di Luigi Giannacchi
Sono sconvolto dall’inasprimento del conflitto
medio-orientale arabo-israeliano, anche se non ero così ingenuo da pensare che
dopo l’epidemia di Covid l’umanità si fosse convinta a ridurre la spesa della
tecnologia bellica ricercando piuttosto tecnologie in grado di migliorare
l’ecosistema del pianeta in cui viviamo. Nel dicembre 2019, poco prima che
scoppiasse l’epidemia, ma arrivavano già notizie inquietanti dalla Cina, un
documentario televisivo metteva in evidenza come la spesa bellica in tutti i
paesi della Terra era aumentata in maniera irrrazionale. L’epidemia ha solo
fatto posticipare propositi di guerra che sono rimasti sopiti per la paura di
un’arma biologica non ancora nota.
Nella scelta fra essere e divenire che nasce dai
primordi della filosofia ho sempre dato priorità ai filosofi che incentravano
il loro modo di vedere il mondo su una visione dinamica e complessa delle
vicissitudini della storia, ho sempre preferito Eraclito a Parmenide, ma spesso
mi sono chiesto se veramente la guerra abbia una sua giustificazione nella pace
che ne segue. Sono d’accordo con lui: il mondo è sempre in divenire fra uno
stato di guerra ed uno stato di tregua. “Come il movimento dei venti preserva
il mare dalla putredine cui sarebbe ridotto da una bonaccia duratura, così la
guerra preserva i popoli dalla putredine cui sarebbero ridotti da una pace
duratura o addirittura perpetua”. L’amore che ho per il mare e l’utilità del
vento mi fa condividere solo per quanto riguarda il vento questa frase di
Hegel, ma è veramente così inverosimile che possa esistere una pace universale
in vita o dobbiamo aspettarcela solo alla morte?
“Life, Lady Stutfield, is simply a mauvais
quart d’heure made up of exquisite moments” La vita non è altro che un brutto quarto
d’ora fatto di momenti squisiti, diceva O.Wilde. Siamo nel mezzo del quarto
d’ora più terribile da quando un preistorico virus che era rimasto endemico fra
i pipistrelli è rientrato in contatto con la specie umana. Chiaramente non per
colpa dei pipistrelli, ma se mai per colpa della popolazione umana che sta
continuando ad occupare ecosistemi di altri animali, senza rendersi conto che
le epidemie provenienti dal mondo animale saranno d’ora in poi più frequenti di
prima. Stiamo deforestando, inquinando, allevando senza criterio, riducendo a
merce qualunque parte di questo pianeta possa arricchirci ed in più proseguiamo
anche a farci la guerra come se niente fosse. Non sembra un animale tanto
intelligente questo homo sapiens!
Durante il Rinascimento l’utilizzo delle armi
da fuoco e la necessità da parte dei governanti di avere un esercito permanente
accelerava la volontà di acquisire territori per avere il sopravvento sui
propri vicini confinanti. Per questo motivo Erasmo da Rotterdam condannava
duramente l’uomo impegnato “con tanto zelo, con tante spese, con tanti sforzi
alla reciproca rovina della guerra. Che infatti facciamo nella vita se non la
guerra o prepararci alla guerra? Neppure tutte le bestie combattono tanto, ma
solo le belve, le bestie cattive.”
Non era di questo avviso N. Machiavelli che
invece invitava il Principe a “prepararsi alla guerra e a tutto ciò che essa
comporta”, in questo invito seguito senza posa da Cesare Borgia, consapevole
che “i principi che si sono dedicati più ai piaceri della vita che all’arte
militare hanno perso il loro potere”. Era quest’ultimo così interessato
all’arte della guerra piuttosto che alle altri arti da invitare Leonardo Da
Vinci a lavorare per lui per progettare una macchina da guerra invincibile in
uno scontro armato.
Il generale Von Clausewitz, morto nel 1831 della
stessa epidemia di colera nella quale morì anche il filosofo Hegel, era
ossessionato dalla figura di Napoleone, da cui era stato sconfitto nella
battaglia di Jena del 1806. Tanto era la sua avversione verso Napoleone che
preferì arruolarsi nell’esercito russo durante la coalizione fra la Prussia e
la Francia. Esaminando nel suo libro “Della guerra” se questa fosse più vicina
all’episteme (il sapere), oppure alla techne (l’applicazione del sapere) finiva
per concludere che “la guerra non appartiene né al dominio dell’arte né al
dominio della scienza, ma al dominio della vita sociale. E’ un conflitto di
grandi interessi che ha una soluzione sanguinosa e solamente in questo
differisce dagli altri. Si potrebbe piuttosto paragonarla al commercio che a
qualsiasi altra arte, perché il commercio è anch’esso un conflitto di interessi
e attività: e alla guerra si accosta ancor più la politica, che può anch’essa a
sua volta considerarsi come un commercio in grande scala”. Von Clausewitz
comprende già ai suoi tempi che la guerra non è più un’arte o un gioco, ma è
sul punto di diventare una religione, basandosi sul concetto di rivalità
mimetica: desidero quello che desidera il mio nemico, mi armo come il mio
nemico, combatto come in uno specchio il mio nemico, in una sorta di fuga
vertiginosa verso l’abisso. René Girard ha portato alle estreme conseguenze
questo concetto di von Clausewitz: gli uomini tendono ad essere sempre più
aggressivi quanto più si somigliano, in una rincorsa indifferenziata verso la
militarizzazione e l’autodistruzione dell’umanità.
Aveva forse visto giusto Aristofane che in una
sua commedia ipotizzava la figura di un contadino dell’Attica, il quale, stufo
delle tribolazioni della guerra, volava su di uno scarabeo stercorario verso il
cielo per parlare con gli dei. Con sua enorme sorpresa scopriva che anche gli
dei se ne erano andati via, disgustati dalla cattiveria umana. Al loro posto trovava
invece due giganti che avevano imprigionato Eirene, la dea
della pace, dentro un antro custodito da enormi macigni. Non restava loro che apprestarsi a distruggere le poleis
greche dentro un mortaio, ma mancavano i necessari mestatori per utilizzare al
meglio il pestello del mortaio, fra i quali non ultimi i mercanti di armi e i
politici.
A voler essere utopico un pianeta senza armi
sarebbe una gran successo, non c’è dubbio, ma in primo luogo dovrebbero venire
a mancare tutte le persone che dalla produzione e dalla vendita di armi hanno
un guadagno. Così procedendo bisognerebbe annullare qualsiasi fonte di
ricchezza economica, ovvero gli istituti nati per accumulare denaro, in quanto
sono loro a comportare sempre un debito per l’individuo e per la società, se
non addirittura per gli Stati. Negli anni ‘70 la Bank of Credit and Commercial
International con sede a Karachi e Londra risultò coinvolta in una rete di
traffici illegali con attività terroristiche.
Nella mia vita ho
visitato alcuni stati senza un esercito regolare, fra cui il Costarica che l’ha
abrogato nel 1949 per investire in istruzione e salute e l’Islanda dove gli
Stati Uniti hanno preso in carico la sicurezza dell’isola, sebbene sia presente
una piccola flotta con aerei per il pattugliamento e la difesa delle acque
territoriali. Non mi sono mai sentito così al sicuro come nei brevi periodi che
ho passato in questi Stati.
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