di Nivangio Siovara
Attraverso l’umido, fitto
pulviscolo che costituiva il massiccio muro di nebbia, radenti si fecero strada
i fari dell’automobile e subito nella luce apparvero luridi, innumerevoli musi
di maiale.
L’uomo alla guida fermò la vettura e, alzate le mani dal volante con
riluttanza, stette a guardare. La donna al suo fianco tirò un profondo, dolente
sospiro e con rabbia distolse lo sguardo, gettandolo nella nebbia.
L’uomo raggiunse
frettolosamente l’ingresso principale e lo spalancò; corse poi ad aprire anche
il cancello che era stato inizialmente preso d’assedio. Fu poi costretto ad
attendere che la parte più cospicua degli animali passasse, perché sarebbe stato
certamente travolto se avesse provato a camminare in mezzo a quel flusso
caotico e violento.
Dalla porta principale i primi entrarono lanciati in una folle corsa, spesso
abbattendosi contro spigoli e pareti. Molti fra quelli che li seguivano si
rovesciarono dopo essere scivolati sul fango che chi li precedeva aveva sparso
lungo il proprio cammino. Slittavano poi sulla cera stesa sul pavimento della
sala, finendo la corsa in uno schianto contro qualche mobile.
Si formò un blocco enorme, pulsante e grugnente nel varco della porta
principale. L’uomo lo scavalcò in qualche modo e anche lui fece rientro. Quasi
tutto il branco, che giungesse dalle scale posteriori o dall’ingresso
principale, come prima cosa prese d’assalto le provviste in cucina. Entrare lì,
ormai, per la coppia era diventato impossibile. Un vero e proprio muro di
maiali incastrati impediva il passaggio.
L’uomo raggiunse la moglie, momentaneamente riparata in bagno, e insieme,
turandosi il naso e fissando il soffitto si rifugiarono in camera da letto,
dove si asserragliarono.
Immobili, in silenzio, stesi a letto con lo sguardo nel buio, finsero di
dormire. In verità non si poteva evitare di stare svegli a causa del bussare
continuo di quei musi contro alla porta e di tutto il fracasso prodotto dagli
oggetti che cadevano frantumandosi. Lei all’improvviso ruppe in una crisi di
pianto fragorosa. Suo marito, credendo di consolarla, le prese una mano e
disse:
Lo sai, sai cosa gli abbiamo fatto, per troppo tempo. Li abbiamo torturati e
uccisi per millenni. Ora non possiamo più negargli niente, in coscienza. È ciò
che gli spetta, tutto questo è inevitabile.
Ma io, replicò lei prendendo fiato tra un singhiozzo e l’altro, io non li ho
mai mangiati.
Lo so, lo so. Ma se tu sei qui così come sei, bella e intelligente, e amata, e
vivi in questa casa così comoda ed elegante, è anche perché chi ti ha preceduto
ha potuto… ha voluto sfruttare le loro vite, le loro carni, le loro anime, se
mai le hanno avute. Dai, proviamo a dormire davvero, adesso.
Sì, proviamo a far finta un po’ meglio di dormire, d’accordo, rispose lei
stringendogli forte la mano e sprecando un sorriso nel buio.
Benché sembrasse che i
maiali si fossero calmati, ogni tanto si udiva ancora un tonfo, un tonfo che li
disgustava ricordando il suono d’un oggetto lanciato in un lago denso e
vischioso, ma quel lago era ormai il pavimento della loro casa. Del liquido
marrone penetrò sotto la porta della camera. Addirittura lo si udiva avanzare.
Scusa, fece appena in tempo a dire l’uomo. Aprì la porta abbastanza per
infilarci la faccia e vomitò fuori da lì, in testa ai maiali stesi davanti alla
camera, facendo attenzione, nel frattempo, a sbarrare il passaggio con le gambe
a quelli che, risvegliatisi, avevano ripreso la carica.
Credette di leggere nei loro occhi uno sguardo pieno di feroce rimprovero.
Non senza sforzo l’uomo riuscì a richiudere la porta e a trascinarsi fino al
letto, dove si sedette sul bordo. Disse:
È colpa nostra tutto questo. E ci succede così perché viviamo in un mondo
giusto, ora. E se non siamo felici è perché non ne siamo all’altezza, perché
noi non siamo giusti.
La donna si sedette accanto a lui e gli cinse le spalle con un braccio.
Impareremo, disse.
No, è troppo tardi, replicò lui. Il male compiuto non si cancella. Produrrà
sempre altro male. È ridicolo tentare di porre rimedio. Ridicolo. Sarebbe
meglio dimenticarlo.
Se dimentichi il male non lo puoi curare.
Ma se dimentichi un male incurabile? Non è come morire sognando?
Non credo esista un sistema migliore, disse lei accarezzandogli la fronte. Si
potrebbe soltanto porre fine a questo ciclo di vite.
A quanto pare, quietati, i
maiali erano finalmente caduti in un sonno profondo. Alcuni di loro, forse, se
n’erano già tornati da dove erano venuti.
Durò brevemente, quella pacifica parentesi: già le luci dell’alba grattavano
contro i vetri delle finestre della stanza.
L’uomo e la donna allora si levarono e dopo essersi scambiati uno sguardo si
strinsero in un abbraccio. Lui aprì la porta, e un sorriso ironico accompagnò
il gesto cavalleresco con cui la invitava a passare per prima.
Avanzando tra fango ed escrementi, schivando o scostando come potevano i porci
pesantemente addormentati in ogni angolo, finsero di non notare la devastazione
da cui erano circondati, la casa depredata.
Distogliendo ancora lo sguardo uscirono e se andarono di casa, consapevoli che
i maiali se ne sarebbero andati autonomamente, al risveglio.
Ma questi non sono quelli delle altre volte, osservò la moglie.
Non sono mai gli stessi, rispose suo marito.
Nivangio Siovara non esiste, è solo uno pseudonimo. Come Atena, è nato dalla testa del padre che non abbandona mai; trascorre, anzi, il proprio tempo ad osservarlo con scientifico interesse. Il risultato è una continua produzione di oscuri scritti. Il genitore, rassegnato, gli concede completa libertà, nella speranza che diventi per lui l'immancabile bastone della vecchiaia. Ha pubblicato con Prospero Editore i romanzi "L'onestà del Moloch" (2017) e "In Albis" (2018), e la raccolta di racconti "Di vento". Suoi racconti sono presenti nelle antologie di Prospero Editore "Oltre il confine" (Prospero, 2019) e "Anch'io" (Prospero, 2021)
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