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venerdì 1 marzo 2019

LOUIS ARMSTRONG: un uomo e la sua tromba



di Mimma Zuffi



Louis Armstrong è il personaggio che più di ogni altro ha contribuito alla diffusione della musica jazz nel mondo definito spesso "Ambassador Satch" proprio per quella forza comunicativa che sapeva infondere in chi lo ascoltava, davanti a platee sempre diverse e di ogni parte del mondo. L'accento un po' rozzo e il vibrato inconfondibile della sua voce, che sembravano spesso contrastare con la limpida espansione dei suoni che sapeva emettere dalla sua tromba, hanno fatto di lui un emblema che ha percorso in profondità, lasciando un segno indelebile, l'intero arco storico di questa musica, anche nel corso di quelle stagioni di crisi e di flessione in cui pareva che il buon Satchmo, come veniva affettuosamente chiamato per la dimensione delle sue labbra quando avvolgevano lo strumento, perdevano qualche colpo nella corsa disperata con il tempo del rinnovamento. Una suggestiva varietà di sensazioni e di impatti, quindi, lungo il filo teso dominato dalla più rigorosa professionalità, fin dal tempo in cui giovanissimo, uscito dal riformatorio dove aveva imparato a suonare la cornetta, iniziò una carriera folgorante che doveva condurlo di trionfo in trionfo, in un crescendo che neppure la malattia che lo farà scomparire nel 1971 riuscirà a frenare, convinto com'era che soltanto attraverso l'affettuosa e calda comunicazione con il "suo" pubblico avrebbe potuto ottenere quel sollievo e quella liberazione che per un nero rappresentano le svolte fondamentali della vita.



Esploso letteralmente negli anni Venti con i gruppi degli "Hot Five" e degli "Hot Seven", Satchmo attraversò un periodo di mezzo, negli anni Trenta, in cui divenne leader di grandi orchestre di scarso rilievo, formate con elementi di secondo piano che, se dovevano porre maggiormente in evidenza il protagonista, non erano certamente in grado di sostenere un così arduo confronto con la tromba che ormai dominava la scena del jazz di quel tempo. Era l'era dello swing e il pubblico rispondeva entusiasta a questa logica, anche perché gli arrangiamenti, ben congegnati consentivano anche di ballare e di dimenticare tutti i sacrifici cui l'America era stata costretta dalla Grande Crisi del 1929. Verso la metà degli anni Quaranta i tempi erano cambiati e l'impresario di Luis Armstrong, Joe Glaser, si accorse che il pubblico chiedeva qualcosa d'altro, un gruppo più ristretto di jazzmen, in grado di reggere la sfida di Louis e di esibirsi in una sorta di parata di assoli eseguiti impeccabilmente e con una classe che poteva almeno confrontarsi con quella enorme del leader.
Nacque così la struttura degli "All Stars" che durerà per tutto il rimanente arco della vita di Armstrong, con gli alti e bassi inevitabili che il difficile carattere di Satchmo imponeva, ma sempre con elementi di primo piano, se si pensa che nel gruppo sono passati, lasciando un segno consistente della loro presenza, musicisti come i batteristi Sidney Catlett e Cozy Cole, i  pianisti Earl Hines e Billy Kyle, i clarinettisti Barney Bigard, Edmund Hall, Peanuts Hucko, i trombonisti Jack Teagarden e Trummy Youngm per non citare che alcuni tra i tanti jazzmen che hanno collaborato con lui in quell'autentica sfilata di stelle di prima grandezza che furono gli "All Stars". 

Nell'ultima delle formazioni di "All Stars"con  cui Armstrong si è esibito, pochi anni prima della morte, stanco e malandato di  salute il Louis degli anni Sessanta preferiva cantare più che suonare, anche se si hanno ancora degli squarci di luce vivissima quali solo la sua tromba sapeva provocare. Più di una volta, in questo periodo, era stato costretto a interrompere le tournées per improvvise ricadute che lo costringevano a lunghi periodi di inattività. Era molto dimagrito e si trascinava a fatica sul palcoscenico, sorretto solo da una ferrea volontà di continuare a dare tutto se stesso al pubblico che aveva cominciato ad amarlo tanti anni prima, quando la forza dell'attacco alla tromba sbalordiva tutti per il vigore che sprigionava. I suoi partners erano ben consapevoli del dramma umano che Louis stava vivendo. Satchmo sapeva accendere un forte senso di solidarietà nei suoi collaboratori, provenienti da scuole e stili diversi, ma sempre convergenti nel classico linguaggio del jazz tradizionale. Il clarinettista Joe Murany si era formato presso il gruppo dei "Chicagoans", alla scuola di Max Kaminski e di Jimmy McPartland e, pur non possedendo il fraseggio legato e tipicamente creolo di Barney Bigard o di Edmond Hall, sapeva offrire al suo leader il contributo di un accento lirico che rappresenta in fondo il più saldo motivo di incontro tra il jazz bianco, di cui Murany era valido esponente, e la scuola afro-americana più autentica. Più vicino allo stile swing il pianismo di Marty Napoleon, anch'egli bianco, di Brooklyn, che poteva  vantare una lunga esperienza con le big bands di Charlie Ventura e di Buddy Rich, e quindi offrire al gruppo di Armstrong un buon sostegno sul piano puro dello swing. Analodo discorso si potrebbe fare per il bassista Buddy Catlett, che aveva vissuto esperienze ancor più moderne con Conte Candoli e Sonny Stitt, e per il batterista di Honolulu, Danny Barcelonam scoperto alle Isole Hawaii da Trummy Glenn, certamente l'uomo di maggior spicco di quest'ultima formazione di "All Stars di Satchmo, che realizzò l'ultima tournée europea  del trombettista. Vibrafonista fornito di ottimo senso dello swing, ma prevalentemente trombonista, Glenn collezionò varie presenze in orchestre di grande rilievo degli anni Trenta e Quaranta, come quelle di Benny Carter e di Cab Calloway, ma l'impegno più consistente seppe fronteggiarlo con molta coscienza quando nel 1946 andò a far parte dell'orchestra di Duke Ellington, con la quale rimase cinque anni, qualificandosi come il miglior continuatore di Tricky Sam Nanton, che fu un maestro nell' uso della sordina wa wa. Forte di questo lungo e valido tirocinio, Tyree Glenn seppe recare a gruppo degli "All Stars" di Armstrong il contributo di un solismo essenziale ed efficace, intriso anche di quello stile remoto proveniente dal Sud degli States, che gli veniva oltre che dalle origini texane, anche dalla militanza nell'orchestra di Bob Young che negli anni Trenta aveva accompagnato il grande blues singer Ma Rainey. Nel brano That's My Desire (https://youtu.be/fBI_RGwdtUU), Glenn si esibisce anche nel canto,cercando di tener vivi quei duetti divertenti e densi di umanità che Luis intrecciava con Trummy Young, il trombonista che precedette Glenn nel gruppo, e con Velma Middleton la enorme cantante che Louis prediligeva oltre ogni dire.
Le esibizioni di Satchmo, di solito, di aprivano con quel When it's Sleepy Time Down South (https://youtu.be/AB4oiOi60Eo) che evocava nei suoni e nelle parole le lontane pianure della Louisiana, di quel Sud profondo  e struggente che per Louis aveva significato la prima educazione sentimentale, con gli alberi di magnolia, il grande padre fiume a due passi, e la vecchia Storyville dalle luci rosse dove il giovane cornettista aveva iniziato la sua folgorante carriera. Il canto malinconico si chiude, come al solito, con il "good evening" rivolto a tutto il pubblico dal leader e e inizia la grande parata di motivi cari a Satchmo, temi più moderni e più legati alla logica della musica leggera, dalla canzone di cuccesso, com'è il caso di I Love Paris, di A Kiss to Build a Dream On o di The Girl From Ipanema, il classico tema di Jobim che il jazz ha utilizzato molto all'epoca della sua evoluzione, e al contempo brani più strettamente saldati con la tradizione del Sud, come St. James Infirmary, Indiana, Muskrat Ramble  e Ole Miss, mille volte eseguiti da Louis e sempre ricaricati di una verve nuova e affascinante che, nelle dolenti esecuzioni precedenti la morte, sembra come velata di quella reclinata malinconia che l'eloquio e i suoni spezzati e spesso frantumati servono a rendere ancor più drammatica. C'è un filtro sottile che, quasi come un paradosso, rende forse ancor più suggestive e captanti queste esecuzioni estreme di un uomo che ha riempito con la sua presenza dominante cinquant'anni di jazz nel mondo, e tale circolazione ideale la si avverte fra le note, ma anche nel caldo applauso del pubblico, che si ripeteva come un fantastico rituale ad ogni apparizione del leader, ma che in questo doloroso frangente assume un ruolo di più sensibile umanità, come se il saluto della folla servisse a gratificare Louis ancor più del consueto, e a fargli dimenticare la consapevolezza amara di un lucido declino, inaccettabile ma inevitabile nel corso naturale degli eventi. Era facile al pianto, alla commozione in questi ultimi anno di vita, Satchmo, lui che affrontava il pubblico con il riso fragoroso e gioioso del nero che la vita e il successo hanno reso felice, e non bastava il conforto che gli recavano la moglie Lucille e i suoi partners per evitargli le  lacrime, come accade in quei vecchi d'altri tempi le cui corde sentimentali, infragilite dal trauma dell'essere, cedono più facilmente alla piena del calore umano che gli altri, i superstiti, si preoccupano di infondere.

Vorrei chiudere con questo pezzo tanto conosciuto e amato:

I see trees of green, red roses too

I see them bloom for me and you

And I think to myself what a wonderful world
I see skies of blue and clouds of white

The bright blessed day, the dark sacred night

And I think to myself what a wonderful world

1 commento:

  1. che splendido ritratto di un uomo splendido che con la sua cornetta ha affascinato il mondo. Grazie.

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