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martedì 16 dicembre 2014

"IL SIGNORE DEGLI ANELLI" tra libro e film

di Selene G. Rossi
«Un anello per domarli tutti, un anello per trovarli, 
un anello per ghermirli e nell’oscurità incatenarli»

Cosa dire sulla trilogia de Il Signore degli anelli che non sia già stato detto? Sviscerati e analizzati da tutti i punti di vista, questi tre film diretti da Peter Jackson, hanno rappresentato un caso mediatico al pari della trilogia di Matrix (1999, Fratelli Wachowski), affrontando però temi completamente diversi gli uni dagli altri. Laddove, infatti, i film dedicati a Neo, inseriti all’interno di un setting futuristico non troppo lontano dal nostro, si occupano di tematiche complesse legate alle incertezze della vita dell’uomo contemporaneo, in cui cospirazione e macchinazione sono le vere e proprie protagoniste, le pellicole tratte dai romanzi di J.R.R. Tolkien sono invece ambientate in un universo inesistente o, perlomeno, esistente solo nella fantasia dell’autore. 




Forse non tutti sanno che Tolkien (1892-1973) - noto per l’immenso contributo apportato alla letteratura fantastica inglese, e per il suo interesse nei confronti di quella scandinava e anglo-sassone - in realtà non nacque in Gran Bretagna bensì in Sudafrica. Ristabilitosi con la madre e il fratello nella terra di Albione, Tolkien dovette affrontare prima la morte del padre (1896) e, dopo pochi anni, quella della madre (1904). Afflitto da gravi problemi economici, riuscì a vincere una borsa di studio grazie alla quale poté frequentare la King Edward’s School di Birmingham dove portò a termine quegli studi di inglese antico e lingue germaniche che tanto avrebbero influito sullo sviluppo delle sue doti di scrittore e che gli permisero, inoltre, di diventare un apprezzato filologo e traduttore di testi antichi. Nel 1915, un anno dopo lo scoppio della Prima Guerra Mondiale, Tolkien si laureò in Lingua e Letteratura Inglese. L’anno successivo, prima di partire per il fronte, sposò Edith, dalla quale ebbe in seguito quattro figli. Sopravissuto al massacro della battaglia delle Somme, contrasse però la “febbre da trincea” (e come lui, tra le centinaia di soldati che caddero vittima di questa infezione, vi furono anche A.A. Milne, “papà” di Winnie the Pooh, e C.S. Lewis, autore de Le Cronache di Narnia); tornato in patria a seguito della malattia, si dedicò alla carriera accademica proseguendo, parallelamente, quella di scrittore. Iniziò, infatti, in quegli anni a comporre il meraviglioso ciclo di leggende e miti dedicati alla Terra di Mezzo, la cui fondazione si compì appieno con Lo Hobbit (1937), per poi conseguire la piena maturità con Il Signore degli Anelli (1954-1955). Raggiunta l’età della pensione, lo scrittore si ritirò a Bournemouth con la moglie Edith e il figlio Ronald. Dopo la morte dell’amata, avvenuta nel 1971, Tolkien, sopravvisse per altri due anni, lasciando al figlio Christopher il compito di editare Il Silmarillon - suo ultimo capolavoro incompleto -, pubblicato nel 1977. Tra le sue opere fantasy, devono essere ricordate anche Le avventure di Tom Bombadil (1962) e Albero e foglia (1964).
Come già accennato, Tolkien prese parte alla Prima Guerra Mondiale e fu proprio in quei giorni trascorsi in trincea che conobbe il vero orrore: quello dei corpi massacrati e mutilati, quello degli uomini uccisi da gas venefici e da armi di potenza infinitamente superiore a quella nota fino a quel momento. Quest’esperienza fece sì che il giovane fuciliere registrasse, inconsciamente, gli abomini di questa guerra e li trasferisse, a distanza di quasi trent’anni, all’interno de Il Signore degli Anelli. Infatti, pur negando il fatto che la storia fosse un’allegoria della Grande Guerra, Tolkien scrisse nella prefazione al suo capolavoro “An author cannot of course remain wholly unaffected by his experience, but the ways in which a story-germ uses the soil of experience are extremely complex, and attempts to define the process are at best guesses from evidence that is inadequate and ambiguous.” (“Ovviamente, un autore non può rimanere del tutto insensibile alla propria esperienza, ma i modi in cui il seme di una storia utilizza il terreno dell’esperienza sono estremamente complessi, e i tentativi di definire il processo sono, nel migliore dei casi, supposizioni ricavate da indizi inadeguati e ambigui”) (1).
Appassionato filologo innamorato delle lingue moderne e di quelle antiche, Tolkien riversò questa passione nelle sue opere; le parole, per lui, non erano solo semplici parole, ma erano un mezzo potente e magico attraverso il quale comprendere la natura e travalicare i confini - reali e virtuali - di spazio e tempo, permettendo l’unione tra i diversi membri di una comunità. Ciò che più stupisce di Tolkien, è il modo in cui fu in grado di creare linguaggi unici - come l’Elfico o come il Khuzdul o il Valarin - traendo però ispirazione da idiomi reali. In Hobbits, Elves and Wizards: The Wonders and Worlds of J.R.R. Tolkien's "The Lord of the Rings" (2001), Michael N. Stanton sottolinea come parecchi nomi di personaggi e luoghi, non siano una mera invenzione di Tolkien, bensì trovino riscontro in idiomi sia antichi sia moderni. Alcuni esempi di queste contaminazioni linguistiche possono essere trovati in Saruman - derivante dalla radice anglosassone “searu,” alla base del termine “tradimento” -, Sauron - la cui origine può essere datata all’Antico Inglese e il cui significato è “sporcizia” - o, ancora, Mordor - sempre calco dell’Antico Inglese del termine “morthor”, il cui significato è assassinio. 
I riferimenti alla cultura anglosassone non si trovano solo nella creazione del linguaggio, ma anche nell’utilizzo della mitologia di tale cultura. L’esempio più eclatante è dato da Beowulf, una saga scandinava composta tra l’ottavo o il settimo secolo d.C., e trascritta probabilmente verso l’anno 1000, in cui sono descritte la società anglosassone pagana e le gesta dell’eroe per antonomasia, quel Beowulf del titolo, che, in un mondo dominato dal fato, si trova a dover affrontare due imprese titaniche; la prima consiste nel difendere i danesi dall’invincibile mostro Grendel e, una volta sconfitto, dalla madre di questi. La seconda, invece, narra le imprese di Beowulf in età avanzata; tornato vincitore e proclamato re dei Geati, l’eroe vivrà una lunga vita tranquilla fino a quando non si troverà costretto a scendere ancora in campo per difendere il suo popolo da un temibile drago che riuscirà a sconfiggere sacrificando però la propria vita. I conflitti fisici e spirituali esacerbati in Beowulf sono rielaborati da Tolkien e, come nota Jane Chance in Tolkien’s Art: A Mythology for England (2001): “Because the Fellowship is burdened with the responsibility of bearing the Ring and because its presence attracts evil, the greatest threat to the Fellowship and its mission comes not from without but within. The hero must realize that he can become a monster. The two books of the Fellowship trace the process of this realization: the first book centers on the presentation of evil as external and physical, requiring physical heroism to combat it; and the second book centers on the presentation of evil as internal and spiritual, requiring a spiritual heroism to combat it. The hero matures by coming to understand the character of good and evil - specifically, by descending into an underworld and then ascending into an overworld, a natural one in the first book and a supernatural one in the second. These two levels correspond to the two levels - Germanic and Christian - of Beowulf and the Hobbit. For Frodo, as for Beowulf and Bilbo, the ultimate enemy is himself.” (“Poiché la Compagnia è gravata dal fardello della responsabilità di portare l’Anello la cui presenza attrae il male, la minaccia maggiore per la Compagnia e per la sua missione non proviene dall’esterno ma dall’interno. L’eroe deve capire che può diventare un mostro. I due libri della Compagnia descrivono questo processo necessario per giungere al compimento della missione: il primo si concentra sulla presentazione del male come inquietante fattore esterno e fisico, che necessita di un eroismo fisico per combatterlo; e il secondo si concentra sulla presentazione del male come concetto interno e spirituale, richiedendo un eroismo spirituale per combatterlo. L’eroe matura attraverso la comprensione del significato di bene e di male - nello specifico, discendendo in un abisso e poi ascendendo a un mondo superiore, uno naturale nel primo libro e uno soprannaturale nel secondo. Questi due livelli corrispondono ai due livelli - germanico e cristiano - di Beowulf e Lo Hobbit. Per Frodo, come per Beowulf e Bilbo, l’ultimo nemico da affrontare è se stesso”) (2). 
Ovviamente, la passione di Tolkien per le lingue e le culture antiche trova un fondamento anche in altre opere imprescindibili del genere come, per esempio, il ciclo epico norvegese Edda (composta tra l’800 e il 1000 d.C.) o, ancora, la rielaborazione della leggenda di Re Artù in Sir Gawain e il Cavaliere Verde (apparso nel XIV secolo), ove, tra le numerose prove fisiche e mentali affrontate dai cavalieri del re, Sir Gawain si trova a dover resistere alla tentazione.  
La trama dei film e del romanzo - anche se, nonostante la fedeltà cinematografica, esistono alcune differenze come, per esempio, l’assenza del personaggio di Tom Bombadil o la presenza di Arwen, figlia del re degli Elfi, citata nelle Appendici scritte da Tolkien e non nel romanzo - è nota ai più ma, per chi non avesse la fortuna di esserseli gustati oppure volesse rinfrescarsi la memoria prima di sprofondare in una poltrona del cinema per vedere il tanto atteso capitolo finale de Lo Hobbit, ecco una breve sinossi:
  
Il Signore degli Anelli - La compagnia dell’anello (2001) si apre sui festeggiamenti per il compleanno dell’hobbit Bilbo Baggings. Tra gli invitati alla festa vi è anche il mago Gandalf il Grigio che, per una serie di coincidenze, scopre che il piccolo uomo è in possesso di un artefatto molto pericoloso, ovvero un anello “speciale”, forgiato da Sauron, signore di Mordor che, con l’inganno e la violenza, riuscì, in tempi molto lontani, a impossessarsi degli anelli donati agli abitanti della Terra di Mezzo - nove agli uomini, sette ai nani e tre agli elfi - per poter dominare incontrastato. Scoperta l’esistenza di quest’oggetto, e del fatto che Sauron è risorto allo scopo di impossessarsi dell’anello, Gandalf incarica Frodo, nipote di Bilbo, di fuggire con il gioiello e di raggiungere la Voragine del Fato per distruggerlo. Il giovane hobbit si mette in marcia insieme al fido Sam - cui si aggregheranno, con un sotterfugio, anche Merry e Pipino, i due comic relief dei film. Tallonati dai Nazgul, i temibili cavalieri neri al servizio del crudele Saruman, i quattro hobbit sono aiutati dal ramingo Granpasso. Dopo una serie di peripezie, Frodo viene ferito da un pugnale Morgul e, solo grazie all’intervento di Granpasso, non muore. Trasportato dall’elfa Arwen, figlia di re Elrond, a Gran Burrone, il nostro si risveglia e, dopo aver recuperato le forze, viene reclutato per portare l’anello a Mordor e gettarlo nel Monte Fato, luogo della sua creazione. L’epico gesto potrà però essere compiuto anche grazie all’ausilio di alcuni membri delle altre razze presenti nella Terra di Mezzo; oltre ai quattro hobbit, parteciperanno all’impresa anche l’elfo Legolas, il nano Gimli e l’umano Boromir. A questi si uniranno anche Gandalf e Granpasso, il cui vero nome è Aragorn, erede del trono di Gondor. La compagnia - attraversando foreste e boschi inospitali e affrontando intemperie di ogni sorta - si troverà a combattere contro nemici epici come i temibili goblin e gli orribili orchi e sarà, inoltre, costretta a separarsi. Frodo e Sam, rimasti soli, decidono di proseguire per portare a termine la loro missione mentre Legolas, Aragorn e Gimli si mettono alla ricerca di Merry e Pipino, rapiti dagli orchi di Saruman.
Il Signore degli Anelli - Le due torri (2002) riprende da dove si era concluso il capitolo precedente. Catturato da Frodo e Sam dopo averli seguiti allo scopo di riappropriarsi dell’anello, Gollum promette di accompagnarli a Mordor in cambio della libertà.

Nel frattempo - mentre Saruman stringe nuove alleanze - Aragorn, Gimli e Legolas, sempre in cerca di Merry e Pipino, incontrano Gandalf, creduto morto dopo un terribile scontro, avvenuto nel primo episodio, contro un Balrog. Non più Gandalf il Grigio ma Gandalf il Bianco, lo stregone consiglia ai tre superstiti di cessare le ricerche degli hobbit perché in salvo, ma di dedicarsi al raggiungimento, e al conseguente risveglio, di Théoden, re di Rohan, affinché organizzi una difensiva contro i temibili Uruk-hai. Nel mentre, Frodo e Sam, sempre accompagnati da Gollum, sono giunti a Mordor ma, non essendo riusciti a penetrare il cancello nero, decidono di fidarsi del loro prigioniero e di seguire una strada solo a lui nota. Imbattutisi in un esercito di Sauron, i tre, rimasti basiti al passaggio di un Olifante, sono catturati dagli uomini del crudele Faramir. Al suo risveglio, Théoden viene convinto a lottare contro gli orchi; la battaglia vede il re trionfare. Nel frattempo - mentre gli Elfi si uniscono agli uomini per fronteggiare il temibile Saruman e i suoi guerrieri - Gollum, sfuggito alla cattura, viene fatto prigioniero dai Gongoriani; interrogato, l’hobbit rivela il segreto dell’anello. La battaglia che vede schierati gli Uruk-hai contro Elfi e Uomini ha inizio e si concluderà in favore di questi ultimi solo grazie all’arrivo di Gandalf e della compagnia di Èomer. Nel frattempo, nuovi nemici si ergono contro il perfido Saruman: Barbalbero e gli Ent che, accortisi delle nefandezze compiute dall’oscuro Saruman ai danni della foresta, intervengono per aiutare la causa dei giusti. La pellicola si chiude con la sconfitta di Saruman e Gollum intento a tramare alle spalle di Frodo e Sam. 
 Il Signore degli Anelli - Il ritorno del re (2003) si apre con un flashback atto a descrivere gli eventi che contribuirono alla nascita di Gollum, ovvero il ripescaggio fortuito dell’anello da parte di Déagol e come questi fu ucciso dal compagno Sméagol. Dopo questo tuffo nel passato, la pellicola torna a concentrarsi sugli eventi portanti della guerra in corso. Aragorn, Gandalf, Gimli, Legolas e Théoden sono aggiornati da Merry e Pipino della sconfitta di Saruman, ora imprigionato a Isengard. Grima, scagnozzo del temibile stregone, pugnala il suo padrone. Pipino, incapace di resistere alla curiosità, sbircia nel palantír, attirando su di sé l’attenzione di Sauron. Mentre Frodo e Sam, “aiutati” da Gollum, continuano il loro cammino verso il Monte Fato, gli altri membri della compagnia si trovano a combattere numerose battaglie. Colpi di scena, lotte, morti, tradimenti e, infine, la salvezza, caratterizzano quest’ultima parte della pellicola che termina con il ripristino dell’ordine prestabilito, con l’incoronazione di Aragorn, il suo matrimonio con la principessa Arwen, figlia del re degli elfi Elrond, e con il matrimonio di Sam e della bella ostessa hobbit del paese. E così, dunque, come afferma Galandriel, “Il potere dei tre anelli è cessato. È arrivato il momento per il dominio degli uomini.” E, forse, anche degli hobbit. O meglio, dell’hobbit Sam custode di Andata e ritorno, un racconto hobbit di Bilbo Baggings e de Il signore degli anelli di Frodo Baggins, memorie redatte di Frodo per non dimenticare peripezie che hanno contribuito a salvare la Contea.

NOTE
1. Traduzione a cura di Selene G. Rossi
2. Traduzione a cura di Selene G. Rossi

(Pubblicato con l'autorizzazione dell'autore)

16 commenti:

  1. Bella, accurata e approfondita analisi di una serie che ha riscosso successo sia come libri sia come film. Complimenti.
    John

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  2. Finalmente la tua firma è ricomparsa! Scrivi proprio bene e fai appassionare chi ti legge!
    Fede

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    1. Grazie Fede! Mi si riempie il cuore di gioia a sapere di essere mancata :)

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  3. Articolo molto interessante. Corinna

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  4. Articolo ben costruito e approfondito. Nina

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  5. Fantastico! Sì, cioè, il genere è fantastico ma la tua analisi ancor di più. Speriamo che la Terra di Mezzo rimanga di Tolkien e non delle tangenti romane! Brava, Juanito.

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    1. Grazie Juanito! Son sicura che la Terra di Mezzo rimarrà sempre incontaminata...

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  6. Ne "La compagnia dell'Anello", nella lettera che Gandalf lascia a Frodo, Tolkien scrive" Le radici profonde non gelano mai "ci sono radici profonde che davvero non gelano ma ce ne sono altre che vengono raggiunte dal gelo.. Credo che tu sia una radice che non gelerà mai. Complimenti.
    Alessandro

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    1. “Chissà! Io lo ignoro. E così accade per ogni storia vera. Prendine una qualsiasi fra quelle che ami. Tu potresti sapere o indovinare di che genere di storia si tratta, se finisce bene o male, ma la gente che la vive non lo sa, e tu non vuoi che lo sappia”. Anche se, questa volta, le tue parole mi fanno sperare di essere davvero una radice che non gelerà mai. Grazie Alessandro.

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  7. Si capisce che letteratura e cinema sono le tue passioni che riesci a coniugare in maniera eccellente e anche avvincente per chi ti legge. Complimenti.
    Davide

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    1. Caro Davide, grazie mille! E scusa se i miei tempi di risposta sono lenti!
      Selene

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  8. Ho visto che sei ancora in testa alle classifiche e la cosa mi rende felice perché hai un modo di scrivere che "prende" e sai ben coniugare letteratura e cinema.
    Alessia

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    1. Grazie Alessia, mi fa davvero piacere riuscire a "prendervi".
      Selene

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