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Sorrow, disegno di Vincent van Gogh, 1882 |
(di Giovanna Rotondo)
“Nessuna donna,
nessun bambino, dovrebbe essere mai abbandonato a se stesso”. Pensa Vincent,
guardando la donna che si porta appresso una bimbetta di circa quattro o cinque
anni. Tutt’e due emaciate, vestite poveramente, lei incinta, sembra, di pochi
mesi. Una grande stanchezza emana dal suo aspetto misero, una stanchezza che
viene da lontano. Vincent non lo tollera, non riesce a guardarla, gli fa male
tanta sofferenza. “Devo parlarle, devo”. Un impulso, più forte della ragione,
lo spinge.
Non sa che cosa
dire, forse potrebbe offrire a lei e alla bimba qualcosa da mangiare, va loro
incontro:
“Sono Vincent,
balbetta”, sentendosi arrossire “vorrei fare qualcosa per te e la piccola.
Volete mangiare qualcosa?”
Lei non dice
niente, lo guarda con occhi spenti, sta male.
“C’è un luogo
dove possiamo andare? Dove abiti?”
“Vieni, ti porto
nella mia stanza. Non è molto lontano da qui”.
Per strada, si
ferma a comprare del pane e del latte. Quando arrivano a destinazione, lei si
lascia andare sul letto, sfinita, e si addormenta dopo pochi minuti. Vincent
prepara del latte in una scodella e mette il pane su un piatto. La bimba beve a
piccoli sorsi, con avidità. Poi si corica vicino a sua madre. Lui le copre con
una coperta, fa freddo ma non ha legna per il fuoco, né soldi per comprarla.
Ricorda i bimbi magri ed emaciati che vedeva nel distretto minerario di Wasmes,
ai tempi in cui faceva il predicatore: avrebbe dato la vita per aiutarli! Si
chiedeva spesso le ragioni per cui tante persone vivano nella povertà più
assoluta, senza averne colpa, e altre nell’opulenza, senza averne merito.
La sua famiglia
di origine non era benestante, ma gli aveva permesso di studiare e lavorare;
lui era grato ai suoi genitori e al destino per avergli consentito tutto ciò.
La donna e la
bimba non erano state altrettanto fortunate, apparivano sole, disperate e
senz’aiuto!
Si rannicchia ai
piedi del letto, coprendosi con qualsiasi cosa potesse servirgli per sentire
meno il freddo, e si addormenta con un’espressione corrucciata sul viso.
Si sveglia
presto, intirizzito, esce per vedere di raccattare qualche ramo da bruciare,
delle foglie: c’è un giardino con molti alberi, non lontano, si avvia in quella
direzione portando un sacco vuoto sulle spalle. Riesce a riempirlo di legnetti
e foglie non troppo umide e torna alla sua stanza, sollevato. “Devo scrivere a
Theo, ai miei genitori” pensa “devo chiedergli di mandarmi qualche soldo in
più, questo mese”.
La mamma e la
bimba non si sono ancora svegliate, Vincent accende il fuoco e prepara alcune
patate, l’unico cibo in casa, da cuocere sotto la cenere. C’è ancora del latte
e del pane. “Per oggi abbiamo da mangiare” pensa.
La donna si
sveglia per prima, non dice nulla e lo guarda per qualche tempo, fino a quando
lui non avverte lo sguardo di lei:
“Buongiorno,
spero tu abbia dormito bene, ho acceso il fuoco, c’è del pane e del latte e
delle patate”.
Glielo dice quasi
a volersi scusare della povertà del suo alloggio. Lei incomincia a tossire: ha
una brutta tosse.
“Grazie, mi chiamo Sien e lei è mia figlia Maria. Sei gentile e buono”.
Vincent si sente
imbarazzato dal complimento, non è avvezzo a sentirsi lodare e abbassa gli
occhi.
Poi, pian piano,
lei racconta la sua vita, non dice molto, non ce n’è bisogno; la sua storia è
scritta in ogni angolo del suo essere: una vita fatta di stenti, di
umiliazioni, nella quale tenta di guadagnarsi da vivere cucendo e facendo
pulizie qua e là, i guadagni sono miseri, non le consentono quasi di vivere.
Parla del bimbo che deve nascere, della povertà e delle malattie che l’hanno
sopraffatta, di sua figlia, di quelli non sopravvissuti. Della strada a cui
ricorre per guadagnare qualche soldo in più. Poi tace, esausta. Lui le porge
del latte caldo e del pane, con un carezza fuggevole e tenera, suo malgrado:
“Bevi qualcosa,
ti sentirai meglio!”
Dopo aver bevuto
il latte, lei si assopisce di nuovo.
Vincent la guarda
a lungo, avrebbe potuto essere graziosa, se il suo viso magro non fosse stato
segnato dalle malattie. Non in modo grave, ma sufficiente per privarla della
sua bellezza.
Deve aiutarla a
stare meglio, pensa che potrebbe tenere la donna e la bimba con sé.
Anzi, vuole
tenerle con sé, viene travolto da una grande tenerezza per quelle due povere
creature abbandonate, considera tutto ciò di cui avranno bisogno e a come
sopravvivere: “L’inverno volge al termine, presto l’aria diventerà più mite e
tutto sarà più facile” queste riflessioni lo fanno sentire più fiducioso.
Potrebbe
chiederle di essere la sua modella. Ha un estremo bisogno di avere una modella.
La pagherà per il suo lavoro. Possono trovare un luogo più grande, con una
stanza in più dove lui potrà dipingere. Si ricorda di aver visto, in fondo alla
strada, uno studio che potrebbe essere diviso in due e una parte diventare
alloggio. Non è caro perché si trova in un luogo molto povero della città e
nessuna persona benestante vi andrebbe ad abitare. La sua mente corre. E scrive
a suo fratello Theo, chiedendogli un aiuto finanziario.
I giorni seguenti
si occupa di Sien, la cura, esce spesso in cerca di legna per mantenere un poco
di tepore nella stanza. E lei migliora.
Vincent riceve
del denaro da suo fratello e fa progetti per trasferirsi nel nuovo
alloggio-studio. Per guadagnare qualcosa, accetta piccoli lavori manuali e
offre dei disegni in cambio di oggetti che possono servire alla loro vita
quotidiana. E’ contento, ha sempre desiderato un famiglia e si illude di
poterne avere una.
Ama raccontare
storie alla piccola Maria e lei ama ascoltarle. Talvolta lo guarda incredula,
nessuno le aveva mai raccontato delle storie prima di allora. Le piacciono
tutte, soprattutto quella dei bambini che seguono il pifferaio magico, ogni
volta lui inventa un finale diverso e lei non capisce perché i bambini
seguissero il suono del flauto:
“Ma proprio tutti
i bambini seguono il pifferaio, non ce n’è qualcuno che rimane con la sua
mamma?” gli chiede un giorno più curiosa che preoccupata.
Quando si
trasferiscono nello studio in fondo alla strada, Vincent lo divide in due con
dei vecchi sacchi che Sien cuce in un grande rettangolo.
E’ passato più un
mese da quando ha trovato Sien e Maria che vagavano sole per la strada e se l’è
portate a casa, avvertendo da subito l’impulso di proteggerle e passare con
loro il resto della sua vita. Ma Vincent sente un gran bisogno di dipingere e
disegnare, un bisogno che lo assilla e da cui non può più sottrarsi o ignorare:
“Ho un desiderio
infinito di disegnare e dipingere, poserai per me, Christine?” lui ama
chiamarla con quel nome. Gli sembra di buon augurio per la loro nuova vita. Lei
annuisce. Parla poco Sien, ma i suoi gesti e il suo viso sono molto espressivi:
“Ti pagherò”
prosegue lui, “mi sembra giusto che tu possa avere del denaro per te”.
Sien posa per
lui. Vincent la ritrae in Sorrow, un disegno e non solo uno, in cui lei appare
seduta, nuda, con il viso nascosto sulle ginocchia, un disegno che trasmette un
grande dolore:
“Grazie,
Christine” le dice, “questo disegno mi viene dal cuore”.
Non gli par vero
di avere una modella con cui lavorare. Tale è la sua felicità che non riesce a
non comunicarla a Theo, con il quale ha sempre diviso pensieri, sogni e
scambiato opinioni su tutto. Gli racconta di Sien, della sua vita travagliata,
del bimbo che sarebbe nato e della piccola dolce Maria alla quale lui racconta
le favole e le storie che inventa. Gli confida che finalmente non si sente più
solo. E benché avverta una grande preoccupazione nelle lettere di Theo per la
differenza che lo divide da Sien, dal suo passato, preferisce ignorarla.
Tuttavia si rende
conto che la sua famiglia non accetterà che lui sposi una donna come lei. Una
situazione che non porterà a nulla di buono, e ne è consapevole, ma lui vuole
tanto una famiglia, dei bambini da accudire e amare, una compagna. Quel bimbo
che presto arriverà, lo riempie di gioia:
“Christine, dopo
qualche tempo che sarà nato il bambino potremmo pensare di trasferirci, magari
a Nord, che cosa ne pensi?” le chiede dopo qualche tempo, ma Sien non risponde,
ha timore di allontanarsi dai luoghi in cui ha sempre vissuto, gli unici che
conosce e non sa che cosa dire. Vincent la sollecita:
“Dimmi qualcosa,
o almeno pensaci, vuoi?” aggiunge.
“Sì, ci penserò,
te lo prometto” le sue parole vorrebbero essere di speranza, ma c’è tristezza
nella sua voce.
Intanto il tempo
passa e Sien si ricovera per avere il bambino, non è un parto facile e lei soffre molto, ma anche
Vincent sta male:
“Non riesco a
dormire” le dice quando va a trovarla “ho uno strano malessere dentro di me, ma
faccio finta di niente e vado avanti. Quando tornerai a casa, potremo sposarci.
Diventeremo una famiglia”.
E scrive a suo
fratello:
“Comprendo che i
nostri genitori, i nostri parenti e amici non approveranno, ma questa è una
decisione che riguarda solo me. Spero ti siano piaciuti i disegni che ti ho
inviato”.
Tutti gli amici
l’hanno abbandonato, anche i suoi famigliari,
tranne Theo.
E il bambino
nasce. Un bambino sano. Il parto è stato difficile e Sien è molto provata ma
anche Vincent lo è: è stato qualche giorno in ospedale per quel suo strano
malessere che non lo fa dormire di notte. Quando Sien sta meglio, ritornano
nella loro stanza-studio e Vincent fa molti progetti per il futuro e per il
lavoro
Disegna e dipinge
i bimbi che dormono, Maria, il piccolo Willem, Sien in tanti atteggiamenti di
vita quotidiana:
“Ho sempre
sognato tutto questo” non si stanca mai di ripetere, “Sono felice di poter
lavorare disegnando e dipingendo. Era tanto che aspettavo un momento così. Il
periodo più bello della mia vita”, afferma convinto.
Si rende conto
che deve portare via Sien, stare in quell’ambiente non l’aiuterà, deve portarla
lontano dalla sua famiglia di origine, che ogni tanto si fa vedere e non ha su
di lei un buon impatto. L’unica possibilità che hanno per continuare la loro
vita insieme è di andare a vivere lontano. E incomincia a parlarne:
“Sien, è tempo di
fare progetti e partire. Bisogna farlo per noi e per i bambini”.
“Ma io ho sempre
vissuto qui, qui c’è mia madre, la mia
famiglia. Che cosa farò sola con i bambini in un paese sconosciuto?”
“Non sarai sola,
ci sarò io che penserò a voi, saremo insieme. Non possiamo stare qui, tu
continueresti a fare la tua vita di prima e nulla cambierebbe, lo fai già
adesso, di nascosto, no, non può essere questa la nostra vita futura”.
Lei non dice nulla,
non sa che cosa dire ma sa che non partirà con lui, quella è l’unica vita che
conosce, non riesce a immaginare un’altra vita. Lei ama Vincent e vorrebbe
sposarlo nonostante la sua terribile povertà, ma ha timore che non ce la
faranno a sopravvivere, già adesso vivono con estrema fatica andando a mangiare
alla mensa dei poveri.
“Sono in attesa
di una risposta, appena mi arriverà, dovremo decidere. Io partirò e spero che
tu mi raggiunga con i bambini. Non sarà facile, ma sarà bello ricominciare in
un luogo dove nessuno ci conosce e là ci sposeremo”.
A Theo scrive:
“Mi rendo conto che se avessi un’altra professione non potrei sposare
Christine, ma sono un pittore e questo mi facilita. Devo portarla via di qui,
lontana da questi luoghi. Non penso che Christine sia cattiva o faccia del
male. Lei non sa che cosa sia il bene e se non ha mai visto ciò
che è buono come fa ad essere buona?”.
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