Ponte alle Grazie - pagg. 224 – €16,00
Sette anni dopo Qualcosa di scritto,
il nuovo «libro strano» di Emanuele Trevi:
un quasi-romanzo di tre vite vere
La
Casa Editrice Ponte alle grazie ha l'onore di pubblicare il nuovo libro di Emanuele
Trevi, Sogni e favole.
Non proverò neppure a riassumerne il contenuto, ma il libro
transita liberamente, mai a caso, tra narrazione e divagazione, auto-fiction e
autoanalisi, critica e illuminazione, senza una trama precisa ma con una
fortissima voce personale, alcune intuizioni potenti, un senso ironico e acuto
dell’umano.
Dipinge, in forma scritta, alcuni ritratti singolari della
poetessa Amelia Rosselli e del fotografo Arturo Patten,
entrambi morti suicidi e vissuti nella stessa strada del centro di Roma,
parla in forma di passeggiata della città e dei paesaggi della
(propria) depressione, gira intorno a un sonetto di Metastasio sfiorandone
rivelazione e mistero dell’arte e della vita, rievoca con intelligenza e
disincanto la figura del critico Cesare Garboli. Ma parla anche di Tarkovskij e Wenders e
della cinefilia anni Ottanta, di pittura, d’inconscio e
del sacro, di AIDS e di Molière, di Rubens e
di fotografia, e di tante altre cose. Insomma, detto così, può
sembrare un delirio intellettualistico. È invece un libro, per quanto strambo,
profondissimo e, a suo modo, lieve e godibilissimo, in cui Trevi,
fra l’altro, si mette come sempre in gioco, per dirla con le
parole che l’autore usa per Garboli, sposando una “incontinenza autobiografica
con la più rigorosa filologia”.
La memoria fantastica di una
Roma disfatta, la giovinezza e la mezza età degli umani, l’illusione che le fa
felici, l’imprudente verità dell’arte.
«Era ancora il tempo degli
artisti, nel senso che questa parola poteva avere nel lento crepuscolo del
Novecento, quando un poeta, un pittore, un regista erano esseri umani investiti
da una vocazione, e la loro vita non era un pettegolezzo, una delle tante variabili
mercantili della celebrità, ma una storia vissuta fino ai limiti dell’umano».
Roma,
1983. Il Novecento brilla ancora. Emanuele, neppure ventenne, lavora in un
cineclub del centro. Una notte, al termine di un film di Tarkovskij, entra in
sala e vi trova un uomo solo, in lacrime. È Arturo Patten, statunitense
trapiantato a Roma, uno dei più grandi fotografi ritrattisti. Per tutto lo
scorcio del secolo, Emanuele ascolterà la lezione del suo amico, Lucignolo e
Grillo Parlante assieme, che vive la vita con invidiabile intensità, e grazie a
lui conoscerà Cesare Garboli, il «grande critico» cui è qui dedicato uno
splendido cammeo, che prima di morire gli affiderà la missione di indagare su
Metastasio e sul suo sonetto Sogni, e favole io fingo. «Favole
finge» tutta la grande letteratura moderna qui evocata, da Puškin a Pessoa fino
ad Amelia Rosselli, somma poetessa italiana del Novecento, che abita nella
stessa strada di Arturo e che come lui lascerà la vita per scelta; Emanuele
incontrerà più volte quel meteorite umano, sempre in fuga da oscuri e spietati
nemici, e con Arturo è lei, e la sua eredità, l’altra protagonista di questo
folgorante «libro strano» di Trevi – romanzo autobiografico e divagazione
saggistica assieme, sette anni dopo Qualcosa di scritto.
Arturo,
Amelia, Metastasio guidano lui e noi nel cuore di una Roma piovosa e arcaica,
nel cerchio simbolico della depressione e dell’insensatezza, verso l’approdo
vitale dell’illusione: se, come scrive Metastasio, le storie inventate suscitano
in noi la stessa commozione delle vicende reali, forse di sogni e favole è
fatta la vera vita.
Emanuele Trevi è nato a Roma nel 1964.
Collabora al Corriere della Sera e a Il manifesto.
Da Ponte alle Grazie sono usciti Qualcosa di scritto (2012) e
la nuova edizione di Musica distante (2012). Tra gli altri
suoi libri: I cani del nulla (Einaudi, 2003), Senza
verso. Un’estate a Roma (Laterza, 2004), Il libro della gioia
perpetua(Rizzoli, 2010), Il popolo di legno (Einaudi, 2015).
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