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sabato 12 ottobre 2019

Amore e Psiche... e Einstein!



Di Vincenzo Zaccone


In questi giorni è in corso una mostra-evento incentrata sul legame tra Antonio Canova e la città di Roma, con oltre 170 opere e prestigiosi prestiti da importanti Musei e collezioni italiane e straniere
 
Amore e Psiche
Nel 2014, durante il periodo delle feste natalizie, il comune di Milano, in associazione con Eni, si rese propugnatore di un duplice rilevante incontro con il pubblico, presso Palazzo Marino e, più precisamente, in sala Alessi, già nota, ad esempio, per esser stata la camera ardente della poetessa Alda Merini. Ormai al quarto anno di collaborazione con il museo Louvre di Parigi, dopo aver ospitato nel 2011 “L'Adorazione dei pastori” e “San Giuseppe falegname” di Georges de la Tour, nel 2010 “Donna allo specchio” di Tiziano e nel 2009 “San Giovanni Battista” di Leonardo da Vinci, per il Natale 2012 e fino al 13 Gennaio 2013 ha esposto “Amore e Psiche stanti” di Antonio Canova e “Psiché et l'Amour” di François  Gérard. Le opere sono una la resa marmorea e l'altra quella su tela dell'arte neoclassica di fine 1700 che incontra il mito di Amore e Psiche, narrato da Apuleio ne Le Metamorfosi.
 
Un Amore e Psiche “alternativi”
                                                                                    
                                                                                    
Partiamo dalla storia di per sé, così come lo scrittore romano di scuola platonica la raccoglie da tradizioni a lui precedenti e nella versione in cui la rende nel suo scritto, che è il più antico esempio di romanzo latino. Psiche era una fanciulla mortale la cui bellezza straordinaria diventa oggetto di attenzione da parte dei popoli vicini che le offrono sacrifici e la chiamano Afrodite. La dea della bellezza, venuta a conoscenza della cosa, invidiosa e collerica nei confronti della ragazza, invia suo figlio Cupido così che la faccia innamorare dell'uomo più brutto della Terra.


 Nel frattempo i genitori di Psiche, dopo aver consultato un oracolo, abbandonano la figlia in cima a una rupe, perché il suo destino sia compiuto, ma all'arrivo del dio dell'amore, questi si innamora della mortale e con l'aiuto di Zefiro trasporta la fanciulla nel suo palazzo. Per non incorrere nell'ira della madre, Cupido incontra Psiche segretamente nel buio della notte e i due consumano la loro passione ardente e vanno incontro a un amore che mai era stato conosciuto prima da altro uomo. Così Psiche diventa prigioniera nel palazzo di Cupido, ignorandone l'identità, vinta da una passione carnale che ne travolge i sensi. Una notte però decide di conoscere il volto del suo amante e con una lampada ad olio si avvicina a lui, ma una goccia cade ed Eros si desta, scoprendo che la fanciulla ha tradito il loro patto e vola via da lei. La ragazza, disperata, inizia a peregrinare in cerca di Eros e della benevolenza degli dei, finché non arriva presso il tempio di Venere e a lei si consegna. La dea la sottopone a diverse prove, l'ultima delle quali consiste nel discendere nel mondo degli Inferi per chiedere alla dea Proserpina un po' della sua bellezza. Durante il suo ritorno dall'Ade, Psiche cede alla tentazione di aprire l'ampolla contenente il dono della dea, il quale altro non è che il sonno più profondo. A quel punto accorre in suo aiuto Cupido, che la risveglia e con lei va a chiedere aiuto a suo padre, il dio Giove. Questi, mosso da compassione, trasmuta Psiche in una dea. E' così che Cupido e la sua amata possono diventare sposi e dalla loro unione nasce una figlia, Piacere.
Questi gli antefatti, diciamo così, o meglio gli elementi che son stati messi insieme per creare uno dei miti più conosciuti e ripresi del mondo greco. E proprio le opere dei due artisti rappresentano il loro modo di definire la storia, di darle un'accezione, ritraendo i due personaggi nel momento e nelle modalità per loro più significativi.
Così, per quanto riguarda lo scultore di Possagno, egli aveva già trattato i due personaggi dell'epos, singolarmente, nelle statue di “Psiche fanciulla” e “Cupido alato”, a cavallo del 1793, per poi passare alla molto più conosciuta trattazione della storia con “Amore e Psiche giacenti”, conservato anch'esso al Louvre, a seguire “Amore e Psiche abbracciati” e infine l'“Amore e Psiche stanti”, di cui sopra. Al tempo Antonio Canova era già uno scultore conosciuto, dopo il soggiorno romano era diventato il ritrattista ufficiale di Napoleone Bonaparte e in lui già si riconosceva l'esponente più illustre del Neoclassicismo, rifacendosi alle concezioni teoriche di Johann Joachim Winckelmann. Questi viene considerato, a ragione, il fondatore dell'archeologia moderna, in quanto fu il primo che, nel suo libro “Storia dell'arte dell'antichità”, dà una lettura delle opere d'arte antica come la risultante delle condizioni politiche, sociali e intellettuali che facevano da sfondo all'attività artistica e quindi ne delinea l'evoluzione dall'arte greca a quella dell'Impero romano, effettuandone un'analisi stilistica. Nelle sue teorie si ha l'esaltazione della forma e la sua sublimazione che si riscontra nella statuaria greca e in particolar modo nel nudo umano, che non è affatto reale ma è quello ideale delle statue di Fidia, del canone di Policleto e degli atleti di Lisippo. In questa sua celebrazione parla anche della suggestione estetica relativa al candore del marmo che distingue le statue dell'antichità, ma facendo questo cade in un malinteso, perché si scoprì poi alla fine del XIX secolo che la statue greche e anche i templi erano completamente ricoperti di colori naturali (soprattutto nero, rosso e bianco), i quali con il tempo sono stati lavati via dalle piogge. Proprio in tutto questo apparato concettuale si colloca l'opera canoviana in generale e in particolare il nostro “Amore e Psiche stanti”, che si presenta come una distesa di candido marmo bianco, dentro cui prendono forma i corpi dei due soggetti che morbidamente si adagiano l'uno all'altra.


La statua sul piedistallo forgiato dal Canova



La scena è conchiusa, imperturbabile, inavvicinabile: Amore cinge lievemente la spalla della sua amata, definendo fisicamente la scena del di lei dono della farfalla nella sua mano e non c'è tensione emotiva, non c'è passione, condensazione di sentimenti o la comunicazione degli stessi: l'unica cosa possibile è la contemplazione estetica di quanto avviene, una partecipazione esterna, lucida, che scivola addosso alle forme piane, perfette, immutabili, che non concedono allo sguardo di soffermarsi su alcun particolare perché tutto appare armonico, inavvicinabile, asettico. Anche i gesti con cui Psiche appoggia la farfalla e Amore si abbandona a lei sono privi di forza, leggeri, così come lieve è il panneggio che nasconde le pudenda della fanciulla e le volute dei ricci dei protagonisti non increspano affatto l'immagine complessiva ma ne condensano la staticità. Anche l'espressione degli occhi dei due giovani e il tenue sorriso che li sottende sembrano partecipare dell'eternità, dell'infinita ebrezza dell'unione di due corpi che non è gioia contenuta ma pacata serenità.


                                                                                                     
                                           Particolare dell'opera marmorea                                                    


 
L'intera scena è allegorica, sempre secondo i canoni di Winckelmann: nella levigatezza del marmo, nella modulazione della luce che, sinuosa, crea contrasti chiaro-scurali lungo i due corpi che danno plasticità alle forme, nella rappresentazione priva di carnalità, nell'essenzialità di Amore che viene rappresentato senza i suoi connotanti arco, frecce e ali, Canova non parla dell'amore dei due personaggi ma di quello universale, suggellato dall'atto simbolico del dono della farfalla. L'artista considerava questa sua opera superiore alle precedenti rese del mito, in cui aveva deferito il messaggio di unione all'atto fisico del bacio, optando questa volta per il simbolo: la farfalla rappresenta l'anima che Psiche dà in dono al suo amato. Facendo ciò epura ulteriormente la storia da ogni espressione di sentimenti passionali e la assevera a un concetto di atemporalità mediato dalla regola winckelmanniana di “nobile semplicità e quieta grandezza”.
Storicamente, un anno dopo che Canova portò a termine la propria opera, il pittore francese François Gérard dipinse su tela con colori a olio lo stesso soggetto, dichiarando apertamente che si tratta di un omaggio alla statua dello scultore italiano. Gérard era nato a Roma, ma alla fine del '700 si era trasferito a Parigi, dove divenne allievo del pittore neoclassico Jaques-Louis David. La tela ripropone i due soggetti, reimpostando la composizione:

                                                                        La tela di Gérard                                                                                                                                                                                                                                                                                                                             
Psiche siede su una roccia in un prato i cui fiori sono minuziosamente rappresentati, avvolta, anche qui, da un drappo trasparente che non nasconde le gambe, che timidamente si accavallano all'altezza della caviglia, mentre tiene le braccia incrociate in grembo e con la mano sinistra sottolinea la forma del seno nudo. Lo sguardo si rivolge allo spettatore, cercandone la partecipazione al momento in cui Amore, nudo, ma questa volta caratterizzato con le ali e la faretra, sensualmente protruso verso di lei sta per abbracciarla e baciarla in fronte, teneramente. Protagonista assoluta è Psiche, mentre Amore appare personaggio che partecipa alla scena dominata dal candore e dallo sguardo misterioso della fanciulla, che sembra suggerire un abbandono voluttuoso al suo amato. Una candida farfalla sovrasta il bacio dei due amanti, un elemento di unione ripreso da Canova che evoca il duplice significato della parola Psiche in greco, la quale sta sia per farfalla che per anima. Anche qui non viene raccontato nessun episodio in particolare ma è trattato semplicemente il tema dell'unione amorosa. L'intera scena è ritratta in un contesto di natura armoniosa e tersa, resa con colori tenui e opachi, priva di eccessi, e trova compendio nei corpi levigati dei due amanti che ricordano le porcellane del tempo. Il tutto richiama il concetto neoclassico di armonia e semplicità che si voleva contrapporre agli eccessi del precedente stile rococò. Le figure si compongono tra loro secondo una struttura chiastica d'ispirazione canoviana (lo scultore ne aveva fatto largo uso nelle sue opere ed evidente appare in “Amore e Psiche sdraiati”) che segue le linee guida di due diagonali di cui una va dall'alto a sinistra a in basso a destra, mentre l'altra parte dalle ali in alto a destra e prosegue in basso a sinistra dove trova unite le gambe di lei e di lui. Infine i colori scuri dei capelli e delle ali di Amore delimitano il candore dei due corpi che risalta sullo sfondo blu e verde e smorza la sensualità che la tela suggerisce, andando incontro così alla rivalutazione della delicatezza e dell'innocenza dell'epoca.
Ma torniamo al nostro mito, così come ce lo ha tramandato Lucio Apuleio. La storia, nella versione narrata, vissuta proprio dai personaggi epici di Psiche e Cupido, ci rimanda al significato recondito che si allaccia al concetto di amore platonico, che non è, come si crede, quello che non viene consumato carnalmente, ma è quello che riesce ad arridere all'Eterno. Così Psiche, cioè l'anima, riuscendo a superare prove immani, riesce a destarsi e, donandosi all'Amore, partecipa del divino. Secondo Platone, fondatore della metafisica e rilettore del mito, il mondo reale è speculare a quello delle idee e il mito di Amore e Psiche è simbolo di come l'uomo, appartenente alla realtà fisica, riesce attraverso questo sentimento, se vissuto in maniera pura, a elevarsi dal suo stato e attingere alla realtà metafisica. Il termine psyché, che in greco appunto significa anima, entra a far parte del lessico ellenico proprio con la poesia e con l'epica di Omero, le cui narrazioni vertono sempre sul rapporto tra gli uomini e gli dèi. La scienza dell'anima, cioè della psiche, diventa oggetto della filosofia di Socrate, di cui sono discepoli Platone e quindi Apuleio, Canova e Gérard.
In ogni caso, il mito, con il messaggio che veicola, viene riportato in forma scritta dal filosofo e scrittore romano, il quale non nasconde di essere un “servitore” della tradizione orale e dichiara anche le sue origini metà getule e metà numidi (popolazioni nordafricane); in effetti, se senza dubbio la favola è debitrice alla cultura greco-latina, è vero anche che vi si riscontrano elementi della cultura nordafricana. Lo scrittore, linguista e antropologo berbero Mouloud Mammeri ha di recente messo in evidenza che la fiaba appare molto simile, a meno di piccole differenze, al racconto cabilo L'uccello della tempesta. A sua volta quest'ultimo ha grosse affinità con una storia della tradizione marocchina dal titolo Ahmed Unamir. Entrambe le fiabe rievocano la storia solo nella prima parte, fino alla fuga dell'amante segreto, ma esistono anche versioni più complete quali Fiore splendente, della Cabilia orientale, nella quale si ritrovano le peripezie cui va incontro l'eroina per cercare lo sposo presso l'orchessa Tseriel, sua suocera. E comunque, senza andare troppo lontano nel tempo, anche il mito-favola medievale de La bella addormentata nel bosco, reso noto nell'800 dalla rielaborazione effettuata dai fratelli filologi Grimm, affonda le sue radici proprio in Amore e Psiche.
Di questa somiglianza di tradizioni, di miti, di simboli che paiono essere comune denominatore di popolazioni tra loro lontane per tempo, aree geografiche e quindi cultura, se n'era occupato e domandato il motivo lo psicoterapeuta Carl Gustav Jung. Egli riprese il concetto di inconscio individuale, alla base della teoria psicoanalitica e del metodo di interpretazione dei sogni freudiano, e formulò la teoria dell'inconscio collettivo, come uno spazio della psiche che resta, al pari di quello individuale, inconsapevole e che è comune a tutti gli esseri umani, in quanto riguardante l'insieme dei meccanismi biologici, fisici e quindi psichici che fanno parte dell'Uomo in quanto razza umana, a prescindere dalle condizioni socio-culturali in cui cresce. Dunque ogni essere umano, indipendentemente dall'epoca, dal suo colore, dalle singole peculiarità, in quanto tale è costituito da un corpo che funziona da sempre uguale per tutti e questa struttura fisica, genetica, costitutiva rende conto di una struttura mentale comune a tutti cui afferiscono ogni tipo di elemento primordiale, istintivo, preverbale che esiste semplicemente perché ha le basi nell'uomo come “animale”. Quindi, partendo da metodi di elaborazione uguali per tutti, detto in altri termini, essendo gli uomini assimilabili tra di loro in quanto a mezzi che gli consentono di pensare, agire e immaginare, allora si avrà questo mare comune, che Jung chiama inconscio collettivo appunto, in cui ciascuno uomo si muove e vive le peculiarità della propria vita. Secondo Jung, rientrano a far parte di questo sostrato comune della nostra coscienza i miti, gli archetipi, i simboli e le idee che da sempre accompagnano l'umanità, ed esso è suddivisibile in inferiore, medio e superiore. Il livello inferiore è legato al passato dell'umanità, quello medio ai valori socio-culturali di un determinato momento storico e quello superiore alle potenzialità future del genere umano. Il modello junghiano presto virò, come tutta la sua psicanalisi, verso il misticismo, e arrivò alla figura dell'uomo come facente parte di qualcosa di più grande che si ergeva ben al di là delle singole esistenze. In ogni caso, che la connessione dell'uomo all'inconscio collettivo venga spiegata in termini  mistici o materiali, essa appare tangibile in elementi comuni riscontrabili nei sogni di differenti individui.
Certo viene da pensare che se questo inconscio collettivo presuppone una matrice comune concreta, fisica, che ha le sue ripercussioni nei sogni e nelle nostre architetture mentali, allora magari sarà a maggior ragione riscontrabile a un livello molto più materiale e misurabile all'interno del “sistema” genere umano. Cioè, partendo da una constatazione che deriva dall'osservazione di una Vita di livello universale cui ogni singolo uomo afferisce e, da qui, arrivando a postulare l'esistenza di questo strato comune a ogni epoca e ogni individuo, chiamiamolo pure inconscio collettivo, allora si dovrebbe anche riuscire a intercettare le prove di tutto ciò su un piano reale, scientifico (inteso come qualcosa di osservabile, misurabile e riproducibile) che possa portare a una formulazione teorica che lo giustifichi...
Il professor Roger Nelson è il direttore, presso la Princeton University del New Jersey, del progetto Global Consciousness Project (progetto sulla coscienza globale), insieme a un' équipe di filosofi, fisici e ingegneri, oltre che essere il coordinatore degli esperimenti dei laboratori di “Ricerca delle anomalie”. Fin dal 1980 ha portato avanti un sistema sperimentale che consentisse di mettere in evidenza l'influenza che le menti umane possono avere sulle macchine. A partire da metà anni '90 è iniziata poi l'applicazione della tecnica elaborata su scala globale per dimostrare come le menti siano capaci di influenzarsi a vicenda e inducano un flusso di dati univoco nelle macchine che dimostrerebbe il condizionamento esterno in maniera chiara. Queste macchine si chiamano GNC, cioè generatori di numeri casuali, e ne furono installate 65 nei cinque continenti. I dati raccolti lungo il pianeta furono inviati tutti all'università di Princeton, dove sono stati poi analizzati, mettendo in evidenza dei momenti di funzionamento anomalo, in cui i diagrammi che riproducono i risultati disegnano curve fuori dalla norma. Nel 1997, in particolare, le macchine denunciarono un'alterazione del loro funzionamento in corrispondenza del funerale di Madre Teresa di Calcutta e di quello di Lady Diana, due eventi che coinvolsero l'attenzione e l'emotività del pianeta intero. A quel punto si decise di aumentare il raggio di ricerca, con la creazione di nuovi punti di raccolta in tutto il mondo. Così si ebbe modo di osservare i cambiamenti indotti da eventi drammatici quali i terremoti: più di 600 osservazioni confermarono le previste anomalie del sistema e, in particolare, si notò che le scosse con epicentro sulla terraferma inducevano un'alterazione di funzionamento nelle macchine, cosa che non accadeva in caso di epicentro in mare, quindi in assenza di uomini. Un altro esempio “lampante” e significativo è quello registrato durante il capodanno, cioè un evento partecipato dalla stragrande maggioranza dell'umanità: qui si è iniziato a registrare le anomalie a partire da 5 minuti prima della mezzanotte e il loro numero è aumentato pian piano per poi scomparire di nuovo. Ancora più definitivo fu il risultato che si ottenne dopo gli attentati dell'11 Settembre alle Torri Gemelle: la commistione di sentimenti di paura, terrore, ansia, dolore portarono ad alterazioni delle rilevazioni che perdurarono ininterrottamente due giorni. Proprio questi dati, dunque, in quanto molteplici e univoci, sembrerebbero essere le evidenze scientifiche del fatto che l'accadimento di un evento di rilevanti proporzioni, sia nel bene che nel male, sortisce, a partire dal luogo di origine, in una reazione a catena, una macchia d'olio che si allarga senza controllo in ogni direzione, portando all'amplificazione esponenziale dei sentimenti da esso scatenati, e questi a loro volta hanno come risultato finale il condizionamento di apparecchi tecnologici. In tutto questo nostro percorso, però, ci manca di cogliere il perché di tutto, cosa ne sia la ragion sufficiente, quale il quid che consente a questo complesso meccanismo di avere luogo e che possa spiegare come poi le menti umane riescano a interagire con qualcosa che altro non è che un ammasso di fili e led e metallo ed elettricità..
Nel 1916 il grande Albert Einstein pubblica La relatività generale, libro in cui riprende e sviluppa il concetto di spazio-tempo, enunciato ne La relatività ristretta. Nell'insieme dei suoi studi, il fisico scardinò i concetti classici di spazio e tempo, affermando che l'unica costante universale fosse la velocità della luce (c) e che quindi gli altri due parametri potessero variare dipendentemente al punto di vista dell'osservatore, cosicché se un uomo si potesse muovere alla velocità della luce nell'universo vedrebbe i corpi celesti deformarsi, allungandosi, ed egli stesso si contrarrebbe nella direzione in cui si sta muovendo, mentre il tempo rallenterebbe. Dunque Einstein associa alle tre dimensioni spaziali di larghezza, lunghezza e profondità, quella temporale, sviluppando il concetto dello spazio-tempo come struttura quadridimensionale dell'universo. Dunque lo spazio che ci circonda smette di esser vuoto e appare costituito da una intelaiatura di linee tra di loro perpendicolari, tipo le maglie di un setaccio, in cui ciascuna di esse rappresenta un fenomeno presente in quella regione di spazio in quel determinato istante: la lunghezza della linea rappresenta la dimensione temporale, lo spessore e la larghezza connotano la disposizione nello spazio dell'evento/corpo. Ogni elemento dell'universo è immerso nello spazio-tempo inducendone una deformazione tanto più grande quanto maggiore è la sua massa e all'interno di questa alterazione delle tre dimensioni spaziali anche il tempo viene modificato, rallentando. Ad esempio la Terra provoca una deformazione dello spazio-tempo che rende conto dell'attrazione della Luna ad essa, in quanto questa struttura dell'universo deve essere intesa come una sorta di telo elastico teso curvato dalla massa di una palla e questa curvatura intercetta un corpo vicino (la Luna) costringendolo a permanere all'interno della deformazione creata.
 
 La Terra e la sua deformazione dello spazio-tempo

Questa scoperta rese comprensibile a livello concettuale la legge di gravitazione universale di Newton, nella quale, sebbene le formule matematiche spiegassero i fenomeni naturali, la Forza di gravità era priva di consistenza e di fisicità e non spiegava perché il potere di attrazione tra due corpi dovesse essere direttamente proporzionali alle loro masse e inversamente proporzionale alla distanza tra gli stessi. Ma c'è di più, perché lo spazio-tempo diventa non solo la struttura in cui ogni elemento dell'universo è immerso, compreso ogni essere umano, ma anche il mezzo attraverso il quale avviene la trasmissione di energia, come quella elettromagnetica. A tal proposito, non è forse vero che ogni individuo può essere associato a onde elettromagnetiche? Infatti, le cellule di cui gli esseri umani sono composti sono un insieme di atomi, in cui, è vero, la somma delle cariche è zero e la cellula risulta essere neutra, tuttavia la trasmissione degli impulsi nervosi avviene mediante la creazione di atomi carichi negativamente, gli ioni, che si accumulano all'esterno delle membrane fino a raggiungere una soglia limite per la quale ha inizio la propagazione dell'impulso generato. Dunque si tratta dello spostamento lungo le nostre terminazioni nervose della carica elettrica negativa d'origine che velocemente raggiunge l'organo bersaglio. Da ciò ne viene che, data la generazione di un campo elettromagnetico per ogni distribuzione di carica elettrica variabile nel tempo, la propagazione di questo genera un'onda elettromagnetica. E per tornare al genere umano, c'è da desumere che la continua attività elettrica che nasce e si estingue nel nostro cervello porti alla generazione di onde elettromagnetiche che vengono trasmesse di continuo attraverso lo spazio-tempo, intercettando quelle degli altri individui che ci circondano. Sono quindi questi i termini specifici in cui si può parlare di una connessione che interessa tutti gli uomini? Vien da pensare che un elemento induttore quale un evento drammatico o la gioia del capodanno possa portare nell'immediato alla convergenza dei pensieri dei soggetti che assistono all'evento e che da questi pian piano il “messaggio”, codificato attraverso le frequenze mentali di ogni persona, porta a una sorta di “polarizzazione” del flusso magnetico complessivo (somma delle singole onde che in esso convergono) che ha come risultato l'insorgenza di anomalie nel funzionamento di apparecchi tecnologici. Ciò renderebbe conto anche delle premonizioni, portando a credere che queste non siano altro che la percezione inconscia dell'intenzione di far accadere qualcosa, ancor prima che l'evento stesso abbia luogo. Ad esempio, nel caso dell'attentato alle Torri, le macchine collegate all'università di Princeton iniziarono a segnalare alterazioni già quattro ore prima dello schianto del primo aereo.
Certo le cose potrebbero stare così, perché no, o, altrettanto probabilmente, così non sono. Come al solito si sta qui non a cercare di enunciare una verità in cui poter credere ma solo a disquisire di idee, di suggestioni, la cui probabilità di essere possa rendere la vita più affascinante. E, in quanto a questo, l'idea di appartenere a qualcosa di così grande da mettere in gioco forze al tempo stesso così macroscopiche quanto invisibili, la possibilità che la propria vita possa far parte di un flusso continuo che prevede il contributo di ogni elemento costitutivo ma che in ogni caso il primo sappia fare a meno del secondo, la convinzione di poter far parte di un'entità psichica (nell'accezione originaria di anima) eterna, ecco, tutto questo da un lato può esser vissuto in modo entusiastico, ponendo l'accento sull'importanza del singolo che partecipa di qualcosa di rilevanza cosmica, dall'altro può anche far risaltare ancor di più l'inconsistenza di un elemento del “sistema” che si accende, dà il suo contributo e si spegne, cedendo il suo posto senza stridori. D'altronde, non esiste altra realtà che quella cui siamo disposti a credere. Ad esempio, proprio in questo numero della rivista si parla del film Cloud Atlas, in cui l'intera sceneggiatura è sorretta dall'idea che ogni uomo sia parte di un flusso vitale che attraversa l'esistenza di tutti gli esseri umani e va oltre nell'eternità del tempo e questa idea è trasmessa in un'accezione che esalta ogni individualità; quindi si parla dell' “oceano come una moltitudine di gocce” e del fatto che ogni gesto compiuto determina un cambiamento nelle vite future a cui si è collegati. La pensava in maniera del tutto diversa, invece, la protagonista del noto romanzo Lettera a un bambino mai nato, a cui Oriana Fallaci, in una chiusura epigrafica, lascia dire: “guarda, s'accende una luce.. si odono voci.. qualcuno corre, grida, si dispera... ma altrove nascono mille, centomila bambini, e mamme di futuri bambini: la vita non ha bisogno né di te né di me. Tu sei morto. Ora muoio anch'io. Ma non conta. Perché la vita non muore”.

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