Heiko H. Caimi
Mi chiamava
così: Cumcetta.
Come fossi un
contenitore da riempire. Un nome spezzato e incollato con lo sperma e il
disprezzo.
All’inizio
erano solo commenti. Risate nei messaggi privati. Link a forum in cui si
parlava di donne come me: egoiste, calcolatrici, ipergamiche – parola che non
avevo mai sentito prima.
Poi ho capito:
era una scienza mutata, distorta, usata contro di me. La biologia trasformata
in condanna.
Scelgono i
maschi alfa, diceva.
Io no.
Io ero troppo
buona, troppo visibile. E avevo detto no.
Il sesso è
un diritto. Ti credi speciale?
Mi pedinava,
lo so. Anche se non l’ho mai visto.
Lo sentivo nel
rumore delle notifiche, nel modo in cui le mail spuntavano con parole identiche
a quelle lette su Reddit.
Era come se la
rete fosse diventata un alveare tossico. E io l’ape regina da distruggere.
Diceva che ero
parte del complotto. Che il femminismo aveva rovinato tutto. Che avevo scelto
il mio ruolo da puttana liberata. Che ero una provocazione. Una minaccia
personale. Un affronto.
Aveva una
grammatica sua. Fatta di pillole rosse, di risvegli distorti, di teorie da
bunker mentale.
Diceva che ero
sleale. Che non avevo mantenuto il patto.
Ma io non ho
firmato niente. Nessun contratto con il patriarcato.
Solo i
belli, i ricchi, i dominanti. Gli altri, li disprezzate.
Parlava al
plurale: “Voi donne”. “Voi tutte”.
Come se
fossimo una massa informe. E io un pixel su cui concentrarsi. Un bersaglio per
la sua lente deformante.
La sua rabbia
aveva punte invisibili. Non si tagliava la pelle, ma l’aria.
Mi sentivo
osservata anche nei pensieri.
Ti credi
libera? Nessuna è libera.
Aveva 23 anni,
ho scoperto poi.
Disoccupato.
Online per 18
ore al giorno.
Scriveva in
incognito, ma lasciava tracce. Piccoli errori. Dettagli che combaciavano. Un
lessico. Un odio inconfondibile. Come un odore: rancido, dolciastro.
Diceva che non
era stalking. Era giustizia.
Diceva che il
mio rifiuto era una colpa. E una colpa va punita.
Non dormivo
più. Avevo paura del suono delle parole. Anche quelle dette per caso, anche
quelle innocue.
Avevo paura
delle facce online. Di ogni notifica. Di ogni sguardo.
Diceva che mi
avrebbe spezzata. Che avrei capito. Che avrei chiesto scusa.
E invece
scrivo.
Scrivo con la
voce rotta ma ferma.
Perché la
guerra fredda tra sessi è un’illusione.
Perché l’amore
non è dovuto.
Perché io non
sono un diritto da esigere.
Io non sono la
vostra colpa.
Molto bello ed espressivo. Esprime nello stile e nell’immediatezza delle parole violenza (quella subita da Concetta) e rabbia (quella di Concetta). O, almeno, questo è quello che mi è arrivato
RispondiEliminaGrazie