Colloquio intimo di una lettrice
con “Sangue e miele” di Emma Fenu e cronaca di una lettura
appassionata: Elvira Rossi
“Sangue
e miele” - Poesie, fiabe e racconti -
Il titolo,
preannunciando dolore e dolcezza, tradisce la complessità dell’opera.
Il
sottotitolo potrebbe trarre in inganno, qualora si partisse dal preconcetto che
le fiabe siano destinate esclusivamente ai bambini.
I testi
tradotti in catalano da Aldo Sari, richiamando la storia dell’isola, rafforzano
l’interesse e la singolarità del libro.
Come
accade solitamente negli scritti della Fenu, anche la Dedica e la Prefazione
costituiscono elementi significativi.
Nella
Dedica il mare diventa metafora della vita, che aggiunge dolore e sottrae
gioia.
Nella Prefazione
la donna appare misteriosa come la Luna ed erede inconsapevole delle antiche
dee, che assistono alla vita e alla morte.
Le prime due
poesie: “Antiche
dee Madri” e “La donna del Tempo” ci introducono in un’atmosfera di mito.La Storia e il
Tempo diventano proiezioni della divinità:
“La Storia è femmina/Figlia, Sposa, Madre e
Vedova/del Tempo maschio”.
Le Dee Madri, nutrendosi
di latte e miele, si rigenerano e, catturando le memorie
del Tempo, diventano Storia. E la Storia, pur figlia e vedova, sopravvive
al Tempo.
Due divinità a
confronto: la Storia femminile, resistente e indistruttibile e il Tempo
maschio, sfuggente in un processo di continua dissolvenza.
La Storia, come
l’antica Clio, assume il compito di trasmettere
i ricordi. Il Tempo, come Cronos, divora tutte le cose, che lui stesso ha
creato.
Il Tempo spegne e
la Storia ravviva.
Il Tempo genera e uccide con estrema rapidità e violenza.
La Storia ricrea, dona
l’immortalità. Entità indispensabili, una non potrebbe vivere senza il concorso
dell’altra. Entrambe le presenze devono coesistere, per assicurarsi la
reciproca sopravvivenza.
La realtà incontra
il mito.
E come nell’incipit
di un antico poema, le donne, “amazzoni violate”, sembrano invocare la
partecipazione delle Dee Madri alla vita e alla poesia.
Le sembianze delle
Dee Madri, come in una visione onirica, si
fondono e si armonizzano con quelle delle donne.
Donne, che incedono
come dee sopra un tappeto di lana, per giungere:
“…fino alla dimora di sangue e di miele/ in cui
tessiamo/pungendoci con i fusi della memoria.”
Donne, che trasmettono
il passato.
Donne, che si
alimentano di miele e dialogano perennemente con il sangue.
Miele e sangue. Vita
e morte.
Non può esserci
nascita, che non sia sporca di sangue e in questa traccia di rosso, è racchiusa
già la promessa, mai tradita, di un dolore inevitabile. Le Dee Madri, per
lenire le ferite sanguinanti, vi spargeranno sopra unguenti profumati e dolci
come il miele.
Alle prima due poesie
seguono testi in prosa. Tracciati, che si
snodano tra il sogno e la realtà.
Ad emergere è un
vissuto di passioni e timori. Sentimenti che, abilmente controllati nella
realtà, nella scrittura si liberano senza alcun freno, assumendo la maschera
della fiaba.
In un quadro
poetico tra simboli fiabeschi e miti, Emma racconta se stessa, confermando la
propria forza attraverso la coscienza e l’accettazione “dell’imperfezione della
vita.
“La vita è così: è
un mare che culla e morde, accarezza e accartoccia, ruba con le onde e
restituisce con la risacca. Ci rende imperfetti,
ma in continua evoluzione.”
L’imperfezione
della vita, per Emma, non è altro che l’incontrollabile, quella parte che
sfugge a ogni intervento e non si lascia dominare né dall’intelligenza, né dalla
volontà, né dalla virtù.
La vita è un incessante
esercizio al superamento delle difficoltà e del dolore. E le fiabe addestrano i
bambini a sperimentare nell’immaginario minacce e ostacoli, anticipando lo
scontro con il mondo reale.
“L’isola
della passione” è un racconto, che impegna il
lettore nella ricerca dei significati nascosti dietro gli enigmi delle raffigurazioni poetiche.
Si intuisce con una certa evidenza un processo di
identificazione dell’autrice con l’Isola della passione, la Sardegna, e con una
jana, un po’ fata e un po’ strega
Analogie di straordinaria intensità espressiva.
Isola, fata, donna: passionale, misteriosa,
affascinante, irraggiungibile.
“Magica e infinita”, dolce e fiera nello stesso tempo.
Forte e inaccessibile come le rocce secolari,
levigate dal vento. Ospitale e morbida come la sabbia dorata dell’isola.
La donna può essere accolta e può accogliere, ma
non può essere posseduta.
Può attendere o può essere attesa.
E come un’isola desiderosa di congiungersi al
Continente, sarà lei a decidere se, e quando, “calare un ponte levatoio”.
Donna, fata e strega, ambivalente come una jana.
Mite e prodiga con chi la rispetta, pungente con chi l’inganna.
In “La fiaba nera delle Scarpette rosse” si materializza un incubo tutto femminile: una bimba corre fino allo spasimo, per sfuggire all’orrida figura del drago. Il lieto fine della fiaba è affidato alla mano salvifica di una madre.
In “La fiaba nera delle Scarpette rosse” si materializza un incubo tutto femminile: una bimba corre fino allo spasimo, per sfuggire all’orrida figura del drago. Il lieto fine della fiaba è affidato alla mano salvifica di una madre.
“Una
mano stringe la mia e mi trascina a ritroso verso casa.”
Tra le sequenze narrative s’inserisce la melodia di
una cantilena, che rappresenta un invito a credere che i momenti difficili
saranno rischiarati dalla gioia.
È la weltanschauung
della scrittrice, convinta che alle donne sia riservato un cammino meno
agevole, ma nessuno mai potrà loro impedire di lottare e di sognare.
Le parole ritmate di una filastrocca, rafforzando
l’intento ludico, evocano il sogno di una donna, che vuole
sperimentare tutti i colori della vita.
“Scarpette
magiche: conducetemi lontano! Scarpette magiche: fatemi arrivare oltre
l’arcobaleno, inizierò dal rosso per poi assaggiare tutti i colori!.”
“Parliamo
di te e di tè” celebra la fusione di due
anime e due corpi che si cercano.
“Mi resta addosso quest’effluvio di corpi, di
umori e di anima.”
Incontri di amore, esaltanti come il profumo delle
spezie. Ma nulla è totalmente dolce o totalmente amaro. Sfumature contrastanti, che dipingono la poliedricità
della sfera affettiva.
“Prima
è dolce, poi è amaro, poi velenoso.”
La donna, che sa concedersi con prodigalità, non è
disposta a consegnare all’altro la propria interezza. Rivendica la necessità di
trattenere presso di sé una parte di segreti e di
mistero, da cui tutti sono esclusi. Regina, sì, come si
recita nella fiaba, ma sovrana di sé.
“Sono
più tua che mia quando mi stringi, ma la pelle di carta è il mio segreto.”
Una donna forte, decisa, generosa, che ama, e si lascia amare. ma anche
tenacemente protesa a difendere l’individualità personale. Di fronte a chi
pretende di impossessarsi della sua anima si ritrae, rialza il ponte, che
unisce le due sponde e torna ad essere isola.
Nelle due poesie “Femminicidio
di Cappuccetto” e “ Femminicidio di Cenerentola”,
personaggi fiabeschi diventano emblema della fragilità femminile,
esposta alla minaccia di genere.
Nella prima poesia il verso:
“Rosso di sangue/ti ha incoronato donna.”
L’iterazione “rosso di sangue” va a caratterizzare
l’essere femminile.
“Rosso di sangue” attribuisce alla donna il potere e
il privilegio di donare la vita, incoronandola come se fosse una regina, ma
beffardamente la rende vulnerabile, esponendola alla violenza maschile.
Cappuccetto rosso dovrà imparare presto a conoscere
le insidie del bosco, per difendersi dalle false lusinghe:
“Rosso
di sangue/attirerà il lupo/ti fiuterà/e di te sarà fatto scempio.”
Se la bimba volesse concedersi la gioia di
raccogliere i fiori del bosco e respirare l’aria pregna di profumi, la ricerca
del piacere la esporrebbe a un grave rischio. Quel mantello rosso, che nasconde
l’innocenza, la trasformerebbe in una seduttrice, colpevole di aver sfidato la
legge e quindi meritevole di punizione.
Non diversamente da Cappuccetto Rosso, Cenerentola
è “colpevole di essere bella, colpevole di essere audace, colpevole
di essere donna” e meritevole alla fine di essere castigata.
Frequentemente nella tradizione letteraria la donna
è liberata sempre da una figura maschile, che svolge il ruolo dell’eroe buono.
Per Emma la fiaba di Cenerentola, non può finire con le nozze.
Nel mondo fiabesco dell’autrice la figura femminile
non cerca protezione, se non presso se stessa, e non mette la propria esistenza
nelle mani di un salvatore.
Né avventata né rinunciataria sceglie liberamente
di confrontarsi con le situazioni di pericolo. Afferma la dignità
dell’autonomia personale, sottraendosi
alla tutela maschile e negando all’altro il diritto del possesso,
Scelte di
vita di normale coraggio, che neanche tanto raramente trasforma una donna in
una vittima.
“Sei
cenere/ in un’urna di cristallo.”
Appare evidente che l’autrice ancora una volta,
oltre a raccontarsi, riflette sulla condizione femminile.
La bambina dalle scarpette rosse gioca a nascondino
con le parole e dissemina tanti indizi, perché desidera essere cercata e trovata.
E alla fine si svelerà solo a chi ha voglia di conoscerla.
In questo incontro c’è il duplice divertimento di
chi si nasconde e di chi la scova.
“ Una storia cucita a mano”il racconto più lungo di questa raccolta.
Una tenera narrazione tessuta con fili colorati,
pensando alla sofferenza di tanti bimbi.
“Dai
quadrati di lana faremo una copertina: non resta che cucirli insieme”.
Parole, che fanno sognare un’immensa coperta patchwork intrecciata da mille
mani, per dare calore all’animo di bambini infreddoliti.
Fili colorati scorrono tra le dita di Emma, che mentre li arrotola, è guidata prima
lontano in una dimensione di sogno.
Un fili rosso, un filo giallo, un filo viola, un
filo rosa, un filo azzurro, un filo verde e alla fine un filo nero, per unire
tutti gli altri colori.
Ogni colore suscita memorie ed emozioni.
E
scopriamo associazioni garbate e poetiche, piacevoli per una lettura immediata
e istintiva e anche stimolanti per chi volesse partecipare al gioco gioioso della bimba, che con le sue
scarpette rosse si aggira in punta di piedi tra queste pagine, colorate dalla
passione della scrittura.
A immagini
lievi si mescolano, in libera fuga, scene drammatiche, che passano fulminee e scompaiono
con altrettanta rapidità e, prive della voglia di palesarsi al chiarore della razionalità,
tornano nell’ombra, lasciando il lettore di fronte al dilemma di comprendere il
significato di espressioni dubbiose.
“Non so se sono un’ostetrica o un’assassina”.
“Non so se sono una vittima o un carnefice”.
Nella
dimensione surreale si affaccia la jana, creatura fantastica, che a un bambino
può promettere la fortuna o la sfortuna, la vita o la morte.
Ma se
nella dimensione onirica jana e donna si sovrappongono, nella realtà, disgiunta
dal sogno, prevale sicuramente la donna, che si riconosce nella volontà di
essere sempre e comunque madre, che dona vita e amore
Ed ecco
che le Incertezze si stemperano nell’affermazione di una volontà.
“Ora il filo si intreccia e si compone, sono
io a decidere e so che sarò madre.”
“Mi hanno dato un filo giallo”.
La
natura e l’uomo, nell’accordo dell’assimilazione poetica, determinano una pausa
di gioiosa serenità.
Quando
le situazioni conflittuali si diradano, le parole dell’autrice risultano sempre
facilmente accessibili. Al contrario, di fronte alle tribolazioni, le espressioni diventano più oscure e
difficili da essere decifrate. Si potrebbe ipotizzare che la gioia
schiarisce e il dolore offusca.
“Mi
hanno dato un filo viola”.
In
questa macrosequenza il filo viola nella sua simbologia propone il dolore e il lutto.
Il
viola rappresenta non solo i lividi di un corpo violentato quanto quelli
dell’anima. Ferite incancellabili, durature, eterne, che dorranno per sempre.
Il
viola evoca la Passione di Cristo, ma alla Crocefissione segue il momento di
gaudio della Resurrezione.
“I lividi non scompariranno mai, finché
vivo”.
Nel
mondo di Emma Fenu non esiste ostacolo, o insuccesso, o dolore, che possa
immobilizzarla. Lo stordimento attiva le energie per la ripresa.
Sull’angoscia
prevale la voglia di vivere. Allo scoramento preferisce la lotta quotidiana.
“…la mia crocifissione sul Golgota del terrore
è stata solo preludio della mia resurrezione…”
“Mi
hanno dato un filo rosa” e “Mi hanno dato un filo azzurro.”
Entrambe
prose poetiche, che non narrano, ma esprimono emozioni, come spesso accade
nella scrittura dell’autrice.
Nel
primo testo è richiamata la tenera immagine di una bimba, a cui con sentimento
materno si augura che la vita regali dolci carezze. Nel secondo la leggerezza
di chi lasciandosi alle spalle il fango della terra, lo dimentica per un attimo
e sogna di essere una sirena, sentendosi parte di un mondo che fonde l’umanità con
la divinità:
“… in un mondo che non ha confini fra uomini
e uomini, e fra uomini e dei…”
In
questo stralcio di testo, la già nota compenetrazione della natura con l’uomo
si amplia, diventando osmosi della dimensione terrestre con la dimensione divina.
Del
resto la cultura sarda, assorbita dall’autrice, è ricca di miti ed esseri
divini, che partecipano alla sua scrittura
.
.
“Mi hanno dato un filo verde.”
Il dolore riacquista il suo spazio e la vita incontra
la morte.
“Fu tutto bianco quando quelle iridi si
velarono, fisse nel vuoto a rendere fredde il suo volto, accolto nel mio grembo
di Dea della morte.”
E nelle
prose in cui si celebra poeticamente tale vicissitudine, il linguaggio tende a essere più ermetico, come se fosse
impedito da una sorta di pudore. La complessità dei sentimenti, che entrano in gioco,
rende più difficile ma anche più intrigante l’accesso comunicativo.
“Mi
hanno dato un filo bianco.”
I fili
scorrono tra le dita di donne riunite in un centro di accoglienza di
Copenhagen.
Ridestata dal ticchettio dei ferri, si ritroverà
tra le donne, che insieme sferruzzano per lo stesso progetto.
Il
regno sconfinato dell’immaginario viene abbandonato e l’ispirazione si stringe
attorno alla realtà. Mentre arretra l’immensità impalpabile del sogno concepito
dall’arte, avanza un mondo concreto e tangibile.
Tuttavia
nell’umiltà delle cose materiali si nasconde un’anima, che le esalta.
E splendente
è il quadro di donne diverse, che insieme sferruzzano, per donare, attraverso
il calore di una coperta, anche un frammento di amore materno, negato a tanti
bimbi.
Donne
di diversa nazionalità parlano la medesima lingua della solidarietà.
“Il ticchettio di ferri assorda e copre
quello delle lancette: siamo insieme da ore, immerse fra parole in troppe
lingue e silenzi in un idioma comune.”
Le
donne hanno scelto il filo nero, per
unire i quadrati di lana.
Perché
nero? Tante potrebbero essere le ragioni.
Nera è
la parte arcana e inesplorata dell’animo, da dove le donne traggono tutti i
colori e le energie, per guarire dalle ferite, cagionate dagli uomini e dal destino.
“… ma la ferita si tramuta in un ricamo
bellissimo…”
A
quell’arcobaleno di colori, che tratteggiano sogni e memorie, le donne affidano il disegno di un
futuro più gentile e solidale per tutti.
Nella
magia dell’atmosfera natalizia si compie un prodigio, che accentua l’incanto di
una notte sfolgorante:
“… ho udito il vagito della bambina nata
questa notte del 24 dicembre, che aspetta di essere scaldata dalla nostra
coperta…”
“ Carne
della mia carne, spirito del mio spirito” è il testo struggente, che trascina
il lettore incredulo nell’angolo più recondito dell’animo. La parola ridiventa ermetica e se anche la
decodificazione delle singole sequenze diventa possibile, ci si accorge che a
sfuggire al lettore è proprio l’essenza stessa del testo.
La
tenerezza di una figura infantile, felice che corre a piedi snudi sull’erba, è turbata
presto da una malinconica visione dal significato enigmatico:
“Le scarpe di vernice rossa a riposo, pelle
lucida senza un graffio, e i miei piedi fantasmi chiusi dentro tombe.”
Perché “piedi
fantasmi chiusi dentro tombe”?, Qual è il significato?
Sfogliando
il libro si giunge all’ultima pagina, che ci riserva ancora una sorpresa:
quattro brevi componimenti. E dai versi di uno di questi haiku ci viene una
rivelazione:
“Fiaba di bimba
nel
racconto diventa
storia
di donna”
Il
libro stesso è una sola fiaba, che nell’ideazione fantastica cela la verità di
un’anima,
Resta,
però, un qualcosa di non detto, un segreto non svelato, forse troppo intimo e
privato, o forse doloroso, per parlarne
in maniera diretta ed esplicita.
Il
lettore esigente, quando giunge all’ultima pagina, anziché essere soddisfatto, è
ancora più curioso e ritorna all’inizio, per rileggere tutto da capo.
Bravissima Elvira, una recensione sincera e appassionata per il fantastico libro di Emma Fenu. Un saluto, Marina
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