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sabato 27 ottobre 2018

Girasoli sul Delta del Po - Ritratti 7



di Annalisa Petrella


Argenta
Argenta a diciott’anni risplendeva di luce propria: viso dai tratti botticelliani e dal sorriso soffuso, capelli biondi inanellati che scendevano a manto sulle spalle fino alla vita, corpo sottile dal portamento lieve, pareva una silfide spuntata fuori per caso da un libro d’arte sul Rinascimento.  Ovunque andasse lasciava dietro di sé una scia di fulgore che stupiva gli astanti. Spesso succedeva che in una considerevole parte del genere femminile scattasse una compiaciuta ammirazione, ma, nelle più giovani, che si sentivano provocate dal confronto con una perfezione inarrivabile, si risvegliava un sentimento d’invidia incontrollato che le istigava a un’ispezione minuziosa dei fastidiosi tratti celestiali alla ricerca di un pur minimo difetto. La conclusione che ne usciva era: - Dev’essere ben stupida!


Di contro, il genere maschile nei confronti di Argenta provava esclusivamente sentimenti unidirezionali declinati con diversa gradazione e intensità. Succedeva che i più giovani se ne innamorassero all’istante e che ricorressero agli stratagemmi più smaliziati per poterle almeno rivolgere la parola, trattenendola poi di notte senza ritegno nei loro sogni perduti.
Argenta si era assuefatta fin dall’infanzia ad essere considerata speciale: Che bambina meravigliosa! E che occhi blu! Ma quanto è bella di qua e sembra una bambola di là…
La madre, una casalinga tristemente insipida, era talmente orgogliosa nell’esibirla in giro per Comacchio, Rovigo, Chioggia che, per compensare le proprie frustrazioni, a cinque anni l’aveva portata a Milano a fare un provino per la pubblicità di uno shampoo: inutile dire che fu un successo, il primo di una serie di flash sulle tv private che, tra l’altro, permise di arrotondare gli scarsi introiti familiari.
Il trionfo della propria immagine fin da piccola gratificava enormemente Argenta, gli sguardi avidi degli interlocutori non la mettevano a disagio, anzi le confermavano di possedere un’unicità che la distingueva dal resto del mondo. Tutto ciò contribuì enormemente a coltivare nel suo animo i peggiori difetti legati all’autoreferenzialità: la sua considerazione nei confronti degli altri era pressoché nulla a meno che non intuisse di poterne ricavare un tornaconto, in quel caso entrava abilmente nella parte e riusciva a rendersi amabile per sfruttare la generosità di coloro che cadevano nella sua rete.
 Al liceo aveva affinato in maniera invidiabile l’arte del copiare dall’unica compagna, bravissima a scuola, che riteneva degna della sua amicizia: durante i compiti in classe si faceva passare ogni tipo di suggerimento e lo faceva spudoratamente con un atteggiamento serafico sotto gli occhi dell’insegnante ignaro, senza farsi mai beccare. Argenta era un punto di attrazione per i compagni di classe che, d’altro canto, la temevano per il suo modo di fare distaccato e contraddittorio, sempre pronto allo scherno; nessuno, nemmeno i professori, si rendeva conto che la ragazza coltivasse inconsapevolmente una doppiezza che la rendeva imperscrutabile e alimentava una sorta di malvagità rivolta verso chiunque non si assoggettasse alla sua autorità o potesse rappresentare ai suoi occhi un possibile rivale. Durante gli intervalli a scuola Argenta, con noncuranza, amava spiare le conversazioni altrui che poi, a sua discrezione, riferiva in modo calunnioso per far rompere amicizie, godendo segretamente della sofferenza che generava. Era il prototipo della perfidia e non poteva farne a meno.

Viola
Viola a diciott’anni era dotata di una quieta bellezza dai colori scuri, rinvigorita da un’intelligenza vivacissima - era la prima della classe - e da una modestia che la faceva apprezzare da tutti. La sua eccellenza scolastica si basava su interesse, intuizione, acutezza, capacità di concentrazione e volontà nell’applicarsi.
Viola, a differenza di Argenta, era pura interiormente e ben disposta verso il mondo, cristallina nella mente e nello spirito, affrontava situazioni e persone con una naturalezza priva di qualsiasi sotterfugio. Quando Argenta l’aveva puntata nella classe come riferimento privilegiato, Viola ne era rimasta incuriosita e, affascinata dal personaggio inconsueto, si era sentita orgogliosa di essere stata scelta come sua amica: le aveva aperto il suo cuore e le aveva messo a disposizione il suo sapere senza riserve. Per lei l’amicizia era una cosa speciale e sacra.
Le due ragazze erano diventate indivisibili. Viola sapeva come dissipare le ombre dell’amica con la sua positività e col tempo avevano cominciato ad incontrarsi anche fuori da scuola per studiare insieme, per un cinema o una pizza. Inizialmente erano uscite da sole, Argenta tendeva ad essere esclusiva, le piaceva suscitare le confidenze dell’amica incalzandola con domande sul suo passato, avida di entrare nella sua mente e nella sua vita, ma Viola non ci faceva caso e sapeva come destreggiarsi. In seguito era riuscita addirittura a far accettare nelle loro gite al mare o nelle valli del Delta del Po il suo ragazzo, Giorgio, e qualche altro amico della sua cerchia che Argenta, dopo qualche tentennamento, alla fine aveva ben tollerato. Si muovevano in gruppo, talvolta in bicicletta, esplorando il parco che, dai diversi meandri del fiume, portava al mare Adriatico.
Quella domenica mattina si erano dati appuntamento al Lido di Pomposa per una giornata di mare. Quando si ritrovarono tutti sul lungomare mancava soltanto Argenta, Viola la chiamò al cellulare:
-     Ma dove ti sei cacciata, siamo già tutti qui!
-     Viola, scusa…lo so, sono in un ritardo tremendo, ma mi sono addormentata, puoi chiedere a Giorgio il favore di venirmi a prendere con la moto, così non vi faccio perdere tempo?
-     Caspita, mettere una sveglia, no? Giorgio! Te la senti di andare a prendere Argenta sotto casa sua, si è addormentata e non è ancora uscita di casa? - Gli fece segno, coprendo il telefono, che sarebbe stata l’ultima volta.
Giorgio fece capire a Viola che era contrario, ma le insistenze della sua ragazza e del gruppo di amici lo convinsero alla fine a rimettersi il casco e a ritornare indietro da Argenta, persona che lui non riusciva ad accettare per il suo carattere dispotico e mutevole. Non sapevi mai cosa aspettarti da lei, prima non ti degnava d’uno sguardo e poi faceva la svenevole con il maschio che lei puntava nel gruppo, dimenticandolo completamente il giorno dopo.
Anche con lui ci aveva provato più di una volta in modo ambiguo. All’inizio era incredulo e disorientato, Giorgio si considerava un’anima semplice, non amava le complicazioni ed era felicemente legato a Viola da due anni.  La sfacciataggine di Argenta lo indispettiva perché non poteva concepire intrusioni nel rapporto tra lui e la sua ragazza, per di più da parte della sua migliore amica.
Il giovedì precedente la cosa si era ripetuta - e questa volta senza ambiguità - durante una cena con amici a casa di Viola, nei momenti in cui la sua ragazza si alzava per spostarsi in cucina, Argenta, evitando di farsi notare dagli altri, con assoluta nonchalance lo aveva stuzzicato con gesti, allusioni e occhiate complici in un gioco infido di seduzione. Giorgio, sconcertato, aveva deliberatamente ignorato i segnali che lei gli inviava, ma da quel momento era scattato in lui un inquietante campanello d’allarme che non gli aveva dato più tregua. Decise che ne avrebbe parlato con Viola a fine serata per prendere decisioni drastiche nei confronti della ragazza.  Costretto dopo cena a darle uno strappo verso casa, in moto Giorgio si sentì imprigionato nelle sue sgrinfie, Argenta gli si era stretta addosso in modo soffocante e quando erano giunti sotto il portone di casa sua Giorgio, dopo averla letteralmente scaricata, era volato via come un fulmine per tornare da Viola, letteralmente esasperato:
 - Piantiamola di frequentare questa Argenta, non mi piace, è falsa e spudorata. Non ti accorgi che ti sfrutta e che fa la scema con noi ragazzi, me compreso? Bell’amica che ti sei scelta!
- Non essere così categorico, Giorgio, cosa mai può aver fatto? Io la conosco bene è soltanto un’egocentrica e a volte ha un modo di fare che può sembrare equivoco, ma è soltanto una posa, tutto qui, non dimenticare che è rimasta orfana di padre a otto anni e la madre è, come dire, una povera di spirito. Ha bisogno d’affetto e di pazienza, io sono l’unica amica che ha e so che non mi farebbe mai del male!
- Amore mio, sono convinto del contrario, tu filtri i fatti attraverso la tua generosità e non ti rendi conto di che razza di serpe stai coltivando: Argenta è un’arpia, non ha il senso della decenza, del rispetto e ha una evidente propensione per il tradimento, l’ho appena verificato. Per favore, se vuoi continuare a frequentarla, tienimene fuori!
- Piantala, Giorgio, stai esagerando, io la vedo ogni giorno e ha molti lati positivi, è una ragazza talmente sola che senza di me potrebbe cadere in depressione. Cerca di capirmi, per favore, non me lo perdonerei!
Viola aveva le lacrime agli occhi e Giorgio tacque, la strinse tra le braccia con tenerezza, la baciò con passione e pensò di aver trovato per sé la persona più amabile del mondo.
Fu così che quella domenica mattina le insistenze di Viola e del gruppo degli amici lo costrinsero, suo malgrado, ad accettare di andare in moto a prendere Argenta a casa sua, ma ribadì con decisione alla sua ragazza che quella sarebbe stata l’ultima volta e lei annuì, mandandogli un bacio. Giorgio pensò che in verità non c’erano alternative, visto che gli altri, ad esclusione di Viola, erano venuti in autobus, e lui non aveva animo di rovinare a tutti la giornata di festa che prevedeva anche un’escursione in battello.

In moto
Argenta lo aspettava sul bordo della strada più bella che mai tutta di bianco vestita, con un abitino di pizzo molto scollato e un paio di sandaletti alti dai tacchi sottili, salì dietro di lui sulla moto e lo abbracciò con vigore facendogli sventolare sul collo la sua sciarpina di seta bluette. Giorgio lungo il tragitto non parlò, stava sulle sue, lei gli soffiò qualche parola che lui non capì, ma quando, a un tratto, lui avvertì lo spostamento di una mano di lei verso le sue cosce ebbe un balzo nel petto, poi il movimento divenne esplicito e insistente, allora Giorgio capì che la sfida di Argenta non aveva limiti, le fermò la mano e gridò: - Nooo, piantala, non ti voglio, sei una puttana!
Decise di fermarsi subito per bloccare quello stato di cose e accostò in un viottolo laterale che, dopo un breve tratto, si apriva in una radura cespugliosa, saltò giù dalla moto, si tolse il casco e affrontò la ragazza con tutto il disgusto che provava.
-     Che cavolo ti sei messa in testa, maledetta! Io amo la tua migliore amica e tu ti fai beffe di lei e di me, non capisci che mi fai schifo! Vattene al diavolo, e a piedi!
Lei esibiva un volto d’angelo con uno sguardo duro come una lama di acciaio:
-     Giorgio, non fare il vile, lo so bene che stai con quell’insulsa soltanto per convenienza, come potrei spiegarmi diversamente la tua relazione con Viola, la mia migliore amica!
Le arrivò in pieno volto uno schiaffo di una potenza inaudita, il ragazzo, molto alto e atletico, non aveva potuto trattenersi. Argenta traballò sui sandaletti col tacco, ma riuscì a non cadere. Giorgio, furioso e sconvolto per il proprio gesto, le gridò:
-     Me l’hai tirata fuori tu, ma non volevo, scusa! Ne ho abbastanza delle tue provocazioni e della tua indecenza, me ne vado!
Notò che lei stava ridendo, si teneva la mano sulla guancia bollente e ne sembrava compiaciuta, come se il contatto fisico, pur violento, avvenuto tra la mano di lui e il suo volto le avesse trasmesso piacere: - Hai reagito, finalmente, sei un uomo e so che mi vuoi, ma fai il bambino e non hai il coraggio…
-     Argenta, tu sei completamente folle, sparisci dalla nostra vita, io ti cancello per sempre! E trovati un passaggio!
Le voltò le spalle per risalire sulla moto quando la ragazza, trasformatasi in una furia, si scagliò improvvisamente contro di lui come una saetta, estrasse dalla tasca un cutter affilatissimo e lo colpì alle spalle. Prevalse il fattore sorpresa, Giorgio si voltò dolorante e impreparato all’assalto, era disarmato e cercava con tutte le proprie forze di bloccarle le mani, ma la violenza di Argenta era irrefrenabile, spaventosa come quella di uno tsunami. Furono undici le ferite che Argenta in pochi attimi inferse sul corpo di Giorgio durante la colluttazione, colpendolo alla cieca dove capitava, quando finalmente il ragazzo riuscì a disarmarla era talmente sfinito che si accasciò al suolo delimitato da un vasto campo di girasoli.
 Il colpo più infingardo gli aveva reciso la giugulare, di colpo Giorgio non vide più nulla, farfugliava a stento il nome "Viola" mentre il sangue, che fluiva a fiotti, impregnava completamente i suoi indumenti e non si arrestò fino all’ultimo singulto. Argenta, imperterrita, lo guardava morire in silenzio, poi si alzò faticosamente da terra, facendo un vago tentativo per ricomporsi. Aveva tumefazioni evidenti sulle braccia, sulle gambe, sul volto e una ferita di striscio sul collo. Si soffermò concentrata ad osservare la scena, quasi fosse un’estranea ai fatti, raccolse il cutter che infilò in un tombino semiaperto nelle vicinanze, insieme alle scarse banconote che tolse dai loro portafogli, ritornò vicino a Giorgio e fissò il suo volto ormai esangue. Considerò con amarezza per qualche istante che in fondo questo ragazzo non avesse granché meritato la sua attenzione perché si era dimostrato un pavido: se fosse stato un vero uomo avrebbe potuto limitare i propri danni picchiandola o prendendola a calci con maggiore violenza per disarmarla, e forse qualcosa di eccitante sarebbe potuto succedere tra loro…ma, stupidamente, aveva voluto sacrificarsi. Lei aveva bisogno d’altro. Ora le restava soltanto Viola.
Con voce affannata chiamò sul cellulare:
-     Viola, aiutami, ti prego, non sai cos’è successo! Aiutaci, Giorgio… chiama un’ambulanza, corri!
-     Un incidente? Ma dove siete, dimmi!
Argenta con voce spezzata le spiegò dove trovarli, si sedette su un paracarro e attese, voltando le spalle al cadavere. I girasoli ondeggiavano al vento e formavano una immensa muraglia verde e oro sotto il sole infuocato.
Quando arrivarono gli aiuti tra urla, suoni di sirene e sgommate Argenta riuscì a fatica a balbettare alla pattuglia del pronto intervento poche parole stentate sull’accaduto, fu subito visitata e medicata, mentre Viola singhiozzava disperata sul cadavere di Giorgio. Le due ragazze rimasero per lunghi istanti abbracciate mentre Argenta sussurrava: - Due figuri incappucciati, in un secondo ci hanno bloccato e derubato, poi quando Giorgio ha reagito…hanno estratto un coltello…e…non ce la faccio! Povero Giorgio, ha cercato di proteggermi.
 La scena era straziante, una poliziotta intervenne separandole delicatamente e accompagnò Argenta all’automobile che l’avrebbe scortata in centrale per l’interrogatorio. Il completo bianco, chiazzato di sangue, i capelli scarmigliati che circondavano il suo volto da eroina sopravvissuta alla tragedia furono immortalati con una foto scattata dal giornalista di turno, accorso sul posto, e pubblicata sui giornali il giorno dopo. L’immagine diventò un primo trampolino di lancio per la sua futura carriera nel mondo dello spettacolo.

Pavan
Il funerale di Giorgio attirò molti giornalisti che dedicarono per diversi giorni alcune colonne al caso dei due incappucciati scomparsi nel nulla dopo l’omicidio. Il terrore si era diffuso a macchia d’olio in tutta la provincia, la paura di aggressioni violente quell’estate trasformò l’area dei Lidi di Comacchio in un luogo spento e angosciante. Il commissario Renzo Pavan prese in carico il caso; era un poliziotto stimato per la sua determinazione nell’affrontare anche i casi più complicati, interrogò ripetutamente con un certo riguardo Argenta, al momento unica testimone, sottoponendola a un fuoco di fila di domande ben congegnate per farla cadere in contraddizione qualora avesse omesso dettagli o, addirittura, avesse mentito. La ragazza si prestò a collaborare con una disponibilità assoluta anche nei momenti di sconforto o di commozione, Pavan la osservava nel profondo cercando di superare quel filtro invalicabile che avvertiva ci fosse tra lei e il mondo esterno, la faceva osservare anche dai suoi collaboratori, ma le conclusioni a cui tutti erano arrivati escludevano qualsiasi sua responsabilità nell’omicidio del ragazzo. Non c’era uno straccio di prova e pur procedendo meticolosamente in ogni direzione nelle indagini alla ricerca di nuovi indizi e testimonianze, non venne fuori nulla.
Argenta non la smetteva mai di raccontare l’accaduto per filo e per segno anche a Viola, alla famiglia di Giorgio, agli amici, ai professori, ai giornalisti, ribadendo che voleva giustizia ad ogni costo. Purtroppo gli identikit dei due aggressori, ricostruiti con i pochi elementi da lei forniti non portarono a nulla di fatto. A un certo punto fu sospettato un manovale di Porto Tolle che, a detta di Argenta, poteva forse avere il timbro di voce simile a quello di uno degli aggressori, ma l’uomo, protetto da un alibi di ferro, fu subito rilasciato.
Il caso fu chiuso dopo sei mesi di ricerche vane e fu catalogato come “irrisolto”, anche se il commissario Pavan non voleva rassegnarsi e, in privato, non l’abbandonò del tutto. Spesso riapriva il fascicolo “Giorgio Cavallari - Incappucciati” per riconsiderare ulteriormente i fatti, sentiva di avere un conto in sospeso con quel ragazzo ammazzato per pochi soldi da due vigliacchi svaniti nel nulla.
Viola era distrutta dalla perdita di Giorgio, ma le dava conforto il suo legame di amicizia con Argenta che era stata l’ultima persona a contatto con il suo amore e che, a sua volta, aveva rischiato il peggio. Si concentrò al massimo sullo studio e lentamente la vita riprese a scorrere tra rabbia e tormento.
Argenta, dopo il periodo caldo degli interrogatori e delle interviste che le offrirono una nuova occasione di protagonismo, riuscì a prendere la maturità grazie a Viola e decise che avrebbe intrapreso la strada del cinema. Era giovane, bella e ormai famosa come vittima di un angosciante caso irrisolto, fu invitata come ospite in alcune trasmissioni televisive e da lì, grazie alla sua avvenenza e alla sua voglia di sfondare, le si aprirono le prime possibilità nel mondo dello spettacolo. Viola si era iscritta alla facoltà di Giurisprudenza all’università di Ferrara e faceva la pendolare dividendo le spese di viaggio in auto con una compagna del liceo. Gradualmente si era allontanata da Argenta per i differenti percorsi scelti e perché, quando si ritrovavano, percepiva una distanza che andava aumentando per i diversi interessi, sogni e stili di vita.  Inoltre il dolore della perdita del suo ragazzo e l’insuccesso delle indagini sull’omicidio alimentavano in lei la voglia di studiare con accanimento nella speranza di trovare spunti utili a trovare una soluzione. Non ce l’aveva con il commissario Pavan: nei loro colloqui aveva colto un’acutezza e una volontà di giustizia che l’avevano confortata. Ma non le bastava.

Il pittore  
Era trascorso quasi un anno dall’omicidio di Giorgio quando una mattina Renzo Pavan, arrivando in commissariato, trovò ad aspettarlo nel corridoio un uomo che aveva chiesto di potergli parlare personalmente. Pavan lo squadrò con attenzione, non lo aveva mai visto prima, e lo fece accomodare: era un tipo distinto sui cinquanta, si presentò come Roberto Ferrari, abitava a Milano in zona Città Studi e faceva da quasi trent’anni l’agente di commercio in Lombardia, Emilia Romagna e Veneto per l’azienda Pescovar che produceva articoli da pesca.  
-     Mi dica, Signor Ferrari, che cosa la porta da me? – disse Pavan, notando in lui un certo imbarazzo. – Immagino che con tutto quello che ha da fare debba avere qualcosa di importante da dirmi.
-     Ecco, commissario, vede io sono figlio di un pittore ferrarese, Gaetano Ferrari, venuto a mancare nel dicembre scorso. Mio padre aveva l’hobby della fotografia e fino a che è stato bene ha sempre girato con i suoi attrezzi da pittura e con la macchina fotografica a tracolla per tutta Italia alla ricerca di immagini, scene e paesaggi da dipingere. Amava la natura e aveva l’abitudine di fare lunghe passeggiate. Invecchiando aveva ridotto le distanze e spesso si spostava da Ferrara in queste zone perché era attratto in particolar modo dal paesaggio fluviale, si soffermava a dipingere sugli argini del Po e nel Parco del Delta per cogliere i colori e le sfumature dell’acqua, dei boschi e dei campi coltivati nella pianura. Il giorno in cui è stato ammazzato quel ragazzo, Giorgio Cavallari se non sbaglio, era l’estate scorsa, lui si trovava in questa zona ed io a Rovigo per lavoro. Lo avrei raggiunto a casa sua il giorno dopo per un saluto.
-     Come lo sa e dove si trovava esattamente suo padre?
-     Mi telefonò per dirmi che aveva fatto sosta per un giorno intero lungo la Sacca di Scardovari per incontrarsi a dipingere con il gruppo di pittori del laboratorio Sincrasi, per lui l’amicizia con questi amici milanesi era importante, con Anna l’artista fondatrice del laboratorio c’era un’intesa magnifica… pensi che sono venuti tutti a salutarlo…ma, mi scusi, torno ai fatti.
La mattina dopo si era spostato con la sua Golf verso i Lidi di Comacchio ma prima di arrivare al mare, attratto da uno stormo di uccelli che volavano su un immenso campo di girasoli in piena fioritura, aveva fatto tappa, proprio lungo il campo che lui definì “sterminato”, per uno schizzo a inchiostro e acquarello. Mi spiegò che il posto era a metà strada tra Comacchio e il Lido di Pomposa e che all’inizio dello stradello era posta l’indicazione “Il casòn”. Era felice. La sera mi aveva richiamato: - Domani sera fermati da me a cena e anche a dormire, voglio mostrarti con calma i bozzetti e le foto che ho scattato.
-     Vi vedevate spesso?
-     Non quanto avremmo voluto, era un padre fantastico e un artista vero. Da quando era rimasto solo avevo cercato di andare a trovarlo almeno due volte al mese, anche per i miei figli era una festa fermarsi da lui per il weekend, aveva tanto da insegnare e non faceva mai pesare il suo sapere. Purtroppo quella stessa notte venne colpito da un infarto che, combinato con una serie di altri acciacchi cui lui non dava peso - aveva 86 anni – lo ha tenuto in bilico tra la vita e la morte per due mesi, circa.
-     Mi dispiace per lui, ma non capisco cosa c’entri tutto questo con me.
-     In ospedale, quando si era ripreso, mi parlava dell’omicidio di cui tutti i telegiornali davano notizia in quei giorni, diceva di conoscere il posto, secondo lui avevano ammazzato quel povero ragazzo proprio nei pressi del campo di girasoli che lui aveva ritratto, me lo ha ripetuto più volte, era certo che fosse avvenuto lì.
-     Sì, ma anche a noi il posto è noto abbiamo trovato il cadavere del ragazzo davanti a quel campo con la ragazza sopravvissuta all’agguato!
-     Lo so, ma l’insistenza di mio padre nel collegare i girasoli all’omicidio mi è ritornata più volte nella mente. Soltanto tre giorni fa ho avuto il coraggio di prendere in mano la sua Canon per vedere le ultime fotografie scattate, sono numerosissime perché papà amava riprendere anche molti dettagli. Credo di aver fatto bene a guardarle finalmente. Questa mattina, prima di venire qui, mi sono recato in perlustrazione alla ricerca del grande campo di girasoli e l’ho trovato. Ecco, commissario, le ho portato alcune foto che ho stampato perché ho individuato il punto in cui lui le ha scattate…potrebbero esserle utili, forse. Se ha una lente d’ingrandimento è meglio. 
Pavan era in fibrillazione e si sentiva sudare freddo per l’agitazione, cercò la lente nel cassetto allungò la mano e prese le immagini: sullo sfondo di tre fotografie, lungo il muro dei fiori giganteschi si aprivano degli spazi probabilmente per le folate di vento che interrompevano la sua continuità e poco oltre si vedevano due figure sfuocate che pareva lottassero. Nella prima erano chiaramente avvinghiate l’uno all’altra, nella seconda una, chiaramente una sagoma femminile, aveva il braccio alzato verso l’altra persona, una sagoma maschile. Nella terza la donna era in piedi davanti all’uomo che era piegato su se stesso, come se stesse cadendo. C’era anche una quarta fotografia che cambiava la prospettiva: mostrava la donna - e qui non c’erano dubbi sul fatto che potesse essere Argenta - spostata verso l’interno della boscaglia lungo lo stradello, a una certa distanza dal punto dell’agguato. Intorno nessun altro.
I due uomini stavano in silenzio, Ferrari non volle disturbare la concentrazione del commissario.
- Mi dia anche le altre foto, se le ha.
- Certamente, ma qui non si vede bene lo sfondo.
- Non importa, Signor Ferrari, mi dia tutto quello che ha, macchina fotografica e bozzetti fatti da suo padre e…mi accompagni subito sul posto che lei ha individuato!
- Ho tutto in macchina, vado a prendere…
- No, lasci, ci andiamo insieme e corriamo al campo di girasoli!
Pavan uscì come un razzo dal commissariato, seguito da Ferrari, si sedettero nella sua Volvo per guardare tutto il materiale raccolto in una grande cartella. I bozzetti erano magnifici: fiamme di luce inondavano il campo senza fine mentre nel cielo trasparente lo stormo disegnava una parabola puntinata a inchiostro. E si avvertiva la presenza del vento imperioso, a tratti violento, che spostava i confini del paesaggio.
-     Un artista, ha ragione, un vero artista, non mi intendo di pittura ma questi bozzetti trasmettono emozioni. Affiderò la Canon ai miei esperti per analizzare le foto in ogni dettaglio. Adesso andiamo!
I due uomini non scambiarono una parola fino al punto in cui il pittore aveva sostato per ritrarre un meraviglioso spettacolo naturale che celava il mostruoso assassinio. Evidentemente si era posizionato oltre il campo nei pressi di un muretto a secco sul quale doveva essere salito per alcune inquadrature. Dopo mezz’ora di osservazione seguendo la quarta foto scoprirono in un angolo, coperto da ciuffi di vegetazione spontanea, fango secco e pietrisco un tombino che, così defilato e nascosto, era sfuggito alle indagini. Pavan chiamò immediatamente la scientifica. Ormai la certezza di come si fossero svolti i fatti diventava sempre più evidente anche per Ferrari. L’uomo pensò che suo padre, anche dopo la morte, era riuscito a fare del bene. Quando estrassero dal pozzetto cieco il cutter semi arrugginito incastrato in una fessura laterale il volto di Pavan riprese colore, irradiava energia e fiducia.
-     Mi riaccompagni, non ci sono dubbi, avremo cura della Canon di suo padre, non si preoccupi, e la ringrazio, forse finalmente quel ragazzo e chi lo ha amato avranno giustizia.
Si salutarono davanti al commissariato, con l’impegno da parte di Ferrari di tenersi a filo diretto con Pavan per gli sviluppi dell’inchiesta.

La sentenza stabilì la colpevolezza di Argenta, come unica responsabile dell’omicidio, e la condanna a trent’anni di carcere.
Viola assistette a tutte le udienze del processo ascoltando con la morte nel cuore le incredibili dichiarazioni di innocenza, sotto giuramento, di Argenta. Non c’era verso di scalfire la sua corazza neanche davanti alle prove inconfutabili della sua colpevolezza, la sua personalità era refrattaria ad ogni tipo di sentimento umano, la sua freddezza e il suo distacco emotivo facevano paura. Per dare una spiegazione delle foto che la incriminavano non si era fatta problema di infangare la memoria di Giorgio attribuendogli un tentativo di seduzione che lei aveva violentemente rifiutato. Spiegò inoltre che gli incappucciati erano comparsi dopo e che Giorgio si era riscattato cercando di proteggerla.
Più Argenta testimoniava e più Viola penetrava nei meandri della sua mente ossessiva vedendo con disgusto a caratteri cubitali i segni della sua colpevolezza. La consapevolezza di essere stata tradita in tutti gli aspetti che un sentimento di amicizia contempla, al punto di arrivare ad uccidere, le fecero montare un’ira potente, furiosa che a fatica riusciva a controllare. Era inviperita anche verso se stessa e la propria dabbenaggine che Giorgio le aveva ripetutamente fatto notare. Pensò ancora una volta che si sarebbe salvato se lei non avesse insistito e non riusciva a perdonarsi: il peso di quella colpa l’avrebbe accompagnata per tutta la vita.  
La sera prima del trasferimento di Argenta a San Vittore Viola si recò in carcere per un ultimo colloquio.
-     Viola, è una congiura, io sono innocente, credimi!
Viola la guardava attraverso il vetro in totale silenzio con un’espressione assente. Argenta ne fu sconcertata:
-     Viola, lo sai che io non posso aver ucciso Giorgio, era il tuo ragazzo e un amico anche per me, hanno montato un castello di fandonie per colpirci perché sanno che siamo amiche!
Il silenzio diventò di ghiaccio e l’espressione di Viola impenetrabile.
Argenta cominciò ad alterarsi, quel vuoto non era contemplato nel rapporto tra lei e Viola:
-     Perché taci? Parlami, dimmi qualcosa?
Viola non proferì parola, la fissò con uno sguardo profondo denso di significati, incrociò le braccia, ma continuò a tacere.
A quel punto Argenta perse totalmente il controllo ed esplose gridando e lanciandosi contro il vetro che le separava:
-     Stronza, cosa credi di fare, tu che sei un’inetta vieni qui a provocarmi? Mi fai ridere, come quell’imbecille di Giorgio! Ti odio, cretina, non ti ho mai sopportato…la tua bontà mi fa schifo…la tua comprensione te la faccio ingoiare e ora ammazzo anche te!
Viola imperturbabile spense il tasto della registrazione sul suo telefono cellulare, in silenzio si alzò, prese la borsa e si avviò con calma verso l’uscita del parlatorio mentre Argenta continuava ad urlare braccata da due agenti che la tenevano per le braccia e la spintonavano oltre le sbarre.


  

    

33 commenti:

  1. Tutto d'un fiato, bellissimo!

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  2. Non lascia tregua fino all'ultima parola. Più che coinvolgente.

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  3. Avvincente e costruito molto bene. Bravissima!

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  4. Un altro ritratto riuscitissimo: Argenta è tratteggiata così bene anche sul piano psicologico. Applausi

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  5. Anche io letto tutto d'un fiato! Stupendo, Argenta è affascinante e diabolica. Meraviglioso scoprire la verità nei dipinti del pittore. Come sempre è un piacere leggerti Annalisa!

    Ludmilla

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  6. Splendida e malvagia, scrittura raffinata e intrigante.

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  7. Intrigante, ben dipinti i personaggi, coinvolgente: vorresti essere lì anche tu a quel colloquio finale tra Viola (finalmente spietata) e Argenta distrutta tra follia e disperazione. Bravissima

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  8. Giallo come i girasoli

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  9. Bellissimo il racconto e anche le immagini

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  10. Coinvolgente il progressivo svelamento di un cervello criminale, come bello il contrasto tra la luminosità dei girasoli e l'oscurità di una mente malata. E' l'eterno duello tra il bene e il male, non sempre così netto. E' una trama tipica della fiction nota come Criminal minds. Complimenti!

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  11. Il finale mi è piaciuto tantissimo

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  12. Ben costruito e raccontato con un crescendo da vero racconto giallo.

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  13. Come in ogni racconto di Annalisa c'è un elemento improvviso di sorpresa che scuote. Si legge con interesse crescente in attesa di un ulteriore colpo di scena..da non mancare.

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  14. Racconto molto avvincente,la costruzione è degna di un vero giallo. Il personaggio di Argenta è descritto benissimo sopratutto dal punto di vista della personalita. Lucrezia

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  15. Ancora una volta sono ben delineati i "colori" dei personaggi e delle situazioni... scrittura fluente che coglie il ritmo incalzante degli eventi. Complimenti

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  16. il racconto cattura dall'inizio e si legge in un fiato fino al colpo di scena finale: bellissimo!

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