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domenica 2 dicembre 2018

C'è una casetta amor…


(di Mimma Zuffi)


Quella avrebbe dovuto essere la nostra casa. L'avevamo scelta insieme proprio perché era disabitata, perché avremmo voluto ridarle vita, quella vita che fino a cinquantant'anni prima si svolgeva gioiosamente. Chissà che fine avevano fatto i proprietari? Mi sembrava di rivedere i bimbi che giocavano sotto gli occhi vigili dei genitori e dei nonni, e risentivo il chiacchierio degli ospiti.
Infatti, quelle case ospitavano spesso molte feste e i bambini, fingendo di dormire nella loro stanzetta in mansarda, vedevano e ascoltavano tutto.


Poi la guerra; il padre era partito per non ritornare più, se non in una bara avvolta nella bandiera. Era stato un eroe, aveva difeso la patria, ma i suoi bambini? Sua moglie?
La madre aveva allora deciso di abbandonare quel luogo che aveva visto tante ore felici.
Le stagioni si erano rincorse numerose e il trascorrere del tempo aveva lasciato il segno.
Io e te avevamo deciso di ridare vita a quel luogo. Così, la sera prima ci fermammo a brindare per la decisione presa. Dopo il brindisi decidemmo anche di fermarci a dormire. Pulita qualche ragnatela di troppo, tolte le lenzuola che coprivano i mobili, ci accoccolammo vicini e ci addormentammo racchiusi l'uno nelle braccia dell'altro.
Un rumore sinistro che proveniva dai gradini di legno sconnessi mi risvegliò. Corsi fuori inconsciamente, e mi trovai di fronte una banda di ragazzotti ubriachi che cominciarono a inveire, a strapparmi gli abiti di dosso. Era evidente quel che volevano e io mi ribellai con tutte le mie forze. Mi picchiarono, legarono al mio uomo che, impotente, vedeva quel che mi stavano facendo.
Alla fine uno di loro, con la punta degli stivaletti spense per sempre i miei occhi e la mia vita. Da allora torno ogni notte quando splende la luna piena e con la mente vedo quel che è rimasto, e quel che avremmo voluto fare. E lui è ancora lì, ormai mummificato, mai più trovato, con il terrore impresso sulla maschera di quello che una volta era un volto.

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