(di Mimma Zuffi)
Quella avrebbe dovuto essere la nostra casa. L'avevamo
scelta insieme proprio perché era disabitata, perché avremmo voluto ridarle
vita, quella vita che fino a cinquantant'anni prima si svolgeva gioiosamente. Chissà
che fine avevano fatto i proprietari? Mi sembrava di rivedere i bimbi che
giocavano sotto gli occhi vigili dei genitori e dei nonni, e risentivo il
chiacchierio degli ospiti.
Infatti, quelle case ospitavano spesso molte feste e i
bambini, fingendo di dormire nella loro stanzetta in mansarda, vedevano e
ascoltavano tutto.
Poi la guerra; il padre era partito per non ritornare più,
se non in una bara avvolta nella bandiera. Era stato un eroe, aveva difeso la
patria, ma i suoi bambini? Sua moglie?
La madre aveva allora deciso di abbandonare quel luogo che
aveva visto tante ore felici.
Le stagioni si erano rincorse numerose e il trascorrere del
tempo aveva lasciato il segno.
Io e te avevamo deciso di ridare vita a quel luogo. Così, la
sera prima ci fermammo a brindare per la decisione presa. Dopo il brindisi
decidemmo anche di fermarci a dormire. Pulita qualche ragnatela di troppo,
tolte le lenzuola che coprivano i mobili, ci accoccolammo vicini e ci
addormentammo racchiusi l'uno nelle braccia dell'altro.
Un rumore sinistro che proveniva dai gradini di legno
sconnessi mi risvegliò. Corsi fuori inconsciamente, e mi trovai di fronte una
banda di ragazzotti ubriachi che cominciarono a inveire, a strapparmi gli abiti
di dosso. Era evidente quel che volevano e io mi ribellai con tutte le mie
forze. Mi picchiarono, legarono al mio uomo che, impotente, vedeva quel che mi
stavano facendo.
Alla fine uno di loro, con la punta degli stivaletti spense
per sempre i miei occhi e la mia vita. Da allora torno ogni notte quando
splende la luna piena e con la mente vedo quel che è rimasto, e quel che
avremmo voluto fare. E lui è ancora lì, ormai mummificato, mai più trovato, con
il terrore impresso sulla maschera di quello che una volta era un volto.
Angosciante ma reale. Juanito.
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