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martedì 28 luglio 2020

Uno sguardo sul cinema russo


(di Annalisa Petrella)

  
Premiato a Cannes nel 2019, nella sezione Un Certain Regard, il film La ragazza d’Autunno del giovane regista russo Kantemir Balagov ha ottenuto un successo internazionale e un apprezzamento della critica che ha riconosciuto al regista un modo esemplare di fare cinema soprattutto per la sua capacità di condensare, attraverso scene girate anche in spazi angusti al limite del claustrofobico, il senso della tragedia umana in una pluralità di problematiche e di conflitti. Sempre a Cannes nel 2017 gli era già stato conferito lo stesso premio per il film Tesnota, si confermano così il suo talento e una sorprendente maturità stilistica che evidenzia rigore e traccia una significativa poetica personale.
Discepolo del grande Aleksandr Sokurov, Balagov, che ha solo 28 anni, ha fatto propria la lezione del maestro russo e ha avviato con una rara profondità di sguardo un’esplorazione interiore allo scopo di cercare di capire se stesso in relazione agli altri, intesi come comunità inserita nella storia del proprio paese. La sua narrazione attraverso le immagini rivela un affetto particolare per le figure femminili che rappresentano il perno della sua scelta drammaturgica: Balagov inchioda sullo schermo donne dalla statura tragica che combattono e si difendono con determinazione dalla violenza di una società spietata. Ne sono un esempio folgorante le due protagoniste di La ragazza d’autunno, ispirato liberamente al racconto La guerra non ha un volto di donna di Svjatlana Aleksievic, scrittrice insignita del premio Nobel nel 2015.




La vicenda si ambienta a Leningrado nel 1945, pochi mesi dopo la fine di uno dei più lunghi e feroci assedi della storia moderna, le vie della città sono martoriate dalla distruzione perpetrata dalla furia nazista, file di sopravvissuti si muovono come fantasmi tra cumuli di neve e macerie e tentano di andare avanti con gli stenti di una impervia ricostruzione. Iya, “la spilungona”, dal titolo originale del film Dylda, in russo, e Beanpole in inglese, è una giovane infermiera che lavora in un ospedale dove vengono ricoverati i reduci di guerra; ragazza strana, goffa, non
passa inosservata per la sua statura esagerata che supera ampiamente quella di tutti, uomini compresi. Rigida nel portamento, silenziosa, bionda come una spiga di grano, trattenuta nel manifestare qualsiasi emozione, si aggira nelle corsie accudendo con dedizione mutilati, feriti, moribondi. Congedata dall’esercito per uno stress post traumatico da shock bellico, è soggetta a crisi improvvise che le bloccano il corpo e il respiro e la lasciano inerme e stremata per alcuni minuti. A casa, una stanza in un
appartamento in condivisione con numerose persone, si occupa amorevolmente del piccolo Pashka, un bimbo di tre anni, affidatole sul fronte dall’amica Masha che non è ancora rientrata. Quando anche Masha, che rappresenta l’esatto opposto di Iya, piccola, scura, disinvolta, ritorna dal fronte le due donne si trovano ad affrontare insieme ciò che resta degli orrori vissuti. Il bimbo non c’è più, il lavoro in ospedale è sfibrante, unite ma svuotate dalla distruzione della guerra di cui portano entrambe le cicatrici sul corpo e nell’anima Iya e Masha si aggrappano l’una all’altra, rimanendo incastrate in una relazione conflittuale d’attrazione e repulsione che richiama i film di Ingmar Bergman.
Cosa hanno provato coloro che sono destinate naturalmente a dare la vita, quando sono state costrette, andando in guerra, a portare la morte?
Nello scorrere della storia in tutta la sua tragicità sembra che questa sia la domanda centrale di Balagov che trova un’unica soluzione possibile per uscirne: la solidarietà umana, punto di forza imprescindibile che permette di superare gli eventi più terribili.
La relazione tra Iya e Masha è la leva che dà sollievo ai loro corpi malati e all’animo dilaniato, unite dal desiderio di ritrovare l’innocenza perduta nella catastrofe bellica che ha annullato i colori vitali. E proprio l’uso del colore fatto dal regista con un’eleganza e un’eloquenza impressionanti offre elementi essenziali per l’interpretazione. Balagov costruisce inquadrature che ricordano i dipinti della pittura olandese, quella di Vermeer o Rembrandt, e utilizza le gradazioni cromatiche come chiavi interpretative della condizione emotiva dei protagonisti, valorizzando ogni dettaglio che risulta funzionale alla costruzione di un ambiente in osmosi con le emozioni e gli umori dei personaggi. La sua regia trasmette allo spettatore sia sul piano tecnico sia su quello artistico la piena consapevolezza della drammaticità degli spazi e della loro messa in scena densa di una stratificazione di contenuti.
Gli spazi nei quali si muove il film sono minimali: l’ospedale, la stanza dell’appartamento in condivisione, i tram che trasportano le due ragazze al lavoro, i vicoli bui e una Leningrado spettrale, c’è anche, per pochi minuti, l’apparizione quasi onirica di una villa neoclassica bianca sperduta nel gelido paesaggio invernale della sconfinata campagna russa.
Si parte da colori sfocati in attesa di gocce di colore che vivifichino i sentimenti anestetizzati. Il rosso è il colore indossato da Masha che rappresenta la vitalità, la determinazione, la belligeranza, l’impudenza, la sua guerra non è ancora finita, le sconfitte non l’hanno piegata, è viva grazie al suo istinto di sopravvivenza e alla capacità di adattamento alle situazioni più ardue. Decisa contro un mondo nemico non disdegna il ricatto alla ricerca di un risarcimento che le dia una ragione di vita, non ha perso la voglia di costruire una famiglia e di generare un figlio per cancellare il fetore del sangue e della sopraffazione e Iya, con la sua totale dipendenza, diventa inesorabilmente sua complice.
C’è una scena fondamentale del film nella quale Masha si converte al verde indossando un vero e proprio abito femminile nell’illusione di poter dare un giro di volta alla propria vita e liberarsi dal vortice che l’avvolge. Nella villa neoclassica, spettro di tempi lontani, avviene il confronto tra Masha e la madre del ragazzo che la vuole sposare: qui assistiamo a una prova di alta recitazione in una sceneggiatura impeccabile che svela senza reticenze tutta la crudeltà della guerra vissuta sulla pelle di due donne diverse a conferma che la tragedia non si conclude quando finiscono i combattimenti.
 Iya indossa il verde, simbolo di fiducia in una nuova vita, possibile per lei soltanto se vissuta con Masha, l’unica persona in grado di darle, a qualsiasi costo, un riferimento affettivo nel suo universo instabile sempre a rischio di arresto improvviso per la sua malattia che non perdona. Soltanto nella scena finale Iya indossa il rosso, segno forse di una decisione autonoma, ma il rientro di Masha ristabilisce gli equilibri nella relazione tra le due donne nell’illusione di un sogno possibile.
Da sottolineare la figura dell’ufficiale medico che dirige l’ospedale, l’uomo è dotato di una profonda sensibilità che lo indirizza anche nelle situazioni più impervie ad assumere decisioni difficili. Il film tocca vertici di grande emozione nelle corsie dell’ospedale dove lo spettro della morte si aggira senza pietà.
Il cast
Gli attori sono tutti russi come il regista. Le due protagoniste Viktoria Miroshnichenko e Vasilisa Perelygina sono due attrici esordienti di grande calibro, premiate a Cannes, e hanno sicuramente un futuro nel cinema.
Andrey Bycov interpreta con grande sensibilità il ruolo del medico Nikolay Ivanovich.
Kseniya Kutepova, nella parte di Lyubov Petrovna, madre dell’innamorato di Masha, offre un’interpretazione magnetica indimenticabile.
Il film, uscito a gennaio, è stato presente nelle sale cinematografiche per poche settimane e oggi si può vedere sulle piattaforme online.



27 commenti:

  1. Sempre un piacere leggerti

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  2. Un film che ho perso purtroppo

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  3. Grande recensione e illuminante!

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  4. Un nuovo astro nel cinema russo. Splendida recensione

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  5. Un film che non ho visto, ma che le tue parole ricostruiscono su uno schermo virtuale. Grandi capacità evocative. Complimenti!

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  6. Un film di pregio come la sua recensione

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  7. Recensione snella e completa che mi ha fatto rivivere le scene salienti della tragedia di Leningrado, così ben ricostruita nel film

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  8. Complimenti! La tua recensione, come di consueto attentissima e completa, fa venire voglia di andare a vedere al più presto il film di questo giovane regista che non conoscevo.
    Leonardo

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  9. Viene voglia di vederlo!

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  10. Come sempre nelle sue recensioni Annalisa riesce a centrare l'essenza del film e allo stesso tempo ci dà uno sguardo particolare su un dettaglio, un'emozione, un momento. Anche stavolta la sua recensione mi convince di non poter perdere questo film. Grazie! Birgit

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  11. La recensione fa rivivere le stesse emozioni che si vivono vedendo il film: il senso della tragedia, la ricostruzione della vita in una città che si è consumata nella resistenza ad un assedio terribile, la devastazione nell'animo dei protagonisti e, comunque, la volontà di ricostruire. Il tutto condotto da attori a me sconosciuti, ma bravissimi. La recensione dipinge il film con gli stessi colori, fortissimi, che lo caratterizzano. Complimenti. Vittorio

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  12. Caro Vittorio, ti ringrazio moltissimo!

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  13. Bellissima recensione, vedrò il film al più presto. Grazie Annalisa per i tuoi scritti, sempre attenti a cogliere la delicatezza e le sfumature.
    Ludmilla

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  14. Bella recensione di un film che mostra la guerra vissuta dalle donne,le lacerazioni e le ferite indelebili che impediscono la ripresa della vita e di un suo senso.
    Lo hai commentato con forza e delicatezza!

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  15. Ti ringrazio di avermi fatto conoscere questo film che mi era sfuggito. Hai raccontato una storia molto forte e intensa, resa tale anche dall'interpretazione delle due interpreti. Brava, riesci sempre a rendere interessante e coinvolgente l'argomento di cui scrivi. Anna

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