovevamo consegnare qualche giorno dopo. Invece, è venuto quel giorno con una boccettina, l’ha aperta, ha iniettato dentro il campione e annusato brevemente; dopodiché ha pagato e se n’è andato tutto soddisfatto. - Rosaria sobbalzò:
- E tu non gli hai chiesto che cosa c’era nella boccetta? Così, anche solo per curiosità. -
- No. Sono rimasto così sorpreso che non gli ho chiesto nulla. Se n’è andato dicendo che per le consegne avrebbe chiamato lui. -
- Ma non ha più chiamato, immagino: una fine logica per una storia “strana”. -
Dette uno sguardo rapido all’orologio e finse di trasalire:
- Oddio. Scusami Saverio, ma ho fatto tardi; devo proprio andare. -
- Che peccato! - reagì lui - Non pranziamo insieme? Qui vicino c’è un ristorante molto piacevole. -
- No, grazie - rispose il commissario scuotendo la testa - che cos’è, una locanda con camere? -
- Insisti con quella storia? Ma allora te ne sei proprio avuta a male. -
- No, cos’hai capito? E’ che non avrei abbastanza tempo per utilizzarla al meglio. Ciao, a presto - concluse, lasciandolo annichilito e senza parole.
Rosaria risalì sull’auto con il cuore in tumulto. Di fatto, aveva ormai la certezza che Martino avesse risolto il giallo e fatto smascherare il colpevole; a lei rimaneva solamente da scoprire il movente.
Dall’auto chiamò la centrale, avvisando di tenere pronta una squadra per il suo arrivo.

Le decine di studenti che si erano riversati ai giardini della Guastalla dalla vicina Università Statale, avevano altro cui pensare.
A coppie o a piccoli gruppi, sulle panchine oppure distesi sui prati, si godevano quel diamante incastrato nel centro di Milano, impegnati in varie attività: dal consumare insieme un pranzo tardivo, al confrontarsi sul piano degli esami, all’amoreggiare platealmente.
Nessuno fece quindi caso a quell’uomo anziano che, con passo lento ma fermo, aveva attraversato tutti i giardini, dall’ingresso di via Guastalla fino alla peschiera, quella vasca dalla forma particolare che affascinava soprattutto vecchi e bambini.
Neanche l’uomo, peraltro, parve accorgersi dei ragazzi, dei prati che pullulavano di vestiti colorati, dei jeans a vita bassa delle ragazze, delle risate che qua e là squarciavano il silenzio magico dei giardini. La visita alla Guastalla era per lui un’abitudine fissa del primo pomeriggio; i ragazzi c’erano sempre, anche d’inverno; avrebbe potuto dire che facevano parte del paesaggio.
Quel giorno, aveva voluto scegliere accuratamente l’abbigliamento, sobrio ed elegante: pantaloni grigi e golf di cashmere blu su una camicia a righe sottili. Aveva puntato dritto alla peschiera, scegliendo l’angolo vicino al tempietto del Cagnola, dove l’acqua viene immessa nella vasca. Gli piaceva quell’angolo per lo sciabordio rilassante, ma anche perché da lì non si vedeva il Palazzo di Giustizia.
Si soffermò invece ad ammirare l’ippocastano rosa che, in quel periodo di fine aprile, era nel pieno della fioritura. Rimirò estatico, come sempre, la varietà di piante di quel fazzoletto verde, prima di appoggiarsi alla ringhiera della peschiera e abbandonarsi alla contemplazione di quella piscina dall’aspetto antico.
Era il suo modo di rilassarsi. Come al solito, si domandò perché una vasca così bella non fosse tenuta più pulita e ripopolata con pesci di varie razze che avrebbero attratto più visitatori, specie bambini.
Allungò lo sguardo fino all’altra sponda, per vedere se ci fosse qualche novità. Fu così che scorse, riflesso nello stagno, un uomo che sembrava rigido come un palo. Sollevò allora lo sguardo e ne vide altri due, ai lati della vasca: tre pali buffi spuntati da chissà dove.
Sorrise dentro di sé, da quanto erano ridicoli. Tornò a concentrarsi sul gorgoglio dell’acqua, quando, sulla sua destra, distinse nitidamente un passo di donna. Alzò lo sguardo e non poté trattenere un’espressione di gioia nel riconoscere la persona che si stava avvicinando.
- Commissario Campo, è proprio lei. Che piacere vederla! -
- Buongiorno, signor Piero - rispose Rosaria avvicinandosi lentamente, un sorriso rassicurante dipinto sul volto.
Giunta al suo fianco, allungò una mano fino a stringergli dolcemente il braccio. I due si guardarono fissi per alcuni secondi, gli occhi scuri di lei impegnati a frugare nell’azzurro, appannato dall’età, di quelli di lui.
Infine fu Rosaria a rompere il silenzio:
- Allora, signor Piero, lei sa perché sono qui. Vogliamo andare? -
Lui annuì sospirando, si lasciò condurre lentamente. Vide con la coda dell’occhio i tre pali buffi che convergevano verso di loro, il commissario far loro cenno di stare calmi, di non avvicinarsi.
Fatti alcuni passi, lui si fermò, rivolgendo a Rosaria uno sguardo stanco:
- L’invidia, commissario, è una brutta bestia - sospirò - lei forse non può neppure immaginare, quali solchi può scavare l’invidia, quali devastazioni può produrre nella mente di un uomo. -
Rosaria annuì a sua volta, mentre lo conduceva con dolcezza verso i pochi gradini e le due auto scure che li stavano aspettando, all’uscita di Francesco Sforza.

Dalla macchina, digitò rapidamente un sms:
“Ciao Martino, delitto Serge risolto. Lorenzo non c’entra, naturalmente, poi ti racconto. Stasera andiamo a cena fuori, scegli tu uno dei tuoi ristoranti preferiti. Un bacio grande grande.”



(pubblicato con l’autorizzazione dell’autore e della casa editrice EmmeTi)

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