appunti
sparsi di viaggio di Marina Fichera
Dopo aver visitato l’Armenia nella primavera del 2014, avevo programmato un secondo viaggio nel Caucaso già nel 2018 ma, per una serie di motivi, sono riuscita a renderlo realtà solo cinque anni dopo, alla fine di aprile di quest’anno. Per fortuna non ho desistito, perchè la Georgia è un paese magnifico e nei prossimi anni mi auguro che diventi una meta turistica molto richiesta, anche se temo che ciò possa cambiare questa oasi di vita ancora genuina e sincera in una delle tante mete instagrammabili. Nel frattempo io me la sono goduta a pieno, incontrando persone fiere e accoglienti, con pochi turisti e nello splendore di montagne innevate, alberi fioriti e fiumi in piena. Paesaggi e colori che solo la primavera può regalare
Primavera sul Caucaso (foto
di Marina Fichera)
Il mio viaggio
inizia da Tbilisi, la capitale della Georgia, fondata nel V° secolo d.C.. La
città, che conta circa un milione e duecentomila abitanti - un quarto
dell’intera popolazione nazionale - è un crogiuolo di storia, cultura, arte e
architettura molto affascinante. Prendo la cabinovia per salire fino
all’imponente fortezza di Narikala – di cui in realtà restano solo le mura esterne
– per ammirare l’incantevole città e il suo fiume dall’alto. Davanti ai miei
occhi vedo chiese, case colorate in legno, grandi edifici del XIX e XX secolo,
fino alle più ardite architetture moderne, tra cui il Ponte della Pace, opera
di un architetto italiano. Un miscuglio armonioso di oriente e occidente e di epoche che
crea un’atmosfera unica.
Scendo e mi immergo nella città, in un susseguirsi
di mistiche chiese ortodosse, monumenti, antiche terme, viuzze pedonali piene
di ristorantini, case di legno finemente intarsiato, per giungere infine alla
grande piazza della Libertà e al lunghissimo corso Rustaveli, dove visito il
Museo Nazionale della Georgia. Il meteo è incerto, in pochi attimi si passa dal
temporale al sole e viceversa, ma questo rende ancora più affascinante la scoperta
di questa città così varia e stratificata, ed è un vero peccato avere solo un
giorno per visitarla.
La città rupestre di Vardzia, quasi al confine con
l’Armenia, per alcuni aspetti potrebbe ricordare la nostra Matera. Scavata su
tredici livelli di una montagna che si affaccia sul fiume Mtkvari - quello che
bagna Tbilisi - risale a quasi novecento anni fa. Fondata dalla regina Tamara -
ancora oggi molto amata dai georgiani - dopo un’iniziale destinazione militare,
divenne un importante luogo sacro. Di recente, dopo secoli di abbandono, una
piccola comunità monastica è tornata a popolarla. La visita, oserei dire sconsigliabile
a chi soffre di vertigini, permette di ammirare la bellezza del sito e della
valle sottostante, salendo e scendendo lungo la parete attraverso scalette
appositamente costruite. Mentre visitiamo la piccola chiesa che conserva uno
dei pochi affreschi ancora esistenti raffiguranti la regina Tamara incontriamo un
anziano monaco, e mi chiedo come sia vivere in questo luogo così particolare, affollato
di turisti di giorno e isolato, a picco sulla vallata, di notte.
La città rupestre di Vardzia e la valle con il fiume Mtkvari
(foto di M. Fichera)
Nel nostro viaggio incontriamo, tra le tante cose, anche enormi fabbriche dismesse e monumenti dell'era sovietica, tra cui il mosaico del 1983 dedicato all’amicizia dei popoli tra Georgia e Russia, a mio parere molto bello come opera artistica e anche perché è posto in un punto di incredibile suggestione.
Cerco di capire come è vissuta da parte dei georgiani l'attuale guerra, dall'altra parte del Mar Nero. L preoccupazione è ben celata dietro i grandi sorrisi e l'affabilità delle persone, ma il ricordo dell'invasione da parte della Russia del 2008 è ancora troppo fresco, e soprattutto irrisolto, per far finta che sia tutto normale.
Per noi occidentali la caduta del muro, e il conseguente disfacimento dell’Unione Sovietica, è sempre sembrata una sorta di grande festa collettiva. Un’ubriacatura di libertà, in un mondo lontano e misterioso, in cui tutti erano, all’improvviso, diventati finalmente ex comunisti, liberi e felici. Questa però è una banalizzazione, la realtà di ciò che accadde si può capire - e solo in parte, vista la complessità e la delicatezza del tema - solo parlando con chi ha vissuto quel periodo traumatico di trasformazione.
Monumento all’amicizia Georgia-Russia (foto di Marina Fichera)
In realtà, per
le popolazioni dei paesi dell’ex blocco sovietico, gli anni ‘90 sono stati
durissimi. La nostra guida, una donna colta e amante della cultura italiana, ci
racconta che in quegli anni i georgiani hanno fatto la fame, nel senso reale
del termine. In un attimo tutto era scomparso: il lavoro, l’elettricità, il
riscaldamento, il cibo... Ogni certezza sul presente e sul futuro era svanita,
evaporata come neve sotto un sole improvviso. Solo il pensiero di ritrovare la
libertà e l’antica spiritualità cristiana, negata per decenni dal regime, hanno
permesso loro di salvarsi dall’inattesa privazione del, seppur povero e limitato,
mondo materiale sovietico.
Io credo che per noi, fortunati europei occidentali, sia molto difficile immaginare cosa abbiano vissuto queste persone, in un passaggio scioccante ma fondamentale nella storia del XX° secolo. E comunque non sono del tutto convinta che noi si sia liberi davvero, stretti come siamo tra tecnologia, consumismo e voglia di dimostrare a tutti i costi di non essere solo un numero tra otto miliardi di essere umani.
La caduta dell’URSS ha permesso ai georgiani di
poter tornare a vivere pienamente la religione - questo è uno dei primi paesi
cristiani nella storia - e la spiritualità.
Molte delle chiese e dei monasteri georgiani sorgono in luoghi impervi,
ricchi di fascino e silenzio. La pietra color miele degli antichi complessi
religiosi si staglia contro altissime vette innevate, sotto cieli limpidi e
azzurri ornati da bianche nuvole svolazzanti. È tutto di una bellezza che mi
lascia quasi senza parole, in un incanto che si rinnova ogni giorno di questo
breve viaggio.
La chiesa della Trinità di Gergeti (foto di Marina Fichera)
Ci dirigiamo
verso l’area di Svaneti, a nord ovest della Georgia e al confine con la Russia.
Questa è la mitica regione attraversata da Giasone con gli Argonauti per
raggiungere la Terra del Vello d’oro.
Arrivati a
Mestia, a oltre 1.500 metri s.l.m., nel cuore di Svaneti, ammiriamo le montagne
del Caucaso Maggiore, con alcune imponenti sommità che superano i 5.000 metri
s.l.m. Per due giorni siamo circondati
da una natura grandiosa in un susseguirsi di vette innevate, boschi verdissimi
e centinaia di fiumi impetuosi.
Le vette del Caucaso
Maggiore (foto di Marina Fichera)
Qui la presenza umana è sempre stata limitata a
piccoli paesi dalle strane architetture. Le famose torri di Svaneti – Patrimonio
dell’Umanità dell’Unesco dal 1996 – che sorgono accanto a molte delle case locali,
nacquero con lo scopo principale di difendersi dalle incursioni degli abitanti
dei villaggi vicini. Questa splendida terra infatti è stata attraversata per
secoli da faide e lotte fratricide.
Torri a Ushguli (foto di
Marina Fichera)
La nostra guida ci racconta che intere famiglie si
sono estinte, stritolate in una spirale di omicidi e vendette di cui
probabilmente, nel tempo, si era perso il senso. Per me è sconcertante e anche curioso
pensare che invece di cercare il dialogo e la pace, queste persone abbiano
ideato le torri di difesa, in un atavico meccanismo di occhio per occhio che ha
sconvolto per secoli le vite degli svaneti, ma che ora è una delle principali
ricchezze della zona.
Mestia con le sue famose torri (foto di Marina Fichera)
Nella regione di Svaneti non si può non dedicare
un’intera giornata alla visita di Ushguli, un piccolo villaggio noto per essere
l’abitato permanente più alto in Europa, a 2.200 metri s.l.m.. Lo
raggiungiamo in jeep dopo un percorso in salita di oltre un’ora e mezza. Fino a
qualche anno fa la strada era praticamente inesistente - se volete vedere andare
a cercare la seconda puntata della 14ma serie di Overland su Raiplay - ma ora
solo gli ultimi dieci chilometri sono abbastanza impegnativi. Siamo davvero
fortunati, fino alla settimana precedente il tempo era brutto e faceva ancora
freddissimo, noi troviamo una splendida giornata, con un brillante sole, un cielo
color lapislazzulo e una temperatura che ci permette di pranzare all’aperto. L’antico
villaggio è un piccolo presepe, un gioiellino incastonato tra montagne alte
fino a 5.200 metri, che purtroppo si sta lentamente trasformando in un luogo
turistico. Ai primi di maggio siamo noi e qualche altra
decina di turisti, ma mi raccontano che in estate è ormai preso d’assalto. Il posto
è talmente bello che non posso non capire quelli che si avventurano fin quassù
come me, ma poi, come sempre, mi sembra di contribuire alla gloria e al tempo stesso
alla rovina di questi posti così unici e magici.
Ushguli e il monte Shkhara, 5.200 metri s.l.m. (foto di M. Fichera)
In Georgia
vengono prodotti degli ottimi formaggi che sono alla base della saporita e
sostanziosa cucina locale, naturalmente da accompagnare con gli ottimi vini
della regione di Kakheti. Per questo motivo ci sono mucche ovunque, e sono
talmente numerose che pascolano nei luoghi più impensabili, le ho viste persino
brucare l’erba nell’aiuola che separa le quattro corsie dell’autostrada tra
Kutaisi e Tbilisi!
Ma le mucche più divertenti e intelligenti le
abbiamo incontrate a Mestia, all’ora del tramonto di una bella giornata di
sole. Le tre bovine scendevano, da sole, dal pascolo verso la via centrale del
paese. Arrivate a un bivio una delle tre con un “muuu muuu” ha salutato e preso
una direzione diversa, mentre le altre due hanno proseguito fino a quando una
si è fermata davanti a un cancello e l’altra è andata oltre. Pochi istanti ed è
uscito il padrone che ha aperto per farla entrare e lei si è sistemata accanto
alla macchina parcheggiata nel cortile!
La mucca che “torna dal lavoro” da sola, a Mestia
(foto di Marina Fichera)
Una delle
curiosità da visitare in Georgia è il complesso museale - museo, casa natale e carrozza
del treno – dedicato a Iosif Stalin, la cui creazione risale al 1957. Dopo un
primo momento di titubanza sull’opportunità di visitare o meno il museo, ha
prevalso la curiosità, perchè credo che andare a vedere con i propri occhi sia
sempre la cosa migliore.
Arriviamo nella
città natale di Stalin all’ora di pranzo del primo di maggio e scopro che qui
la festa dei lavoratori si festeggia lavorando. Prima di effettuare la visita,
pranziamo velocemente in una panetteria proprio accanto all’imponente sito museale.
Allegri studenti delle scuole superiori vestiti alla moda addentano profumate
focacce ripiene di carne o formaggio e sorseggiano coca cola o birra, mentre la
radio trasmette una canzone dance dal ritmo sudamericano. Forse nessuno ci fa
caso ma per me è davvero uno strano contrasto. Dai tempi del dittatore
comunista la storia è andata avanti e questi studenti hanno una libertà che i
loro genitori e nonni hanno sognato per un bel po’ di anni, eppure il museo è
ancora lì, e può esser interpretato come una celebrazione del triste passato oppure
un monito a non rifare gli stessi errori.
Dopo aver visto l’esterno della minuscola e povera
casa natale del dittatore, entriamo nel museo e attraversiamo scaloni ricoperti
di tappeti rossi un po’ lisi e ampi saloni in cui sono esposti enormi ritratti,
documenti storici e addirittura decine di teche contenenti regali dai paesi di
tutto il mondo (sono numerosi i regali al compagno Giuseppe Stalin inviati
dall’Italia). A rimettere le cose un po’
al loro posto, dal 2010 c’è anche una sala
dedicata al sanguinoso periodo delle repressioni sovietiche, tema che si può
approfondire meglio al Museo Nazionale di Tbilisi.
Interno del museo
dedicato a Stalin (foto di Marina Fichera)
I georgiani sono molto gentili e ospitali e amano festeggiare
e stare insieme, come a confermare che la millenaria cultura del vino è nata in
Georgia, e che vino vuol dire convivialità e allegria. In ogni località abbiamo
trovato ristoranti sempre affollati in cui, oltre a mangiare e bere benissimo,
si balla e si canta. Ovunque si incontrano grandi tavolate che trascorrono allegramente
la serata tra brindisi, cibo e risate. Questi eventi sono gestiti da una figura
importante che si chiama tamadà. Il tamadà è una figura
sociale ben precisa, è il cerimoniere responsabile di ogni festa, colui
che dà il ritmo all’evento – e non importa che sia un matrimonio o una semplice
cena tra amici - scandendolo con una lunga serie di brindisi: prima il tamadà proclama
pensieri e dediche, che tutti ascoltano in rispettoso silenzio, e poi insieme
si manda giù il bicchiere di vino! Gaumargios!
L’ultima sera del viaggio, in un elegante
ristorante di Tbilisi affacciato a picco sul fiume Mtkvari, oltre ad ammirare
il sole che si spegne sulla città e mangiare ottimi piatti, assistiamo a uno
spettacolo di danze tradizionali georgiane. I salti dei giovani e bravi danzatori
nei bellissimi costumi regionali mi ricordano di quando, da bambina, avevo ammirato
le foto delle popolazioni del Caucaso sull’enciclopedia dei primi anni ‘70 “I
popoli della terra” e sognato che, prima o poi, sarei andata a vederli di
persona. Forse è anche grazie a quelle letture che sono diventata una
viaggiatrice curiosa e aperta all’incontro (almeno spero).
Danze georgiane (foto di Marina Fichera)
Torno a casa
felice di aver visitato la splendida Georgia, con gli occhi colmi di bellezza, calore
e sorrisi e lo zaino pieno di formaggi e vino, in una grande celebrazione della
vita spirituale e profonda ma anche di quella sanguigna e godereccia. A presto,
alla salute! Gaumargios!
“Lingua, patria,
fede!”
Davvero interessante!
RispondiEliminagrazie!
EliminaCome sempre coinvolgente
RispondiEliminaGrazie! Ciao. Marina
EliminaCiao Marina grazie della tua condivisione. Il tuo racconto mi ha accompagnato nel mio viaggio in treno rendendolo più’ leggero.
RispondiEliminason contenta, grazie a te! Un saluto Marina
EliminaGrazie mille Marina per aver apprezzato la mia patria e per averci lasciao i ricordi pieni di ammirazione
EliminaLa Georgia mi è entrata nel cuore, so che tornerò presto!
EliminaAttendo il prossimo tuo con ansia 😀
RispondiEliminaChe responsabilità! 😉
EliminaE dove ci porterai prossimamente?
RispondiEliminaIn Romania
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