(di Annalisa Petrella)
Premiato a Cannes nel 2019, nella sezione Un Certain
Regard, il film La ragazza
d’Autunno del giovane regista
russo Kantemir Balagov ha ottenuto un successo
internazionale e un
apprezzamento della critica che ha riconosciuto al regista un modo esemplare di
fare cinema soprattutto per la sua capacità di condensare, attraverso scene
girate anche in spazi angusti al limite del claustrofobico, il senso della
tragedia umana in una pluralità di problematiche e di conflitti. Sempre a
Cannes nel 2017 gli era già stato conferito lo stesso premio per il film Tesnota,
si confermano così il suo talento e una sorprendente maturità stilistica che evidenzia
rigore e traccia una significativa poetica personale.
Discepolo del grande Aleksandr Sokurov, Balagov, che ha solo 28 anni, ha fatto propria la lezione
del maestro russo e ha avviato con una rara profondità di sguardo un’esplorazione
interiore allo scopo di cercare di capire se stesso in relazione agli altri, intesi
come comunità inserita nella storia del proprio paese. La sua narrazione attraverso
le immagini rivela un affetto particolare per le figure femminili che
rappresentano il perno della sua scelta drammaturgica: Balagov inchioda sullo schermo donne dalla
statura tragica che combattono e si
difendono con determinazione dalla violenza di una società spietata. Ne sono un
esempio folgorante le due protagoniste di La ragazza d’autunno, ispirato
liberamente al racconto La guerra non ha un volto di donna di Svjatlana
Aleksievic, scrittrice insignita del premio Nobel nel 2015.
appartamento in condivisione con numerose persone, si occupa amorevolmente del piccolo Pashka, un bimbo di tre anni, affidatole sul fronte dall’amica Masha che non è ancora rientrata. Quando anche Masha, che rappresenta l’esatto opposto di Iya, piccola, scura, disinvolta, ritorna dal fronte le due donne si trovano ad affrontare insieme ciò che resta degli orrori vissuti. Il bimbo non c’è più, il lavoro in ospedale è sfibrante, unite ma svuotate dalla distruzione della guerra di cui portano entrambe le cicatrici sul corpo e nell’anima Iya e Masha si aggrappano l’una all’altra, rimanendo incastrate in una relazione conflittuale d’attrazione e repulsione che richiama i film di Ingmar Bergman.
Cosa hanno provato coloro che sono destinate naturalmente a
dare la vita, quando sono state costrette, andando in guerra, a portare la morte?
Nello
scorrere della storia in tutta la sua tragicità sembra che questa sia la
domanda centrale di Balagov che trova un’unica soluzione possibile per uscirne:
la solidarietà umana, punto di forza imprescindibile che permette di superare
gli eventi più terribili.
La
relazione tra Iya e Masha è la leva che dà sollievo ai loro corpi malati e all’animo
dilaniato, unite dal desiderio di ritrovare l’innocenza perduta nella
catastrofe bellica che ha annullato i colori vitali. E proprio l’uso del colore
fatto dal regista con un’eleganza e un’eloquenza impressionanti offre elementi
essenziali per l’interpretazione. Balagov costruisce inquadrature che ricordano
i dipinti della pittura olandese, quella di Vermeer o Rembrandt, e utilizza le
gradazioni cromatiche come chiavi interpretative della condizione emotiva dei
protagonisti, valorizzando ogni dettaglio che risulta funzionale alla
costruzione di un ambiente in osmosi con le emozioni e gli umori dei personaggi.
La sua regia trasmette allo spettatore sia sul piano tecnico sia su quello
artistico la piena consapevolezza della drammaticità degli spazi e della loro
messa in scena densa di una stratificazione di contenuti.
Gli spazi nei quali si muove il film sono minimali:
l’ospedale, la stanza dell’appartamento in condivisione, i tram che trasportano
le due ragazze al lavoro, i vicoli bui e una Leningrado spettrale, c’è anche,
per pochi minuti, l’apparizione quasi onirica di una villa neoclassica bianca sperduta
nel gelido paesaggio invernale della sconfinata campagna russa.
C’è una scena fondamentale del film
nella quale Masha si converte al verde indossando un vero e proprio abito
femminile nell’illusione di poter dare un giro di volta alla propria vita e
liberarsi dal vortice che l’avvolge. Nella villa neoclassica, spettro di tempi
lontani, avviene il confronto tra Masha e la madre del ragazzo che la vuole sposare: qui
assistiamo a una prova di alta recitazione in una sceneggiatura impeccabile che
svela senza reticenze tutta la crudeltà della guerra vissuta sulla pelle di due
donne diverse a conferma che la tragedia non si conclude quando finiscono i
combattimenti.
Iya
indossa il verde, simbolo di fiducia in una nuova vita, possibile per
lei soltanto se vissuta con Masha, l’unica persona in grado di darle, a
qualsiasi costo, un riferimento affettivo nel suo universo instabile sempre a
rischio di arresto improvviso per la sua malattia che non perdona. Soltanto
nella scena finale Iya indossa il rosso, segno forse di una decisione autonoma,
ma il rientro di Masha ristabilisce gli equilibri nella relazione tra le due
donne nell’illusione di un sogno possibile.
Il
cast
Gli
attori sono tutti russi come il regista. Le due protagoniste Viktoria
Miroshnichenko e Vasilisa Perelygina sono due attrici esordienti di grande
calibro, premiate a Cannes, e hanno sicuramente un futuro nel cinema.
Andrey Bycov interpreta con grande
sensibilità il ruolo del medico Nikolay Ivanovich.
Il film, uscito a gennaio, è stato
presente nelle sale cinematografiche per poche settimane e oggi si può vedere
sulle piattaforme online.
Sempre un piacere leggerti
RispondiEliminaGrazie
EliminaUn film che ho perso purtroppo
RispondiEliminaSi può recuperare
EliminaGrande recensione e illuminante!
RispondiEliminaLa ringrazio
EliminaUn nuovo astro nel cinema russo. Splendida recensione
RispondiEliminaGrazie!
EliminaUn film che non ho visto, ma che le tue parole ricostruiscono su uno schermo virtuale. Grandi capacità evocative. Complimenti!
RispondiEliminaCara Serenella, ti ringrazio!
EliminaUn film di pregio come la sua recensione
RispondiEliminaGrazie
EliminaRecensione snella e completa che mi ha fatto rivivere le scene salienti della tragedia di Leningrado, così ben ricostruita nel film
RispondiEliminaRicostruzione ineccepibile, grazie!
EliminaComplimenti! La tua recensione, come di consueto attentissima e completa, fa venire voglia di andare a vedere al più presto il film di questo giovane regista che non conoscevo.
RispondiEliminaLeonardo
Caro Leonardo, ti ringrazio tanto!
EliminaViene voglia di vederlo!
RispondiEliminaNe vale la pena
EliminaCome sempre nelle sue recensioni Annalisa riesce a centrare l'essenza del film e allo stesso tempo ci dà uno sguardo particolare su un dettaglio, un'emozione, un momento. Anche stavolta la sua recensione mi convince di non poter perdere questo film. Grazie! Birgit
RispondiEliminaCara Birgit, grazie del tuo commento generoso!
EliminaLa recensione fa rivivere le stesse emozioni che si vivono vedendo il film: il senso della tragedia, la ricostruzione della vita in una città che si è consumata nella resistenza ad un assedio terribile, la devastazione nell'animo dei protagonisti e, comunque, la volontà di ricostruire. Il tutto condotto da attori a me sconosciuti, ma bravissimi. La recensione dipinge il film con gli stessi colori, fortissimi, che lo caratterizzano. Complimenti. Vittorio
RispondiEliminaCaro Vittorio, ti ringrazio moltissimo!
RispondiEliminaBellissima recensione, vedrò il film al più presto. Grazie Annalisa per i tuoi scritti, sempre attenti a cogliere la delicatezza e le sfumature.
RispondiEliminaLudmilla
Grazie a te, cara Ludmilla.
RispondiEliminaBella recensione di un film che mostra la guerra vissuta dalle donne,le lacerazioni e le ferite indelebili che impediscono la ripresa della vita e di un suo senso.
RispondiEliminaLo hai commentato con forza e delicatezza!
Cara Stefania, ti ringrazio.
RispondiEliminaTi ringrazio di avermi fatto conoscere questo film che mi era sfuggito. Hai raccontato una storia molto forte e intensa, resa tale anche dall'interpretazione delle due interpreti. Brava, riesci sempre a rendere interessante e coinvolgente l'argomento di cui scrivi. Anna
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