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lunedì 20 febbraio 2017

“Sangue e miele” - Poesie, fiabe e racconti

Colloquio intimo di una lettrice con “Sangue e miele” di Emma Fenu e cronaca di una lettura appassionata: Elvira Rossi

 “Sangue e miele” - Poesie, fiabe e racconti - 
Il titolo, preannunciando dolore e dolcezza, tradisce la complessità dell’opera.
Il sottotitolo potrebbe trarre in inganno, qualora si partisse dal preconcetto che le fiabe siano destinate esclusivamente ai bambini.
I testi tradotti in catalano da Aldo Sari, richiamando la storia dell’isola, rafforzano l’interesse e la singolarità del libro.
Come accade solitamente negli scritti della Fenu, anche la Dedica e la Prefazione costituiscono elementi significativi.
Nella Dedica il mare diventa metafora della vita, che aggiunge dolore e sottrae gioia.
Nella Prefazione la donna appare misteriosa come la Luna ed erede inconsapevole delle antiche dee, che assistono alla vita e alla morte.
Ritornano temi cari alla scrittrice.  


Le prime due poesie: “Antiche dee Madri” e “La donna del Tempo” ci introducono in un’atmosfera di mito.La Storia e il Tempo diventano proiezioni della divinità:
La Storia è femmina/Figlia, Sposa, Madre e Vedova/del Tempo maschio”.
Le Dee Madri, nutrendosi di latte e miele, si rigenerano e, catturando le memorie del Tempo, diventano Storia. E la Storia, pur figlia e vedova, sopravvive al Tempo.
Due divinità a confronto: la Storia femminile, resistente e indistruttibile e il Tempo maschio, sfuggente in un processo di continua dissolvenza.
La Storia, come l’antica Clio, assume il compito di trasmettere i ricordi. Il Tempo, come Cronos, divora tutte le cose, che lui stesso ha creato.
Il Tempo spegne e la Storia ravviva.
Il Tempo genera e uccide con estrema rapidità e violenza.
La Storia ricrea, dona l’immortalità. Entità indispensabili, una non potrebbe vivere senza il concorso dell’altra. Entrambe le presenze devono coesistere, per assicurarsi la reciproca sopravvivenza.
La realtà incontra il mito.
E come nell’incipit di un antico poema, le donne, “amazzoni violate”, sembrano invocare la partecipazione delle Dee Madri alla vita e alla poesia.
Le sembianze delle Dee Madri, come in una visione onirica, si fondono e si armonizzano con quelle delle donne.
Donne, che incedono come dee sopra un tappeto di lana,  per giungere:
“…fino alla dimora di sangue e di miele/ in cui tessiamo/pungendoci con i fusi della memoria.”
Donne, che trasmettono il passato.
Donne, che si alimentano di miele e dialogano perennemente con il sangue.
Miele e sangue. Vita e morte.
Non può esserci nascita, che non sia sporca di sangue e in questa traccia di rosso, è racchiusa già la promessa, mai tradita, di un dolore inevitabile. Le Dee Madri, per lenire le ferite sanguinanti, vi spargeranno sopra unguenti profumati e dolci come il miele.
Alle prima due poesie seguono testi in prosa. Tracciati, che si snodano tra il sogno e la realtà.
Ad emergere è un vissuto di passioni e timori. Sentimenti che, abilmente controllati nella realtà, nella scrittura si liberano senza alcun freno, assumendo la maschera della fiaba.
In un quadro poetico tra simboli fiabeschi e miti, Emma racconta se stessa, confermando la propria forza attraverso la coscienza e l’accettazione “dell’imperfezione della vita.
 “La vita è così: è un mare che culla e morde, accarezza e accartoccia, ruba con le onde e restituisce con la risacca. Ci rende imperfetti, ma in continua evoluzione.”
L’imperfezione della vita, per Emma, non è altro che l’incontrollabile, quella parte che sfugge a ogni intervento e non si lascia dominare né dall’intelligenza, né dalla volontà, né dalla virtù.
La vita è un incessante esercizio al superamento delle difficoltà e del dolore. E le fiabe addestrano i bambini a sperimentare nell’immaginario minacce e ostacoli, anticipando lo scontro con il mondo reale.

L’isola della passione” è un racconto, che impegna il lettore nella ricerca dei significati nascosti dietro gli enigmi delle raffigurazioni poetiche.
Si intuisce con una certa evidenza un processo di identificazione dell’autrice con l’Isola della passione, la Sardegna, e con una jana, un po’ fata e un po’ strega
Analogie di straordinaria intensità espressiva.
Isola, fata, donna: passionale, misteriosa, affascinante, irraggiungibile.
“Magica e infinita”,  dolce e fiera nello stesso tempo.
Forte e inaccessibile come le rocce secolari, levigate dal vento. Ospitale e morbida come la sabbia dorata dell’isola.
La donna può essere accolta e può accogliere, ma non può essere posseduta.
Può attendere o può essere attesa.
E come un’isola desiderosa di congiungersi al Continente, sarà lei a decidere se, e quando, “calare un ponte levatoio”.
Donna, fata e strega, ambivalente come una jana. Mite e prodiga con chi la rispetta, pungente con chi l’inganna.

In La fiaba nera delle Scarpette rosse” si materializza un incubo tutto femminile: una bimba corre fino allo spasimo, per sfuggire all’orrida figura del drago. Il lieto fine della fiaba è affidato alla mano salvifica di una madre.
“Una mano stringe la mia e mi trascina a ritroso verso casa.”
Tra le sequenze narrative s’inserisce la melodia di una cantilena, che rappresenta un invito a credere che i momenti difficili saranno rischiarati dalla gioia.
È la weltanschauung della scrittrice, convinta che alle donne sia riservato un cammino meno agevole, ma nessuno mai potrà loro impedire di lottare e di sognare.
Le parole ritmate di una filastrocca, rafforzando l’intento ludico, evocano il sogno di una donna, che vuole sperimentare tutti i colori della vita.
“Scarpette magiche: conducetemi lontano! Scarpette magiche: fatemi arrivare oltre l’arcobaleno, inizierò dal rosso per poi assaggiare tutti i colori!.”

 “Parliamo di te e di tè” celebra la fusione di due anime e due corpi che si cercano.
Mi resta addosso quest’effluvio di corpi, di umori e di anima.”
Incontri di amore, esaltanti come il profumo delle spezie. Ma nulla è totalmente dolce o totalmente amaro. Sfumature contrastanti, che dipingono la poliedricità della sfera affettiva.
“Prima è dolce, poi è amaro, poi velenoso.”
La donna, che sa concedersi con prodigalità, non è disposta a consegnare all’altro la propria interezza. Rivendica la necessità di trattenere presso di sé una parte di segreti e di mistero, da cui tutti sono esclusi. Regina, sì, come si recita nella fiaba, ma sovrana di sé.
“Sono più tua che mia quando mi stringi, ma la pelle di carta è il mio segreto.”
Una donna forte, decisa, generosa, che ama, e si lascia amare. ma anche tenacemente protesa a difendere l’individualità personale. Di fronte a chi pretende di impossessarsi della sua anima si ritrae, rialza il ponte, che unisce le due sponde e torna ad essere isola.
Nelle due poesie Femminicidio di Cappuccetto” e “ Femminicidio di Cenerentola”,
personaggi fiabeschi diventano emblema della fragilità femminile, esposta alla minaccia di genere.
Nella prima poesia il verso:
Rosso di sangue/ti ha incoronato donna.”

L’iterazione “rosso di sangue” va a caratterizzare l’essere femminile.
“Rosso di sangue” attribuisce alla donna il potere e il privilegio di donare la vita, incoronandola come se fosse una regina, ma beffardamente la rende vulnerabile, esponendola alla violenza maschile.
Cappuccetto rosso dovrà imparare presto a conoscere le insidie del bosco, per difendersi dalle false lusinghe:
“Rosso di sangue/attirerà il lupo/ti fiuterà/e di te sarà fatto scempio.”
Se la bimba volesse concedersi la gioia di raccogliere i fiori del bosco e respirare l’aria pregna di profumi, la ricerca del piacere la esporrebbe a un grave rischio. Quel mantello rosso, che nasconde l’innocenza, la trasformerebbe in una seduttrice, colpevole di aver sfidato la legge e quindi meritevole di punizione.
Non diversamente da Cappuccetto Rosso, Cenerentola è “colpevole di essere bella, colpevole di essere audace, colpevole di essere donna” e meritevole alla fine di essere castigata.
Frequentemente nella tradizione letteraria la donna è liberata sempre da una figura maschile, che svolge il ruolo dell’eroe buono.
Per Emma la fiaba di Cenerentola, non può finire con le nozze.
Nel mondo fiabesco dell’autrice la figura femminile non cerca protezione, se non presso se stessa, e non mette la propria esistenza nelle mani di un salvatore.
Né avventata né rinunciataria sceglie liberamente di confrontarsi con le situazioni di pericolo. Afferma la dignità dell’autonomia personale, sottraendosi alla tutela maschile e negando all’altro il diritto del possesso,
 Scelte di vita di normale coraggio, che neanche tanto raramente trasforma una donna in una vittima.
“Sei cenere/ in un’urna di cristallo.”
Appare evidente che l’autrice ancora una volta, oltre a raccontarsi, riflette sulla condizione femminile.
La bambina dalle scarpette rosse gioca a nascondino con le parole e dissemina tanti indizi, perché desidera essere cercata e trovata. E alla fine si svelerà solo a chi ha voglia di conoscerla.
In questo incontro c’è il duplice divertimento di chi si nasconde e di chi la scova.

“ Una storia cucita a mano”il racconto più lungo di questa raccolta.
Una tenera narrazione tessuta con fili colorati, pensando alla sofferenza di tanti bimbi.
“Dai quadrati di lana faremo una copertina: non resta che cucirli insieme”.
Parole, che fanno sognare un’immensa coperta patchwork intrecciata da mille mani, per dare calore all’animo di bambini infreddoliti.
Fili colorati scorrono tra le dita  di Emma, che mentre li arrotola, è guidata prima lontano in una dimensione di sogno.
Un fili rosso, un filo giallo, un filo viola, un filo rosa, un filo azzurro, un filo verde e alla fine un filo nero, per unire tutti gli altri colori.
Ogni colore suscita memorie ed emozioni.
E scopriamo associazioni garbate e poetiche, piacevoli per una lettura immediata e istintiva e anche stimolanti per chi volesse partecipare al gioco gioioso della bimba, che con le sue scarpette rosse si aggira in punta di piedi tra queste pagine, colorate dalla passione della scrittura.
A immagini lievi si mescolano, in libera fuga, scene drammatiche, che passano fulminee e scompaiono con altrettanta rapidità e, prive della voglia di palesarsi al chiarore della razionalità, tornano nell’ombra, lasciando il lettore di fronte al dilemma di comprendere il significato di espressioni dubbiose.
Non so se sono un’ostetrica o un’assassina”.
“Non so se sono una vittima o un carnefice”.
Nella dimensione surreale si affaccia la jana, creatura fantastica, che a un bambino può promettere la fortuna o la sfortuna, la vita o la morte.
Ma se nella dimensione onirica jana e donna si sovrappongono, nella realtà, disgiunta dal sogno, prevale sicuramente la donna, che si riconosce nella volontà di essere sempre e comunque madre, che dona vita e amore
Ed ecco che le Incertezze si stemperano nell’affermazione di una volontà.
“Ora il filo si intreccia e si compone, sono io a decidere e so che sarò madre.”

 “Mi hanno dato un filo giallo”.
La natura e l’uomo, nell’accordo dell’assimilazione poetica, determinano una pausa di gioiosa serenità.
Quando le situazioni conflittuali si diradano, le parole dell’autrice risultano sempre facilmente accessibili. Al contrario, di fronte alle tribolazioni,  le espressioni diventano più oscure e difficili da essere decifrate. Si potrebbe ipotizzare che la gioia schiarisce e il dolore offusca.

“Mi hanno dato un filo viola”.
In questa macrosequenza il filo viola nella sua simbologia propone il dolore e il lutto.
Il viola rappresenta non solo i lividi di un corpo violentato quanto quelli dell’anima. Ferite incancellabili, durature, eterne, che dorranno per sempre.
Il viola evoca la Passione di Cristo, ma alla Crocefissione segue il momento di gaudio della Resurrezione.
“I lividi non scompariranno mai, finché vivo”.
Nel mondo di Emma Fenu non esiste ostacolo, o insuccesso, o dolore, che possa immobilizzarla. Lo stordimento attiva le energie per la ripresa.
Sull’angoscia prevale la voglia di vivere. Allo scoramento preferisce la lotta quotidiana.
“…la mia crocifissione sul Golgota del terrore è stata solo preludio della mia resurrezione…”

Mi hanno dato un filo rosa” e “Mi hanno dato un filo azzurro.”
Entrambe prose poetiche, che non narrano, ma esprimono emozioni, come spesso accade nella scrittura dell’autrice.
Nel primo testo è richiamata la tenera immagine di una bimba, a cui con sentimento materno si augura che la vita regali dolci carezze. Nel secondo la leggerezza di chi lasciandosi alle spalle il fango della terra, lo dimentica per un attimo e sogna di essere una sirena, sentendosi parte di un mondo che fonde l’umanità con la divinità:
“… in un mondo che non ha confini fra uomini e uomini, e fra uomini e dei…”
In questo stralcio di testo, la già nota compenetrazione della natura con l’uomo si amplia, diventando osmosi della dimensione terrestre con la dimensione divina.
Del resto la cultura sarda, assorbita dall’autrice, è ricca di miti ed esseri divini, che partecipano alla sua scrittura
.
“Mi hanno dato un filo verde.”
Il dolore riacquista il suo spazio e la vita incontra la morte.
“Fu tutto bianco quando quelle iridi si velarono, fisse nel vuoto a rendere fredde il suo volto, accolto nel mio grembo di Dea della morte.”
E nelle prose in cui si celebra poeticamente tale vicissitudine, il linguaggio  tende a essere più ermetico, come se fosse impedito da una sorta di pudore. La complessità dei sentimenti, che entrano in gioco, rende più difficile ma anche più intrigante l’accesso comunicativo.

“Mi hanno dato un filo bianco.”
I fili scorrono tra le dita di donne riunite in un centro di accoglienza di Copenhagen.
Ridestata dal ticchettio dei ferri, si ritroverà tra le donne, che insieme sferruzzano per lo stesso progetto.
Il regno sconfinato dell’immaginario viene abbandonato e l’ispirazione si stringe attorno alla realtà. Mentre arretra l’immensità impalpabile del sogno concepito dall’arte, avanza un mondo concreto e tangibile.
Tuttavia nell’umiltà delle cose materiali si nasconde un’anima, che le esalta.
E splendente è il quadro di donne diverse, che insieme sferruzzano, per donare, attraverso il calore di una coperta, anche un frammento di amore materno, negato a tanti bimbi.
Donne di diversa nazionalità parlano la medesima lingua della solidarietà.
“Il ticchettio di ferri assorda e copre quello delle lancette: siamo insieme da ore, immerse fra parole in troppe lingue e silenzi in un idioma comune.”
Le donne hanno scelto il filo nero, per unire i quadrati di lana.
Perché nero? Tante potrebbero essere le ragioni.
Nera è la parte arcana e inesplorata dell’animo, da dove le donne traggono tutti i colori e le energie, per guarire dalle ferite, cagionate dagli uomini e dal destino.
“… ma la ferita si tramuta in un ricamo bellissimo…”
A quell’arcobaleno di colori, che tratteggiano sogni e memorie, le donne affidano il disegno di un futuro più gentile e solidale per tutti.
Nella magia dell’atmosfera natalizia si compie un prodigio, che accentua l’incanto di una notte sfolgorante:
“… ho udito il vagito della bambina nata questa notte del 24 dicembre, che aspetta di essere scaldata dalla nostra coperta…”
“ Carne della mia carne, spirito del mio spirito” è il testo struggente, che trascina il lettore incredulo nell’angolo più recondito dell’animo. La parola ridiventa ermetica e se anche la decodificazione delle singole sequenze diventa possibile, ci si accorge che a sfuggire al lettore è proprio l’essenza stessa del testo.
La tenerezza di una figura infantile, felice che corre a piedi snudi sull’erba, è turbata presto da una malinconica visione dal significato enigmatico:
“Le scarpe di vernice rossa a riposo, pelle lucida senza un graffio, e i miei piedi fantasmi chiusi dentro tombe.”
Perché “piedi fantasmi chiusi dentro tombe”?, Qual è il significato?
Sfogliando il libro si giunge all’ultima pagina, che ci riserva ancora una sorpresa: quattro brevi componimenti. E dai versi di uno di questi haiku ci viene una rivelazione:

 “Fiaba di bimba
nel racconto diventa
storia di donna”

Il libro stesso è una sola fiaba, che nell’ideazione fantastica cela la verità di un’anima,
Resta, però, un qualcosa di non detto, un segreto non svelato, forse troppo intimo e privato, o  forse doloroso, per parlarne in maniera diretta ed esplicita.
Il lettore esigente, quando giunge all’ultima pagina, anziché essere soddisfatto, è ancora più curioso e ritorna all’inizio, per rileggere tutto da capo. 




















1 commento:

  1. Bravissima Elvira, una recensione sincera e appassionata per il fantastico libro di Emma Fenu. Un saluto, Marina

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