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domenica 5 ottobre 2025

L’armadio di zia Eudora

 di Heiko H. Caimi



Quando la signora Bassi aprì l’armadio della sorella morta, l’odore di naftalina e vecchi fiori secchi le salì alla testa come un colpo. Non era una donna facilmente impressionabile: aveva allevato tre figli durante la miseria e ne aveva sepolti due senza cedere a lacrime di fronte alla folla; eppure, dinnanzi a quella cavità scura, si sentì osservata.

Le grucce pendevano con l’indolenza di ossa disarticolate. Una camicia maschile, larga e lisa, si fece avanti dal mucchio di gonne come un corpo fuori posto. «Che ci fa questo qui?» borbottò, tirando il tessuto che odorava di fumo di pipa. La sorella Eudora non aveva mai avuto un marito, né un amante, almeno che lei sapesse.


Udì un cigolio: una gruccia si mosse, oscillando lenta, benché la finestra fosse chiusa e l’aria fosse immbile. Si fece il segno della croce con la stessa velocità con cui, anni prima, aveva afferrato un coltello per scacciare un vagabondo dalla sua cucina.

Dietro le giacche color pastello, intravide un rotolo di carta ingiallita. Lo srotolò: erano pagine di un quaderno, fitte di una scrittura storta e furiosa. Il Signore non guarda ai vestiti che indossiamo, ma a quelli che ci togliamo davanti a Lui, diceva una riga. Un’altra: Ogni stagione persa è un debito che si accumula.

Il cuore le batteva forte, ma non di paura: di rabbia. Quelle frasi suonavano come accuse. Riarrotolò le pagine con stizza. Subito dopo le sembrò di udire un fruscio dietro di lei. Si voltò di scatto, come se qualcuno fosse alle sue spalle, e non vide che l’ombra del suo stesso corpo.

«Sciocchezze» sibilò. «Fantasie da zitella».

Chiuse l’armadio con uno strattone. Ma, appena fuori dalla stanza, sentì ancora il cigolio della gruccia, ritmico come un pendolo, come se qualcuno contasse il tempo che le restava.

 

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