di Giovanni De Pedro
Come ogni mattina ho sistemato casa, seguendo per filo e per segno le mie abitudini quotidiane. Dopo aver riposto il mio amato libro in borsetta, mi reco all'autobus. Scendo alla fermata per recarmi al posto di lavoro, il sole sta salendo a Est, proprio sopra l'aeroporto, vedo decollare un aereo e sogno di fare un viaggio, mi chiedo dove andrà e quante vite, quante storie ci saranno a bordo. Arrivo al semaforo e premo il pulsante che fa scattare il verde. Se non ci fosse, sarebbe un'impresa attraversare questo viale molto largo. Supero la prima parte e aspetto il momento per attraversare la seconda metà del viale. Le automobili si fermano, scatta il verde e m'incammino, sento una brusca frenata e mi fermo, come paralizzata, nel bel mezzo delle strisce pedonali.
Il frastuono dell'impatto mi stordisce, alla mia sinistra vedo schizzare, senza controllo, l'utilitaria che era ferma al semaforo, s'inclina su due ruote, si raddrizza e sbatte contro il marciapiede.
Nello stesso istante, alla mia destra passa come un razzo, la berlina che ha causato l'incidente.
Un attimo che sembra un'eternità, la mia mente confusa non manda impulsi ma sono viva! Mi reco sul marciapiede, mi appoggio a un muro guardando la scena del disastro, comincio a piangere. Anche le altre persone, coinvolte nell'incidente, escono illese dalle proprie vetture.
Telefono in ditta, accorrono i miei colleghi per sincerarsi delle mie condizioni, mi consolano.
Sirene di ambulanze, di auto dei vigili, sono sempre più vicine. I soliti curiosi rallentano per guardare la scena e fare le loro ipotesi, creando una lunga coda. La mia mente esplode, non so cosa fare, cosa pensare. I colleghi mi portano in ufficio, chiamo mia madre al telefono che riattacca in fretta, prende l'auto e in poco tempo arriva in azienda, mi abbraccia forte, respiro il suo profumo, sapore della mia vita e mi rilasso un attimo.
Arrivate a casa sua, vedo il suo cane e penso subito al mio, cosa sarebbe stato di lui se mi fosse successo il peggio?
Mia sorella entra dalla porta, mi abbraccia mentre mi lascio andare alle lacrime. Lei è l'altra mia metà, siamo sempre state indivisibili.
Alle sue spalle, intravedo la piccola sagoma di sua figlia, mia nipote, il nostro futuro. La prendo in braccio, la bacio, mi bacia, la stringo, mi stringe, sorrido, mi sorride, guardandola penso che per dare una vita ci vogliono nove mesi e, senza che lo vuoi, può finire in un attimo.
Comprendo che la vita è come un bambino, tanto bella, tanto dolce ma tanto fragile.
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