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domenica 3 maggio 2020

MARTINO - 2a parte

(di Enrico Jessoula)

per leggere la 1a parte collegarsi a  
https://sognaparole.blogspot.com/2020/04/martino-1a-parte.html

Di conseguenza, allungò la mano pigramente verso il PC portatile, ma sentì come una forza magnetica che la respingeva. Insomma, non ne aveva proprio voglia.
Ripiegò quindi su un esercizio che considerava quasi un gioco didattico, utile ad affinare le doti di un poliziotto.
Consisteva nell’osservare le persone intorno con particolare attenzione, cercando di cogliere un qualsiasi indizio o caratteristica che potesse smascherare possibili tendenze criminali anche in individui apparentemente normali e perbene.
Iniziò così, per la prima volta da quando avevano sistemato i bagagli sul portapacchi, un’analisi approfondita delle tre compagne di viaggio.
Le bastarono però pochi attimi per capire, sconsolata, che non sarebbe approdata a nulla: quelle donne apparivano al di sopra di ogni sospetto e tentazione.


Altro che matrigne di Biancaneve! Quelle tre vecchie potevano anche sembrare tre vedove che portavano il lutto, ma Rosaria non esitò a classificarle  a prima vista come ‘beghine da parrocchia’: abiti tutti neri di modesta fattura e tessuto scadente, calze scure, sottane lunghe a coprire gambe ossute,  capelli bianchi tendenti miseramente al giallo.
Come a dire: nessuna frivolezza. Proseguendo la rassegna, annotò mentalmente i volti non curati, senza traccia di rossetto sulle labbra cadaveriche; le gote impiastricciate malamente di uno spesso strato di belletto, lo sguardo spento di chi non ha mai conosciuto la passione o ne ha ormai seppellito il ricordo.
“Tre morti secche” le avrebbe definite zia Innocenza a Crotone. Chiuse gli occhi e le vide come in una sequenza di scene da film.
Le immaginò schierate nella prima fila di banchi durante la Messa, tra le pie donne che fanno eco all’officiante con le frasi di rito mandate a memoria e, subito dopo, in fila a ricevere con espressione ispirata e ieratica la Comunione.
In un’altra scena le vide come dame di carità, elargire aiuti ai bisognosi, abiti smessi e un pasto caldo, e, subito dopo, portare conforto ai malati, tra i letti di un ospedale.
In un’altra ancora fungevano da catechiste in parrocchia, impartendo lezioni di bontà, ma incutendo involontario timore nei ragazzini che sciamavano intorno.
Insomma, nulla che potesse far intravedere in loro un potenziale trasgressivo.
Una delle tre poteva addirittura essere scambiata per un uomo, sia per i lineamenti del viso particolarmente aguzzi che per il tono di voce; “Ideale per fare la perpetua, al di sopra di qualsiasi tentazione per il povero prete” pensò Rosaria, aspettandosi da un momento all’altro di vederle fare il segno della croce.
All’inizio del viaggio, com’è tipico dei vecchi, le tre beghine si erano profuse in complimenti a Martino: “che bel ragazzo”, “sembra così intelligente”, “che classe fai?” e “cosa leggi, caro?”, ma poi si erano tuffate in una fitta conversazione tra di loro, visibilmente eccitate dalla breve vacanza trascorsa a Cap d’Antibes.
“Probabilmente uno scambio tra parrocchie” aveva concluso Rosaria prima di desistere dall’esercizio intrapreso, non avendo trovato nessun particolare fuori posto, nessuna nota stonata nel loro aspetto e comportamento che desse adito a qualche dubbio sulla loro natura di beghine da chiesa.
Rosaria poteva non amare il genere, ma non certo criminalizzarle.
Riallungò stancamente la mano verso il computer e questa volta riuscì ad estrarlo dalla borsa. Terminata la procedura di accensione, aprì con un sospiro un nuovo foglio Word e scrisse in alto, in grassetto e corpo quattordici: “Missione a Mentone - Relazione di viaggio”.
Poi portò entrambe le mani alle tempie, nella disperata ricerca di una concentrazione che stentava ad arrivare.

La nota stonata irruppe nello scompartimento quando il treno, appena ripartito dalla stazione di Genova Piazza Principe, aveva iniziato ad inerpicarsi sul tratto di montagna verso Serravalle:
- Vi ricordate quella sera, tornando a casa mia ad Antibes… -
Le orecchie del commissario reagirono automaticamente: una delle donne, quella che da subito era sembrata la più arzilla e autorevole, sembrava possedere una casa a Cap d’Antibes! Ma non solo:
- Sì, avevo appena parcheggiato il Freelander nel garage interno quando… -
Il resto del discorso fu sommerso dal chiacchiericcio e dalle risate scomposte delle tre vecchiette che, sempre più eccitate, si confrontavano su quell’episodio.
Rosaria allungò insistentemente lo sguardo verso Martino. Avrebbe voluto stabilire con lui uno degli abituali momenti di complicità in cui, anche senza parlare, si comunicavano stupore e meraviglia.
“Altro che beghine in visita ad un’altra parrocchia” avrebbe voluto dirgli. E lui avrebbe risposto con uno dei suoi sguardi eloquenti, una smorfia espressiva della bocca, per condividere lo stupore.
Ma non fu possibile perché Martino era talmente immerso nella lettura da scomparire fisicamente dentro il libro, vanificando qualsiasi tentativo di contatto.
Spostò allora la sua attenzione sulla vecchietta più autorevole, la proprietaria di casa e SUV Freelander.
Si trovò a rettificare il giudizio iniziale. Era in effetti un po’ meglio delle altre: una linea leggermente arrotondata dal benessere, l’abbigliamento meno sciatto, i capelli abbastanza in ordine, persino un accenno di trucco.
Anche l’abito nero era modesto ma di buona fattura e la sottana non troppo lunga. Nel suo complesso, il look era rovinato dai gambaletti che le arrivavano sotto il ginocchio, ma non era certo la povera beghina che le era parsa a prima vista.
Di nota stonata in nota stonata, rimaneva da chiarire per quale motivo, avendo a disposizione un Freelander, le donne viaggiassero in treno, che in tre era sicuramente più costoso.
Le venne casualmente in soccorso la stessa vecchietta ripetendo alle altre, forse per l’ennesima volta, che a Milano non aveva bisogno dell’auto; preferiva quindi lasciarla sempre a Mentone, dove il clima favorevole l’avrebbe preservata meglio sia sul piano della meccanica che della carrozzeria.

Appena sistemati sull’auto di servizio che li aveva prelevati in stazione, Rosaria cercò di provocare Martino:
- Mi hai lasciato fare l’esercizio da sola sul treno, eh? -
- Ah sì, quale esercizio? - rispose il figlio con tono distratto e vagamente scocciato.
- L’esercizio del poliziotto - incalzò Rosaria, cercando con il suo tono entusiastico di coinvolgerlo - quelle tre donne, le nostre compagne di viaggio, erano un soggetto ideale. Sembravano tre beghine da parrocchia, tre dame di carità, e invece… -
- Invece? -
Non poté evitare di guardarlo stupita:
- Martino, ma tu dov’eri, per le oltre quattr’ore che è durato il viaggio? Non hai sentito che quella che stava seduta in mezzo, proprio vicino a te, possiede casa e SUV ad Antibes? Altro che beghine! -
Il ragazzo accompagnò con sguardo annoiato un laconico “Ma dai?” di cortesia, prima di intavolare con Remo – il poliziotto che pilotava con perizia e velocità il mezzo – una fitta chiacchierata di aggiornamento sugli avvenimenti sportivi del giorno, nonché sulle prestazioni e le facilities dell’auto.

Erano circa le nove della sera seguente e Rosaria stava deponendo il cellulare dopo una lunga conversazione. Si stava avviando verso il salotto quando la domanda fulminante di Martino la fece sobbalzare:
- Con chi parlavi, mamma? -
Gettò un’occhiata verso il divano, pensando d’incrociare il suo sguardo indagatore. Non fu così: Martino in quel momento era una corona di riccioli neri che sporgeva appena dal bordo superiore del libro che stava divorando.
Il commissario cercò di tagliar corto, perché non le piaceva che il figlio s’intromettesse, a soli dieci anni, nelle sue questioni di lavoro, che tra l’altro avevano spesso dei risvolti poco simpatici se non addirittura orribili:
- Niente, un mio collega che voleva delle informazioni. -
Il libro scese finalmente fino a metà naso, scoprendo gli occhi del bimbo:
- Non me la racconti giusta, scommetto che era Raymond. Solo con lui mescoli italiano e francese, “mi sembra debole, c’est trop faible”. Lo fai per darti delle arie, perché Raymond sa benissimo l’italiano. -
Rosaria cercò di controllare l’irritazione che si stava impadronendo di lei, anche perché la frase “lo fai per darti delle arie” non le era suonata affatto come una domanda, ma un’affermazione.
Cercò di assumere un tono noncurante:
- Appunto, ho detto che era un collega e Raymond lo è. -
Calò un lungo silenzio, durante il quale Martino si rituffò nella lettura e Rosaria si dedicò alla cernita della posta arrivata quel giorno, lasciandosi sfuggire un sacrosanto:
- Quanta carta inutile! -
Il libro ridiscese fino a metà naso:
- Ci sono novità? -
- No, figurati, tutta pubblicità. -
Il libro scese ancora un po’, rivelando uno sguardo insolente:
- Cosa dici? Ho chiesto se ci sono novità da Raymond, se hanno trovato tracce dell’italiano scomparso. E’ già passata quasi una settimana! -
Per quale motivo un bimbo che sembrava non curarsi di nulla se non delle sue ricerche sul libro del momento, manifestasse una così grande curiosità per le inchieste di cui lei si occupava, rimaneva un mistero per Rosaria.
Anche se un certo istinto poliziesco gliel’aveva sicuramente trasmesso lei attraverso il DNA, un interessamento così assiduo le appariva decisamente prematuro rispetto all’età.
Sospirò:
- Nessuna novità. Raymond è disperato e io non riesco ad aiutarlo minimamente: l’italiano sembra essere scomparso, dissolto nel nulla. -
- La mafia ha ottimi sistemi per far scomparire le persone. Ti ricordi quel film con Toni Servillo? -
Lo ricordava benissimo e si era pentita di averglielo fatto vedere: Servillo veniva calato da una gru dentro una colata di cemento. Lentamente, perché se avesse deciso di parlare avrebbe potuto ancora salvarsi, anche all’ultimo momento. Rosaria fu percorsa da un brivido e cercò di cambiare discorso:
- Il tutto è complicato dalla faccenda del cane. -
- Quale faccenda e quale cane? - chiese Martino improvvisamente eccitato, arrivando ad appoggiare il libro sulle ginocchia.
- Già, non te l’avevo detto. La polizia di Mentone si è accorta della sparizione perché l’italiano aveva abbandonato in casa il cane, da solo. Puoi immaginare come uggiolava, la povera Shirley. E’ stata per qualche giorno da Valerie, un’ispettrice di Mentone; ora è a casa di Raymond, ma lui non se la sente di tenerla e dice che il cane percepisce la sistemazione  provvisoria, mentre avrebbe bisogno di un padrone vero. -
Lo sguardo di Martino s’immalinconì all’improvviso:
- Mamma, potremmo prenderlo noi… -
Non riuscì a terminare la frase che Rosaria gli puntò contro l’indice:
- Non ci provare nemmeno. Te l’ho già detto, un cane potremo averlo solo quando abiteremo in una villa con giardino, invece che in due locali al Gallaratese. -
- Quindi, mai - borbottò mesto il ragazzo, mentre il libro gli risaliva davanti agli occhi.
Per cercare di consolarlo, gli arruffò i riccioli e decise di rivelargli qualcosa in più sullo stato dell’inchiesta:
- Ti faccio una confessione: anche tutte le indagini in Italia non hanno dato nessun frutto. Quest’uomo risiedeva a Mentone da dieci anni e non risulta che abbia più messo piede nel bel Paese, se non per brevissime visite ai parenti. Insomma, siamo letteralmente ad un punto morto - sospirò Rosaria, camminando nervosamente fino alla finestra e soffermandosi a guardare le luci della strada - tanto morto che Raymond si sta attaccando ad una traccia debolissima, l’unica che ha ancora in mano. -
- Quale sarebbe, questa traccia debolissima? - rispose la voce dietro al libro, eccitata - Magari è quella giusta e noi la trascuriamo. -
- Noi? - ripeté Rosaria, sorpresa - Ti consideri già parte del nucleo investigativo? Comunque mi viene da ridere solo a pensarci: la traccia è il forte puzzo d’aglio che aleggiava nell’appartamento. Si sentiva ancora, sai, quando abbiamo fatto la ricognizione con Raymond. -
- Aglio? - reagì il libro parlante.
- Sì, aglio. Lo strano è che non c’era nessuna traccia d’aglio nell’appartamento né nella pattumiera. E’ inoltre da escludere che questo Italo assumesse aglio a scopo terapeutico, perché risulta tendenzialmente ipoteso, come certificato dal suo medico curante, e neppure che ne facesse largo uso in cucina: è stato interrogato il negoziante di frutta e verdura da cui si serviva e quello ha giurato di non ricordarsi di avergliene mai venduto. Eppure, dovevi sentire che tanfo ristagnava nell’appartamento. -
Ci fu una breve pausa, durante la quale Rosaria cominciò a far mente locale sulla cena. Aprì i cassetti del freezer e ne estrasse una scatola di cordon bleu, graditissimi a Martino.
All’improvviso il libro parlò nuovamente, con tono divertito:
- Sarà una traccia debole, però è una bella coincidenza, l’odore di aglio - e dopo una sapiente pausa, introdotta ad arte: - proprio come nello scompartimento del treno. -
Rosaria rimase con la confezione di surgelati a mezz’aria:
- Ma cosa dici? Non ricordo odori molesti nello scompartimento, ti sei sognato. -
Troppo poco, per smontare l’oracolo che proveniva dal libro. Martino, da attore consumato, lasciò passare ancora qualche secondo per illuderla di avere accettato la smentita; poi riattaccò con tono calmo e determinato:
- C’era eccome, il puzzo di aglio nello scompartimento, anche se coperto da dosi massicce di deodoranti e sapone di Marsiglia. Come se avessero tentato di nasconderlo, senza successo. -
Rosaria trasecolò, ma dovette ammettere che già altre volte il figlio aveva dimostrato una sensibilità olfattiva superiore. Cercò di buttarla sul ridere, prima che quel sapientino riccioluto si mettesse in testa di fare l’investigatore:
- Ho capito, domani licenziamo il dottor Nicoletti e tutta la polizia scientifica, perché tanto ci sei tu che fai le analisi chimiche a naso. -
Questa volta il libro scese fino al divano, mentre Martino commentava:
- Spiritosa! - accompagnando la parola con una linguaccia.

L’indomani all’ora di colazione la cucina era letteralmente invasa dal profumo inebriante dei croissant appena sfornati: stregati dai petit-déjeuner francesi, ne avevano fatto incetta a Mentone e li avevano poi surgelati, in modo da poterne godere nel tempo.
Quella mattina, Rosaria tratteneva a stento un inspiegabile e inconsueto nervosismo. Cercò di calmarsi sorseggiando lentamente il tè, ma alla fine sbottò:
- Che cos’hai voluto dire, caro il mio detective in erba, con quella storia dell’odore di aglio? Il tanfo che aleggiava in casa di Saccari non va mica in giro per il mondo, non è mica esportabile così facilmente. -
Sapientino, come lo chiamava ironicamente la mamma, afferrò il croissant ancora caldo e lo indicò a Rosaria con una punta d’ansia:
- E’ l’ultimo, vero? -
Il velo di tristezza che gli passò sugli occhi alla risposta affermativa non gli impedì di intingerlo nel cappuccino, rivolgendo un pensiero di gratitudine alle boulangerie francesi.
Solo al termine di questo lungo processo si decise a rispondere, con sussiego professorale:
- Ho letto che, quando una persona mangia molto spesso e in grande quantità una certa cosa, il relativo odore trasuda dai pori della pelle. Se la sostanza ha un odore forte, si sente; è il caso tipico dell’aglio, come anche della cipolla, del cavolo… -
- Che fai, sfotti? Credi che non lo sappia? Ma ti ho già detto che l’italiano scomparso non consumava aglio, quindi… -
S’interruppe un attimo, prima di proseguire con tono rabbioso:
- E poi, ti rendi conto che la probabilità di un evento del genere è di uno su un milione, che dico, su un miliardo? Quello è sparito da giorni e proprio noi, cioè proprio io, il commissario chiamato ad aiutare nelle indagini, me lo ritrovo sul treno, servito a domicilio addirittura nello stesso scompartimento! -
Il croissant e il cappuccino erano finiti. Martino ripiegò diligentemente il tovagliolo, concludendo con annoiata ironia mentre si alzava da tavola:
- Boh, il commissario sei tu. Se non era lui, poteva essere il suo killer; vedi se ci cavi fuori qualcosa. Io vado a correre al campo sportivo. -
Giunto quasi sulla porta, si voltò con aria sfottente:
- Dopotutto, lo dici sempre anche tu che il mondo è piccolo! -  

Nel tragitto da casa all’ufficio Rosaria continuò a ripetersi che quella di Martino era un’idea peregrina, da scartare senza esitazione: una probabilità su un miliardo.
Ciò non le impedì di rimuginare a lungo, parlando da sola nell’auto:
“E poi, che razza d’indagine sarebbe mai questa? Come unici indizi abbiamo un Freelander e un puzzo d’aglio. Sciambola!”.
Ciononostante, per carattere e per esperienza preferiva non lasciare inesplorata nessuna pista; perciò, appena giunta alla Centrale di Polizia, chiamò Alessia, l’ispettrice addetta alle ricerche informatiche, e le dettò data, orario e numero di posti delle tre vecchie signore.
- Non sarà facile - precisò - perché non tutti i posti erano a prenotazione. Ad esempio, noi non eravamo prenotati e ci siamo seduti per miracolo. -
- Fammi provare - rispose Alessia - quanto meno avranno comprato i tre biglietti assieme. Questo dovrebbe risultare dal data base della biglietteria. -
Ci sapeva fare, quella ragazza che suscitava l’ammirazione del commissario verso chi sapeva aggirarsi disinvoltamente tra computer e banche dati.
Di fatto, dopo solo un paio d’ore nome, cognome e indirizzo delle tre figure in nero arrivarono miracolosamente sul tavolo di Rosaria, la quale dette uno sguardo distratto alle informazioni, soffermandosi un po’ più a lungo solo sull’indirizzo, perché indicava una via della zona ovest di Milano e, ulteriore scherzo del caso, vicina a casa sua.
Si ripromise di mandare un agente a controllare, ma poi se ne dimenticò perché aveva faccende ben più importanti da sbrigare.
Chiamò invece Martino per dargli soddisfazione, dimostrargli che stava seguendo la ‘pista dell’aglio’:
- Sai dove abitano le tre beghine del treno? Vicino a casa, nella via del tuo negozio di sport preferito. -
Seguì un silenzio che a Rosaria sembrò ingiustificatamente lungo.
- Sei sicura, proprio in quella via? -
- Sì, a una decina di metri di distanza. Perché me lo chiedi? -
- No, niente. A stasera. -

- Ciao mamma, questa è Giada. -
Rosaria sobbalzò dalla sorpresa. Non si aspettava ancora che il figlio le portasse a casa delle fidanzatine, le sembrava prematuro. Restò perciò allocchita a guardare quella ragazzina con le lentiggini e i capelli ramati, che le porgeva la mano con disinvolta cordialità:
- Buona sera, signora. Sono una compagna di scuola di Martino. -
Compagna di scuola. Sembrava più grande, ma si sa che le femmine a quell’età sono più sviluppate, meno bamboccione dei maschi. Rimaneva la domanda di fondo: che cosa ci faceva quella bimba a casa sua, alle sette di sera? La risposta arrivò da Martino:
- Giada abita proprio nella via delle tre vecchiette. Dice che, se ha capito bene di chi stiamo parlando, le può vedere benissimo da casa sua. Ho pensato che potesse esserti utile. -
“Diavolo di un Martino” pensò Rosaria “non può proprio fare a meno di ficcare il naso nelle questioni poliziesche”.
Dovette però convenire che l’occasione era ghiotta, giusto per togliersi il dubbio.
- Sì, molto interessante - disse.
- Signora, se vuole, venga a casa; così si rende conto di persona: le assicuro che è un ottimo punto d’osservazione. -
- Adesso? Non se ne parla, non voglio disturbare i tuoi genitori. -
Giada arricciò il naso in una smorfia buffa, insistendo:
- Si figuri, mio papà torna solitamente verso le nove e mia mamma sarà felicissima di conoscerla. Venga, tanto c’è luce fino a tardi. -

L’appartamento di Giada era al quarto piano, mentre le vecchiette, se erano loro, abitavano al primo della casa di fronte, uno di quei primi piani anomali con un’ampia terrazza lato strada che fungeva da lastrico solare dei negozi sottostanti.
Una terrazza molto grande che Rosaria valutò, a occhio e croce, sui cinquanta metri quadrati; era piena di piante d’alto fusto, tanto da stupirsi che la soletta reggesse al loro peso.
Martino era stupefatto: abeti, aceri rossi, magnolie giapponesi, rosai erano distribuiti armonicamente su tutta la superficie, lasciando ancora una zona libera per gli alberi da frutto e un angolo con sedie e tavolino.
Era evidente che le padrone di casa erano appassionate di botanica ed avevano un indubbio pollice verde.
- Le piace, signora? - intervenne nuovamente Giada - Sa quante volte io m’incanto a guardarle, quelle piante? -
Rosaria si riscosse dallo stupore per una tale bellezza e riprese le vesti del commissario con un’indagine in corso:
- Quindi tu, da camera tua, puoi goderti lo spettacolo ed anche osservare le proprietarie, almeno quando vanno in terrazza. -
- Le vedo spesso, sempre vestite di nero. Posso vederle anche quando sono in casa, a tavola per il pranzo oppure sedute davanti al televisore. Ma il più delle volte sono in terrazza. Si può dire che vivano per quelle piante: annaffiano, concimano, potano, tutto un gran daffare. Per non parlare della pavimentazione, sempre pulita nonostante le foglie. -
- Sono persone molto metodiche, tutti i giorni lo stesso programma di attività - intervenne la mamma di Giada - un regime paramilitare: alle nove puliscono, alle dieci annaffiano e così via. Sembra che non abbiano altro da fare. -
- Beh, ne vale la pena - commentò Rosaria con occhi sognanti - per me è un miraggio, una terrazza come quella. Ti piacerebbe, Martino? -
- Sì, però ci mettiamo anche un tavolo da ping-pong - intervenne il bimbo con gli occhi lucidi - e prendiamo un cane. -
La mamma di Giada si chiamava Lorenza ed era una donna simpatica, semplice e amichevole: in quattro e quattr’otto aveva allestito un aperitivo con il quale brindarono ad una futura terrazza per tutti loro. Proprio in quel momento, due donne uscirono dalla porta finestra: due donne vestite di nero, una ossuta e l’altra leggermente più in carne.
- Sono loro! - gridò Martino, richiamando l’attenzione di tutti - Non c’è dubbio, sono le nostre compagne di viaggio. -
Rosaria sorrise. Estratto dalla borsa un binocolo, inquadrò le due figure a lungo, mettendo accuratamente a fuoco lo strumento.
- Confermo, non c’è nessun dubbio. Una è quella più arzilla che era seduta vicino a te - disse, rivolgendosi a Martino - quella che possiede la casa e il SUV. L’altra quella ossuta al finestrino. Manca solo la donna seduta dalla mia parte, tanto brutta da sembrare un uomo. -
Giada cercò d’ingoiare in fretta le patatine che stava ingurgitando, perché voleva dire una cosa che le sembrava importante. Dopo alcuni colpi di tosse riuscì finalmente a parlare:
- Signora, perché dice che ‘sembrava’ un uomo? La terza persona in quell’appartamento ‘è’ un uomo. -
- Sei sicura? - Rosaria rifletté un attimo, sorpresa dalla rivelazione - Però non è detto che fosse la terza persona del treno. Piuttosto, non avete notato nulla di strano, un comportamento anomalo, negli ultimi giorni? - concluse, rivolta a madre e figlia.
Fu come se una folgore avesse attraversato la stanza, innescando una risposta all’unisono:
- Come non averci pensato prima! Certo, solo pochi giorni fa: sembravano morsi dalla tarantola, andavano avanti e indietro in continuazione, dalla casa alle piante e dalle piante alla casa. -
- E secondo voi, cosa stavano facendo? -
La mamma di Giada scosse la testa:
- Non siamo riusciti a spiegarcelo. Abbiamo ipotizzato che le piante necessitassero di un intervento urgente, ma non pensavo che i tempi per la concimazione scadessero in un giorno preciso. -
- Avete avuto l’impressione che stessero concimando? -
- Cos’altro se no? - intervenne Giada - Ti ricordi, mamma? Inizialmente avevano rimosso un po’ di terra dai vasi, poi hanno portato da casa delle cassette metalliche con il concime e l’hanno distribuito dappertutto. -
- E la terra? - chiese Martino, eccitatissimo.
- L’hanno rimessa sopra al concime - precisò Lorenza, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
Rosaria pensò che non era poi così naturale. Conosceva i concimi cosiddetti ‘di fondo’ per i campi, in cui l’aratura faceva penetrare i componenti sotto terra; nel caso di piante in vaso, invece, l’aveva sempre visto spargere sopra la terra e non sotto. Doveva quindi trattarsi di un concime molto speciale e questo poteva spiegare anche la fretta di spargerlo.
- Magari in vista di una pioggia - concluse ad alta voce - perché ora le previsioni del tempo ci azzeccano, mica come una volta! -
Frugò nuovamente nella borsa, faticando non poco a rintracciare la piccola fotocamera all in one, dotata di uno zoom eccezionale. Scattò varie foto alle due donne in nero prima che rientrassero in casa; le riversò subito sul PC portatile, le ingrandì e le mostrò a Martino, incassandone l’assenso: erano loro, senza il minimo dubbio.
- Un’ultima precisazione, Lorenza - chiese Rosaria - questo concime speciale l’hanno distribuito proprio dappertutto o solo su alcune piante particolari? -
Lorenza e Giada si consultarono, per chiarire infine che era stato distribuito su tutti i vasi grossi, che erano una dozzina.
- Tutti quelli grossi - rifletté ad alta voce il commissario - e… so che non è facile, così a distanza, ma non avete notato se le cassette metalliche avevano un logo, un  marchio, una scritta che ci possa far risalire al tipo di concime? -
Su questo Giada si dimostrò sicurissima:
- No, non c’era nessun marchio, sembrava metallo zincato e non verniciato. -
“Non ne va mai bene una” pensò Rosaria, che avrebbe desiderato acquisire almeno un dato concreto e verificabile presso il produttore, in modo da eliminare almeno il concime da quello strano intrico d’indizi flebili. Seguì un silenzio meditabondo da parte di tutti, rotto improvvisamente da Giada che riportò l’attenzione sulla terrazza:
- Guardi, è uscito l’uomo. Meno male che c’è ancora luce, così può vederlo bene. -
Istintivamente, il commissario riprese in mano la fotocamera e cominciò a scattare a raffica, incurante della voce desolata di Martino che esclamò subito:
- Cavolo, non è lui. E’ tutto pelato! -
L’uomo annaffiò accuratamente le piante, consentendo un reportage fotografico dettagliato. Rosaria riversò le foto sul computer; poi ne scelse un paio, una di faccia e una di profilo e chiamò Martino per fargliele vedere.
- Mi sembra evidente che non era lui sul treno - insisté il bimbo scuotendo la testa.
- Aspetta, adesso chiudi gli occhi e non riaprirli finché non te lo dico. -
Con il programma a disposizione della polizia, provò a posizionare varie capigliature bianche sulla pelata; al terzo tentativo si ritenne finalmente soddisfatta e si rivolse nuovamente al bimbo:
- Aprili pure, adesso. Che te ne pare? -
Vide Martino sbiancare e balbettare che non credeva ai suoi occhi: si era sbagliato, era proprio il terzo viaggiatore del treno. Poi, rianimandosi di colpo, aveva esclamato:
- Ma se ha viaggiato travestito, vuol dire che aveva qualcosa da nascondere, no? E noi l’abbiamo smascherato! - accompagnando le ultime parole con un gesto di esultanza mutuato dai calciatori quando fanno goal.
Dell’euforia generale che seguì approfittò Rosaria per isolarsi a riflettere. Si ritrovò a sorridere di quella vicenda sempre più strana. Gli indizi erano diventati quattro ma rimanevano labili: un Freelander, un puzzo d’aglio, un concime sospetto e un uomo travestito.
Si domandò se fossero sufficienti per chiamare Raymond e tentare una prova di forza. Decise di sì, dando mentalmente ragione a Martino: l’uomo travestito doveva avere qualcosa da nascondere e l’indizio era abbastanza forte. Digitò quindi rapidamente l’sms concordato col collega di Mentone in caso di novità:
“Ciao Raymond, devo assolutamente vederti. Mi raccomando, porta anche Shirley”.
Un attimo prima di premere il tasto ‘Invia’ ebbe un ripensamento e dopo “vederti” inserì “domattina”.

- Mia cara Rosaria, ci hai fatto fare un viaggio massacrante nella notte e siamo stanchi morti, Shirley e io - furono le prime parole del commissario Jourden, appena sceso di macchina - spero che ora tu ci offra un buon espresso all’italiana. -
Il commissario Rosaria Campo arrossì impercettibilmente. Si sentiva la coscienza sporca per aver chiamato Jourden sulla base di indizi discutibili e maggiormente per aver fissato l’intervento al mattino, al solo scopo di evitare che Martino e Giada vi assistessero dalla finestra.
Cercò di cavarsela con una battuta:
- Anche per Shirley il caffè? -
Seduti al tavolo del Commissariato, Rosaria spiegò rapidamente quanto aveva appurato. Raymond rimase a lungo silenzioso, meditabondo, prima di concludere:
- Non abbiamo molto in mano, vero? Solo queste tre beghine, come le chiami tu, incontrate per caso in treno. -
Si stiracchiò sulla poltrona, allungando le gambe fin sotto la scrivania di Rosaria. Di colpo, scoppiò in una risata fragorosa:
- Sarebbe, come dite voi, una botta di culo clamorosa. Te li vedi i titoli dei giornali? “Il commissario Campo viaggia con i killer e li arresta a casa loro”. E’ surreale come una vincita alla roulette; ma proprio per questo, chérie, vale la pena tentare: andiamo? -

Quando l’uomo, la donna e il cane furono davanti alla ‘casa delle vecchiette’, come era stata ormai battezzata, Raymond lasciò finalmente cadere dalle labbra l’immancabile Gauloise avvolgendola in un fazzoletto di carta che tentò di riporre furtivamente nella tasca della giacca. Rosaria notò la manovra e rise, dissimulando il nervosismo del momento:
-          Che fai, la conservi e la riusi? -
Jourden la guardò stranito:
- Certamente: non l’ho mica fumata. L’ho tolta perché siamo in visita a delle signore, no? -
Ancora con il sorriso sulle labbra, Rosaria suonò il campanello e, dopo una breve attesa, la porta fu aperta dalla vecchietta più arzilla e autorevole.
Il commissario esibì il tesserino della Polizia e declinò le proprie generalità, enfatizzando con il tono della voce le parole “squadra omicidi” nella speranza di scatenare il panico.
Poi, indicando Raymond, aggiunse:
- E lui è il commissario Jourden della polizia di Mentone, in Francia. -
Contrariamente alle aspettative, la donna reagì con grande gentilezza e senza tradire la minima emozione; li fece accomodare subito in sala mentre chiamava l’altra con tono scherzoso:
- Silvana, ci sono ben due commissari di polizia, venuti apposta per te - concluse la frase con una risata - uno addirittura dalla Francia. Sarà meglio farseli amici preparando un caffè come solo tu sai fare. -
Occhieggiò con apparente indifferenza i due agenti che erano entrati a loro volta e si erano posizionati ai lati della porta. Poi si rivolse ai commissari con tono mellifluo:
- Preferite forse un tè, una bibita fresca? In che modo possiamo esservi d’aiuto? -
Il filone dei convenevoli fu brutalmente interrotto dallo spalancarsi della porta finestra della terrazza, dalla quale entrò l’uomo pelato portando con sé una zaffata d’aglio.
Non ci fu più tempo per tè, caffè e biscottini, perché Shirley strattonò il guinzaglio con una tale violenza da strapparlo di mano a Jourden; in un attimo il cane balzò sull’uomo buttandolo a terra.
Raymond, scattato immediatamente in piedi, si chinò con mossa rapida verso Rosaria per soffiarle all’orecchio:
- E’ il nostro uomo: la mafia ha ormai ramificazioni dappertutto. Ecco da chi veniva il puzzo d’aglio! -
- Da lui? - mormorò lei, indicando l’uomo steso a terra, mentre con la coda dell’occhio teneva sotto controllo le due donne impietrite - Ma se anche ammettiamo che quest’uomo sia il killer, è possibile che il suo odore fosse rimasto così a lungo nell’appartamento del Saccari? -
- Dipende da quanto tempo c’è rimasto, chérie, e soprattutto da quanto ci ha sudato dentro - commentò Raymond con l’aria di chi la sa lunga in materia - e credo che ci abbia sudato un bel po’. Shirley l’ha riconosciuto subito, quell’odore. -
Il cane ansimava immobile sull’uomo pallido e terrorizzato, le quattro zampe ben piantate ad immobilizzarlo, il naso teso ad esplorare le varie parti del corpo.
Poi venne improvvisamente distratta. Sollevò le narici per prendere aria, colpita da un nuovo odore, appena percettibile, che l’attirò irresistibilmente in terrazza.
Lì si assistette ad una scena di disperazione canina senza precedenti. 
Shirley correva e saltava uggiolando avanti e indietro per tutta la terrazza, balzando da una pianta all’altra. Cercava di scavare la terra con le zampe, ma le tracce olfattive che stava seguendo erano disseminate ovunque.
Era come se ad ogni vaso credesse di aver ritrovato il suo padrone per poi perderlo nuovamente. Lui sembrava essere dappertutto e in nessun posto: la bestiola ne percepiva la presenza ma non riusciva a localizzarlo.
Era per così dire una presenza diffusa, di cui la povera Shirley non aveva esperienza e cognizione.
Rosaria, colta da un capogiro improvviso alla vista di un tale scempio e di tanto dolore, si appoggiò al collega francese per non cadere.
Pallidissima, riuscì a malapena a sussurrare:
- Raymond, quella povera bestia impazzisce, bisogna portarla via. -
- Non è facile convincere un cane ad abbandonare il padrone, o quanto meno quel che è rimasto di lui; deve deciderlo lei - rispose l’altro con un sorriso mesto - stiamo a vedere che cosa fa: a volte i cani sono molto più saggi e ragionevoli degli umani. -
Ebbe ragione Raymond. Infatti, dopo diversi minuti di guaiti e latrati disperati, Shirley trotterellò a orecchie basse, attraversando la terrazza fino ad accasciarsi ai suoi piedi, in un gesto di resa.
Fu chiaro a tutti che stava piangendo, con quegli occhioni neri e rotondi che esprimevano una tristezza infinita: il suo padrone non esisteva più.
Rosaria, ripreso il controllo nonostante il persistente senso di nausea, chiamò il dottor Nicoletti della Scientifica:
- Alberto, c’è lavoro urgente per te. Prendi nota, ti detto l’indirizzo. - Colse un silenzio imbarazzato dall’altra parte:
- Ci diamo del tu, commissario? - disse infine il dottor Nicoletti.
La voce del commissario gli arrivò incrinata e stanca:
- Sì. Non mi sembra proprio il momento di perpetuare i formalismi. Porta con te un po’ di uomini, perché bisogna analizzare il contenuto di una dozzina di vasi. -
- Vasi? - il capo della Scientifica sembrava perplesso.
- Sì, Alberto. Dodici grossi vasi di piante, concimate con una sostanza molto particolare. -

Erano da ore in silenzio, l’uomo, la donna e il cane, nella piccola sala riunioni del commissariato.
Finalmente Rosaria si riscosse e consultò l’orologio alla parete, che segnava le tre del pomeriggio: Martino a quell’ora doveva essere a casa. Compose il numero:
- Martino, volevo dirti… lo vuoi ancora un cane? -
Il lungo silenzio dall’altra parte segnalò lo stupore del bimbo, rimasto senza parole. Rosaria proseguì:
- Raymond vorrebbe proprio liberarsi di Shirley, il cane dell’italiano: non può tenerlo, è troppo impegnativo per lui. E’ bellissimo, un golden retriever di razza, due occhioni neri e rotondi. -
S’interruppe per un attimo, prima di proseguire con tono grave:
- E piange come un bambino perché ha capito che il suo padrone non tornerà più. -
Questa volta il bimbo reagì all’istante:
- Sono state le tre vecchiette, vero? Altro che beghine da parrocchia! -
Rosaria dovette riconoscere che anche questa volta aveva avuto ragione lui, a voler seguire quella traccia che sembrava così labile. Una probabilità su un miliardo, ricordava di aver detto. E invece si era rivelata quella giusta, la ‘pista dell’aglio’: aveva un fiuto innato, il ragazzo.
- Di che colore è? -
La domanda, cogliendola di sorpresa, la fece reagire goffamente:
- Martino, se è golden… -
- Uffa - replicò lui - dei golden retriever esiste anche una varietà più chiara, diciamo sul beige. -
- Questo è golden - tagliò corto Rosaria - è una femmina, si chiama Shirley e ha tanto bisogno di un vero padrone. Bada però che te la devi conquistare: Raymond viene stasera a cena e la porta con sé. Se riesci a stabilire un buon rapporto con lei, te la lascia. -
Nel silenzio che seguì, a Rosaria sembrò di sentire il cervello del suo Sapientino che stava lavorando.
Martino parlò infine, trattenendo a stento emozione e felicità:
- Bene, di’ pure a Raymond di portarla. La conquisterò. -
- E a me toccherà accompagnarla a fare i suoi bisogni mattina e sera - concluse Rosaria con un sospiro, ammiccando a Raymond mentre riagganciava.

(Pubblicato con l’autorizzazione della casa editrice EmmeTi.)



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