(di Raul Zecca Castel)
(alla fine dell'articolo troverete il link dell'intervista)
Il nome di Silvia Baraldini, in Italia, è legato in modo
particolare alla vicenda giudiziaria di cui è stata – suo malgrado –
protagonista e, soprattutto, richiama alla memoria lo scontro
politico-parlamentare relativo alla sua estradizione dalle carceri
statunitensi, avvenuta nel 1999. Ma il percorso di vita e l’esperienza
rivoluzionaria che hanno segnato la sua gioventù rappresentano ancora oggi una
preziosa testimonianza storica estremamente utile per la comprensione di
un’intera epoca e restano, da ogni punto di vista, un esempio incorruttibile di
abnegazione.
Nata a Roma nel 1947, Silvia Baraldini si forma negli USA,
dove il padre lavora come diplomatico presso l’ambasciata italiana.
Poi, nel 1983, l’arresto e la condanna: 44 anni di carcere.
Silvia Baraldini viene accusata di aver organizzato e partecipato
all’evasione e alla fuga di Assata Shakur, militante nera detenuta nel carcere
di Clinton nel New Jersey, oggi esiliata a Cuba e ancora nella lista dei più
pericolosi terroristi degli USA. L’operazione avviene senza spargimento di
sangue, ma Baraldini subisce l’applicazione nei suoi confronti della legge
RICO, ideata per combattere la criminalità organizzata e il terrorismo interno,
dunque su di lei ricadono indiscriminatamente tutti i capi d’accusa che
riguardano il movimento di cui è parte, compresa una rapina mai avvenuta.
Alla proposta da parte del FBI di scambiare la sua libertà
con i nomi dei ‘complici’, Silvia Baraldini rifiuta e viene dunque trasferita a
Lexington, nel carcere sotterraneo di massima sicurezza, dove trascorre quasi
due anni in condizioni di totale isolamento sensoriale ammalandosi gravemente.
Nel 1999, infine, l’estradizione in Italia, con la garanzia
però di continuare a scontare la pena in prigione. Fino al 2001, quando,
proprio a causa della malattia, le vengono concessi gli arresti domiciliari.
L’ultimo atto di questo lungo accanimento giudiziario porta
la data del 26 settembre 2006, quando, per effetto di un indulto, dopo 23 anni
di detenzione, le viene finalmente restituita la libertà.
Silvia Baraldini non ha mai cercato attenzione mediatica e
raramente ha scritto di sè, rilasciato interviste o testimoniato la sua
sofferenza. Solo negli ultimi anni ha cominciato ad affrontare pubblicamente il
suo percorso di vita, portando la sua esperienza nei centri sociali e in tutti
quegli spazi disposti ad ospitarla ed ascoltarla.
Anche per questo ci tengo a ringraziarla ancora una volta
per aver accettato di essere filmata per questa breve intervista rilasciata il
28 gennaio 2017 presso il Gratosoglio Autogestito di Milano (GTA) e per aver
ricordato alcuni passaggi fondamentali della sua esistenza, dai primi contatti
con il movimento afro-americano al ruolo della donna, dall’esperienza della
prigionia alle valutazioni sull’eredità politica di anni che, comunque la si
pensi, hanno segnato il corso degli eventi.
Sempre grande Raul!
RispondiEliminaFranca
molto interessante, grazie!
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