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lunedì 1 aprile 2019

BAR SHADOW

                             
di Sandra Romanelli                                                              

Edward Hopper- Dipinto del 1927
                                                                                 
Il Bar Shadow, dove Sara aveva dato appuntamento a Nathalie, non era un luogo ben frequentato. 
Nathalie   aveva ordinato e già terminato di bere un pessimo caffè, ed ora stava giocherellando  con il cucchiaino, cercando di mettersi a suo agio, in un luogo che, per lei,  non aveva nulla di confortante.

 
Si  guardò attorno: gli avventori erano trasandati e rumorosi, ma per fortuna non si curavano affatto di lei.
L’uomo al banco invece, tra un bicchiere e l’altro le gettava un’occhiata che l'infastidiva. Forse la causa era la sua scollatura. Per il caldo e il senso di disagio che provava là dentro, si era tolto il foulard di seta che le copriva il collo e nascondeva parzialmente il seno.
L’ambiente era grigio,  anonimo e non troppo illuminato.
Nathalie  si era seduta non lontano dalla vetrata: i luoghi scarsamente illuminati le procuravano un senso di angoscia.
Nell’ angolo più buio della stanza, notò una strana coppia: stavano discutendo ad alta voce, ma in quell’ambiente squallido, ciò non destava alcun interesse, per  gli altri.
Nathalie, invece, ne fu subito turbata.
Vide la donna, una bruna con lunghi capelli ricci, un po’ scomposti, fare l’atto di alzarsi per andarsene.
«Ti dico e ti ripeto che non voglio vederti più! Basta, è finita!»
A quelle parole l’uomo che le sedeva accanto la trattenne, tirandola per un braccio e la obbligò a  tornare al tavolo.
L’uomo al banco, questa volta sembrò interessarsi a quel diverbio, ma appena la donna tornò a sedersi, lui si rimise ad occuparsi dei suoi bicchieri.
Nathalie  pensò che quel tipo che aveva trattenuto la donna bruna aveva un aspetto davvero inquietante: i suoi gesti erano sgarbati ed eccessivi, le ciglia nere e folte rendevano cupo il suo sguardo inferocito. La donna invece aveva un volto dolce e uno sguardo implorante.

Dopo essere stata obbligata dall’uomo, a sedersi, iniziò a parlare con un tono  più calmo di prima e più titubante, ma le sue parole venivano immediatamente interrotte e sopraffatte dalla furia dell’uomo.

Nathalie  appoggiò le mani sulla borsa che aveva posto sul  tavolino e la tormentò un poco, a causa di un visibile nervosismo che non riusciva a nascondere, ma notò  subito che la tovaglietta che lo ricopriva era lisa e sembrava anche poco pulita. Provò un senso di disgusto e di sconforto.
Come aveva potuto una persona così precisa ed elegante come Sara, darle  appuntamento  in un luogo così?
A un tratto alzò gli occhi. Proprio di fronte a lei, sul muro grigio un po’ scrostato, c’era un orologio a muro. Vide l’ora e notò che il  ritardo ingiustificato dell’amica aveva superato ogni possibile previsione: era veramente seccata,  non poteva sopportarlo.
Provò a chiamarla al cellulare, ma il numero risultava irraggiungibile.
A Nathalie venne il dubbio di aver sbagliato locale perciò si alzò velocemente e andò alla cassa  per pagare la consumazione. Mentre  si affrettava verso l’uscita, sentì l’uomo al banco che la richiamava.
« Signora, è suo quel foulard?»
Si  accorse subito che in effetti le mancava il foulard, si voltò, ma da lontano non vedeva nulla sul tavolino. Guardò l’uomo al banco con aria interrogativa. Non le piaceva nemmeno lui, aveva qualcosa di sgradevole nei modi.
« Sulla sedia… c’è un foulard!…» disse l’uomo, con accento scostante.
«  Ah, grazie! »
 Nathalie tornò indietro malvolentieri, passò accanto a un  tavolo dov’erano  seduti alcuni uomini che giocavano a carte e intanto bevevano e imprecavano.
Si avvicinò al tavolino dove aveva inutilmente aspettato l’amica Sara e si piegò per recuperare il suo indumento.
Aveva già il foulard tra le mani quando sentì, alle sue spalle, un urlo.
Tutti gli avventori ammutolirono immediatamente. Nathalie provò un brivido lungo la schiena e, lentamente, si voltò.
Nell’angolo più buio della stanza, la donna bruna dai lunghi capelli ricci giaceva a terra, con un pugnale piantato nel cuore.


















                                    


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