!-- Menù Orizzontale con Sottosezioni Inizio -->

News

mi piace

mercoledì 12 agosto 2015

Mario Levrero, "Il romanzo luminoso"

(a cura di Mimma Zuffi)

Calabuig, pagg. 540 - € 19,00


Storia di una storia impossibile da scrivere. Di una “rotta persa fin dal principio”, di “strade insospettate” e di sentieri oscuri attraverso frammenti dell’inconscio. Perché – dice Mario Levrero nell’incipit de Il romanzo luminoso, “ci sono cose che non si possono narrare, e questo libro è l’esempio di un insuccesso”. Inizia così un’avventura che nasce da un “impulso dettato da un’immagine ossessiva”: raccontare l’esperienza di un’illuminazione. Una sfida che, di fatto, diventa un diario lungo un anno fatto di divagazioni, vagabondaggi, storie che incollano il lettore alla pagina in un caleidoscopio di immagini e aneddoti. Perché, precisa subito l’autore, “i fatti luminosi, se vengono narrati, cessano di essere luminosi, deludono, sembrano sciocchezze. Non sono accessibili alla letteratura, o per lo meno alla mia letteratura”.


Eppure è proprio questo, l’obiettivo dichiarato di quello che Levrero chiama “Diario della borsa” (ricevuta dalla Fondazione Guggenheim per rivedere e ultimare il romanzo): e che prende il via da un “impulso dettato da un’immagine ossessiva”. Ovvero, un amico che “mi aveva spinto a scrivere una storia che io sapevo impossibile da scrivere, e me lo aveva imposto come un dovere; quell’imposizione era rimasta lì, a lavorare nell’ombra, severamente respinta dalla coscienza”. C’è l’idea di riprendere un romanzo lasciato a metà da più di quindici anni, e un sogno che avverte che “non ci riuscirò senza le chiavi di me stesso che io stesso ho nascosto; non le ho nascoste troppo bene, non le ho sepolte nell’inconscio, però mi tocca frugare un po’ nella sabbia del subconscio per farle saltar fuori”.

Comincia così una lunga serie di divagazioni che precipitano il lettore in una dimensione surreale ed estremamente logica allo stesso tempo: un po’ come salire su una giostra, con tutto il divertimento e lo spaesamento di una corsa a velocità folle, mentre le divagazioni - che sembrano distrarre dalla scrittura del libro – in realtà afferrano il lettore, lo divertono, coinvolgendolo in una storia fatta di mille storie che negano di esserlo. Il romanzo luminoso si rifiuta di prendere forma: o meglio, si impossessa del suo autore portandolo fuoripista, in un tentativo – vano - di afferrare l’universo in una serie di spazi circoscritti, al cui centro troneggia il computer, filtro tra sé e il mondo e simbolo dell’inconscio.

Abitato da mille ossessioni e capace di disegnare labirinti immaginari, narratore tanto più abile quando nega di esserlo, assurdo e ironico, Levrero riempie il vuoto di strane attrattive: e racconta una vita normale come il più aggrovigliato degli intrighi. “Avevo la vaga speranza che tutte le linee narrative aperte potessero trovare un qualche genere di conclusione – avverte sapientemente l’autore - naturalmente non è stato così e questo libro, nel suo insieme, è come una mostra o un museo di storie incomplete”.

Pagina dopo pagina, aneddoto dopo aneddoto, l’autore parla dei romanzi gialli che non riesce a smettere di leggere, delle sue relazioni sentimentali, del fatto che è separato, ha cinque nipoti. C’è Chl, la donna amatissima, non più amante ma amica, sorella, custode, con le sue visite, i cibi che cucina per lui, le passeggiate, gli scambi di libri, la presenza più viva del romanzo. E poi i vagabondaggi per le strade di Montevideo, i libri che lo ossessionano, la passione per Internet, la pornografia e la paura della morte, lezioni di yoga e sedute psichiatriche. Racconti che attraversano cinque vasti capitoli che non sono altro che il faticoso tentativo di ritrovare la rotta perduta.

L’idea di creare un ambiente di contorno per ogni fatto luminoso da narrare porta l’autore a “complicarsi la vita” attraverso sentieri oscuri e insospettati, innumerevoli catarsi, “frammenti di me stesso che giacevano sepolti nell’inconscio”, tutto annotato con una scrittura limpida e precisa che regala a ogni dettaglio quotidiano il sapore di un’avventura. In equilibrio perfetto tra realtà e assurdo. 

Mario Levrero – il nome completo è Jorge Mario Varlotta Levrero - è nato a Montevideo nel 1940, e morto nel 2004. Si interessava di ipnosi, fenomeni telepatici, computer e libri gialli, e ha svolto molti mestieri, come il fotografo, il libraio, l’autore di parole crociate e di videogiochi. Ha anche pubblicato una decina di romanzi che lo hanno trasformato in uno scrittore di culto per i lettori e per molti scrittori latinoamericani. La rivista “Granta” lo ha proposto all’attenzione di lettori europei nella rubrica “Best untranslated writers”.

Nessun commento:

Posta un commento