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venerdì 22 maggio 2020

Ritorno al grande Hitchcock : VERTIGO – La donna che visse due volte


di Annalisa Petrella




In questi tempi di contenimento, dopo l’indigestione di film e serie tv che ci hanno messo a dura prova, un ritorno ai classici è salutare e il richiamo del grande Alfred Hitchcock è ancora oggi più potente che mai.
Complesso, ipnotico, appassionante, il film Vertigo, - in Italia “La donna che visse due volte”, - ci cattura attraverso la storia enigmatica di un’ossessione e di un inganno perpetrato ai danni del protagonista John Ferguson, detto Scottie.
La trama è nota e sicuramente il film, un noir reso perfetto da “Hitch”, è stato visionato da tutti noi chissà quante volte, ma la bellezza dell’ultimo restauro, operato nel 2019 dalla Cineteca di Bologna, gli restituisce una profondità che svela all’occhio attento un soffio, una sfumatura di colore, un dettaglio finora celati nella spirale che lo avvolge interamente.


Fu proiettato per la prima volta il 9 maggio 1958 allo Stage Door Theater di San Francisco e l’accoglienza del pubblico e della critica fu tiepida, l’incasso servì sostanzialmente a ricoprirne le spese. Hitchcock era già diventato uno dei registi più famosi e richiesti del mondo, aveva alle spalle quarantotto film di successo, tra cui Rebecca, Io ti salveròNotoriusNodo alla golaIl delitto perfettoLa finestra sul cortile Caccia al ladro, aveva raggiunto una grandissima popolarità con le serie di trasmissioni televisive Sospetto e Hitchcock presenta, ma le sue opere erano considerate da buona parte dei critici americani prodotti di intrattenimento privi di grandi meriti artistici.
Fu all’inizio degli anni Sessanta che partì un processo di rivalutazione del regista a livello autoriale per merito soprattutto di critici e registi europei che riconoscevano in lui le qualità e lo spessore di un “maestro” del cinema. Tra le numerose pubblicazioni dedicate al regista consiglio la lettura del libro Il cinema secondo Hitchcock, di cui uscì la prima edizione nel 1967, frutto di una lunga intervista – conversazione di cinquanta ore tra Trauffaut e Hitchcock, avvenuta nel 1962. “Ci vollero quattro anni per far trascrivere i nastri e soprattutto per mettere insieme il materiale fotografico; ogni volta che incontravo Hitchcock gli ponevo nuove domande in modo da aggiornare quello che chiamavo l’hitchbook.” (François Truffaut nella prefazione dell’edizione 1991).
Il testo, una vera e propria carrellata che ripercorre tutta la produzione e la carriera di Hitchcock, svela informazioni preziose sugli strumenti e sull’arte di fare cinema attraverso un insieme sistematico di domande e risposte e racconta anche, con dovizia di particolari, le atmosfere degli Studios e i retroscena delle star di Hollywood che avevano lavorato per lui.   
 All’uscita di Psycho, nel 1968, i critici lo consideravano ormai un “autore” a tutti gli effetti, il suo modo di fare cinema aveva fatto scuola, gli fu in parte perdonato il successo, la ricchezza e la fama, che altri non erano riusciti ad ottenere, e Vertigo fu giudicato tra i migliori film della sua produzione. Poi nel 1973 Hitchcock, forse per motivi economici, riacquistò dalla Universal i diritti di distribuzione di alcuni dei suoi film, tra cui Vertigo, e pretese la distruzione di tutte le copie rimaste in circolazione. Fu così che il film rimase per anni fuori dai circuiti cinematografici. Quando dopo la sua morte, avvenuta nel 1980, la Universal riuscì a ricomprarne i diritti Vertigo finalmente riapparve nelle sale, piazzandosi immediatamente ai primi posti nelle classifiche dei più bei film di sempre.
Oggi è considerato uno dei migliori film della storia del cinema, tanto che nel 2012 l’autorevole rivista britannica Sight & Sound (British Film Institute) lo ha messo al primo posto, riuscendo a scalzare l’inamovibile Quarto potere di Orson Wells, che deteneva il primato dal 1962. 
Il film

Il film prende ispirazione dal romanzo D’entre les morts (1954), di Thomas Narcejac e Pierre Boileau, ma Hitchcock apporta alcuni cambiamenti decisivi alla trasposizione cinematografica.

 Innanzitutto, ambienta la storia a San Francisco negli anni Cinquanta, anziché in Francia negli anni Quaranta, e tratteggia i suoi protagonisti con un tocco meno maledetto, rendendoli a livello morale più accettabili dallo spettatore. Poi inserisce, a un terzo dalla fine della storia, un’anticipazione sull’identità del personaggio, scegliendo di adottare la tecnica della suspense a discapito della sorpresa e attraendo lo spettatore in una spirale di complicità in attesa del colpo di scena conclusivo, infine modifica in parte il finale.

La trama contiene un'eterogeneità sorprendente di generi, si passa dal poliziesco al noir, al mystery con venature di paranormale fino ad arrivare al dramma e alla tragedia. Forse, più semplicemente, Vertigo è una storia d'amore e di ossessione, pervasa dal senso di colpa sotto l'ombra minacciosa e costante della morte.
Il tema principale che percorre tutto il film è la vertigine, simboleggiata fin dai titoli di testa, disegnati da Saul Bass, dalla spirale che appare anche sulla locandina, una delle più celebri della storia del cinema. Ritroviamo il motivo della spirale nello chignon di Madeleine, nei cerchi concentrici dei tronchi che segnano le linee del tempo, negli incubi persecutori che scavano nelle volute dell’inconscio di Scottie e nella leggendaria scala a chiocciola della missione. Il regista ci comunica che la vertigine genera perdita di equilibrio sia fisico sia mentale, scatena paura e, contemporaneamente, attrazione, infine in amore diventa una trappola ossessiva che porta inevitabilmente alla perdizione.
Scottie, il protagonista, presenta alcune caratteristiche care al regista e che ritroviamo in altri protagonisti dei film precedenti, due esempi: Jeffries (James Stewart) di La finestra sul cortile, è anch’egli vittima di una patologia che sta alla base dell'intero intreccio narrativo e diventa inconsapevolmente lo strumento di un disegno criminale e, come Scottie, è uno scapolo impenitente, ritroviamo anche il John Ballantyne (Gregory Peck) di Spellbound che  cova dentro di sé un profondo senso di colpa invalidante.

Ma entriamo in Vertigo, fin dalla prima scena il protagonista viene mostrato nella sua patologia: soffre di acrofobia, pesantemente.  Scottie, che fa il detective, insegue con un collega poliziotto un malfattore sui tetti di San Francisco, ma scivola e resta appeso ad una grondaia, oscillando nel vuoto - una ripresa “in soggettiva” (tecnica in cui la scena viene inquadrata esattamente dal punto di vista del personaggio, come se la si vedesse attraverso i suoi occhi), trascina lo spettatore in una potente identificazione e mostra l’altezza a lui sottostante -, l’uomo terrorizzato guarda dall’alto l’immensa distanza che lo separa dalla strada in basso ed è vittima di un attacco di vertigine. Il collega poliziotto gli tende la mano nel tentativo di salvarlo, ma perde l'equilibrio e precipita schiantandosi al suolo. Quest'incidente sarà la causa della sua acrofobia e delle sue dimissioni dalla polizia.

In questo memorabile inseguimento sui tetti, il regista ci mostra una delle numerose innovazioni visive del film, l'Effetto Vertigo, detto anche Dolly Zoom, che è quel movimento di macchina in cui la cinepresa viene fisicamente allontanata all’indietro dal soggetto in sincronia con lo spostamento del carrello della macchina da presa in avanti. In questo modo il soggetto dell’inquadratura rimane della stessa grandezza, ma cambiano la prospettiva e lo sfondo. Ai tempi questa tecnica rappresentò un’innovazione eccezionale che trova un’applicazione esemplare nella scena finale sulla tromba della scala a chiocciola della torre campanaria.  
La scelta di questo incipit è strategica, per un lato apre lo scenario sul protagonista e sulla sua fragilità, per l’altro fa partire il film con un'impennata spettacolare che cattura immediatamente l'attenzione dello spettatore.
Anche il tema del doppio nel film è dominante e viene esplicato sotto diversi aspetti:
·         Il film si divide in due parti ben delineate.
·         La storia si occupa di due donne, o di una donna che visse due volte.
·     La prima donna, Madeleine, vive per lo più in una dimensione onirica, come se avesse una sorta di doppia personalità che la fa identificare con l’antenata Carlotta Valdés.
·      La seconda donna, Judy, dalle caratteristiche più terrene, si sdoppia per assecondare l’ossessione di Scottie.
·  La presenza degli specchi in molte scene raddoppia le immagini e moltiplica i significati.
· I temi di fondo si sviluppano per contrasto: verità/inganno, paura/attrazione, amore terreno/amore idealizzato.

Qualche richiamo alla trama

Un vecchio compagno d'università, Gavin, contatta Scottie, dopo che si è ripreso dal trauma, per chiedergli di pedinare sua moglie Madeleine, nel timore che possa suicidarsi, spinta dalla convinzione di rivivere nello spirito della bisnonna, Carlotta Valdés, morta suicida alla sua stessa età. Scottie è riluttante, ma dopo aver visto Madeleine insieme con Gavin nel ristorante Ernie's, accetta l'incarico. La segue, la studia nei suoi spostamenti, ne è ammaliato e comincia a convincersi che la sua ossessione metta davvero a rischio la sua vita, riesce a salvarla dall’annegamento nella baia del Golden Gate Bridge e se ne innamora perdutamente, travolto dal mistero che l’avvolge, dalla sua sensualità sfuggente e dal desiderio di proteggerla.

La perdita di Madeleine fa riesplodere in Scottie il senso di colpa e la frustrazione per la sua manifesta impotenza a difenderla da se stessa, precipita quindi in una spirale dominata da incubi e dalla perdita di qualsiasi contatto con la realtà e finisce in una clinica psichiatrica.
Un anno dopo, uscito dalla casa di cura, Scottie incontra Judy per strada, una donna bruna e appariscente, ma che nei tratti gli ricorda Madeleine …

E qui mi fermo
Sarebbe inaccettabile svelare altro di questo film che riserva parecchie sorprese e che a tutt’oggi esercita sullo spettatore una forza ipnotica magica e surreale.




Il cast
James Stewart aveva già lavorato per Hitchcock in altri tre film e conosceva bene le sue aspettative e il suo modo di girare e qui offre una prova attoriale al massimo delle sue capacità.


Kim Novak sostituì nel progetto del regista l’attrice Vera Miles che dovette rinunciare perché incinta, ma non soddisfò pienamente le attese di Hitch: “É arrivata sul set con la testa piena di idee che sfortunatamente mi era impossibile condividere. Io non rimprovero mai un attore durante le riprese, …sono andato a trovare la Novak nel suo camerino.” (Il cinema secondo Hitchcock, P Editrice, 1991, pag 206). Indipendentemente dall’antipatia di Hitch per l’attrice la sua interpretazione è di tutto rispetto. Kim Novak riesce a calarsi adeguatamente nella parte archetipica della bionda Madeleine per trasformarsi in maniera più calzante in quella terrena di Judy.

Musica
La musica di Bernard Herrmann, ispirata al melodramma italiano, è molto evocativa e con la sua angosciosa ripetizione di suoni sottili e crescendo tumultuosi si è conficcata nella nostra memoria e
accompagna le immagini rendendo il ritmo narrativo incalzante e compatto.
Cameo
Come da tradizione non poteva mancare anche in Vertigo un cameo di Hitchcock: il regista appare per brevi istanti come comparsa nei panni di un passante che porta con sé la custodia di un corno mentre cammina davanti ai cantieri di proprietà del marito di Madeleine.


Con Vertigo Hitchcock ha realizzato un film autoriale grandioso che mostra, attraverso il technicolor, il turbamento irreversibile di un uomo. Ha “giocato” molto seriamente con i simboli, con la fascinazione della morte, con l’uso del colore, in particolare il rosso e il verde, ha utilizzato i “filtri nebbia” per rendere più rarefatti e spettrali alcune sequenze, ha impregnato le scene di un erotismo per sottrazione evidentissimo nelle posture, nei movimenti, nelle vestizioni e negli abiti delle due donne, trascinandoci nella spirale che ha ideato per Scottie all’inseguimento di un amore impossibile, sconosciuto, idealizzato, enigmatico, ossessivo e bugiardo. Negli inseguimenti della donna che visse due volte, perduta nello scenario di una San Francisco falciata dalla luce, siamo andati ben oltre le strade in salita, il Golden Gate Bridge, il porto, ci siamo inoltrati nelle campagne in un vortice di calce bianca e scale di legno, lapidi e cimiteri, missioni e campane, leggende e storia con gli echi spagnoli dove si combinano sacro, profano, vuoto, acqua e polvere.





















13 commenti:

  1. Ho rivisto il film attraverso la tua recensione magica che mi ha conquistato

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  2. Un'accattivante, completa e godibilissima recensione per un grande come Hitchcock

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  3. Una recensione all'altezza del film del grande maestro. Una recensione ricca di annotazioni tecniche, osservazioni e spiegazioni interessanti.

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  4. non c'è che dire...sei splendidamente brava
    Cléo

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  5. L'hanno già detto altri, ma la recensione è davvero ben fatta: documentatissima, ricca di spunti, direi anche intrigante perché sono corso a cercare come poter rivedere il film. Complimenti. Vittorio

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  6. Complimenti! Questo è un vero e proprio saggio più che una recensione. Anche a me è venuta voglia di rivedere il film che vidi tanti anni fa e di cui serbo il ricordo di alcune immagini memorabili.
    Di nuovo complimenti e a presto (speriamo) al cinema. Leonardo.

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  7. Bellissima recensione, ricca di dettagli cinematografici e stilistici di un maestro. Da sempre ricordo la tua passione per il cinema e per un grande come Hitchcock, è un piacere leggerti!
    Ludmilla

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  8. Questo tuo scritto è talmente completo, che potrebbe essere un canovaccio di un testo!
    Un grande regista richiede puntuali e analitiche recensioni!Brava

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  9. gran bella recensione Annalisa,ricca di contenuti e rigorosa nella ricostruzione del film che sembra proprio di rivedere!

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