!-- Menù Orizzontale con Sottosezioni Inizio -->

News

mi piace

martedì 19 maggio 2020

OLOV ENQUIST. OMAGGIO A UNO SCRITTORE SOPRAFFINO


(a cura di Mimma Zuffi)


Foto © Magnus Liam Karlsson



Lo scorso 25 aprile ci ha lasciato Per Olov Enquist, uno scrittore che come pochi altri ha impresso la sua traccia nella letteratura del Novecento europeo. Narratore sopraffino, innovatore nella forma e nel linguaggio, voce sempre fuori dal coro, è stato giustamente definito la coscienza critica della società scandinava. Tra i primissimi autori pubblicati da Iperborea, per oltre trent'anni i suoi libri e la sua amicizia sono stati stimoli per cercare di diventare persone e cittadini migliori. Ci consolano solo le sue pagine più belle, e la certezza che saranno lette per generazioni.

Arrivederci Peo, e grazie.

ll ricordo di Emilia Lodigiani, fondatrice di Iperborea


«È stato il primo autore che ho incontrato di persona l’anno stesso della nascita di Iperborea, nel lontano 1987 quando avevo appena deciso di pubblicarlo, in una serata a Parigi, dove mi aveva subito colpito per quella sua profondità ed essenzialità che riusciva a comunicare quasi anche solo con la sua presenza fisica. E l’incontro con lui negli anni è sempre rimasto l’appuntamento con una persona speciale, non solo uno dei grandi scrittori europei che eravamo orgogliosi di pubblicare, ma per me era come l’incarnazione di tutto quello che mi ha sempre affascinato nel mondo nordico. Ho assistito al passaggio dai periodi più bui della sua vita a quelli sicuramente più felici, dopo l’incontro con Gunilla, e la ripresa della sua creatività dopo una lunga crisi. Ma tra i vari momenti passati insieme, vorrei ricordare uno degli eventi più emblematici, l’incontro con i carcerati di Poggioreale nel 2007, che erano tra i gruppi di lettura che gli hanno attribuito il Premio Napoli per "Il libro di Blanche e Marie": la commozione delle loro domande che dopo un po’ non vertevano più sul libro e sull’autore, ma su loro stessi, i loro drammi e i loro problemi, con quella speranza che chi aveva scritto un libro del genere potesse risolvere anche i problemi della loro vita. Non è quello che nel profondo cerchiamo tutti nei grandi scrittori? E ricordo la commozione di Enquist che l’aveva trovato uno dei momenti più forti e intensi della sua vita pubblica. Lo ricordo così: come un faro. E, come mi ha scritto oggi il nostro autore islandese Jon Kalman Stefansson: "Enquist se n’è andato. Abbiamo bisogno di più luce."»
-----

IL LIBRO DELLE PARABOLE               
  
PP. 256 - € 15,50

Aveva promesso di non raccontarlo mai a nessuno, allora era solo un ragazzino, ma adesso, giunto sulla riva del fiume che ha già chiamato tanti amici all’altra sponda, incalzato dalle domande rimaste senza risposta, Enquist capisce che quella donna incontrata nell’estate del 1949 è il cuore del romanzo che non è mai riuscito a scrivere. Un romanzo d’amore. Che cos’è l’amore? Un’estasi dello spirito e del corpo, quel corpo negato dalla fede severa della sua infanzia e la cui scoperta improvvisa è stata un’esperienza mistica, rivoluzionaria, l’inizio di una ricerca più alta e tormentata di libertà che lo ha accompagnato per tutta la vita, tra l’angoscia del peccato, il richiamo della perdizione e il fascino per quella ribellione assoluta che è la follia. Di qui il bisogno di ritrovare i modelli che hanno «marchiato a fuoco» la sua esistenza e raccontarli in nove parabole, fulminanti, crude e senza veli come è concesso alla poesia biblica: il mistero del taccuino del padre mai conosciuto che conteneva solo versi d’amore, la zia eroica che in punto di morte ha osato rinnegare il Dio che non l’ha mai ascoltata, la bisnonna che per 34 anni ha scritto sui muri il suo dolore e che quando le hanno tolto la penna ha continuato con un chiodo. E quella sconosciuta gentile e sola che nel lontano 1949 gli ha aperto le porte della stanza più intima, dove i segreti proibiti dell’amore si intrecciano a quelli dell’immaginazione, convertendolo alla religione della vita e della scrittura.

UN’ALTRA VITA
PAGG. 544 - € 19,50


Questa è una storia che comincia nel 1934 in una casa verde in un villaggio nell’estremo Nord della Svezia. È una storia che rimbalza tra Uppsala, Copenaghen, Parigi, Los Angeles, Broadway, Reykjavík e Berlino, e che (non) finisce ai giorni nostri. È la storia di un bambino quasi perfetto, di un ragazzo baciato dal talento e dal successo, di un uomo devastato dall’alcolismo. È la storia di chi suo malgrado si è sempre trovato al centro della Storia, e si è sentito in dovere di osservare. È una storia sulla nascita del terrorismo alle Olimpiadi di Monaco, sul processo alla banda Baader-Meinhof, sulla Mano di Dio di Maradona, sulla caduta del Muro di Berlino vista da piazza Venceslao. E Olof Palme, Rudolf Nurejev, Ingmar Bergman hanno i loro cammei. È una storia sul peccato e la colpa e il paradiso e l’inferno e l’eternità e il silenzio glaciale e immutabile del cielo stellato. È una storia che se è cominciata così bene come ha potuto finire così male? È una storia di solitudine e resurrezione, dove si scopre che non sono le domande a essere sbagliate, ma quasi sempre lo sono le risposte, taglienti come ghiaccio, implacabili e fondamentaliste. È una storia sulla vita, l’unica, quella che non viene restituita quando la prima è stata sprecata. È la storia di un intellettuale che non solo ha raccontato la nostra epoca come pochi hanno saputo fare, ma vi ha anche lasciato un segno profondo. È la storia più onesta, lucida e coinvolgente che Per Olov Enquist abbia mai raccontato. È la sua storia.

IL LIBRO DI BLANCHE E MARIE
 PAGG. 256 - € 17,00

Marie è Marie Curie, l’eroina della scienza, la visionaria polacca cui la scoperta del radio e le rivoluzionarie ricerche sulla radioattività valsero ben due Premi Nobel, il primo dato a una donna e la prima a meritarne un secondo. Blanche è Blanche Wittman, la paziente preferita di Charcot per i suoi innovativi esperimenti terapeutici, la «regina delle isteriche» alle cui pubbliche sedute di ipnosi assistevano Freud e Strindberg, Babinski e Sarah Bernhard, e accorreva tutta l’élite medica, intellettuale e mondana della Parigi di fine Ottocento. Due donne che vengono da origini e mondi lontani e il cui incontro è la scintilla di un’unica domanda, una comune lotta e uno stesso destino: entrambe bruciate nell’anima e nel corpo dall’inspiegabile e letale luminescenza azzurra del radio e da quella non meno misteriosa e mortale della passione. Guarita dopo la morte di Charcot, e diventata assistente di laboratorio di Marie, sua amica e confidente, Blanche è la testimone di cui Enquist si serve per intrecciare le due grandi avventure scientifiche che segnano l’inizio della modernità, farne rivivere i protagonisti e, attraverso i due luoghi simbolo della sua vita, il laboratorio delle ricerche sul radio e l’infernale gineceo della Salpêtrière, il più rinomato ospedale neurologico del tempo, dove Charcot apre la via all’esplorazione del tenebroso continente femminile, indagare su un’epoca ricca di fermenti libertari e di oscurantismo, di ambigua ricerca di verità e di ipocrisia. Ma è la domanda di Blanche e Marie il centro del romanzo, che è soprattutto un romanzo d’amore e sull’amore: qual è la misteriosa natura di quel legame che unisce Blanche a Charcot, quel potere incontrollabile che spinge la celebre vedova Marie a innamorarsi perdutamente di Paul Langevin, ex allievo di Pierre, sposato e padre di famiglia, mettendo a repentaglio reputazione, carriera e quasi l’incolumità? Qual è «la formula chimica del desiderio», il suo peso atomico, l’unità di misura dell’amore che potrebbe aiutare a capire la sua felicità e la sua inaudita sofferenza e a trovare quel nesso che darebbe un senso a tutto?

IL VIAGGIO DI LEWI
pagg. 584 - € 25,00

Il viaggio di Lewi è il cammino di una vita, la storia del «più grande leader spirituale che la Svezia abbia mai avuto», un Pilgrim’s Progress che attraversa il Novecento, gettando nuova luce sul processo che ha fatto di una nazione povera uno dei modelli più avanzati della modernità. Lewi Pethrus: chi era quel piccolo «venditore ambulante del Västergötland», idealista senza grande educazione, attivo nei primi sindacati, che sogna di diventare scrittore e finisce predicatore, chiamato da Dio nella piccola comunità Filadelfia di Stoccolma, da cui fonderà il movimento Pentecostale svedese, trasformandolo in un «impero»? E chi è Sven Lidman, poeta erotico, seduttore, arrivista, autore di romanzi ambientati in quell’alta società in cui è entrato di straforo, che trova nel movimento la salvezza dalla morte interiore, diventandone l’altra figura carismatica? I due «gemelli di Dio», opposti e complementari, l’organizzatore e l’incantatore di folle, il costruttore e l’intellettuale, l’uomo dei diseredati e il poeta che rivoluziona la predicazione, due pianeti che fatalmente si avvicinano, attratti nelle reciproche orbite fino a un’inevitabile collusione. Non è mai per giudicare che Enquist sceglie per protagonisti i più controversi personaggi della storia, ma per cercare di capire la complessità umana e il presente, interrogando il passato: non c’è via d’uscita ai meccanismi del potere? È fatale che ogni grande ideale per diffondersi si trasformi in istituzione, che ogni movimento popolare diventi chiesa o partito, perdendo la fiamma interiore, l’anima rivoluzionaria? Qual è il legame tra illuminismo, socialismo e una fede religiosa che predica il battesimo dello Spirito, il parlare in lingue, le guarigioni miracolose, diffusa tra più di duecentocinquanta milioni di persone nel mondo? Ma non è un caso che i fatti vengano visti attraverso la testimonianza di un terzo personaggio: il mite Efraim. Scavando nelle radici, anche in Lewi e Sven Enquist riconosce se stesso, ma il suo cuore resta dalla parte degli esclusi dal potere, dei semplici che ci credono davvero, degli anonimi che non hanno voce e forse per questo «parlano in lingue», e sulla cui tomba si può scrivere: «Era umile, ma fece del suo meglio».

IL MEDICO DI CORTE
Pagg. 448 - € 17,50
«Tu sei un sentimentale, amico mio, un San Francesco tra i poveri di Altona. Ma ricordati che sei un illuminista. Devi guardare lontano. Oggi, tu vedi solo gli esseri umani davanti a te, ma guarda oltre. Sei una delle menti più brillanti che conosca, e una grande missione ti attende… Potresti applicare le tue teorie nella realtà. Nella realtà.» È così che Johann Friedrich Struensee, giovane medico tedesco, idealista, impregnato di idee illuministe, taciturno e schivo, viene convinto ad accettare l’incarico di medico personale, e poi Primo Ministro, del re di Danimarca Cristiano VII, quel re diciottenne intelligente e sensibile, che scambia lettere con Voltaire, e che una mostruosa educazione  conduce volutamente sull’orlo della follia, perché si perpetui il vuoto di potere di cui la Corte ha bisogno per mantenere il proprio. È il 1768: per quattro anni la Danimarca conosce una rivoluzione che anticipa, senza sangue, senza terrore, le conquiste della Rivoluzione francese di vent’anni dopo. Dalla libertà di pensiero, di stampa, di culto, alle più avanzate riforme sociali fino al progetto di eliminazione della servitù della gleba: in seicentotrentadue decreti Struensee, intellettuale ignaro dei giochi della politica, firma la propria rovina, aprendo la strada a quella reazione che Guldberg, pietista assillato dalla missione di salvare la Danimarca dal peccato, non farà che pilotare. Ma è innamorandosi della regina che Struensee decreta la propria condanna. Quella Caroline Mathilde, giunta smarrita quindicenne dalla corte inglese a Copenaghen come sposa del re, che diventa in poco tempo, con la scoperta della passione e dell’eros, una donna libera, viva, conscia del proprio potere e capace di usarlo con lucidità. Una rivoluzione che ha il suo momento magico nella breve felicità di una passione. I meccanismi del potere, il dilemma dell’intellettuale davanti all’azione, il «guardare lontano» senza più riuscire a «vedere vicino», laicismo e fondamentalismo, la forza liberatoria dell’eros e l’ossessione della purezza, la luce della ragione e il suo lato oscuro, la follia e il desiderio: gli ingranaggi della storia riportano sempre in scena lo stesso dramma, ma nella danza della morte in cui sono trascinati i personaggi, resta sospeso nell’aria il suono di un flauto, la musica della libertà e dell’amore, l’ostinato sopravvivere delle idee che non si lasciano decapitare.
Citazioni
«Qualche volta mi domando se non sia stato dato un compito troppo grande a un medico di Altona, restio, puro di cuore, e non sufficientemente colto.»
(Per Olov Enquist, Il medico di Corte p. 256)
«"Vostra maestà, certe volte non è del tutto semplice comprenderVi." Aveva creduto che queste parole sarebbero passate inosservate, tenendo conto della disattenzione del re. Invece Cristiano aveva posato la penna e aveva guardato Struensee con un'espressione di intenso dolore, o di paura, o di qualcosa che avrebbe voluto che Struensee capisse. "Sì", aveva detto. "Ho molte facce". Struensee l'aveva osservato con attenzione, avendo percepito nella voce del re un'intonazione che gli era nuova. Cristiano aveva poi continuato: "Ma, dottor Struensee, in quel regno della ragione che voi vorreste creare, c'è forse posto soltanto per uomini tutti d'un pezzo?" E dopo un attimo aveva soggiunto: "Ma c'è posto, allora, per me?"»
(Per Olov Enquist, Il medico di Corte p. 178)
«Il 5 aprile 1768 Johann Friedrich Struensee fu assunto quale medico personale del re di Danimarca Cristiano VII, e quattro anni più tardi fu giustiziato.»
(Per Olov Enquist, Il medico di Corte p. 13)
Alessandro Baricco, che ha scelto il Medico di corte tra i 50 «libri della vita», ne ha detto: 

«Per Olov Enquist è un narratore squisito, e in quel particolare artigianato (distillare dalla Storia delle storie) è, per quel che ne capisco io, uno dei migliori. 
Ha oggi 77 anni, è noto per il suo impegno politico, è svedese. Non ci sarebbe da stupirsi se ce lo ritrovassimo premio Nobel, prima o poi. Ma a parte questo: scrive limpido, con architetture nitide e mai banali, una misura incantevole e dei cambi di velocità da ragazzino. Di rado forza le cose, e spesso sembra giusto accompagnarle, come pochi scrittori sanno fare. Ha un timbro di voce di cui non ho mai veramente scoperto il segreto: credo che parta da una specie di freddezza da referto medico e poi la scaldi al fuoco lento della sua personale meraviglia. Il risultato è strano: è come sentire un notaio che legge un testamento, ma il testamento è il suo, e allora la voce è più calda, e ogni parola piena di cose, e il tutto così irripetibile – ordinato ma irripetibile. Una cosa, in particolare, gli devo riconoscere, con invidia: ha un modo sconcertante di prenderti, ovunque tu sia, e di posarti in mezzo alle storia che racconta: lo sanno fare in molti, ma lui lo fa con un gesto mite, da artigiano modesto, che ti prende di sorpresa. Ti ritrovi lì in mezzo, ma maledettamente in mezzo, e neanche ti accorgi che qualcuno ti aveva preso in mano e ti aveva posato su quella scacchiera di cui nulla sapevi. Lasci che lui giochi, allora, ed è, per lo più, un piacere.»


processo a hamsun
pagg. 243, € 11,50

 
Il «caso Hamsun» è uno di quelli che ancora accendono passioni e suscitano polemiche: il dramma di un grande scrittore, Premio Nobel, amato e stimato, riconosciuto come il portabandiera dell’identità della giovane nazione norvegese, che si schiera dalla parte degli occupanti tedeschi quando invadono il suo paese, difende il nazismo, scrive l’elogio funebre di Hitler e viene processato e condannato per alto tradimento dai suoi connazionali. I fatti sono noti e, soprattutto dopo l’appassionato e documentatissimo Il processo Hamsun di Thorkild Hansen del 1978, non è per scoprirne di nuovi che si riaprono atti e incartamenti: a quasi cinquant’anni di distanza, dice Enquist, non c’è più bisogno di «quantificare colpe ed emettere sentenze», non è più il «colpevole o innocente» che ci interessa, ma è l’inquietante perché, il com’è potuto avvenire che vorremmo cercare di capire. È rievocando con grande intensità e immediatezza gli anni fra il 1936 e il 1953, che Enquist ci offre il suo tentativo di interpretazione, puntando il riflettore sul declino di un artista vissuto troppo a lungo, sulla tragedia di un uomo molto vecchio, molto sordo, che vive sulle soglie della morte una «danza macabra» matrimoniale, che vede intorno a sé la sua famiglia andare in pezzi, crescere l’odio e il disprezzo verso la sua persona e diventare riprovevole e infame tutto quello che aveva sempre ritenuto giusto e corretto. Ma oltre alla profonda umanità del caso Hamsun è soprattutto l’emblematica figura dell’intellettuale che sta a cuore a Enquist: autore da esami di coscienza, mette sotto accusa la perenne sindrome di chi, affascinato da teorie e ideologie, si ostina a negare tutto ciò che le contraddice e, volendo guardare lontano, non sa o non vuole vedere la realtà che ha sotto gli occhi.

LA PARTENZA DEI MUSICANTI
Pagg.374 - € 14,50
Inizio secolo, nell’estremo Nord della Svezia, una terra di foreste e ghiacci isolata dal resto del mondo: è qui, dove è nato e cresciuto, che Enquist ambienta il suo romanzo-verità, uno dei tanti interrogativi che continua a rivolgere alla storia, un tentativo di rimeditare e capire quella realtà che ha spinto uno svedese su sette, in quei decenni, a emigrare oltre oceano. È «l’altra faccia del Western»: una storia di ieri che, in altre parti della terra, rimane ancora tragicamente storia di oggi. Ricostituite sulla base di documenti reali, testimonianze e aneddoti familiari, le vicende rievocano gli anni dal 1903 al 1910: il nascere e il morire delle prime associazioni operaie, la timida adesione ai primi scioperi, il lento e faticoso farsi strada di una coscienza politica nei contadini e negli operai delle segherie di quella «terra delle tenebre», dove giunge per la prima volta la «buona novella» del socialismo, scuotendo con il doloroso travaglio delle idee nuove l’equilibrio di secoli di immobilismo, di oppressione, di miserie e ingiustizie accettate con religioso fatalismo. Ma non si tratta di un romanzo a tesi: è nella disarmante umanità del vissuto quotidiano che impercettibilmente avvengono i grandi cambiamenti della storia. Enquist non vuole far altro che «registrare meticolosamente, come un contabile privo di immaginazione, tutti quegli esseri pii, devoti, imperfetti, impotenti e perdenti, che si rimettevano fiduciosi alla volontà dei loro oppressori, negando ostinatamente di essere delle vittime».

STRINDBERG: UNA VITA
Pagg. 304 - € 15,00

Enquist è scrittore che ama provocare: dalla scelta dei temi, scottanti problemi di storia o di attualità, a quella dei protagonisti, spesso grandi mistificatori o mostri, fino allo stile, secco e senza concessioni, vuole scuotere, suscitare reazioni, scardinare facili risposte acquisite. Come Sciascia, parte spesso da fatti reali per costruire la sua opera sul margine sottile che corre fra documenti e invenzione. così il suo Strindberg: una vita: non una biografia, ma un punto di vista personale, in cui l’autore fa gli inevitabili conti che ogni scrittore svedese si trova prima o poi a dover fare con l’ingombrante «padre», il «monumento nazionale», che fu però al centro di scandali e processi, osannato e insultato, ora in trionfo e ora bandito. era una figura complessa e contraddittoria: misogino che ebbe tre mogli da cui fu amato e odiato con passione, socialista anarchico, ma affascinato da Nietzsche, mistico visionario, ma processato per vilipendio alla religione, pittore solitario e inquieto nomade, fotografo e alchimista, artista che visse in prima persona tutti i fermenti del suo tempo. la vita è raccontata per immagini, con l’immediatezza, l’efficacia e la facilità del linguaggio visivo. si tratta, infatti, di un «romanzo televisivo», servito da sceneggiatura per una serie a puntate trasmessa sui teleschermi di mezza Europa. Enquist scrive di Strindberg come in un dramma di Strindberg, punta i riflettori sui lati nascosti e sceglie intenzionalmente episodi forti o ambigui ponendo al centro della scena non tanto l’artista, ma l’uomo del suo tempo, l’epoca da cui è scaturita la nostra, e l’uomo nella vita quotidiana, con i dubbi e le illusioni che fanno ogni giorno la nostra.








Nessun commento:

Posta un commento