!-- Menù Orizzontale con Sottosezioni Inizio -->

News

mi piace

mercoledì 10 dicembre 2014

L'umorismo graffiante di Augusto Monterroso

di Annalisa Petrella

Monterroso osserva il lettore attraverso una lente d'ingrandimento

Augusto Monterroso rappresenta una delle voci più originali della letteratura ispanoamericana contemporanea. Brevità, dinamismo linguistico e parodia sono le forze motrici più vibranti della sua produzione letteraria, insieme con il concetto di libertà, inteso nel senso più ampio: libertà creativa e libertà, individuale e sociale, da qualsiasi forma di violenza e prevaricazione.


La sua storia personale ci fornisce alcuni elementi fondamentali d’interpretazione: scrittore guatemalteco, nato nel 1921, amante delle lettere e della scrittura fin dalla più giovane età, impegnato attivamente nella causa rivoluzionaria del Guatemala durante la terribile dittatura di Jorge Ubico, ha vissuto per tutta la vita – a partire dal 1944 – in Messico, dove era stato esiliato per motivi politici. Pur essendo perfettamente integrato nel contesto culturale messicano, centro di confluenza di intellettuali dei diversi paesi dell’America latina, non ha mai smesso, per un solo attimo, di sentirsi legato indissolubilmente al Guatemala. Si è dedicato alla narrativa, alla saggistica e alla docenza universitaria ed è stato insignito dei premi letterari più prestigiosi. E’scomparso nel 2003.
Grande maestro del dubbio e dell’indeterminatezza, si è imposto con testi dalla peculiare concisione che si caratterizzano per un proprio dinamismo interno: spesso puntualizzati da genuino umorismo, a volte mordace, mettono a nudo l’universo umano e si aprono a nuove e diverse interpretazioni dei temi proposti. 

La fama di Augusto Monterroso tra i lettori italiani è legata soprattutto al libro La pecora nera e altre favole, [Sellerio, 1980] – seconda opera in ordine di pubblicazione – uscito per la prima volta in Messico, nel 1969, con il titolo La oveja negra y demás fábulas, edito da Joaquìn Mortiz.



Considerando il numero di edizioni, traduzioni in varie lingue e commenti critici, è sicuramente il testo che ha ottenuto maggior successo tra le sue opere e quello che lo ha reso famoso a livello internazionale. 

Illustrazione di Monterroso in "La palabra magica", México, Era, 1983

Il libro che raccoglie quaranta favole, molto brevi, anticipa nel titolo la sua appartenenza al genere favolistico che vive di un proprio sistema retorico e di riferimenti ai classici illustri come Esopo, Fedro, Samaniego, La Fontaine, Iriarte.
 La favola classica sintetizza, con esempi tratti dalla vita quotidiana, un percorso in ascesa verso il miglioramento dei costumi e della morale cui non si attiene Augusto Monterroso: egli non scrive favole nel senso tradizionale del termine, attinge alla tradizione del genere, lo supera, lo sovverte e lo reinventa, disattendendo le regole convenzionali. Compone una parodia del genere favolistico, attualizzando le favole e creando delle antifavole; rovescia così i contenuti letterali e metaforici da sempre trasmessi dalle favole della tradizione classica, ne toglie la morale e vi inserisce il dubbio come procedimento conoscitivo per un lettore complice e disincantato che le interpreti liberamente. 
Monterroso sviluppa una nuova strategia narrativa per affermare la creatività e la ricerca d’innovazione e per conquistare l’attenzione di un lettore che sia suo complice: gli propone di partecipare a un gioco d’intelligenza e di nonsense e di abbandonare il codice delle favole tradizionali, il tipo di linguaggio, la morale; lo coinvolge ad esercitare la sua capacità di riconoscimento della favola classica, attraverso le allusioni, e a riscoprirla rimaneggiata “al contrario”, attualizzata e caratterizzata dalla presenza di un’ironia che non offende, ma, al contrario, gli permette di osservare, divertendosi con un esercizio intertestuale, il gioco di manipolazione delle immagini  rinnovate e riproposte. Poiché il lettore non si riconosce mai nella satira ed è più portato a riconoscervi gli altri, Monterroso ha decontestualizzato le situazioni, scegliendo, secondo la tradizione, come protagonisti degli animali: è in questo spazio “mitico” che il lettore può muoversi liberamente ed esprimere al meglio e senza condizionamenti la propria capacità critica.
Bozzetti e disegni di Monterroso in mostra a Montevideo, agosto 2004

Le favole, attraversate sempre da una vena ironica, sono destabilizzanti, dominate dall’assurdo, si presentano con una prosa tersa e depurata; il linguaggio è misurato, quasi scientifico, le parole sono chiare, semplici, ma la loro esattezza fa sentire il peso di tutto quanto possono significare. Il lettore, ad una prima lettura, può sentirsi disarmato fronteggiando i brevissimi testi satirici, costellati da riferimenti culturali nascosti o appositamente storpiati, e si rende conto che l’autore, con un sorriso complice, lo mette alla prova, tendendogli continui tranelli che moltiplicano i possibili significati.
Tema centrale delle “antifavole” e, in generale, delle opere di Monterroso, è la riflessione sull’individuo e la società con i loro difetti e limiti; l’attacco all’essere umano è per lo più indiretto e prevalentemente mascherato da un umorismo acuto e raffinato che ricorre in diverse gradazioni e fa appello alle fondamentali strategie satiriche quali: parodia, ironia, paradosso o caricatura. 

Attraverso le interviste raccolte in Viaje al centro de la fábula, México, UNAM, 1981, Monterroso esplicita che l’umorismo è l’ingrediente che gli permette di raccontare “realisticamente” i fatti della vita – per lo più connotati dal senso del ridicolo – così come appaiono, senza fini censori o moraleggianti, mentre la satira è quella che gli permette di parlare di argomenti difficili quali il perpetuarsi delle ingiustizie sociali e politiche, oppure l’incomunicabilità e il senso di solitudine dell’uomo, tutti temi a lui cari e dai quali, normalmente, l’uomo comune rifugge. 
Risulta evidente che Monterroso ha una visione scettica e disincantata della condizione umana all’interno di una società dominata dall’egoismo, dall’ipocrisia e da falsi valori, è convinto che l’essere umano sia fondamentalmente un fallito, costantemente in balìa dell’incertezza e del dubbio e che, anche quando sostenuto dalle idee e dall’intelligenza, non abbia la voglia o la capacità di agire per operare cambiamenti. I personaggi monterrosiani si profilano quindi come esseri frustrati, che aspirano a realizzare cose che sono al di sopra delle loro possibilità, animati da vanità e invidia. L’intera produzione monterrosiana potrebbe avere come sottotitolo: “El fracaso”(dallo spagnolo: fallimento, insuccesso. N.d.A.) . I suoi protagonisti sono i rappresentanti della “insondable tontería humana”(dallo spagnolo: insondabile stupidità umana, N.d.A.), così definita bonariamente dall’autore, cesellati con crudele tenerezza e solidale ironia anche se il sorriso amaro che i suoi testi suscitano non impedisce di cogliere un malcelato sentimento di comprensione per questa umanità fragile e senza scampo di cui egli stesso è pur parte.

Ma entriamo nelle favole, partendo da quella che dà il titolo alla raccolta. 
La Pecora nera (1)
               “In un lontano paese visse molti anni fa una Pecora nera.
                 Fu fucilata.
                 Un secolo dopo, il gregge pentito le innalzò una statua
                 equestre che stava molto bene nel parco.
                 Così, in seguito, ogni volta che apparivano pecore nere, 
                 venivano rapidamente passate per le armi, perché 
                 le future generazioni di pecore comuni potessero 
                 esercitarsi anche nella scultura.”


Lo specchio della vita
Giuseppe Pellizza da Volpedo (1898)


Risulta evidente dal titolo il richiamo al testo biblico e al tema. Ma subito scatta la situazione paradossale, la storia coniuga infatti elementi tra loro incompatibili: molti anni fa una Pecora nera fu fucilata, cento anni dopo “il gregge pentito” le dedicò una statua equestre.
La Pecora nera non può uniformarsi alle idee e ai comportamenti di un gregge di pecore bianche perché è portatrice di uno scompenso all’interno del sistema che prontamente la estromette. Soltanto dopo un secolo il sistema le riconosce dei meriti e la reintegra nell’immaginario collettivo, erigendole un simulacro in marmo, freddo e inamovibile, come si procede con gli eroi della patria, la statua viene posta bene in vista nel parco che così viene valorizzato anche dal punto di vista estetico. 
Da questo momento la società delle pecore bianche ha pianificato un percorso: ogni volta che appare una Pecora nera, prima la si fucila, poi la si esalta dedicandole una statua, cosicché venga assicurato anche per il futuro il benessere ed il progresso artistico delle pecore scultrici. 
La pecora nera sintetizza il funzionamento delle società umane rispetto ai fenomeni di eterodossia che si generano al loro interno e che favoriscono il progresso, ma che, simultaneamente, vengono condannati in nome dello spirito gregario omologante a tutti i livelli. La favola si conclude con un atto di omaggio da parte dello Stato verso la Pecora nera e verso tutte le future Pecore nere. 
Monterroso afferma in una delle sue interviste che la Pecora nera potrebbe simboleggiare un grande idealista come Che Guevara o Tommaso Moro, pronto a dare la vita in nome dei propri ideali, rivelando in tutta la sua profondità la visione pessimistica di un sistema che mira ad esercitare il controllo sociale con la violenza, l’inganno, o la connivenza. La ribellione viene sempre e comunque censurata. 

In alcune favole de La Oveja negra y demás fábulas si concentrano il maggior numero di messaggi scettici. 
La tela di Penelope, o chi inganna chi”(2) sovverte la storia classica di Penelope e Ulisse.

Penelope and her suitors
John William Waterhouse (1912)

Penelope ha storicamente rappresentato il simbolo della pazienza femminile e della fedeltà coniugale: durante la lunga assenza di Ulisse era ricorsa allo stratagemma della tessitura della tela che nottetempo veniva segretamente disfatta, proprio per mantenersi il più a lungo possibile fedele al suo sposo. 
Nella nuova favola l’autore capovolge tutto, Ulisse non è lontano, è anzi fin troppo presente, al punto che Penelope, di tanto in tanto, manifesta l’impellente bisogno di tessere uno dei suoi interminabili lavori – attività che Ulisse non sopporta – per liberarsi della sua presenza e farsi così corteggiare liberamente dai suoi ammiratori. Monterroso distrugge l’icona per eccellenza della fedeltà coniugale femminile, ereditato dalla tradizione più antica.  Il testo è conciso e l’autore evoca, attraverso l’allusione diretta a figure storiche, una serie d’immagini e idee che fanno parte del patrimonio culturale comune e dimostra l’inesistenza di valori assoluti anche se radicati e trasmessi fin dai tempi più lontani.  

Bozzetto di Monterroso intitolato "Mujer"
Il tono della favola è ironico, pessimista, rivela un’assoluta sfiducia nei confronti dell’istituzione del matrimonio; il mito viene attualizzato e i ruoli all’interno della coppia vengono rovesciati, la donna prevale sull’uomo e vediamo una nuova Penelope frivola, annoiata dalla presenza del marito, infedele. 


Nella favola “La giraffa che di colpo capì che tutto è relativo” (3) viene affrontato il tema della guerra. 

La battaglia di Legnano
Amis Cassioli (1870)
“La giraffa, disorientata come sempre”, si smarrì e si trovò ad assistere, suo malgrado, a una grande battaglia combattuta tra uomini. Assistendo a questo spaventoso spettacolo di violenza, esercitata da ambo le parti, la giraffa percepisce l’assurdità della guerra, vede che i generali incitano, si potrebbe dire che istighino, i soldati al combattimento in nome della “patria” e i soldati, pur vedendo cadere schiere di compagni insanguinati e morenti, si lanciano con entusiasmo contro il nemico per compiere atti di “eroismo” che li conducono all’autodistruzione nella speranza che “la Storia” li possa giudicare di grande valore patriottico.
La giraffa, che aveva già letto molti libri di storia, conclude, dall’alto della sua saggezza, che la guerra, considerati i disastri e la sofferenza che comporta, serve soltanto a far scrivere i testi di storia che, del resto, vengono raccontati in modo del tutto diverso a seconda che i fatti vengano narrati dall’una o dall’altra parte dei belligeranti e non fanno mai chiarezza sulle ragioni della contesa.
La favola è incentrata sulla relatività dei concetti di “guerra”, “patria”, “progresso”, “civilizzazione” che assumono significati diversi a seconda che vengano interpretati da ciascuno dei due eserciti, dalla giraffa o, aggiungerei, dal lettore e da Monterroso, e che sono comunque forieri di distruzione della persona e della civiltà.
Il testo segue il modello della favola tradizionale scegliendo un animale con caratteristiche umane come protagonista. La giraffa non è un animale molto presente nelle favole, la vediamo però presente in favole di autori messicani molto ammirati da Monterroso: Julio Torri e Juan José Arreola; qui è scelta come protagonista in quanto privilegiata dalla sua statura, elemento importante per osservare con attenzione ed acutezza lo scenario di una grande battaglia. Inoltre la giraffa non è certo un animale aggressivo e, tanto meno, combattivo, è un erbivoro che forse, dall’alto del suo lungo collo, si distanzia dal suolo e si avvicina al cielo, alle nubi che per Monterroso sono le migliori compagne del pensiero speculativo.
Nella favola assistiamo a una parodia dei romanzi realisti del diciannovesimo secolo, quali Guerra e pace di Tolstoj o I miserabili di Victor Hugo, intrisi di patriottismo e stigmatizzati da atti eroici.


La fionda di David” (4) si basa sul paradosso: David N. era un bambino assai famoso per la sua perizia nell’uso della fionda con la quale si divertiva a colpire, inizialmente, bersagli inanimati e successivamente, con maggiore soddisfazione, gli uccelli che cadevano morenti ai suoi piedi. Un bel dì venne aspramente redarguito dai suoi genitori per questo comportamento e David, pentendosi, “da quel giorno si dedicò a colpire esclusivamente gli altri bambini”.
Dopo alcuni anni, entrato nella milizia, fu decorato e promosso generale per aver ucciso da solo trentasei uomini. Ma, poco dopo, venne degradato e fucilato perché aveva lasciato fuggire viva una colomba, messaggera del nemico.
Monterroso nel descrivere con raffinata ironia le azioni di David bambino, uccisore di uccelli, dice: “David scoprì un giorno che era molto più divertente esercitare l’abilità di cui Dio l’aveva dotato contro gli uccelli” e ancora “correva esultante verso di loro e li seppelliva cristianamente”.
David viene fucilato per aver lasciato viva una colomba che gli aveva ricordato la proibizione dei suoi genitori negli anni dell’infanzia; viene giustiziato per aver voluto compiere un atto caritatevole, non previsto dalle regole della guerra, le stesse per cui, prima, aveva ammazzato trentasei soldati nemici.

David con la testa di Golia
Michelangelo Merisi da Caravaggio (1610)
Il nome David rimanda alla storia biblica di Davide e Golia, con un rovesciamento delle parti il bene, storicamente associato alla figura di David, qui può essere associato esclusivamente agli uccelli vittime della fionda e alla colomba liberata. 

L’essere umano e la spiritualità
Monterroso non è certo uomo di fede e, soprattutto, non accetta che si possa concepire la religione come un sistema basato su gerarchie ecclesiastiche che agiscono nella società per fare proseliti e controllarne le “anime” attraverso il senso di colpa o punendo le trasgressioni. Egli non attacca il concetto di Dio, si limita a criticare gli effetti della religione, non importa quale, sugli uomini.
 Ne abbiamo un bellissimo esempio nella favola “La Fede e le montagne” (5) che sovverte il significato del proverbio evangelico incluso nella “Prima lettera di San Paolo ai Corinzi” che recita: “La Fede muove le montagne”. 
La favola racconta con ironia magistrale il “comportamento” della Fede e della gente, distinguendo tre momenti:
- Alle origini la Fede muoveva, sì, le montagne ma esclusivamente quando era proprio necessario, dando prova così di rispettare il paesaggio che non subiva tremende trasformazioni.
- Successivamente la Fede gradualmente si propagò e si diffuse anche l’idea che il conseguente spostamento delle montagne costituisse un gioco assai divertente per la gente che al mattino doveva individuare in quale posto si fossero cacciate. Passato l’entusiasmo iniziale però, ci si trovò in gravi difficoltà con tutto questo scompiglio e “la brava gente” scelse di abbandonare la Fede “e ora le montagne rimangono generalmente al loro posto”.
- “Quando sulla strada maestra si produce una qualche frana sotto la quale muoiono dei viaggiatori, è che qualcuno, molto lontano o vicino, ha avuto un leggerissimo fremito di fede”.
La Fede, in qualunque caso e indipendentemente dall’uomo, provoca terremoti e vittime mortali.

Lo scrittore alla ricerca della libertà creativa 
La critica di Monterroso ai falsi valori del mondo della cultura si sviluppa anche contro gli scrittori frustrati e la categoria dei critici letterari.
Nella sua raccolta risulta di un’ironia folgorante: “La scimmia che voleva diventare scrittrice satirica” (6). E’ il testo più emblematico sulla necessità per lo scrittore di affermare la propria autonomia di giudizio e la libertà da condizionamenti opportunistici. 


Scimmia, Franz Marc (1912)

La Scimmia che voleva diventare scrittrice satirica, pur avendo studiato molto, “ben presto si rese conto che per essere scrittrice satirica le mancava la conoscenza della gente e allora cominciò a frequentarla, andando ai ricevimenti e osservandola con la coda dell’occhio mentre se ne stava distratta con la coppa in mano” (7). 
Le conversazioni della scimmia erano molto apprezzate in società ed era ricevuta in ogni ambiente con gioia perché sapeva dimostrarsi comprensiva e adattabile a qualsiasi situazione o mentalità; quando decise di essere pronta a scrivere le sue satire, avendo ormai una buona conoscenza della natura umana, scelse alcune categorie di viziosi da criticare: nell’ordine, la sua attenzione si rivolse ai ladri, di cui le Gazze erano meravigliosi esponenti, poi agli opportunisti,  tra i quali il Serpente era il rappresentante migliore per la sua arte adulatoria, quindi ai lavoratori troppo zelanti, magnificamente impersonati dalla Formica, infine alla promiscuità sessuale che le Galline rappresentavano perfettamente con la loro inguaribile propensione all’adulterio.
Ma, a mano a mano che faceva queste considerazioni, si rendeva conto che, scrivendo satire rivolte contro questi amici, li avrebbe sicuramente offesi, procurandosi inevitabili quanto profonde inimicizie.
Fece allora una lista completa dei vizi umani per trovare qualcuno, a lei sconosciuto, da attaccare satiricamente, ma non ci riuscì. Nessuno era esente da difetti. Vedendosi impedita nel suo progetto di scrivere satire senza provocare ripercussioni negative, la Scimmia si diede alla Mistica e all’Amore che non avrebbero comportato rischi.
Purtroppo però, poiché alla gente piace la critica in generale, purché non sia rivolta direttamente ai singoli, la Scimmia con tutta la sua bonomìa perse fascino e carisma e il suo successo in società si esaurì: “tutti dissero che era diventata pazza e non la ricevettero più tanto bene né con tanto piacere” (8).

Non si può, comunque, chiudere l’escursus su Monterroso senza presentare “El dinosaurio” – contenuto in Obras completas (y otros cuentos), México, UNAM, 1959 – che, composto di una sola riga, ha contribuito più di qualsiasi altro racconto a dare al suo autore lustro e fama nel mondo . 


El dinosaurio
“Cuando despertó, el dinosaurio todavía estaba allí”.
 Il dinosauro
“Quando si risvegliò il dinosauro era ancora lì”.
Il dinosauro illustrato da Monterroso
in "La palabra magica", México, Era, 1983


Italo Calvino amava la scrittura di Monterroso e, nella seconda delle sue lezioni all’Università di Harward, dichiarando la sua predilezione per la brevità, lo prese ad esempio, affermando: “Io vorrei mettere insieme una collezione di racconti d’una sola frase, o d’una sola riga, se possibile. Ma finora non ne ho trovato nessuno che superi quello dello scrittore guatemalteco Augusto Monterroso, El dinosaurio”. (9)
Universalmente riconosciuto come il romanzo-racconto più breve del mondo e definito anche come anticuento, nel “Dinosaurio” l’autore segue lo stile di Mallarmé, tagliando di netto l’inizio e la fine della storia e offrendo, in tal modo, la possibilità di infinite interpretazioni. 
Leggendo le sette lapidarie parole che lo compongono viene da chiedersi se il dinosauro sia uno dei tanti “tontos” descritti da Monterros che, con la loro ingombrante e pertinace presenza e il loro essere al di fuori del tempo, sopravvivono a dispetto di tutto, affliggendo la società contemporanea, oppure se rappresenti un personaggio politico di spicco, forse uno dei tanti dictadorzuelos tristemente noti nei Paesi latino-americani. In verità, non è dato di sapere esattamente a chi o cosa si volesse riferire l’autore, certo è che il testo ha suscitato la curiosità e la fantasia di scrittori e critici che, a partire dagli anni ottanta, sulla scia del “Dinosaurio”, hanno creato una collezione di narrativa di microracconti di ispirazione fantastica, basati sull’assurdo, denominata La Oveja Negra, e li hanno dedicati a Monterroso, “che ebbe la pazienza di insegnarci a sognare dinosauri”.(10) 
Questa tendenza della letteratura latino-americana a creare microracconti, caratterizzati, spesso, da una connotazione umoristica, ha avuto un forte sviluppo in Messico e nei Paesi ispano-americani in generale: Monterroso ha fatto scuola con il suo linguaggio preciso ed ermetico nel quale l’elemento ludico e l’ironia moltiplicano i significati all’infinito.
 La sperimentazione postmodernista continua ancora oggi a travalicare le frontiere dei generi, alla ricerca di una creatività sempre più adeguata al mondo contemporaneo e al suo linguaggio quasi telegrafico. 
Si può concludere questo breve viaggio all’interno dell’universo letterario di Augusto Monterroso affermando con convinzione che la sua prosa, di grande attualità, ricca di spunti colti, mediati dall’uso magistrale dell’ironia, è una sfida per il lettore e lascia un segno indelebile; di fatto, s’allarga l’orizzonte prospettico d’interpretazione e di conoscenza dell’uso del linguaggio e delle sue possibilità espressive e, al contempo, si percepisce quasi un senso di valenza universale.

Note bibliografiche

1) La pecora nera e altre favole, Palermo, Sellerio Editore, 1980, pag. 23.
2) Ibid. pagg. 21-22.
3) Ibid. pagg. 37-39.
4) Ibid. pagg. 65-66.
5) Ibid. pag. 20.
6) Ibid. pagg. 15-17.
7) Ibid. pag.15.
8) Ibid. pag.17.
9) Italo Calvino, Lezioni americane, Garzanti, 1988, pag. 66.
10) José Barnoya, Las últimas palabras, Guatemala, Ministerio de Cultura y Deportes, 1990.

Opere di Augusto Monterroso 

Obras Completas (y otros cuentos), México, UNAM, 1959.
La Oveja Negra y demás fábulas, México, Joaquín Mortiz, 1969.
Movimiento Perpetuo, México, Joquín Mortiz, 1972.
Lo demás es silencio (La vida y la obra de Eduardo Torres), 
     México, Joaquín Mortiz, 1972.
Viaje al centro de la fábula, México, UNAM, 1981.
La Palabra mágica, México, ERA, 1983. Edición especial ilustrada.
La letra e, México, ERA, 1987. Madrid, Alianza Tres, 1987.
Esa fauna, México, ERA, 1992.
Los buscadores de oro, Barcelona, Anagrama, 1993.
La vaca, México, Alfaguara, 1998.
Tríptico. La palabra mágica, Movimiento perpetuo y La letra e, Barcelona, Anagrama, 1996.
Pájaros de Hispanoamérica, Alfaguara, Madrid, 2002.

Opere di Augusto Monterroso tradotte in italiano

Opere complete (e altri racconti), Milano, Marcos y Marcos, 1993.
La pecora nera e altre favole, Palermo, Sellerio Editore, 1980.
Moto perpetuo, Milano, Marcos y Marcos, 1992.
Il resto è silenzio (La vita e le opere di Eduardo Torres), Palermo, Sellerio Editore, 1992.
I cercatori d’oro. Milano, Zanzibar, 1995.

(pubblicato con l'autorizzazione dell'autore)




28 commenti:

  1. Grande Monterroso poco conosciuto in Italia! Saggio eccezionale. Blanca Rosales

    RispondiElimina
  2. Le favole di Monterroso sono uniche. La pecora nera è insuperabile, la scimmia opportunista, il dinosauro... Ha analizzato lo scrittore con competenza universitaria e redatto un saggio da pubblicazione scientifica. Complimenti. Alba Crovento

    RispondiElimina
  3. La fede e le montagne mi fa ridere. Da leggere.

    RispondiElimina
  4. Il libro mette di buon umore e insegna tanto. Brava scrittrice. Rosario

    RispondiElimina
    Risposte
    1. L'umorismo di Monterroso è contagioso. Grazie. Annalisa

      Elimina
  5. Mi è piaciuta molto la favola su Penelope trasformata nel suo contrario. Gioia

    RispondiElimina
    Risposte
    1. L'ho citata per la sua modernità. Grazie. Annalisa

      Elimina
  6. Ho sempre amato la letteratura latinoamericana, ma non ho mai incontrato Monterroso. L'ho letto la sera a letto, ridendo a crepapelle proprio per la complicità che instaura con il lettore, coinvolto in un sottile gioco di allusioni, metafore, ironia ... Grazie Annalisa di avermene suggerito la lettura e soprattutto grazie per questo splendido articolo che esalta la grandezza dello scrittore, uno scrittore che in poche parole apre un mondo.

    RispondiElimina
  7. La giraffa e la guerra argomento attuale e interessante...

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Certamente, e la giraffa è in perfetta antitesi con il concetto di belligeranza. Grazie. Annalisa

      Elimina
  8. Le favole sono divertenti ma c'è dietro un mondo e l'articolo è stupendo.

    RispondiElimina
  9. Monterroso è una scoperta per me. Grazie. Stefania

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Sono contenta del tuo apprezzamento. Annalisa

      Elimina
  10. Ho trovato il libro soltanto in spagnolo e vorrei leggerlo in italiano. Complimenti. Enrico

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Grazie, lo puoi ordinare alla libreria internazionale o cercarlo, se c'è, in una biblioteca ben fornita di testi di ispanistica. Annalisa

      Elimina
  11. Ho letto con piacere questo saggio bellissimo e dotto. Patrizia

    RispondiElimina
  12. Grazie, Patrizia. Annalisa

    RispondiElimina