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giovedì 16 luglio 2020

Gita in Val d'Intelvi - Seconda parte


di Enrico Jessoula

Per leggere la prima parte collegarsi a: 
- Sì, lo immagino: che i sospetti si spostano sul gestore, che potrebbe aver fatto sparire l’i-pad nel timore che contenesse qualche indicazione compromettente. -
- Già. La cosa è imbarazzante perché Ferruccio, il gestore, io lo conosco bene, potrei definirlo un amico. Vedrò di farlo torchiare da qualcuno dei miei, ma con cautela perché mi è sempre sembrato un brav’uomo - commentò Andrea Berta amaramente.
- Capisco la cautela, anche perché la donna potrebbe essere viva e vegeta a San Fedele, dove è stata avvistata solo l’altro ieri. Andrea, non ti invidio proprio, questa maledetta vicenda sembra complicarsi ogni giorno di più. Auguri, hai tutta la mia comprensione! -


- Grazie per gli auguri, mi sa che ne ho molto bisogno. -
Rosaria decise seduta stante di non disturbarlo oltre, sentendolo agitato. E anche lei si ripropose di non seguire più le notizie sul caso perché le sembrava quasi di portare sfortuna.

- Rosaria, ciao. Sono Andrea… da Como. -
Rimase sorpresa, non riuscendo a spiegarsi perché il collega le telefonasse sul cellulare privato in pieno orario di lavoro. Decise che doveva trattarsi di una comunicazione riservata, per cui si affrettò a congedare gli agenti che aveva convocato nel suo ufficio, dicendo loro di tornare dopo un quarto d’ora.
- Sì, Andrea, ci sono. Qualche novità? -
- Mah… non so, forse. Ho rintracciato i parenti di questa Ursula, in Germania. Dicono che non hanno più notizie di lei da diversi giorni - poi, dopo una lunga pausa - ha genitori e un fratello e tutti e tre sapevano che la donna veniva in Italia perché aveva una relazione con un uomo, di cui però non conoscono il nome. -
-  Mmm… cherchez l’homme - ridacchiò Rosaria.
- Il problema è che nessuno di loro sa, neppure vagamente, dove questo stia. Ho provato a parlare della Val d’Intelvi, separatamente a ognuno dei tre, ma non l’avevano mai sentita nominare. -
- E’ comunque un passo avanti - azzardò Rosaria.
- Già, ma fin qui è un passo molto piccolo, perché la donna potrebbe aver lasciato il Venini per andare da quest’uomo, che però nessuno sa chi sia né dove stia. Ma c’è dell’altro ed è il motivo per cui ti telefono. -
- Dimmi. -
- Un cercatore di funghi che risaliva il monte da Menaggio ha riferito di aver visto vari animali predatori, uccelli e altro, addensarsi su una macchia di alberi, a suo parere tra quota mille e mille e due. Capisci cosa può voler dire? -
- Una carogna di animale… -
- Oppure un cadavere - proseguì lugubre il commissario Berta - per cui domani abbiamo deciso una ricognizione sul posto, con i cani, la Scientifica e tutto l’ambaradan. Non oso pensare a quello che troveremo, se davvero… -
Rosaria rimase interdetta, prima di reagire:
- Quindi siete giunti alla determinazione che la poveretta… -
Berta la interruppe bruscamente:
- Fermati. Nessuna determinazione, solo che si stava sfiorando l’incidente diplomatico con la Germania. Sai come vanno queste cose: una suddita tedesca scompare in Italia, i media cominciano a dire che la polizia italiana non si dà abbastanza da fare, e così la cosa monta fino ai livelli massimi. -
- Capisco - interloquì la donna.
- Perciò mi sono detto: visto che Rosaria si è dimostrata interessata alla cosa, potrei invitarla a partecipare al sopraluogo, ottenendo due piccioni con una fava: una vicinanza che ha comunque l’effetto di tenermi su di morale e la dimostrazione ai ‘crucchi’ di un’azione coordinata tra le Questure di Como e Milano. Un effettone! -
- Ti confesso che non mi dispiacerebbe, ma a quale titolo? Sarei vista da tutti come il commissario milanese che vuol mettere il becco nelle vostre faccende. -
- Ho già pensato a tutto. Sarai mia ospite personale e spiegherò ai miei che ti sei trovata casualmente coinvolta nella vicenda, che conosci bene la zona e anche delle persone al Venini, per cui puoi esserci di aiuto. Naturalmente, Como mantiene la direzione delle operazioni - concluse ridacchiando.
Rosaria consultò rapidamente l’agenda sul suo iPad. Verificò che non aveva grossi impegni per l’indomani, ma solo un paio di riunioni di routine che poteva rimandare benissimo al giorno dopo
- Ok, mi hai convinto. Ci troviamo al Venini a che ora? -
- Alle dieci al Boffalora, il rifugio più in basso: è inutile salire così tanto se la meta è al massimo a mille e due. -
Solo dopo aver riagganciato, Rosaria fece mente locale alle altitudini in gioco. Se davvero avessero trovato laggiù il cadavere di Ursula e fosse risultata vera l’ipotesi del capogiro, la poveretta sarebbe ruzzolata per un dislivello di quattrocento o cinquecento metri prima di schiantarsi.
Un brivido gelido le percorse la schiena.

Smaltite le pratiche residue in ufficio e date le necessarie disposizioni per spostare le riunioni previste al giorno successivo, Rosaria constatò che erano già le sette di sera e non aveva sentito Martino per tutto il giorno. O meglio, aveva provato a chiamarlo a casa ma senza successo. Per fortuna, il padre gli aveva regalato un cellulare, di cui lui era giustamente orgoglioso; lo chiamò dunque su quello.
Il bimbo rispose subito, borbottando:
- Aspetta un attimo che mi sposto. -
“Dove sarà mai?” si domandò esterrefatta Rosaria, sentendo delle voci durante lo spostamento del figlio.
Quando riprese la conversazione, Martino mantenne un volume di voce molto basso, quasi un sussurro.
- Dove sei ? - lo incalzò ansiosa.
- Sono con il mio prof di Tecnica al Politecnico: c’è una conferenza interessantissima sul futuro dell’automobile. Sai, le varie opzioni: elettrica, ibrida, idrogeno, aria compressa… poi ti racconto. Dovrebbe finire tra mezz’ora. -
La donna si era spesso domandata se la passione del figlio per la scienza e la tecnica non fosse esagerata e si era anche colpevolizzata per averlo troppo stimolato con letture istruttive.
Ora quel ‘sapientino’ riccioluto, a mezza via tra il bimbo e l’adolescente, si interessava, a suo giudizio, di cose più grandi di lui e questo fatto riusciva a provocarle un’irritazione epidermica che arrivava a volte a prevalere sull’amore materno.
Riuscì a dissimulare la stizza, aggravata dall’incalzare del figlio:
- Mamma, dovrei tornare dentro, sennò mi perdo il più bello. -
- Sai cosa facciamo? Tu mi aspetti là, diciamo all’ingresso principale; io passo a prenderti tra mezz’ora; andiamo a farci una pizza da quelle parti. Conosco io un posto… -
- Ok mamma, ma la conferenza è nelle aule del Trifoglio, troviamoci là. A più tardi - rispose il bimbo, chiudendo la comunicazione con una fretta che a Rosaria parve ingiustificata.
Circa un’ora dopo, seduti davanti a due pizze “Quattro stagioni” di diametro spropositato e a due ampi bicchieri di Coca Cola, madre e figlio avevano ritrovato la solita intesa e scherzavano assieme come due compagni di gioco.
- Allora, sapientino, raccontami di questa conferenza. Che cosa hai imparato di bello? -
- Mah - il bimbo sottolineò con una smorfia la sua perplessità - ho l’impressione che si giri intorno al problema senza trovare una soluzione realmente fattibile. Voglio dire, realizzabile a livello industriale con costi contenuti. -
Rosaria sobbalzò: com’è che questo figlio di poco più di undici anni parlava come un ingegnere o un professore di università? Ma lui finì di stupirla, soggiungendo:
- L’ha detto anche Cecilia. -
- E chi è Cecilia? - domandò lei, sempre più confusa.
Martino mise per un attimo il broncio:
- Uffa, mamma, Cecilia è la mia compagna di scuola, quella rossa di capelli. Il prof aveva chiesto chi era interessato alla conferenza e noi due abbiamo accettato. Lei è la prima della classe, te ne ho già parlato. -
Mentre cercava di non pensare ad una possibile coppia sapientino-prima della classe, Rosaria cambiò il tono del discorso, buttandolo sullo scherzoso:
- Com’è questa Cecilia, è bella? Ti piace? -
- Carina - rispose lui, fin troppo serioso - e poi è simpatica ed intelligente. Anche lei ha detto che siamo lontani da una soluzione del problema. -
“Tombola, una coppia di mostri” pensò Rosaria, prima di venire sollecitata a sua volta:
- E tu, raccontami qualcosa del tuo lavoro, lo sai che mi piace. -
Colse la palla al balzo per cambiare discorso:
- Sai la novità? Mi ha telefonato il commissario Berta da Como; si sono decisi a fare un sopraluogo domani in Val d’Intelvi e mi ha invitata a partecipare. -
- E tu ci vai? -
- Sì, ho accettato. Così forse sarò in grado di toglierti la curiosità sulla scomparsa della tedesca. -
Martino si concentrò a lungo sulla pizza, da cui prelevò alcuni grossi bocconi. Poi rialzò la testa riccioluta e concluse la conversazione:
- Se ci vai, stai attenta agli strapiombi. -

La strada per il Boffalora era sempre un’avventura per un’auto che non fosse propriamente un fuoristrada: un lungo sterrato che si inerpicava tra i faggeti, con buche che sembravano disseminate ad arte per scoraggiare il turista di passaggio.
Rosaria la conosceva bene e non si fece impressionare più di tanto, guadagnando senza troppo sforzo quell’ultimo tratto finalmente asfaltato che portava al bivio del Venini.
Sulla destra, si apriva un’ampia zona adibita a parcheggio, dove riconobbe immediatamente le varie auto della Polizia comasca e un gruppo di persone che sembrava in attesa di lei.
Berta le venne incontro, staccandosi dal gruppo assieme ad una giovane donna. Provò a giocare d’anticipo:
- Ciao Andrea, non sono mica in ritardo, vero? -
- Che dici, Rosaria, sei in anticipo di dieci minuti. Noi siamo venuti prima per dei rilievi e per stabilire il piano d’azione - poi, indicando col mento la donna - lei è l’ispettore Valeria Franchini, responsabile dell’inchiesta e delle operazioni in loco. -
Si strinsero la mano cordialmente. Rosaria non poté fare a meno di ammirare quel viso straordinariamente dolce per un poliziotto, con degli impagabili occhi azzurri che ne illuminavano lo sguardo. Sorrise al pensiero che sia Derio che Berta avevano menzionato l’ispettore Franchini senza precisare che si trattava di una donna. Probabilmente Derio non lo sapeva e non l’aveva mai incontrata, sennò…
Fatte le presentazioni, Berta la prese sottobraccio e la trascinò a qualche metro di distanza.
- Devo dirti una cosa, Rosaria. Ieri sera mi ha telefonato Ferruccio, il gestore del rifugio Venini: non so come, ha saputo che avremmo effettuato un sopraluogo oggi. Così, oltre a lamentarsi per gli interrogatori a cui è stato sottoposto, si è detto molto preoccupato per il sopraluogo. Per paura di perdere clienti, ha detto, ma a me è sembrato agitato oltre misura. -
- Sicuro che fosse il gestore, o solo che il numero chiamante era quello del rifugio? - domandò Rosaria, pensando ai dubbi di Martino su Derio.
Berta sembrò per un attimo colto di sorpresa, poi scosse la testa con decisione:
- No, lo conosco bene, era la sua voce. Comunque, vorrei proporti di andare al rifugio, io e te, mentre gli altri frugano il posto. Così gli facciamo qualche domanda e fiutiamo che aria tira. -
Mentre salivano i quattro chilometri che conducevano al rifugio, Rosaria domandò:
- Tu ci sei mai stato, al Venini? -
- Me ne vergogno un po’, ma devo dire di no. L’inchiesta è nelle mani di Valeria e non voglio fare la figura dell’impiccione che non si fida. -
- Allora fermiamoci all’Alpe di Lenno e facciamo l’ultimo pezzo a piedi, così ti rendi conto del contesto. -
Dopo una serie di curve, Rosaria indicò un ampio slargo sulla sinistra, dove gli suggerì di parcheggiare l’auto.
Durante la breve camminata si fermarono più volte a valutare quello strapiombo erboso che avrebbe ingoiato Ursula, se l’incidente fosse stato confermato.
Dal ciglio della strada potevano vedere i poliziotti che si muovevano attorno alla macchia di alberi, centinaia di metri più sotto.
- Rosaria, se devo essere sincero vengono le vertigini anche a me, solo a guardare il pendio. Però non riesco a credere che uno possa cadere di sotto per un capogiro. -
Non ebbero il tempo di fare domande e nemmeno di arrivare al Venini, perché durante una delle soste videro salire un’auto della Polizia. Giunta a pochi metri da loro, l’auto inchiodò e ne balzò fuori Valeria Franchini che corse trafelata verso Berta:
- L’abbiamo trovata, Andrea. Non oso dirti in che stato, ma dalle descrizioni in nostro possesso sembra che non ci siano dubbi: è lei. Comunque ci sta lavorando il dottor Pucci della Scientifica. Stasera o domani al massimo sapremo qualcosa di più preciso. -
Berta e Rosaria corsero istintivamente verso l’auto parcheggiata all’Alpe di Lenno e ripartirono decisi al seguito dell’ispettore Franchini lungo la discesa, anche se conoscevano bene l’inutilità di quella corsa.

Quella sera, l’aura gelida della morte rischiava di seguire il commissario Campo nella sua casa di Milano, coinvolgendo in qualche modo il figlio.
Perciò, nell’intento di prevenire un’atmosfera greve, sulla strada del ritorno si era fermata a Ponna ad acquistare le rinomate polpette del macellaio del posto, sperando che lo sfrigolio dell’olio nella padella e il profumo inebriante della carne genuina che friggeva avrebbero spostato sul ‘bello’ il barometro dell’umore di entrambi.
Appena seduti a tavola, infatti, Martino si era informato sulla provenienza di quelle palle di carne trita che facevano segnare un salto di qualità alle loro abitudini gastronomiche.
- Sono del macellaio di Ponna, unico negoziante superstite in un paesino di poche anime - aveva spiegato Rosaria, aggiungendo entusiasta - ho comprato tutte quelle che aveva, così quelle che avanzano le surgelo. -
Vide due grossi punti interrogativi dipingersi negli occhioni neri del figlio, prima ancora di tradursi in parole:
- Ponna? -
- Sì. E’ un paesino minuscolo che domenica abbiamo lasciato alla nostra sinistra, prima di salire al Boffalora. Sai, dove inizia quella strada stretta che ci passa a mala pena un’auto. Il macellaio è un mito, ti assicuro. -
Martino biascicò a bocca piena:
- Hai proprio ragione, è squisita. Ma tu, com’è che conosci così bene la Val d’Intelvi e tutti i suoi minuscoli paesini? -
Rosaria percepì l’insidia e cercò di rimanere nel vago:
- Degli amici hanno una casetta da quelle parti -
- Amici? Perché non li conosco? Uomo o donna? -
- Tutti e due, una coppia - ribatté, esasperata da quell’interrogatorio nel quale riconosceva un’assurda punta di gelosia.
Accompagnò con una smorfia lo sforzo di svitare il tappo di un vasetto di carciofini alla brace che distribuì sui due piatti prima di aggiungere:
- Il ‘mito’ ha anche delle salsicce squisite, fatte da lui! -
Si pentì subito di quella precisazione, leggendo il muto rimprovero sul volto del figlio che significava “Perché non le hai prese?”, ma preferì abbassare lo sguardo e tacere.
Da quel momento, fu come se lo spettro di Ursula scendesse sulla stanza, con madre e figlio sprofondati in un silenzio cupo, interrotto solamente dal rumore di mandibole e delle posate sui piatti.
Rosaria ripensava ai tragici momenti del ritrovamento del cadavere e Martino sembrava inconsciamente associarsi a lei.
Dopo alcuni minuti, il bimbo ebbe il coraggio di domandare:
- L’avete trovata? -
Rosaria assentì con un cenno del capo.
- Dove? -
- Quattrocento metri più in basso. -
Fu il turno di Martino di assentire con il capo, prima di chiudersi in  un lugubre mutismo.
Il silenzio fu rotto dopo alcuni minuti dallo squillo del telefono, cui Rosaria reagì nervosamente, scattando dalla sedia. Colloquiò brevemente e a bassa voce, nel tentativo di non coinvolgere il figlio nella vicenda.
- Chi era? - la bloccò subito Martino.
Lei prese tempo, si sedette, rimise a posto il tovagliolo e ricominciò a mangiare. Volendo sdrammatizzare la situazione, rispose in tono quasi scherzoso:
- Era Berta, il collega di Como. La Scientifica è già a buon punto con le analisi - e dopo una breve pausa, cercando di buttarla sullo scherzo - comunque, non ha trovato nessuna traccia di mucca! -
- E cosa hanno trovato? -
- Tracce d’erba, di terra e qualche pelo d’animale, ma niente mucche - insistette, sperando di sfuggire ad altre domande sull’argomento.
Martino tacque per diversi secondi, come se stesse rimuginando qualcosa; poi alzò gli occhi verso la mamma e parlò:
- Grigi e neri? -
Rosaria restò bloccata con la forchetta a mezz’aria, in cui aveva infilzato un carciofino; trasecolava, ma cercò di sembrare indifferente:
- Grigi e neri… che cosa? -
‘Sapientino’ assunse la consueta aria annoiata e precisò:
- I peli che hanno trovato, sono grigi e neri? -
Lei posò il carciofino sul piatto e lo scrutò, domandandosi se quel figlio esile e riccioluto non avesse per caso delle doti divinatorie. Infine:
- Pare di sì, ma tu come lo sai? Sei forse entrato come hacker nella rete della Polizia di Como? -
- Sulle mucche ormai mi hai convinto - rispose lui - una persona qualunque farebbe in tempo a scansarle. Per contro, ti ricordi la capra leader? Era grigia con un profilo nero; da quello che ho letto una capra così intelligente, ammaestrata, può davvero avventarsi su una persona e farla precipitare. -
Lo guardò esterrefatta, prima di reagire:
- Martino mio, non ti sembra di volare troppo con la fantasia? Io non ricordavo nemmeno di che colore fosse la capra; pensavo fosse bianca come tutte le altre. -
- Io sì - rispose il bimbo con un tono autorevole che, non ammettendo repliche, pose inevitabilmente fine alla conversazione.

La giornata successiva, alla Centrale di Polizia, il commissario Rosaria Campo apparve stranamente nervosa e distratta.
Aveva deciso di aspettare ulteriori notizie da Berta per non dimostrarsi ansiosa; tuttavia la voce di Martino le risuonava continuamente nelle orecchie “una capra così, ammaestrata…”. Possibile che il figlio undicenne avesse istintivamente trovato la chiave dell’enigma? E questo avrebbe forse fatto convergere i sospetti sul pastore Desiderio?
Resistette fino alle quattro del pomeriggio, poi acchiappò il cellulare e chiamò Berta.
- Rosaria, stavo proprio per chiamarti, per aggiornarti sulla situazione -
“Chissà se è vero” pensò lei, ma decise di stare al gioco:
- Hai novità sul caso Ursula? -
- Sì, i peli grigi e neri sono di una capra, di un gregge che Ursula frequentava abitualmente. Insomma, una capra diversa dalle altre, tutto qui. Sotto le unghie della poveretta, i prevedibili accumuli di erba e terra di chi precipita e cerca di aggrapparsi inutilmente al terreno. -
- Perciò puoi escludere l’ipotesi di suicidio. -
- Sì, a meno di un pentimento tardivo, che mi sembra poco probabile. Anche perché abbiamo identificato il punto dove la donna è precipitata e le impronte delle dita iniziano subito. Sarei quindi orientato ad archiviare il caso come morte accidentale. -
- Ciò vuol dire che Ursula ha avuto un malore ed è volata di sotto? -
Le parve di percepire un imbarazzato silenzio dall’altra parte; infine Andrea Berta riprese la conversazione:
- Questo, se vuoi, è il tassello mancante. Dalla perizia necroscopica non risulta che la donna abbia avuto un malore prima di cadere - tirò un lungo sospiro prima di concludere - però sai, anche l’autopsia, con un cadavere in quelle condizioni, non si può pretendere che dia certezze assolute. -
Rosaria non sapeva come comportarsi, arrovellandosi nel dilemma se fare la rompiscatole o lasciar correre. Non sfuggiva peraltro al suo animo di poliziotta che il secondo atteggiamento poteva implicare che un assassino l’avrebbe fatta franca.
Trovò infine un modo soft per ottenere una dilazione del verdetto:
- Andrea, perché non ti prendi un giorno per riflettere? Domani vengo a trovarti, diciamo in mattinata verso le undici. Ne parliamo con calma e poi decidi. -
Aveva fatto centro. Berta sembrava non aspettare altro che un buon motivo per temporeggiare e ottenere un aiuto esterno:
- Benissimo - disse - analizziamo insieme il caso e decidiamo insieme. Poi ti porto a pranzo in un posticino sul lago, fantastico: sono sicuro che non lo conosci. -
- Speriamo che non sia una locanda con camere perché le detesto - ribatté lei, gelandolo - piuttosto, tieni pronta un’auto se dovessimo fare quel sopraluogo al Venini che non abbiamo fatto l’altra giorno. -
Berta reagì perplesso:
- Rosaria, tieni presente che Valeria c’è stata più volte e ha interrogato tutti, senza ricavarne il minimo indizio o sospetto. C’è forse qualcosa che non so? -
- No, niente. Solo che mi sembra meglio non chiudere il caso senza rendersi conto di persona. A volte ti vengono delle folgorazioni, no? -
- Hai ragione - sospirò Berta - ti aspetto domani. Ciao. -
- Ciao. -

L’indomani, il campanile della chiesa vicina al commissariato di Como stava suonando le undici e trenta, quando tre persone discutevano animatamente intorno al tavolo della sala riunioni.
- Lasciami riassumere, Rosaria. Tu hai visto, durante un’escursione al Venini, la mandria di capre del pastore Desiderio, una tua vecchia conoscenza. Questa mandria era diretta, per così dire, da una capra leader che faceva praticamente le funzioni di un cane pastore. -
- Esattamente - confermò la donna - ma fin qua niente di strano: solo dei cittadini come me e Martino potevano meravigliarsi di una cosa probabilmente normale. -
- Sì, ma se capisco bene, secondo te questa capra leader potrebbe essersi trasformata in capra killer, spingendo la povera Ursula giù per il dirupo. Mi sembra poco credibile, perché non ho mai sentito che le capre attacchino l’uomo. -
Valeria, fino a quel momento taciturna, reagì d’istinto:
- Io non lo escluderei - disse - perché i comportamenti degli animali possono essere imprevedibili. Oppure pilotati. -
- Pilotati? - ripeté Andrea, perplesso - Tu pensi che si possa ‘pilotare’ una capra? -
- Scusa, l’hai detto tu stesso - insistette Valeria - che quella capra si comporta come un cane pastore: vuoi dire che un cane non può essere aizzato contro qualcuno? -
Rosaria sorrise, annuendo:
- Proprio così. Riconosco che non è molto probabile, ma vale la pena di fare una verifica prima di archiviare il caso. C’è anche la circostanza che i peli di animale trovati sul corpo di Ursula sono grigi e neri, come quelli della capra leader che ho visto io. -
- Propongo una ricognizione - concluse Valeria, aggiungendo: - Rosaria, tu vieni con noi, spero. -
- Certo - rispose il commissario milanese, leggendo l’espressione di sollievo sul viso di Andrea: Valeria l’aveva presa bene. Anzi, stava cavalcando l’ipotesi della capra killer come se fosse sua.

Il PM Fabio Fioravanti gettò una rapida occhiata all’orologio a pendolo che campeggiava sul muro di fronte: erano le sei del pomeriggio e quella lunga giornata di lavoro non sembrava intenzionata a finire. E pensare che aveva promesso a Ornella di andare a fare yoga assieme: la seduta iniziava alle sei e mezza e anche stavolta si vedeva costretto a disertare l’appuntamento.
- Scusate un attimo - disse alle tre persone che sedevano di fronte a lui. Digitò rapidamente un sms di scuse, preferendo di gran lunga rifugiarsi nel messaggino piuttosto che arginare l’impatto vocale della fidanzata furente.
Inviato il messaggio, rilesse con calma l’ordinanza di arresto, nonché la richiesta di convalida indirizzata al GIP che gli veniva chiesto di firmare. Si appoggiò allo schienale nella posizione più rilassata possibile e posò uno sguardo circolare sui tre interlocutori, prima di fermarlo sull’unico uomo del terzetto.
- Allora, Berta, mi vuole raccontare come sono andate le cose? Ieri sera eravamo vicini all’archiviazione e ora è tutto cambiato. Penso di aver diritto a delle spiegazioni - disse, mitigando la frase un po’ dura con un sorriso d’incoraggiamento.
- Certo dottore - replicò Berta, tradendo una buona dose d’ansia - vede, tutto è nato da una brillante idea della mia collega di Milano Rosaria Campo che, durante una gita con il figlio, ebbe modo di notare una capra grigia profilata di nero, esattamente il colore dei peli ritrovati sul corpo della defunta Ursula Rilke. -
Fioravanti strabuzzò gli occhi dalla meraviglia, domandandosi se lo stimato commissario Berta si fosse lasciato coinvolgere in una sorta di caccia alle streghe.
- Un indizio piuttosto labile - interloquì, mentre un duplice squillo del cellulare gli segnalava l’arrivo della risposta di Ornella - scusate ancora un attimo. -
Si chinò a leggere “Sei il solito stronzo! Riesci ad arrivare almeno per cena?” e a rispondere laconicamente “Certamente”, pur non essendone così sicuro.
- Ha ragione, dottore, un indizio labile, che mi aveva portato ieri, come lei ha correttamente osservato, molto vicino all’archiviazione del caso. Mi lasci però dire che il colore dei peli va associato ad un altro fatto: la capra in questione non è un animale qualunque, bensì una capra leader, cioè un maschio che dirigeva il gregge come se fosse un cane pastore… non so se mi spiego. -
- No, che storia è mai questa? Non ci capisco niente. -
- Il commissario vuol dire che abbiamo deciso di fare un sopraluogo - intervenne Valeria, vedendo il capo in difficoltà - siamo saliti questa mattina all’alpeggio, abbiamo osservato il gregge, il comportamento da leader della capra grigio-nera, i brevi richiami eeh…eeh… che Rosaria, il commissario Campo, aveva descritto perfettamente. Quindi abbiamo chiesto a Desiderio, il pastore, di far avvicinare quella capra. -
- Chi altro era presente, oltre al pastore? -
- La moglie Norma - rispose Berta - che però si teneva in disparte. A quel punto, ho cercato di provocare questo Derio, come lo chiamano in valle: l’ho accusato di aver causato la caduta e la morte di Ursula aizzandole contro la capra. Volevo vedere come reagiva e se si contraddiceva. -
- E lui? -
- Lui negava. Sosteneva che le capre possono essere istruite, ma non aizzate a piacimento. -
- Onestamente, è quello che penserei anch’io - intervenne ancora il PM. Andrea trattenne a stento un risolino.
- Allora ho pensato di tirargli uno scherzo, diciamo così, pesante. Vista la capra orientata dritta verso Rosaria, ho provato ad aizzarla; non sapendo quale potesse essere il comando, ho utilizzato, tutti assieme, lo stesso eeh della capra, un vai! perentorio, infine una adeguata manata sul di dietro. -
- Immagino che la capra sia rimasta ferma  - replicò il PM che cominciava ad essere stufo di tutta quella manfrina.
- Ferma? - interloquì l’ispettore Franchini - Vedesse che scatto in avanti: puntava dritto su Rosaria Campo… -
Il PM impallidì:
- Berta, ma si rende conto del rischio? Se buttava giù dal dirupo anche il commissario di Milano finivamo, lei, io e l’intera Polizia di Como, su tutti i giornali d’Italia. -
- Non sottovaluti il commissario Berta - intervenne a quel punto Rosaria - innanzi tutto, prima di agire ci siamo scambiati un cenno d’intesa previamente concordato. Inoltre, io mi ero tenuta rigorosamente in mezzo alla strada per cui, anche se la capra mi avesse investito, sarei al massimo caduta sul posto. Ma non è successo: sono abbastanza allenata a schivare i pericoli e mi sono scansata in tempo per evitare l’urto. -
- Bene - disse Fioravanti che cominciava a spazientirsi - alla fine di questa commedia dell’arte quali sono le conclusioni? -
- Le conclusioni, dottore, sono nel registratore tascabile di Valeria. La moglie del pastore, Norma, di fronte alla prova che la capra rispondeva ai comandi, è venuta verso di noi e ci ha vomitato addosso la verità. Valeria, fai sentire al dottore. -
L’ispettore Valeria Franchini scosse la chioma bionda come a liberarsi dell’imbarazzo che la coglieva sempre nei momenti importanti, appoggiò il registratore sul tavolo e avviò la riproduzione. Dopo qualche secondo di rumore di fondo si udì nitidamente una voce stridula di donna:
“Una zoccola, ecco cos’era quella Ursula, una ninfomane senza pudore. L’avevo già vista con altri uomini, dalle parti del rifugio. Ma da giorni aveva preso a ronzare intorno a Derio. Me ne sono accorta subito, poi li ho visti andare verso il capanno, una, due, tre volte; tornavano separatamente, ma allegri, felici tutti e due. Io, io l’ho uccisa, quella zoccola schifosa. Non meritava di vivere, di spassarsela con il mio Derio davanti ai miei occhi, mentre io ero qua a lavorare ai formaggi. Io, sìììì, sono stata ioooo!!!”
La registrazione finiva con un urlo straziante seguito da un lungo pianto. Il PM sollevò gli occhi verso Berta:
- Quindi, questa Norma… - gettò un’occhiata al documento - Norma Calligari è rea confessa. -
- Sì, dottore - rispose Berta - mi sembra che non ci siano dubbi. -
“Potevano dirmelo prima, avrei forse evitato la lite con Ornella” pensò Fioravanti mentre firmava frettolosamente l’atto. Si alzò e infilò nella borsa il pc portatile oltre a numerose cartelle, richiuse e salutò:
- Arrivederci all’udienza di convalida - disse prendendo commiato. Ma prima ancora di lasciare la scrivania ci ripensò:
- E lui? - vide lo sguardo interdetto dei tre e proseguì - Lui, quello con il nome buffo, il pastore insomma, quello che sembrava il principale indiziato. -
Andrea Berta fece un cenno negativo con il capo:
- Desiderio secondo noi è innocente. Quando la moglie ha confessato è collassato a terra con le mani sugli occhi. Era spontaneo, scuoteva la testa e ripeteva di continuo “Non ci posso credere… non può essere… non ci posso credere…”. Gli abbiamo parlato a lungo: si sente in colpa per aver scatenato la crisi di gelosia della moglie, ma siamo convinti che con l’omicidio non c’entra. -
Il PM Fioravanti aveva una fretta evidente, ma non era tipo che amava prendere le cose alla leggera, né soprattutto lasciarle incompiute. Perciò incalzò nuovamente Berta:
- E i sospetti sul gestore del rifugio? E la donna vista da Desiderio e la moglie a San Fedele? -
Berta ebbe un sorriso stanco:
- Ferruccio, il gestore del rifugio, mi ha deluso come uomo, ma è solo un approfittatore da strapazzo; ha imboscato l’i-pad perché conteneva delle foto compromettenti relative ai suoi rapporti con la tedesca e voleva evitare che la cosa giungesse agli occhi e alle orecchie della moglie. Inoltre, già che c’era, ha sperato di acquisire gratuitamente un i-pad. Per quel che riguarda la donna di San Fedele, invece, la faccenda potrebbe essere più seria. -
Fioravanti aggrottò le sopracciglia:
- Cioè? -
- Voglio dire… - replicò il commissario - si tratta ovviamente di una sosia; sospetto però che questa sosia possa aver agito in accordo con la moglie di Derio, Norma, che ha ucciso Ursula. Norma potrebbe aver usato una donna, forse un’amica, per depistarci; trovo infatti molto strane queste sue apparizioni e scomparse repentine, senza lasciare la minima traccia. Insomma, sembrano delle apparizioni studiate, per cui sto ancora valutando se aprire una denuncia contro ignoti per favoreggiamento. Mi domando però quante probabilità abbiamo di rintracciarla. -
“Tosto e realista al tempo stesso, questo Berta” pensò il PM annuendo, prima di salutare nuovamente, ringraziare tutti e uscire dall’ufficio. Appena fuori, digitò velocemente sul telefonino un laconico “Arrivo per cena”.

Abbracciati i colleghi, Rosaria aspettò che il PM si fosse allontanato prima di salire sull’automobile e mandare un messaggio a Martino:
“Caso risolto. Arrivo tardi ma arrivo. Non preparare niente perché ho comprato le salsicce del mitico macellaio.”
Si stupì che non arrivasse subito la risposta; “Chissà in quale lettura si è perso” pensò, mentre avviava il motore. Percorse un paio di chilometri prima che il doppio squillo del telefonino la facesse sobbalzare.
Accostò con i quattro fari di segnalazione accesi e lesse sorridendo:
“Salsicce, WOW!!! Rimetto subito i bastoncini di pesce nel freezer.”
Allora lo chiamò:
- Bravo, mettili via prima che si scongelino - poi, con voce dolce -  scusa, dimenticavo di farti i complimenti: il tuo contributo alla soluzione del caso… -
Martino non le lasciò terminare la frase, concludendo con una risata:
“Lo sapevo, le capre sono molto intelligenti. Anche troppo!”

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