di Annalisa Petrella
Argenta
Argenta a diciott’anni risplendeva
di luce propria: viso dai tratti botticelliani e dal sorriso soffuso, capelli
biondi inanellati che scendevano a manto sulle spalle fino alla vita, corpo
sottile dal portamento lieve, pareva una silfide spuntata fuori per caso da un
libro d’arte sul Rinascimento. Ovunque andasse
lasciava dietro di sé una scia di fulgore che stupiva gli astanti. Spesso succedeva
che in una considerevole parte del genere femminile scattasse una compiaciuta
ammirazione, ma, nelle più giovani, che si sentivano provocate dal confronto
con una perfezione inarrivabile, si risvegliava un sentimento d’invidia incontrollato
che le istigava a un’ispezione minuziosa dei fastidiosi tratti celestiali alla
ricerca di un pur minimo difetto. La conclusione che ne usciva era: - Dev’essere
ben stupida!
Di contro, il genere
maschile nei confronti di Argenta provava esclusivamente sentimenti
unidirezionali declinati con diversa gradazione e intensità. Succedeva che i più
giovani se ne innamorassero all’istante e che ricorressero agli stratagemmi più
smaliziati per poterle almeno rivolgere la parola, trattenendola poi di notte senza
ritegno nei loro sogni perduti.
Argenta si era assuefatta fin
dall’infanzia ad essere considerata speciale: Che bambina meravigliosa! E che occhi blu! Ma quanto è bella di qua e
sembra una bambola di là…
La madre, una casalinga
tristemente insipida, era talmente orgogliosa nell’esibirla in giro per Comacchio,
Rovigo, Chioggia che, per compensare le proprie frustrazioni, a cinque anni l’aveva
portata a Milano a fare un provino per la pubblicità di uno shampoo: inutile
dire che fu un successo, il primo di una serie di flash sulle tv private che,
tra l’altro, permise di arrotondare gli scarsi introiti familiari.
Il trionfo della propria
immagine fin da piccola gratificava enormemente Argenta, gli sguardi avidi
degli interlocutori non la mettevano a disagio, anzi le confermavano di
possedere un’unicità che la distingueva dal resto del mondo. Tutto ciò
contribuì enormemente a coltivare nel suo animo i peggiori difetti legati all’autoreferenzialità:
la sua considerazione nei confronti degli altri era pressoché nulla a meno che
non intuisse di poterne ricavare un tornaconto, in quel caso entrava abilmente nella
parte e riusciva a rendersi amabile per sfruttare la generosità di coloro che
cadevano nella sua rete.
Al liceo aveva affinato in maniera invidiabile
l’arte del copiare dall’unica compagna, bravissima a scuola, che riteneva degna
della sua amicizia: durante i compiti in classe si faceva passare ogni tipo di
suggerimento e lo faceva spudoratamente con un atteggiamento serafico sotto gli
occhi dell’insegnante ignaro, senza farsi mai beccare. Argenta era un punto di
attrazione per i compagni di classe che, d’altro canto, la temevano per il suo
modo di fare distaccato e contraddittorio, sempre pronto allo scherno; nessuno,
nemmeno i professori, si rendeva conto che la ragazza coltivasse
inconsapevolmente una doppiezza che la rendeva imperscrutabile e alimentava una
sorta di malvagità rivolta verso chiunque non si assoggettasse alla sua
autorità o potesse rappresentare ai suoi occhi un possibile rivale. Durante gli
intervalli a scuola Argenta, con noncuranza, amava spiare le conversazioni
altrui che poi, a sua discrezione, riferiva in modo calunnioso per far rompere
amicizie, godendo segretamente della sofferenza che generava. Era il prototipo
della perfidia e non poteva farne a meno.
Viola
Viola a diciott’anni era
dotata di una quieta bellezza dai colori scuri, rinvigorita da un’intelligenza vivacissima
- era la prima della classe - e da una modestia che la faceva apprezzare da tutti.
La sua eccellenza scolastica si basava su interesse, intuizione, acutezza,
capacità di concentrazione e volontà nell’applicarsi.
Viola, a differenza di
Argenta, era pura interiormente e ben disposta verso il mondo, cristallina
nella mente e nello spirito, affrontava situazioni e persone con una naturalezza
priva di qualsiasi sotterfugio. Quando Argenta l’aveva puntata nella classe come
riferimento privilegiato, Viola ne era rimasta incuriosita e, affascinata dal
personaggio inconsueto, si era sentita orgogliosa di essere stata scelta come sua
amica: le aveva aperto il suo cuore e le aveva messo a disposizione il suo
sapere senza riserve. Per lei l’amicizia era una cosa speciale e sacra.
Le due ragazze erano
diventate indivisibili. Viola sapeva come dissipare le ombre dell’amica con la
sua positività e col tempo avevano cominciato ad incontrarsi anche fuori da
scuola per studiare insieme, per un cinema o una pizza. Inizialmente erano
uscite da sole, Argenta tendeva ad essere esclusiva, le piaceva suscitare le confidenze
dell’amica incalzandola con domande sul suo passato, avida di entrare nella sua
mente e nella sua vita, ma Viola non ci faceva caso e sapeva come
destreggiarsi. In seguito era riuscita addirittura a far accettare nelle loro
gite al mare o nelle valli del Delta del Po il suo ragazzo, Giorgio, e qualche altro
amico della sua cerchia che Argenta, dopo qualche tentennamento, alla fine aveva
ben tollerato. Si muovevano in gruppo, talvolta in bicicletta, esplorando il
parco che, dai diversi meandri del fiume, portava al mare Adriatico.
Quella domenica mattina si
erano dati appuntamento al Lido di Pomposa per una giornata di mare. Quando si
ritrovarono tutti sul lungomare mancava soltanto Argenta, Viola la chiamò al
cellulare:
- Ma
dove ti sei cacciata, siamo già tutti qui!
- Viola,
scusa…lo so, sono in un ritardo tremendo, ma mi sono addormentata, puoi
chiedere a Giorgio il favore di venirmi a prendere con la moto, così non vi
faccio perdere tempo?
- Caspita,
mettere una sveglia, no? Giorgio! Te la senti di andare a prendere Argenta sotto
casa sua, si è addormentata e non è ancora uscita di casa? - Gli fece segno,
coprendo il telefono, che sarebbe stata l’ultima volta.
Giorgio fece capire a
Viola che era contrario, ma le insistenze della sua ragazza e del gruppo di
amici lo convinsero alla fine a rimettersi il casco e a ritornare indietro da
Argenta, persona che lui non riusciva ad accettare per il suo carattere
dispotico e mutevole. Non sapevi mai cosa aspettarti da lei, prima non ti degnava
d’uno sguardo e poi faceva la svenevole con il maschio che lei puntava nel
gruppo, dimenticandolo completamente il giorno dopo.
Anche con lui ci aveva
provato più di una volta in modo ambiguo. All’inizio era incredulo e
disorientato, Giorgio si considerava un’anima semplice, non amava le
complicazioni ed era felicemente legato a Viola da due anni. La sfacciataggine di Argenta lo indispettiva
perché non poteva concepire intrusioni nel rapporto tra lui e la sua ragazza,
per di più da parte della sua migliore amica.
Il giovedì precedente la
cosa si era ripetuta - e questa volta senza ambiguità - durante una cena con
amici a casa di Viola, nei momenti in cui la sua ragazza si alzava per
spostarsi in cucina, Argenta, evitando di farsi notare dagli altri, con
assoluta nonchalance lo aveva stuzzicato
con gesti, allusioni e occhiate complici in un gioco infido di seduzione. Giorgio,
sconcertato, aveva deliberatamente ignorato i segnali che lei gli inviava, ma
da quel momento era scattato in lui un inquietante campanello d’allarme che non
gli aveva dato più tregua. Decise che ne avrebbe parlato con Viola a fine
serata per prendere decisioni drastiche nei confronti della ragazza. Costretto dopo cena a darle uno strappo verso
casa, in moto Giorgio si sentì imprigionato nelle sue sgrinfie, Argenta gli si
era stretta addosso in modo soffocante e quando erano giunti sotto il portone
di casa sua Giorgio, dopo averla letteralmente scaricata, era volato via come
un fulmine per tornare da Viola, letteralmente esasperato:
- Piantiamola di frequentare questa Argenta,
non mi piace, è falsa e spudorata. Non ti accorgi che ti sfrutta e che fa la
scema con noi ragazzi, me compreso? Bell’amica che ti sei scelta!
- Non essere così
categorico, Giorgio, cosa mai può aver fatto? Io la conosco bene è soltanto un’egocentrica
e a volte ha un modo di fare che può sembrare equivoco, ma è soltanto una posa,
tutto qui, non dimenticare che è rimasta orfana di padre a otto anni e la madre
è, come dire, una povera di spirito. Ha bisogno d’affetto e di pazienza, io
sono l’unica amica che ha e so che non mi farebbe mai del male!
- Amore mio, sono convinto
del contrario, tu filtri i fatti attraverso la tua generosità e non ti rendi
conto di che razza di serpe stai coltivando: Argenta è un’arpia, non ha il senso
della decenza, del rispetto e ha una evidente propensione per il tradimento,
l’ho appena verificato. Per favore, se vuoi continuare a frequentarla,
tienimene fuori!
- Piantala, Giorgio, stai
esagerando, io la vedo ogni giorno e ha molti lati positivi, è una ragazza talmente
sola che senza di me potrebbe cadere in depressione. Cerca di capirmi, per
favore, non me lo perdonerei!
Viola aveva le lacrime
agli occhi e Giorgio tacque, la strinse tra le braccia con tenerezza, la baciò
con passione e pensò di aver trovato per sé la persona più amabile del mondo.
Fu così che quella
domenica mattina le insistenze di Viola e del gruppo degli amici lo costrinsero,
suo malgrado, ad accettare di andare in moto a prendere Argenta a casa sua, ma
ribadì con decisione alla sua ragazza che quella sarebbe stata l’ultima volta e
lei annuì, mandandogli un bacio. Giorgio pensò che in verità non c’erano
alternative, visto che gli altri, ad esclusione di Viola, erano venuti in
autobus, e lui non aveva animo di rovinare a tutti la giornata di festa che
prevedeva anche un’escursione in battello.
In moto
Argenta lo aspettava sul
bordo della strada più bella che mai tutta di bianco vestita, con un abitino di
pizzo molto scollato e un paio di sandaletti alti dai tacchi sottili, salì dietro
di lui sulla moto e lo abbracciò con vigore facendogli sventolare sul collo la
sua sciarpina di seta bluette. Giorgio lungo il tragitto non parlò, stava sulle
sue, lei gli soffiò qualche parola che lui non capì, ma quando, a un tratto,
lui avvertì lo spostamento di una mano di lei verso le sue cosce ebbe un balzo
nel petto, poi il movimento divenne esplicito e insistente, allora Giorgio capì
che la sfida di Argenta non aveva limiti, le fermò la mano e gridò: - Nooo,
piantala, non ti voglio, sei una puttana!
Decise di fermarsi subito per
bloccare quello stato di cose e accostò in un viottolo laterale che, dopo un breve
tratto, si apriva in una radura cespugliosa, saltò giù dalla moto, si tolse il
casco e affrontò la ragazza con tutto il disgusto che provava.
- Che
cavolo ti sei messa in testa, maledetta! Io amo la tua migliore amica e tu ti
fai beffe di lei e di me, non capisci che mi fai schifo! Vattene al diavolo, e a
piedi!
Lei esibiva un volto
d’angelo con uno sguardo duro come una lama di acciaio:
- Giorgio,
non fare il vile, lo so bene che stai con quell’insulsa soltanto per
convenienza, come potrei spiegarmi diversamente la tua relazione con Viola, la
mia migliore amica!
Le arrivò in pieno volto uno
schiaffo di una potenza inaudita, il ragazzo, molto alto e atletico, non aveva
potuto trattenersi. Argenta traballò sui sandaletti col tacco, ma riuscì a non
cadere. Giorgio, furioso e sconvolto per il proprio gesto, le gridò:
- Me
l’hai tirata fuori tu, ma non volevo, scusa! Ne ho abbastanza delle tue
provocazioni e della tua indecenza, me ne vado!
Notò che lei stava ridendo,
si teneva la mano sulla guancia bollente e ne sembrava compiaciuta, come se il contatto
fisico, pur violento, avvenuto tra la mano di lui e il suo volto le avesse
trasmesso piacere: - Hai reagito, finalmente, sei un uomo e so che mi vuoi, ma fai
il bambino e non hai il coraggio…
- Argenta,
tu sei completamente folle, sparisci dalla nostra vita, io ti cancello per
sempre! E trovati un passaggio!
Le voltò le spalle per
risalire sulla moto quando la ragazza, trasformatasi in una furia, si scagliò
improvvisamente contro di lui come una saetta, estrasse dalla tasca un cutter
affilatissimo e lo colpì alle spalle. Prevalse il fattore sorpresa, Giorgio si
voltò dolorante e impreparato all’assalto, era disarmato e cercava con tutte le
proprie forze di bloccarle le mani, ma la violenza di Argenta era irrefrenabile,
spaventosa come quella di uno tsunami. Furono undici le ferite che Argenta in
pochi attimi inferse sul corpo di Giorgio durante la colluttazione, colpendolo alla
cieca dove capitava, quando finalmente il ragazzo riuscì a disarmarla era talmente
sfinito che si accasciò al suolo delimitato da un vasto campo di girasoli.
Il colpo più infingardo gli aveva reciso la
giugulare, di colpo Giorgio non vide più nulla, farfugliava a stento il nome "Viola"
mentre il sangue, che fluiva a fiotti, impregnava completamente i suoi
indumenti e non si arrestò fino all’ultimo singulto. Argenta, imperterrita, lo
guardava morire in silenzio, poi si alzò faticosamente da terra, facendo un
vago tentativo per ricomporsi. Aveva tumefazioni evidenti sulle braccia, sulle
gambe, sul volto e una ferita di striscio sul collo. Si soffermò concentrata ad
osservare la scena, quasi fosse un’estranea ai fatti, raccolse il cutter che
infilò in un tombino semiaperto nelle vicinanze, insieme alle scarse banconote che
tolse dai loro portafogli, ritornò vicino a Giorgio e fissò il suo volto ormai
esangue. Considerò con amarezza per qualche istante che in fondo questo ragazzo
non avesse granché meritato la sua attenzione perché si era dimostrato un
pavido: se fosse stato un vero uomo avrebbe potuto limitare i propri danni
picchiandola o prendendola a calci con maggiore violenza per disarmarla, e
forse qualcosa di eccitante sarebbe potuto succedere tra loro…ma, stupidamente,
aveva voluto sacrificarsi. Lei aveva bisogno d’altro. Ora le restava soltanto
Viola.
Con voce affannata chiamò
sul cellulare:
- Viola,
aiutami, ti prego, non sai cos’è successo! Aiutaci, Giorgio… chiama un’ambulanza,
corri!
- Un
incidente? Ma dove siete, dimmi!
Argenta con voce spezzata
le spiegò dove trovarli, si sedette su un paracarro e attese, voltando le
spalle al cadavere. I girasoli ondeggiavano al vento e formavano una immensa muraglia
verde e oro sotto il sole infuocato.
Quando arrivarono gli
aiuti tra urla, suoni di sirene e sgommate Argenta riuscì a fatica a balbettare
alla pattuglia del pronto intervento poche parole stentate sull’accaduto, fu subito
visitata e medicata, mentre Viola singhiozzava disperata sul cadavere di Giorgio.
Le due ragazze rimasero per lunghi istanti abbracciate mentre Argenta
sussurrava: - Due figuri incappucciati, in un secondo ci hanno bloccato e
derubato, poi quando Giorgio ha reagito…hanno estratto un coltello…e…non ce la
faccio! Povero Giorgio, ha cercato di proteggermi.
La scena era straziante, una poliziotta intervenne
separandole delicatamente e accompagnò Argenta all’automobile che l’avrebbe
scortata in centrale per l’interrogatorio. Il completo bianco, chiazzato di
sangue, i capelli scarmigliati che circondavano il suo volto da eroina
sopravvissuta alla tragedia furono immortalati con una foto scattata dal
giornalista di turno, accorso sul posto, e pubblicata sui giornali il giorno
dopo. L’immagine diventò un primo trampolino di lancio per la sua futura
carriera nel mondo dello spettacolo.
Pavan
Il funerale di Giorgio
attirò molti giornalisti che dedicarono per diversi giorni alcune colonne al
caso dei due incappucciati scomparsi nel nulla dopo l’omicidio. Il terrore si
era diffuso a macchia d’olio in tutta la provincia, la paura di aggressioni
violente quell’estate trasformò l’area dei Lidi di Comacchio in un luogo spento
e angosciante. Il commissario Renzo Pavan prese in carico il caso; era un
poliziotto stimato per la sua determinazione nell’affrontare anche i casi più
complicati, interrogò ripetutamente con un certo riguardo Argenta, al momento
unica testimone, sottoponendola a un fuoco di fila di domande ben congegnate
per farla cadere in contraddizione qualora avesse omesso dettagli o, addirittura,
avesse mentito. La ragazza si prestò a collaborare con una disponibilità
assoluta anche nei momenti di sconforto o di commozione, Pavan la osservava nel
profondo cercando di superare quel filtro invalicabile che avvertiva ci fosse
tra lei e il mondo esterno, la faceva osservare anche dai suoi collaboratori,
ma le conclusioni a cui tutti erano arrivati escludevano qualsiasi sua
responsabilità nell’omicidio del ragazzo. Non c’era uno straccio di prova e pur
procedendo meticolosamente in ogni direzione nelle indagini alla ricerca di nuovi
indizi e testimonianze, non venne fuori nulla.
Argenta non la smetteva
mai di raccontare l’accaduto per filo e per segno anche a Viola, alla famiglia
di Giorgio, agli amici, ai professori, ai giornalisti, ribadendo che voleva
giustizia ad ogni costo. Purtroppo gli identikit dei due aggressori,
ricostruiti con i pochi elementi da lei forniti non portarono a nulla di fatto.
A un certo punto fu sospettato un manovale di Porto Tolle che, a detta di
Argenta, poteva forse avere il timbro di voce simile a quello di uno degli
aggressori, ma l’uomo, protetto da un alibi di ferro, fu subito rilasciato.
Il caso fu chiuso dopo sei
mesi di ricerche vane e fu catalogato come “irrisolto”, anche se il commissario
Pavan non voleva rassegnarsi e, in privato, non l’abbandonò del tutto. Spesso
riapriva il fascicolo “Giorgio Cavallari - Incappucciati” per riconsiderare
ulteriormente i fatti, sentiva di avere un conto in sospeso con quel ragazzo
ammazzato per pochi soldi da due vigliacchi svaniti nel nulla.
Viola era distrutta dalla
perdita di Giorgio, ma le dava conforto il suo legame di amicizia con Argenta
che era stata l’ultima persona a contatto con il suo amore e che, a sua volta, aveva
rischiato il peggio. Si concentrò al massimo sullo studio e lentamente la vita riprese
a scorrere tra rabbia e tormento.
Argenta, dopo il periodo
caldo degli interrogatori e delle interviste che le offrirono una nuova
occasione di protagonismo, riuscì a prendere la maturità grazie a Viola e
decise che avrebbe intrapreso la strada del cinema. Era giovane, bella e ormai
famosa come vittima di un angosciante caso irrisolto, fu invitata come ospite
in alcune trasmissioni televisive e da lì, grazie alla sua avvenenza e alla sua
voglia di sfondare, le si aprirono le prime possibilità nel mondo dello
spettacolo. Viola si era iscritta alla facoltà di Giurisprudenza all’università
di Ferrara e faceva la pendolare dividendo le spese di viaggio in auto con una
compagna del liceo. Gradualmente si era allontanata da Argenta per i differenti
percorsi scelti e perché, quando si ritrovavano, percepiva una distanza che
andava aumentando per i diversi interessi, sogni e stili di vita. Inoltre il dolore della perdita del suo
ragazzo e l’insuccesso delle indagini sull’omicidio alimentavano in lei la
voglia di studiare con accanimento nella speranza di trovare spunti utili a
trovare una soluzione. Non ce l’aveva con il commissario Pavan: nei loro
colloqui aveva colto un’acutezza e una volontà di giustizia che l’avevano
confortata. Ma non le bastava.
Il pittore
Era trascorso quasi un
anno dall’omicidio di Giorgio quando una mattina Renzo Pavan, arrivando in commissariato,
trovò ad aspettarlo nel corridoio un uomo che aveva chiesto di potergli parlare
personalmente. Pavan lo squadrò con attenzione, non lo aveva mai visto prima, e
lo fece accomodare: era un tipo distinto sui cinquanta, si presentò come Roberto
Ferrari, abitava a Milano in zona Città Studi e faceva da quasi trent’anni l’agente
di commercio in Lombardia, Emilia Romagna e Veneto per l’azienda Pescovar che
produceva articoli da pesca.
- Mi
dica, Signor Ferrari, che cosa la porta da me? – disse Pavan, notando in lui un
certo imbarazzo. – Immagino che con tutto quello che ha da fare debba avere
qualcosa di importante da dirmi.
- Ecco,
commissario, vede io sono figlio di un pittore ferrarese, Gaetano Ferrari,
venuto a mancare nel dicembre scorso. Mio padre aveva l’hobby della fotografia
e fino a che è stato bene ha sempre girato con i suoi attrezzi da pittura e con
la macchina fotografica a tracolla per tutta Italia alla ricerca di immagini,
scene e paesaggi da dipingere. Amava la natura e aveva l’abitudine di fare
lunghe passeggiate. Invecchiando aveva ridotto le distanze e spesso si spostava
da Ferrara in queste zone perché era attratto in particolar modo dal paesaggio
fluviale, si soffermava a dipingere sugli argini del Po e nel Parco del Delta
per cogliere i colori e le sfumature dell’acqua, dei boschi e dei campi coltivati
nella pianura. Il giorno in cui è stato ammazzato quel ragazzo, Giorgio
Cavallari se non sbaglio, era l’estate scorsa, lui si trovava in questa zona ed
io a Rovigo per lavoro. Lo avrei raggiunto a casa sua il giorno dopo per un
saluto.
- Come
lo sa e dove si trovava esattamente suo padre?
- Mi
telefonò per dirmi che aveva fatto sosta per un giorno intero lungo la Sacca di
Scardovari per incontrarsi a dipingere con il gruppo di pittori del laboratorio
Sincrasi, per lui l’amicizia con questi amici milanesi era importante, con Anna
l’artista fondatrice del laboratorio c’era un’intesa magnifica… pensi che sono
venuti tutti a salutarlo…ma, mi scusi, torno ai fatti.
La
mattina dopo si era spostato con la sua Golf verso i Lidi di Comacchio ma prima
di arrivare al mare, attratto da uno stormo di uccelli che volavano su un
immenso campo di girasoli in piena fioritura, aveva fatto tappa, proprio lungo
il campo che lui definì “sterminato”, per uno schizzo a inchiostro e acquarello.
Mi spiegò che il posto era a metà strada tra Comacchio e il Lido di Pomposa e
che all’inizio dello stradello era posta l’indicazione “Il casòn”. Era felice.
La sera mi aveva richiamato: - Domani sera fermati da me a cena e anche a
dormire, voglio mostrarti con calma i bozzetti e le foto che ho scattato.
- Vi
vedevate spesso?
- Non
quanto avremmo voluto, era un padre fantastico e un artista vero. Da quando era
rimasto solo avevo cercato di andare a trovarlo almeno due volte al mese, anche
per i miei figli era una festa fermarsi da lui per il weekend, aveva tanto da
insegnare e non faceva mai pesare il suo sapere. Purtroppo quella stessa notte venne colpito da un infarto che, combinato con una serie di
altri acciacchi cui lui non dava peso - aveva 86 anni – lo ha tenuto in bilico tra la vita e la morte per due mesi, circa.
- Mi
dispiace per lui, ma non capisco cosa c’entri tutto questo con me.
- In
ospedale, quando si era ripreso, mi parlava dell’omicidio di cui tutti i
telegiornali davano notizia in quei giorni, diceva di conoscere il posto, secondo
lui avevano ammazzato quel povero ragazzo proprio nei pressi del campo di
girasoli che lui aveva ritratto, me lo ha ripetuto più volte, era certo che
fosse avvenuto lì.
- Sì,
ma anche a noi il posto è noto abbiamo trovato il cadavere del ragazzo davanti
a quel campo con la ragazza sopravvissuta all’agguato!
- Lo
so, ma l’insistenza di mio padre nel collegare i girasoli all’omicidio mi è
ritornata più volte nella mente. Soltanto tre giorni fa ho avuto il coraggio di
prendere in mano la sua Canon per vedere le ultime fotografie scattate, sono
numerosissime perché papà amava riprendere anche molti dettagli. Credo di aver
fatto bene a guardarle finalmente. Questa mattina, prima di venire qui, mi sono
recato in perlustrazione alla ricerca del grande campo di girasoli e l’ho
trovato. Ecco, commissario, le ho portato alcune foto che ho stampato perché ho
individuato il punto in cui lui le ha scattate…potrebbero esserle utili, forse.
Se ha una lente d’ingrandimento è meglio.
Pavan
era in fibrillazione e si sentiva sudare freddo per l’agitazione, cercò la
lente nel cassetto allungò la mano e prese le immagini: sullo sfondo di tre
fotografie, lungo il muro dei fiori giganteschi si aprivano degli spazi
probabilmente per le folate di vento che interrompevano la sua continuità e
poco oltre si vedevano due figure sfuocate che pareva lottassero. Nella prima
erano chiaramente avvinghiate l’uno all’altra, nella seconda una, chiaramente
una sagoma femminile, aveva il braccio alzato verso l’altra persona, una sagoma
maschile. Nella terza la donna era in piedi davanti all’uomo che era piegato su
se stesso, come se stesse cadendo. C’era anche una quarta fotografia che cambiava
la prospettiva: mostrava la donna - e qui non c’erano dubbi sul fatto che potesse
essere Argenta - spostata verso l’interno della boscaglia lungo lo stradello, a
una certa distanza dal punto dell’agguato. Intorno nessun altro.
I
due uomini stavano in silenzio, Ferrari non volle disturbare la concentrazione
del commissario.
-
Mi dia anche le altre foto, se le ha.
-
Certamente, ma qui non si vede bene lo sfondo.
-
Non importa, Signor Ferrari, mi dia tutto quello che ha, macchina fotografica e
bozzetti fatti da suo padre e…mi accompagni subito sul posto che lei ha
individuato!
-
Ho tutto in macchina, vado a prendere…
-
No, lasci, ci andiamo insieme e corriamo al campo di girasoli!
Pavan uscì come un razzo
dal commissariato, seguito da Ferrari, si sedettero nella sua Volvo per
guardare tutto il materiale raccolto in una grande cartella. I bozzetti erano
magnifici: fiamme di luce inondavano il campo senza fine mentre nel cielo trasparente
lo stormo disegnava una parabola puntinata a inchiostro. E si avvertiva la
presenza del vento imperioso, a tratti violento, che spostava i confini del
paesaggio.
- Un
artista, ha ragione, un vero artista, non mi intendo di pittura ma questi
bozzetti trasmettono emozioni. Affiderò la Canon ai miei esperti per analizzare
le foto in ogni dettaglio. Adesso andiamo!
I due uomini non
scambiarono una parola fino al punto in cui il pittore aveva sostato per
ritrarre un meraviglioso spettacolo naturale che celava il mostruoso
assassinio. Evidentemente si era posizionato oltre il campo nei pressi di un
muretto a secco sul quale doveva essere salito per alcune inquadrature. Dopo
mezz’ora di osservazione seguendo la quarta foto scoprirono in un angolo,
coperto da ciuffi di vegetazione spontanea, fango secco e pietrisco un tombino che,
così defilato e nascosto, era sfuggito alle indagini. Pavan chiamò
immediatamente la scientifica. Ormai la certezza di come si fossero svolti i
fatti diventava sempre più evidente anche per Ferrari. L’uomo pensò che suo
padre, anche dopo la morte, era riuscito a fare del bene. Quando estrassero dal
pozzetto cieco il cutter semi arrugginito incastrato in una fessura laterale il
volto di Pavan riprese colore, irradiava energia e fiducia.
- Mi
riaccompagni, non ci sono dubbi, avremo cura della Canon di suo padre, non si
preoccupi, e la ringrazio, forse finalmente quel ragazzo e chi lo ha amato
avranno giustizia.
Si salutarono davanti al
commissariato, con l’impegno da parte di Ferrari di tenersi a filo diretto con
Pavan per gli sviluppi dell’inchiesta.
La sentenza stabilì la
colpevolezza di Argenta, come unica responsabile dell’omicidio, e la condanna a
trent’anni di carcere.
Viola assistette a tutte
le udienze del processo ascoltando con la morte nel cuore le incredibili
dichiarazioni di innocenza, sotto giuramento, di Argenta. Non c’era verso di
scalfire la sua corazza neanche davanti alle prove inconfutabili della sua
colpevolezza, la sua personalità era refrattaria ad ogni tipo di sentimento
umano, la sua freddezza e il suo distacco emotivo facevano paura. Per dare una
spiegazione delle foto che la incriminavano non si era fatta problema di
infangare la memoria di Giorgio attribuendogli un tentativo di seduzione che
lei aveva violentemente rifiutato. Spiegò inoltre che gli incappucciati erano
comparsi dopo e che Giorgio si era riscattato cercando di proteggerla.
Più Argenta testimoniava e
più Viola penetrava nei meandri della sua mente ossessiva vedendo con disgusto a
caratteri cubitali i segni della sua colpevolezza. La consapevolezza di essere
stata tradita in tutti gli aspetti che un sentimento di amicizia contempla, al
punto di arrivare ad uccidere, le fecero montare un’ira potente, furiosa che a
fatica riusciva a controllare. Era inviperita anche verso se stessa e la
propria dabbenaggine che Giorgio le aveva ripetutamente fatto notare. Pensò
ancora una volta che si sarebbe salvato se lei non avesse insistito e non
riusciva a perdonarsi: il peso di quella colpa l’avrebbe accompagnata per tutta
la vita.
La sera prima del
trasferimento di Argenta a San Vittore Viola si recò in carcere per un ultimo colloquio.
- Viola,
è una congiura, io sono innocente, credimi!
Viola la guardava
attraverso il vetro in totale silenzio con un’espressione assente. Argenta ne
fu sconcertata:
-
Viola, lo sai che io non posso aver ucciso
Giorgio, era il tuo ragazzo e un amico anche per me, hanno montato un castello
di fandonie per colpirci perché sanno che siamo amiche!
Il silenzio diventò di
ghiaccio e l’espressione di Viola impenetrabile.
Argenta cominciò ad
alterarsi, quel vuoto non era contemplato nel rapporto tra lei e Viola:
- Perché
taci? Parlami, dimmi qualcosa?
Viola non proferì parola,
la fissò con uno sguardo profondo denso di significati, incrociò le braccia, ma
continuò a tacere.
A quel punto Argenta perse
totalmente il controllo ed esplose gridando e lanciandosi contro il vetro che
le separava:
- Stronza,
cosa credi di fare, tu che sei un’inetta vieni qui a provocarmi? Mi fai ridere,
come quell’imbecille di Giorgio! Ti odio, cretina, non ti ho mai sopportato…la
tua bontà mi fa schifo…la tua comprensione te la faccio ingoiare e ora ammazzo
anche te!
Viola imperturbabile
spense il tasto della registrazione sul suo telefono cellulare, in silenzio si
alzò, prese la borsa e si avviò con calma verso l’uscita del parlatorio mentre Argenta
continuava ad urlare braccata da due agenti che la tenevano per le braccia e la
spintonavano oltre le sbarre.
Tutto d'un fiato, bellissimo!
RispondiEliminaGrazie!
EliminaNon lascia tregua fino all'ultima parola. Più che coinvolgente.
RispondiEliminaAvvincente e costruito molto bene. Bravissima!
RispondiEliminaGrazie!
EliminaUn altro ritratto riuscitissimo: Argenta è tratteggiata così bene anche sul piano psicologico. Applausi
RispondiEliminaMi inchino agli applausi.
EliminaAnche io letto tutto d'un fiato! Stupendo, Argenta è affascinante e diabolica. Meraviglioso scoprire la verità nei dipinti del pittore. Come sempre è un piacere leggerti Annalisa!
RispondiEliminaLudmilla
Grazie, Ludmilla!
EliminaBrava come al solito
RispondiEliminala ringrazio.
EliminaSplendida e malvagia, scrittura raffinata e intrigante.
RispondiEliminaArgenta...la ringrazio.
EliminaIntrigante, ben dipinti i personaggi, coinvolgente: vorresti essere lì anche tu a quel colloquio finale tra Viola (finalmente spietata) e Argenta distrutta tra follia e disperazione. Bravissima
RispondiEliminaScena madre...Grazie!
EliminaGiallo come i girasoli
RispondiEliminaAmo il giallo in tutti i sensi.
EliminaBellissimo il racconto e anche le immagini
RispondiEliminaGrazie mille.
EliminaCoinvolgente il progressivo svelamento di un cervello criminale, come bello il contrasto tra la luminosità dei girasoli e l'oscurità di una mente malata. E' l'eterno duello tra il bene e il male, non sempre così netto. E' una trama tipica della fiction nota come Criminal minds. Complimenti!
RispondiEliminaDualismo del nostro vivere. Grazie!
EliminaIl finale mi è piaciuto tantissimo
RispondiEliminaVolevo fosse sorprendente, grazie.
EliminaBen costruito e raccontato con un crescendo da vero racconto giallo.
RispondiEliminala ringrazio.
EliminaCome in ogni racconto di Annalisa c'è un elemento improvviso di sorpresa che scuote. Si legge con interesse crescente in attesa di un ulteriore colpo di scena..da non mancare.
RispondiEliminaMio fedele lettrice o lettore, ti ringrazio.
EliminaRacconto molto avvincente,la costruzione è degna di un vero giallo. Il personaggio di Argenta è descritto benissimo sopratutto dal punto di vista della personalita. Lucrezia
RispondiEliminaCara Lucrezia, ti ringrazio.
EliminaAncora una volta sono ben delineati i "colori" dei personaggi e delle situazioni... scrittura fluente che coglie il ritmo incalzante degli eventi. Complimenti
RispondiEliminaTante grazie.
Eliminail racconto cattura dall'inizio e si legge in un fiato fino al colpo di scena finale: bellissimo!
RispondiEliminagrazie dell'apprezzamento.
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