di Antonio Torresin
Una donna che attende un figlio, un bambino che ancora non si vede, nascosto nel suo grembo, ma che è già capace di irradiare una luce di speranza, un dono già ricevuto anche se non ancora visto. Si spera in ciò che non si vede (Rm 8,24), ma che pure abita nel cuore, nel corpo, nei segni e nei germogli della vita che pulsa nella carne della storia. Dovremmo imparare a sperare così, stretti nel groviglio delle contraddizioni della vita ma non prigionieri del buio che ci avvolge. Due immagini possono aiutarci a cogliere questo coraggio della speranza. Sono due quadri di Klimt titolati appunto Speranza 1 e Speranza 2.
Ogni figlio che nasce, ancor prima di venire alla luce, porta
con sé il dono certo di una speranza che rinnova il coraggio di vivere.
Papa Francesco sottolinea il carattere di dono, che fonda la
speranza: «Sperare è attendere qualcosa che ci è già stato donato: la salvezza
nell’amore eterno e infinito di Dio. Quell’amore, quella salvezza che danno
sapore al nostro vivere e che costituiscono il cardine su cui il mondo
rimane in piedi, nonostante tutte le malvagità e le nefandezze causate dai
nostri peccati di uomini e di donne. Sperare, dunque, è accogliere questo
regalo che Dio ogni giorno ci offre. Sperare è assaporare la meraviglia di
essere amati, cercati, desiderati da un Dio che non si è rintanato nei suoi
cieli impenetrabili ma si è fatto carne e sangue, storia e giorni, per
condividere la nostra sorte.
Eppure, i colori sgargianti del manto della donna sembrano irradiare
una luce di speranza più forte della paura. Si tratta di saper vedere i piccoli
segni di bene, più luminosi dei segni del male.
Ascoltiamo ancora le parole di Francesco: «Sperare è un dono
di Dio e un compito per i cristiani. E per vivere la speranza serve una
«mistica dagli occhi aperti», come la chiamava il grande
teologo Joseph-Baptist Metz: saper scorgere, ovunque, attestazioni di
speranza, l’irrompere del possibile nell’impossibile, la grazia dove
sembrerebbe che il peccato abbia eroso ogni fiducia. Invito ogni lettore
di questo testo ad un gesto semplice ma concreto: alla sera, prima di
coricarsi, ripercorrendo gli eventi vissuti e gli incontri avuti, andate alla
ricerca di un segno di speranza nella giornata appena trascorsa. Un sorriso di qualcuno da
cui non ve lo aspettavate, un atto di gratuità osservato a scuola, una
gentilezza riscontrata sul posto di lavoro, un gesto di aiuto, magari anche
piccolo: la speranza è proprio una «virtù bambina», come
scriveva Charles Péguy. E serve tornare bambini, con i loro occhi
meravigliati sul mondo, per incontrarla, conoscerla e apprezzarla. Alleniamoci
a riconoscere la speranza. Sapremo allora stupirci di quanto bene esiste
nel mondo. E il nostro cuore si illuminerà di speranza. Potremo così
essere fari di futuro per chi ci sta intorno».
Vorremmo avvicinarci al Natale con un cuore capace di
sperare. Sostenuti dal dono ricevuto, già presente anche quando non ancora
visto. Con uno sguardo fiducioso, una “mistica degli occhi aperti”, che sanno
vedere i piccoli segni del bene che possono vincere ogni paura.
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