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mercoledì 2 aprile 2025

I colori del cielo

 

di Heiko H. Caimi


 

Sotto un cielo terso, color carta da zucchero, la vecchia signora Tamiko aspettava il tram numero cinque sulla banchina deserta. Il vento di marzo le sollevava il kimono leggero, e le sue mani rugose stringevano un piccolo ombrello rosso, chiuso. Le campane del tempio Suwa[1] suonavano in lontananza: rintocchi soffici, quasi ammutoliti dalle voci dei corvi.

Il tram non arrivava mai. Ma non importava.

Tamiko chiuse gli occhi e ascoltò. Un ticchettio di piccoli passi risuonò nel silenzio. Aprì gli occhi e vide un bambino scalzo, vestito con un yukata[2] di lino sbiadito. Non aveva ombra. Non sembrava avere peso. Eppure i suoi passi ticchettavano. Era lì.

«Obaasan[3], ti ricordi di me?» chiese il bambino.


Tamiko inclinò la testa. Il volto del piccolo le era familiare, come un haiku imparato a memoria e poi dimenticato. In effetti le sembrava di averlo visto da qualche parte, forse tra i riflessi di un lago in estate, o forse tra i fili di riso stesi ad asciugare. «Dovrei?» sussurrò.

Il bambino annuì e fece un passo avanti. Con dita delicate, toccò l’ombrello chiuso nella mano di Tamiko. L’ombrello si aprì con un fruscio leggero, rivelando il rosso vivido del suo tessuto. E dentro, come un piccolo universo tascabile, c’erano petali di sakura[4] sospesi nell’aria, senza peso, senza tempo.

Tamiko sentì un nodo alla gola. Nel cuore dell’ombrello aperto si specchiava un cielo dell’agosto 1945: il cielo di un mattino denso di cicale, il cielo che si era sciolto in una luce bianca e che aveva lasciato ombre impresse sul selciato.

Il bambino sorrise. «Ora ti ricordi?».

Tamiko annuì piano. Le mani non le tremavano più. Guardò il bambino, poi il vuoto lasciato in fondo alla strada dal tram che non arrivava, poi l’ombrello rosso che le offriva un cielo nuovo, diverso, di un altro colore ancora, azzurro sfumato di un rosa tenue. Un cielo che questa volta non bruciava.

Il bambino le prese la mano. «Vieni, Obaasan. Il tram sta arrivando».

Nel momento in cui Tamiko salì, il tram numero cinque svanì nell’aria, lasciando solo un’eco di campane e petali di ciliegio che danzavano nel vento di marzo.

Tutto ritorna alla sua forma, ma nulla rimane uguale.




Heiko H. Caimi
, classe 1968, è scrittore, sceneggiatore, poeta e docente di scrittura narrativa. Ha collaborato come autore con gli editori Mondadori, Tranchida, Abrigliasciolta e altri. Ha insegnato presso la libreria Egea dell’Università Bocconi di Milano e diverse altre scuole, biblioteche e associazioni in Italia e in Svizzera. Dal 2013 è direttore editoriale della rivista di letterature Inkroci. È tra i fondatori e gli organizzatori della rassegna letteraria itinerante Libri in Movimento. ha collaborato con il notiziario "InPrimis" tenendo la rubrica "Pagine in un minuto" e con il blog della scrittrice Barbara Garlaschelli "Sdiario". Ha pubblicato il romanzo "I predestinati" (Prospero, 2019) e ha curato le antologie di racconti "Oltre il confine. Storie di migrazione" (Prospero, 2019), "Anch'io. Storie di donne al limite" (Prospero, 2021) e, insieme a Viviana E. Gabrini, "Ci sedemmo dalla parte del torto" (Prospero, 2022) e "Niente per cui uccidere" (Calibano, 2024). Svariati suoi racconti sono presenti in antologie, riviste e nel web.


[1] Il tempio Suwa (諏訪神社, Suwa Jinja) è un importante santuario shintoista situato a Nagasaki. Nel contesto del racconto, le campane del tempio Suwa evocano un senso di continuità e spiritualità, legando il presente con il passato di Nagasaki.

[2] La yukata (浴衣) è un tipo di kimono leggero e informale, solitamente fatto di cotone o lino, indossato principalmente in estate.

[3] “Obaasan” (おばあさん) in giapponese significa “nonna” o “anziana signora”. È un termine rispettoso e affettuoso, spesso usato per rivolgersi a una donna anziana, anche se non è necessariamente una parente.

[4] I fiori di ciliegio giapponesi, simbolo di bellezza effimera e transitorietà. La loro caducità rappresenta la fragilità della vita e l’idea buddhista dell’impermanenza (mujō).

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