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venerdì 31 maggio 2019

Lipari - Ritratti 8



di Annalisa Petrella

Atena non poteva dimenticare la prima volta che era approdata con Guido a Lipari nell’aprile del 1970. In quel momento non avrebbe mai pensato che quel frammento di fulgore si sarebbe potuto infrangere.
Oggi stava ritornando alle Eolie, completamente sola, dopo trentadue anni. La nave, partita da Milazzo con mare mosso, quando si era addentrata nell’arcipelago, aveva dominato il moto ondoso con una grazia che aveva ricomposto i sussulti sfiorando Vulcano ed era approdata nel porto di Lipari che si ergeva sulla baia in tutta la sua magnificenza. Allo sbarco Giannino le corse subito incontro col cartello “Miss Atena Markaris” e l’avvolse in un abbraccio caloroso:
 - Siete ancora tanto bella, Miss Atena!


Bassino, magro e scattante con la pelle bruciata dal sole, abbrustolita come la crosta del pane casereccio dimenticato nel forno, non era molto cambiato da allora.
- Lascia perdere, Giannino, il tempo non perdona! Tu piuttosto eri un adolescente e ti ritrovo adulto, sono così contenta di rivederti e di sapere che hai una bella famiglia; al telefono mi dicevi che anche Rosario se la cava ancora bene, passerò nei prossimi giorni!
– Ne sarà felice, potrete così vedere la mia piccolina.
- Certamente, ma ora sono impaziente di tornare a Quattrocchi, muoio dalla voglia di rivedere “Il covo”, andiamo!
   Era una donna insolita Atena: alta, solida, con una figura elegante che non si dimentica e che ci si porta dietro ovunque si vada. Aveva un volto greco dal profilo arcuato che pareva intagliato nella pietra, un volto nel quale la cupezza dei colori contrastava con la lucentezza degli occhi e della dentatura smagliante. Prima di salire sulla vecchia Volkswagen la donna si soffermò un attimo a riabbracciare con lo sguardo la baia al tramonto.
Giannino, caricando i bagagli, esclamò:
-     Miss Atena, avrebbe potuto spedire anche questi da Firenze, sono pesanti da portarsi appresso!
Atena sorrise, scuotendo la nuvola dei ricci ribelli:
 - Giannino, grazie, ma non riesco a separarmi dai miei attrezzi da lavoro!
Inerpicandosi lungo la strada che collegava i paesi sparsi sull’isola arrivarono alla volta di Quattrocchi, svoltarono in una carrareccia fiancheggiata da oleandri in fiore, superarono il cancello e si fermarono nel giardino selvaggio che circondava la vecchia casa.
Atena avvertì un balzo nel petto: il “Covo” era lì, identico a quando lo aveva lasciato. Una recente imbiancata a calce metteva in risalto i colori contrastanti del tetto e delle finestre e la prorompente bougainvillea fucsia cadeva a cascata dal pergolato sul vecchio tavolaccio con le panche. In preda alle emozioni la donna fece un giro all’interno della casa dove neppure il più piccolo dettaglio era cambiato. L’uomo le aprì anche la piccola dependance:
-     Mi hanno detto di metterle a disposizione anche lo studio del Maestro, sanno che lei è una pittrice famosa venuta qui per lavorare e hanno pensato di farle questa gentilezza. Di solito lo tengono chiuso.
Si guardarono in silenzio e non aggiunsero altro.
-     Io non ho fiatato, Miss. Neanche una parola
 Entrambi sapevano che Atena aveva imparato a dipingere lì, osservando la creatività del suo maestro, lì aveva amato senza remore l’uomo che l’aveva stregata, lì aveva concepito Ari e lo aveva fatto nascere.
-     Mi raccomando, se avesse bisogno di qualsiasi cosa mi chiami, il mio numero ce l’ha.
Dopo aver congedato Giannino, Atena sistemò tele e pennelli in preda a un tumulto di emozioni e fece un giro lento nello studio ritrovando gli oggetti del suo passato. La casina in pietra lavica si apriva in un ambiente molto ampio illuminato da tre finestre e una porta finestra che inquadravano il mare. Nel locale una parete attrezzata con scaffali e armadiature su misura raccoglieva tele, cavalletti, materiali e gli attrezzi più svariati per la pittura, un lungo tavolo di rovere era posto davanti, un divano un po’ sfondato dai toni caldi con sedie spaiate creavano uno spazio da conversazione. Poco più in là un paravento sbiadito e orientaleggiante nascondeva in parte un letto matrimoniale essenziale ricoperto da un telo giallo sole e da cuscini di varie misure buttati lì come un invito. Tele appoggiate ovunque anche negli angoli, alle pareti ceramiche e quadri soprattutto di Guido, in posizione centrale l’ultimo ritratto che lui le aveva fatto nel lontano 1974. Le vennero le lacrime agli occhi rivedendosi e un certo patema d’animo l'assalì, ma pensò che per gli altri lei non era riconoscibile: sullo sfondo si vedevano il mare d’inverno in tempesta e la vegetazione frustata dal vento, in primo piano il suo volto di profilo, appena accennato, rivolto verso il cielo terso, il braccio destro piegato all’altezza della vita con la mano che si intuiva appoggiasse sull’addome della sua figura, in rosso e arancio, seduta sulla panca. Atena credette che il cuore le potesse scoppiare, in quella stanza il tempo si era fermato, sapeva che Guido aveva continuato a lavorare fino alla fine, ma certamente lo aveva fatto negli studi di Urbino e di Roma. Lì aveva lasciato tutto com’era e ovunque, anche nella piccola cucina, si avvertiva la presenza di Guido e di quello che avevano vissuto insieme. Volle calmarsi, sfogliò qualche libro appoggiato sugli scaffali e tra le riviste d’arte ne trovò una con un segno alla pagina con l’intervista fattale alla sua prima personale di New York.
Quindi uscì sull’aia che dominava un mare calmissimo dai toni violetti e si sistemò rilassandosi sulla panca piastrellata dove, dopo tanto tempo, avvertì finalmente un senso di pace.
La quiete del luogo, che sentiva suo nell’intimo, la riportò a ricordi lontani: rivide il mare greco della sua infanzia infelice e le immagini sfuocate del giorno in cui, aveva solo cinque anni, era rimasta traumatizzata dalla notizia della perdita di entrambi i genitori, falciati da un incidente automobilistico. Era stata affidata alla zia Ebe, sorella della madre, che l’aveva tenuta con sé per tre lunghissimi anni durante i quali aveva compresso e mutilato la sua capacità affettiva e relazionale. L’austerità e la freddezza di quella donna nubile, avviluppata in una forma di religiosità estrema, le avevano riversato addosso paura e sensi di colpa. Poi era entrata in un collegio religioso femminile e vi era rimasta fino alla maturità. Le visite mensili della zia rappresentavano per lei un incubo e una noia mortale: domande precise sulla catechesi, resoconto dettagliato delle valutazioni in tutte le materie, raccomandazioni concise e imprescindibili sui doveri morali. Le suore avevano completato l’opera. Non le era mai mancato il sostegno economico, quello no, ma era cresciuta raggelata da un senso di solitudine profonda e con il carico pesante dell’insicurezza, della mancanza di autostima e di fiducia nel prossimo. Malgrado ciò a scuola era riuscita a crearsi un proprio spazio, sempre ben arginato, nel quale l’interesse per lo studio e il rifiuto di perdere tempo in passatempi banali le avevano fatto mettere a frutto le proprie risorse, cosicché negli ultimi tre anni di liceo diventò la prima del suo corso. La cosa non le attirò certo la simpatia delle compagne, ma a lei non importava granché, si era costruita una scorza di difesa dai sentimenti e dagli attacchi degli altri. L’unico momento di relax che si concedeva era ritagliarsi una mezz’ora dopo pranzo per fare bozzetti a matita o carboncino su un piccolo album rilegato dalla copertina in seta blu.    
Quando aveva deciso di trasferirsi in Italia all’Università di Urbino, la zia aveva recalcitrato in tutti i modi, ma Atena, supportata da un diploma con ottimi voti e addestrata a una dura scuola di resistenza, aveva sfoderato le proprie armi ben affilate per convincerla. Alla fine l’aveva avuta vinta ed era partita.
L’Italia rappresentava la libertà, l’autonomia dall’angusto giogo familiare e Urbino si rivelò una scelta vincente. La città era vivace e animata dalla presenza di studenti provenienti da tutto il mondo, finalmente Atena poté uscire dall’isolamento cui era abituata, fare qualche amicizia e imparare a relazionarsi con gli altri. I corsi di estetica e pittura all’Accademia di Belle Arti risvegliarono in lei desideri e capacità sconosciute e le indicarono il percorso da seguire.
Poi, al secondo anno conobbe Guido Branciforte, titolare del corso di Pittura, che, come un uragano, entrò nella sua vita e la capovolse. Non si era mai innamorata e non cercava storie d’amore, anzi le evitava accuratamente, tantomeno desiderava infilarsi in situazioni complicate, ma tutto ciò accadde. La ragazza rimase ammaliata dalla genialità artistica dell’uomo e dalla sua capacità di trasfondere negli altri le proprie passioni. La differenza d’età, ventidue anni, non la spaventava e neppure il fatto che Guido non fosse divorziato, benché vivesse separato dalla moglie. Lui le spiegò che non lo aveva fatto per non aggiungere altri problemi alla donna che era caduta in depressione per la mancanza di un figlio. Del resto, in pieno accordo, ciascuno conduceva la propria vita liberamente.
Atena e Guido furono travolti da un amore esplosivo che dilagò occupando ogni spazio e ogni attimo del loro tempo, appena potevano fuggivano insieme nella casa estiva di Guido a Lipari che diventò il loro rifugio. L’isolamento del luogo esaltava il loro desiderio e la voglia di stare soli, ritornavano a Urbino mal volentieri, il minimo indispensabile per le lezioni, gli esami, e poi correvano di nuovo via al “Covo” ad amarsi, a dipingere, a discutere, a sognare. Atena si scoprì nuova e capace di lasciarsi andare a sentimenti totalmente sconosciuti: la bellezza nordica di Guido, in totale contrasto con la sua sensibilità latina, sublimate dalla seduzione dell’amore per l’arte, la irretivano in un presente senza confini.
Il giorno in cui ebbe conferma di essere incinta per lei fu una catastrofe. Improvvisamente si sentì tradita dalla sorte e dal suo uomo, si disperò come una bambina e pianse sulla sua spalla non volendo sentire ragioni, poi si chiuse in camera da sola per ore, ma non riuscì a calmarsi, neppure quando Guido, che invece era felice della notizia inattesa, le propose di progettare una vita insieme. Più lui insisteva più lei si rinchiudeva in se stessa in un rifiuto esasperato.
-     Non sono pronta per un figlio e non m' interessa neanche per il futuro! Mi sento imprigionata! Ti amo, ma voglio crescere, studiare e dedicarmi all’arte come hai fatto tu. Non sono neanche certa di voler vivere per sempre con te, la parola sempre mi fa pensare a un obbligo che non lascia via di scampo. Lo capisci? Io ora voglio te, così come siamo, e non un figlio. Non sono mai stata una figlia neppure io, lo sai, sono troppe le incognite. Oh Guido, sono così infelice, non puoi immaginare quanto!
-     Amore, non credo di riuscire a capirti fino in fondo, anche se ci provo, tu hai poco più di vent’anni, è vero, ma io non ho mai creduto tanto in un sentimento come nel nostro, questa gravidanza inattesa può solo accelerare i tempi per organizzare una vita insieme. Avevo creduto che anche tu lo desiderassi, ti prego, diamoci questa possibilità e fai nascere questo bambino.
Malgrado Atena avesse già pensato all’idea di abortire, lo sguardo implorante dell’uomo e la sua tenerezza fecero breccia nel muro che si era frapposto tra loro due e capì di essere stata egoista e categorica; per la prima volta rifletté anche sul fatto che sarebbe stata una crudeltà togliere il sogno della paternità a Guido che non meritava di soffrire. Lo strinse a sé, lo baciò e fecero l’amore con un desiderio potente poi, cenando sulla loggia al lume di candela, Atena accolse la sua richiesta con un sorriso. Decisero insieme che durante la gravidanza sarebbero rimasti a Lipari dove avrebbero fatto nascere il bambino.
 Accadde poi che, lungo i mesi dell’attesa, Atena si rendesse conto di essere cambiata, viveva in una scissione continua altalenante tra serenità e angoscia. In alcuni momenti quando provava a immaginare il proprio futuro si sentiva assalita da uno stato d’ansia e, con rammarico, prendeva atto che in lei non si manifestava la gioia della gravidanza, anzi la graduale trasformazione del suo corpo la turbava e la infastidiva. Allora distoglieva volutamente il pensiero da questi sentimenti che considerava disdicevoli e si dedicava alla pittura e alle passeggiate sull’isola con Guido che era sempre più protettivo e amorevole. Quando però capì che persino il grande amore per lui si stava trasformando in affetto, un affetto grande, immenso, riconoscente, ma che offuscava l’attrazione e il desiderio di una progettualità, ne rimase sconvolta. Non riusciva a spiegarsene le ragioni se non con il fatto che la nuova vita che andava formandosi dentro di lei avesse il potere invasivo di neutralizzare l’energia e la passione viscerale che li aveva uniti.
La notte in cui comunicò a Guido che dopo il parto si sarebbe trasferita a Firenze da sola e gli avrebbe lasciato il bambino per sempre, l’uomo che aveva sorvegliato e intuito tutti i suoi cambiamenti più reconditi, annuì in silenzio, si alzò dal letto stremato, uscì sull’aia e si abbandonò a lacrime amare.
Aristoteles Branciforte, fu registrato, per volere di Atena, come figlio di Guido e della moglie Lavinia, che aveva accettato di buon grado e, dopo una settimana dalla nascita, Atena partì, lasciandosi tutto alle spalle.

Oggi
 Atena rientrò in casa, si fece un caffè e si accomodò sul vecchio divano. Pensò che la sua vita, dopo la fuga, era stata un susseguirsi di studi, ricerche, esperienze che l’avevano portata in giro per il mondo, ma, soprattutto, era stata piena di rimorsi e sensi di colpa. Un tormento.  Non c’era stato giorno della sua vita in cui non avesse pensato a suo figlio e alla tragedia che lei aveva innescato con la sua scelta folle, incosciente, ingiusta, irreversibile. Dopo tre anni aveva trovato il coraggio di contattare segretamente Lavinia, la moglie di Guido, e le aveva chiesto di darle la possibilità di ritornare sui propri passi, assicurandole che non voleva interferire nel loro matrimonio, voleva soltanto trovare un modo per riavere Ari. Lavinia fu tetragona a qualsiasi proposta:
-     Lei non può accampare nessun diritto sul bambino che risulta a tutti gli effetti figlio mio e di mio marito, mi sorprende che non se lo ricordi. Ha deciso tutto lei.
-     Lo so, mi scusi, e le sono grata di quello che ha fatto, ma ho sbagliato, mi sento un mostro e…il bambino mi manca!
-     Vedo che non ha freni inibitori, prima lo rifiuta, e non ho mai capito con quale coraggio, poi ci ripensa e si comporta ancora una volta da immatura e instabile. Come può pensare di offrire al piccolo tutto quello che gli diamo noi! E poi non le interessa la serenità del bimbo che si troverebbe sballottato in una situazione difficile, complicata e dolorosa, si rende conto di pensare soltanto a se stessa e alle sue pulsioni momentanee? Sappia che le impedirò in tutti i modi di nuocere ad Ari, se lo stampi bene nel cervello!
Le parole di Lavinia la convinsero che il suo errore era irreparabile: la donna, che amava suo figlio come se fosse il proprio, aveva ragione su tutti i fronti, soprattutto, - e la cosa per un verso le aveva fatto piacere -, aveva sottolineato il benessere del bambino, la sua priorità. Questo le aveva dato il colpo di grazia. Si rese conto che la rinuncia ad Ari era definitiva, i sensi di colpa per ciò che aveva fatto non le diedero più tregua e le notti attraversate da incubi e insonnia diventarono per lei una costante, ma non se ne lamentava, era convinta che fosse il giusto prezzo da pagare per il suo misfatto.
  Rivide Guido dopo undici anni a New York: se lo trovò davanti inaspettatamente tra gli ospiti intervenuti all’inaugurazione della sua prima mostra personale, era più attraente che mai con la sua massa di capelli candidi che si era forse un po’ assottigliata ma incorniciava con un tocco di estrosità il suo viso dai tratti sottili più marcati dal tempo e la figura maestosa, come sempre, riempiva la scena. Noto a livello internazionale come uno degli artisti di successo più innovativi, Guido era con lei al centro dell’attenzione e veniva avvicinato da tutti per un saluto o un commento sulle opere esposte.
-     Non potevo mancare oggi, Atena, complimenti! E… dimmi, come stai?
Un’ondata di nostalgia calò sulla donna che scambiò con l’uomo uno sguardo che li avvinse. La notte insieme fu troppo breve, dopo l’amore parlarono a lungo, poi, a un certo punto, lui le mostrò la foto di Ari e le raccontò.  All’alba l’uomo le chiese ancora una volta di non sprecare altro tempo, sarebbero ritornati assieme e si sarebbero presi Ari con loro. Atena aveva catturato per sé un attimo di eternità, ma sapeva cosa doveva fare. Si vergognò all’idea di tradire la dedizione di una donna che aveva accettato senza riserve il figlio di un’altra, un’altra che lo aveva rifiutato e, per di più, le aveva strappato via il marito per sempre. No, non poteva. Gli disse che il bambino andava tutelato ad ogni costo e prima di tutto, anche del loro amore. Trattenne con sé la foto e pregò Guido di lasciarla andare per la sua strada.
Lo aveva rivisto soltanto un’ultima volta in ospedale, era stato lui a chiamarla prima di morire e lei l’aveva raggiunto. Nel corridoio, andandosene, aveva incontrato suo figlio per la prima volta, era insieme a Lavinia che la presentò freddamente come un’ex collega del marito. Furono pochi secondi rubati a un’intera vita: Ari era bello, delicato ma infrangibile e con lo sguardo greco, un fulmine.
Aveva poi chiuso in cassaforte la lettera che Guido le aveva consegnato nella quale le aveva voluto attribuire, come volontà testamentaria, l’usufrutto del “Covo”, ma Atena non intendeva avvalersene, le bastava prenderlo in affitto ogni tanto, la casa apparteneva a suo figlio.
I giorni a Lipari furono produttivi, Atena fece lunghe passeggiate nei punti panoramici fermandosi a tracciare numerosi schizzi e uscì in barca con Giannino e Rosario che si dedicarono alla pesca mentre lei li ritraeva con carboncino e pastelli. L’ultimo giorno di vacanza sull’isola fu doloroso, il distacco da quel luogo le pesava, dopo aver radunato le proprie cose si era spostata nella casina a lavorare, sarebbe partita nel pomeriggio. All’improvviso sentì la frenata dell’auto nel cortile e se lo trovò alle spalle mentre dava un ultimo ritocco alla tela. Si girò e lo vide, Ari la sovrastava di tutta la testa, le sorrise:
-     Ho pensato di venire di persona a ritirare le chiavi per conoscerla, ci siamo incontrati qualche tempo fa in un momento infelice. Sono il figlio di Guido, Aristoteles, in casa mi chiamano Ari da sempre. Lei è Atena Markaris e sono orgoglioso che sia stata qui.
Atena era congelata in un blocco di ghiaccio a dispetto dei trenta gradi, ma s’impose il controllo, si alzò, gli diede la mano e disse:
-     Grazie di essere venuto personalmente, non credo di meritare tanto, ma ne sono contentissima. Mi ricordo di lei Aristoteles…
-     Mi chiami pure Ari, è meno imperativo, e mi dia del tu, se vuole.
-     Va bene, ma a patto che anche tu me lo dia, Ari.
-     Affare fatto.
-     Mi dispiace per tuo padre, davvero tanto!
-     Grazie! Tu sei stata una sua collega all’Università, se non sbaglio, ma so che sei andata in America e ti sei dedicata alla pittura, con successo. A tempo pieno?
-     Oh sì, Ari, sono stata fortunata a incontrare il favore del pubblico e dei critici e ho privilegiato la pittura, anche se ho appena accettato un incarico d’insegnamento a Firenze, dove sono rientrata dopo una lunga assenza. Basta girare per il mondo, l’Italia mi mancava!
-     Lo vedo, hai voluto ritornare a Lipari nella casa di papà per trovare ispirazione? Mi manca mio padre sai, tantissimo. Mi piacerebbe sapere come vi siete conosciuti, so che ti apprezzava. Basti dire che nello studio di Urbino ha appeso un tuo quadro dietro il suo tavolo da lavoro.
-     Davvero? Ne sono gratificata, lui è stato il mio maestro preferito in Accademia e ci siamo frequentati per qualche tempo, pensa che sono già stata qui, ma era tanto tempo fa, ero giovanissima.
Non ci siamo mai persi del tutto. Ma, scusami, vuoi un caffè? Ci metto un minuto a preparartelo, aspettami.
Ari osservò con attenzione il quadro di Atena e gironzolò per lo studio, notò alcune tele appoggiate in un angolo, le sollevò da terra e le mise sul tavolo, non le aveva mai notate. Erano abbastanza grandi e piene di luce e colore, gli piacevano e quando la donna rientrò chiese:
-     Papà ha prodotto tanto e ha avuto, come del resto tutti voi pittori, fasi diverse per le tecniche e gli esperimenti artistici. Questi lavori che non ho mai notato devono risalire al passato. Li conosci?
Atena avvertì un senso di pericolo:
-     Hai un buon occhio artistico, è vero queste tele risalgono almeno a trent’anni fa, non c’è dubbio.
-     E tu c’eri quando lui le dipingeva?
Il pericolo si stava concretizzando:
-     Certo, Ari, è stato proprio nel periodo in cui ci frequentavamo, ti piacciono?
-     Ed eravate amanti, vero? - lo disse sottovoce con un’impudenza quasi innocente.
Atena ebbe un colpo al cuore, tacque per un momento per rinfrancarsi, ma capì che non poteva arrampicarsi sugli specchi:
-     Vuoi mettermi in imbarazzo, capisco. Come faccio a negare l’evidenza?
-     Scusa se mi sono permesso, ma in quel quadro c’è la tua immagine, non ci sono dubbi! Ho sempre pensato che fosse una musa ispiratrice del passato e ora finalmente l’ho conosciuta - Rise in un modo spontaneo privo di doppi sensi.
-     Sì, Ari, lui e tua madre erano separati in quel periodo. Non voglio negarlo, è stato un amore breve e indimenticabile. Ma si sa che le cose belle finiscono a volte, comunque è andata così.
-     Io credo alle storie d’amore, sapessi quante volte mi sono chiesto il motivo per cui i miei vivessero insieme, ho sempre pensato che ci fosse qualcosa che non funzionasse tra loro. Intendiamoci, sono stati due genitori ineccepibili, ma si capiva che l’intesa tra loro era formale, un bambino respira la felicità quando c’è.
-     Credo che la tua nascita li abbia fatti riavvicinare e che l’amore per te sia stato un collante prezioso.
-     Sarà, ma alla mia età, mi trovo a pensare se valga la pena di sacrificare una vita con poco amore, o addirittura senza, per un figlio che potrebbe stare bene comunque anche con genitori divisi, se responsabili. Mi dispiace per loro, se lo hanno fatto. Mia madre nega ogni evidenza e papà, quando una volta ho sollevato la questione, mi ha sorriso e mi ha risposto che era d’accordo con me, ma bisognava tenere conto che talvolta subentrano circostanze avverse. Era un uomo adorabile, ma sibillino.
-     Ari, se fossi in te non mi tormenterei su queste riflessioni, sei giovane e maturo, vedo, e saprai fare per te le scelte migliori.
Di cosa ti occupi?
-     Lavoro in uno studio d’architettura e mi occupo di beni da restaurare, un nesso con papà in fondo c’è.
-     Ottima scelta, se avrai occasione di venire a Firenze avrai spunti per il tuo lavoro.
-     In verità ci vengo ogni tanto, vado in Sovrintendenza e vedo degli amici con i quali ho frequentato i corsi di restauro.
-     Fantastico, se ne avrai voglia potremo incontrarci nella mia galleria e magari … una fiorentina!
-     Mi farò sentire sicuramente. Potrei accompagnarti io all’aliscafo, se ti fa piacere.
-     Piacere? Un favore, Ari, un grande favore!
Era in macchina con suo figlio, lo aveva di fianco a sé per la prima volta e chiacchieravano come se si conoscessero da sempre. Atena era contenta di non aver tradito la propria scelta di tacere la verità, era stata brava anche se le sarebbe tanto piaciuto uscire allo scoperto una volta per tutte, Ari non meritava menzogne, ma c’era tempo e le cose sarebbero maturate senza forzature. Aveva aspettato tanto.
Quando Ari rientrò nello studio al “Covo” si precipitò davanti al quadro che ritraeva Atena da giovane, lo staccò dal muro per guardarlo meglio alla luce del giorno, lo girò e riconobbe la scrittura di suo padre:
 “Attesa”. Lipari 1974.


    





27 commenti:

  1. Bellissimo ed emozionante!

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  2. Mi sono commossa nel finale. Brava!

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  3. Ha trattato con maestria un argomento forte e ne è uscito un racconto che colpisce in profondità.

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    1. L'argomento, come lei rileva, è difficile e non è stato semplice svilupparlo in una narrazione convincente. Grazie.

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  4. I tuoi racconti catturano e ti prendono dentro tra suspense e sorpresa, una bellezza.

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  5. Una donna complicata che suscita emozioni diverse, ma, comunque, rispetto.

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    1. Volevo che Atena, pur con la sua non accettazione iniziale della maternità, ne uscisse con dignità.

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  6. Mi piace tanto questa storia d'amore e di maternità sofferta narrata con delicatezza.

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  7. Atena è un personaggio bellissimo, controverso e solido come uno scoglio.

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  8. amore a 360 gradi sullo sfondo di un paesaggio incantevole. Il tutto mette in risalto la tua sensibilità e capacità di cogliere ogni minimo particolare della natura che ci circonda e della natura umana.
    M.

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    1. Cara M., la natura è una fonte d'ispirazione ineguagliabile. Grazie!

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  9. Racconto veramente emozionante e con un finale a sorpresa che fa bene al cuore. Si legge tutto di un fiato... Complimenti!
    Lucrezia

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  10. Decisamente felice il colpo di scena finale che non chiude la storia ma la ...apre e lascia il lettore ad arrovellarsi se l' agnizione sia
    un evento che facilita il rapporto o lo rende complesso; se tutto finirà nel ritrovarsi o nel perdersi per sempre. Giusto, Annalisa, coinvolgere chi legge lasciando le cose sospese!

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    1. Cara Renza, il finale aperto mi è parso il modo migliore per concludere il racconto, mettendo in gioco la fantasia del lettore. Grazie!

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  11. Bel racconto, con un finale non scontato!

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  12. Delicato e profondo, hai trattato un tema molto difficile riuscendo a dipingere le molteplici sfumature di Atena. Bellissimo il finale aperto.
    Ludmilla

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  13. Scritto bene, ma proprio bene. Tocca corde di sentimenti struggenti. Non è possibile non partecipare e commuoversi. Perché non raccogli i tuoi racconti in un libro?

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    1. Caro Vittorio, ti ringrazio tanto anche del suggerimento.

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  14. Mi è sembrato di esserci sull'isola, di sentire i suoi profumi e di vedere quel mare che diventa violetto. Hai espresso in poche pagine un argomento che potrebbe essere oggetto di un romanzo, senza nulla togliere alla personalità della protagonista e alle sue e nostre emozioni. So che non è facile, brava! anna catacchio

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  15. Grazie, Anna, del bellissimo commento!

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