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giovedì 13 agosto 2015

Goli Taraghi, "La signora Melograno"

(a cura di Mimma Zuffi)


Calabuig, pagg. 224 - €14,00

L’incontro avviene in quella terra di mezzo che è l’aeroporto, in un “andirivieni eterno” fatto di “muri di vetro che dividono il gruppo di quelli che rimangono da quelli che partono”. Inizia così, nel limbo affollato dell’Aeroporto di Tehran, volo Air France 726, destinazione Parigi, in un mondo dove tutti sono stranieri a se stessi, l’incontro tra le due donne protagoniste del primo racconto di Goli Taraghi, che dà il titolo alla raccolta, La signora Melograno. Tutto comincia in coda alla dogana: una donna deve rientrare in Francia, dove vive. L’altra donna è un’anziana campagnola, confusa e smarrita, al suo primo viaggio. Deve andare a trovare i suoi figli in Svezia, è vestita a strati per non sentire il freddo e ha una borsa piena di cianfrusaglie: scatole di dolci, un paio di metri di tessuto tipico di Yazd, tazze di plastica, due paia di scarpe maschili, regali per i suoi figli. La seconda valigia è piena di melagrane e melanzane.


È così che il bizzarro trovarsi di due donne agli antipodi si trasforma in un viaggio l’una alla scoperta dell’altra: una vecchia signora che non è mai uscita dal suo villaggio e non sa districarsi tra aerei e controlli doganali si attacca all’altra, costringendola ad aiutarla e raccontandole, con allegria, la sua vita. L’altra, in bilico tra due mondi, è piena di amarezza e ansia verso il futuro. “Ho pensieri oziosi – racconta infatti la protagonista - tipo vado in Francia, ci rimango e non torno più; o fantasie ancora più oziose, immagino di rimanere nella cara Tehran, con i suoi pregi e i suoi difetti e di lì non mi schiodo”.

Sullo sfondo c’è la Storia, l’Iran, la Rivoluzione. Ma in primo piano ci sono le storie, le vite in transito dei protagonisti, con la vitalità struggente che ha solo chi vive in un perenne esilio. “In Svezia non ci sono melanzane – racconta l’anziana signora che si chiama Anar (e che in persiano significa “melograno”) - allora ne ho portato qualche chilo, magari venisse anche lei in Svezia, stasera voglio preparare lo stufato di melanzane, e anche il pollo alle melagrane. Ogni sera cucinerò un piatto iraniano per questi figli ingrati così che gli venga nostalgia di Yazd”.

Le donne protagoniste di Goli Taraghi si adattano, tra tristezza e ironia, ai capovolgimenti di un mondo tutto nuovo. Con lo spaesamento, la curiosità, la dolcezza difficile che prova chi si abbandona ai rivolgimenti della Storia. Sempre stranieri a se stessi – nel loro stesso paese così radicalmente mutato, oppure in luoghi lontani – i protagonisti di Goli Taraghi sono stupefatti, mai sconfitti. E, con ironia, si addentrano in storie sempre un po’ bizzarre, sempre capaci di dire al lettore qualcosa di inatteso su una cultura fascinosa e diversa.

C’è Anar che dopo dieci anni cerca i suoi figli, sradicati dal loro mondo. “Ce ne sono tanti come loro, dovunque vadano si sentono estranei, non trovano pace – riflette la protagonista - vedrà che un giorno i suoi figli torneranno. Felici, si stenderanno all’ombra del melograno a fare un pisolino. Beh, anche partire e ritornare è un modo di vivere”.

L’Iran, coi suoi colori e i suoi profumi, pulsa nelle pagine di Goli Taraghi, anche quando le storie si svolgono a Parigi. La Rivoluzione islamica è presente in ogni racconto, ma non è mai l’argomento centrale. Piuttosto, gli sconvolgimenti politici e sociali agiscono dietro le quinte. E così, la protagonista ripercorre i suoi giorni iraniani, quando era “una studentessa al secondo anno della facoltà di Filosofia, e tutto immaginavo nel mio futuro tranne che sarebbe arrivata la Rivoluzione, che avrebbero chiuso l’università e che mi sarei trasformata in una nomade”.

Invece la Rivoluzione arriva, anche se sembrava che “non ci potesse toccare. Stavamo tranquille con la nostra illusione finché arrivò il decreto di confisca della nostra casa da parte del Tribunale Rivoluzionario: era un’ingiunzione che, in pratica, diceva che i bei giorni erano finiti e dovevamo andarcene”. Iniziano anni di scompiglio, ma anche di biciclettate, lezioni di ballo al femminile. E di inquietudini, come quella che prende la notte quando si “pensa al cielo oltre allo spesso soffitto di gesso, agli ampi spazi, agli orizzonti aperti e alla possibilità di una vita diversa. In un altro posto”.

Goli Taraghi è una delle grandi autrici della letteratura persiana. Nata a Tehran nel 1939, in una famiglia colta e agiata, studia tra Iran e Stati Uniti e comincia a pubblicare negli anni ’60. Nella fase iniziale della Rivoluzione si trasferisce con i figli a Parigi, ma continua a scrivere in persiano. I suoi racconti circolano in Iran, dove la scrittrice è amatissima, ma sono anche tradotti e apprezzati in francese e in inglese. Goli Taraghi è stata nominata Chevalier des Arts et des Lettres e ha ottenuto il Bita Prize for Literature della Stanford University.

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