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venerdì 6 aprile 2018

Oscar Wilde: l’Esteta Tragico

Di Alessia Ghisi Migliari


Si immagina, pensandolo, la levità della sua ironia, la conversazione brillante, la wit tutta britannica con cui affascinava gli ascoltatori – il suo pubblico.
Eppure c’è, in Oscar Wilde, una parabola drammatica di cui è l’unico reale protagonista.
Wilde nasce a Dublino nel 1854, da una famiglia altolocata – suo padre un eminentissimo chirurgo, sua madre una fervente letterata e patriota.
Nulla gli manca : ricchezza, una famiglia protettiva, buon nome, intelligenza e creatività.
Premesse magnifiche, un’adolescenza piacevole, una prima età adulta già ricamata dalla fama : si laurea, i suoi versi divengono celebri e lui celeberrimo – è un personaggio che si muove, scandalizzando con stile la Londra vittoriana.


Nella sua esistenza morbida e senza spigoli ammalia con le parole e con un’ironia che non è nemmeno minimamente aggressiva (il che è inusuale, c’è sempre una certa sottile ira, nell’ironia). Oscar è piacevole, elegante, egocentrico e gentilissimo : il suo modo di porsi così dissacrante e inusuale gli permette di girare persino l’America a tenere conferenze su arte e stile, lui che ha l’estetismo dentro e lo mostra ben fuori.
In breve tempo compone scritti che restano nella storia della letteratura : romanzi, opere teatrali, poesie e quanto altro – ciò che tocca diventa l’oro che tanto ama.
Nel frattempo sposa la leale e generosa Constance, ha due figli maschi che adora, discepoli a volontà. Ma sente di non essere se stesso e sarà Robbie Ross, un giovane amico, a iniziarlo all’omosessualità – e sempre Ross gli sarà accanto nelle ore orrende e anche in seguito, per recuperare i suoi diritti d’autore a favore dei piccoli Wilde.
L’omosessualità è inconcepibile per la società vittoriana : qualcuno ha sostenuto che metà della popolazione non sarebbe nemmeno riuscita a concepirla, mentre l’altra metà la praticava.
Ed era questo ciò che contava : non cosa si era, ma come si appariva.
Che si fosse gay non aveva importanza : ciò che era essenziale era fingere di non esserlo.
Wilde usò questa sua ‘ambiguità’ per ferire le anime ipocrite del tempo e sarebbe rimasto un magnifico esempio di coerenza intellettuale se non fosse arrivato Alfred ‘Bosie’ Douglas, figlio di lord Queensberry, una casata segnata da abusi e gravi malattie mentali.
Ed è qui che ci si incuriosisce : come può un uomo come Wilde, coltissimo e di notevole levatura, lasciarsi tiranneggiare e manipolare da un ragazzino infelice, arrogante e incontentabile? Bosie aveva un padre crudele e violento, d’accordo.
Ma a rileggere le biografie del letterato si resta perplessi di come Oscar sia divenuto il ‘valletto’ passivo e autolesionista di un giovane tormentatissimo: debiti, prostituzione, incuria verso la moglie e i figli e verso il proprio talento – tutto per il grazioso Alfred.
E quando il ‘piccolo’, forte del suo desiderio di ferire il detestato genitore, convince Wilde a denunciarlo per diffamazione (Queensberry definiva pubblicamente il poeta come un ‘pervertito’ e un ‘sodomita’), pur sapendo che prove sarebbero state portate.
E prove emergono – Wilde tenta di uscire da questa vicenda, ma è tardi: la Corona inizia un procedimento legale contro di lui, per la sua ‘immoralità’. Ogni cosa gli si ritorce contro, gli vengono tolti i figli e Constance è nella più totale indigenza. Il suo nome è insultato e denigrato, le sue opere cancellate, i suoi pochi amici rimasti gli dicono di riparare all’estero ma lui, coraggiosamente, resta.
Non smentisce la propria battaglia alla falsità dei costumi, alla moralità e durante il dibattimento, non perdendo il proprio umorismo e la propria eloquenza, riesce anche a strappare qualche applauso.
Ma la condanna a due anni di lavori forzati arriva comunque e per un uomo della sua estrazione è prova ardua – nasce in prigione la celebre Epistola in Carcere et Vinculis, nota poi come De Profundis : lunghissima missiva rivolta a Bosie, è un grandioso esempio di autoanalisi, di sé e della propria vita, un’ammissione parziale anche se profonda, del proprio ruolo nello schianto.
Di nuovo libero, ma ormai ammalato e solo (la moglie era morta e così l’amatissima madre, mentre i bambini gli erano stati portati via), gli ultimi anni trascorrono tristi, in giro per Italia e Francia, per alcuni periodi accompagnato dal terribile Alfred – ogni proposito di lasciarsi alle spalle il fatale ragazzo vien meno.
Muore infine nel 1900, in una pensione squallida, con il conforto di pochi fedelissimi e senza aver più scritto nulla, se non una ballata quando ancora era prigioniero.
E qui ecco che emerge la domanda: perché? E il De Profundis è una risposta.
Wilde fu tenace e da ammirare: la sua società stupidamente ghettizzava e giudicava, non permettendo a una persona d’essere semplicemente se stessa, nella propria natura.
Considerare l’omosessualità come reato punibile appare ad oggi incredibile e assurdo, ma all’epoca nulla era considerato più esacrabile.
Per cui il modo di porsi di Oscar fu esemplare e magnifico: non mentì per salvarsi, né scappo – portò avanti la sua lotta contro la pochezza che lo circondava.
Questo è tutto a suo merito.
Ma resta, con la curiosità un po' demoniaca dello psicologo – la curiosità su ciò che ci fu oltre, più a fondo magari, che si può solo ipotizzare: ed è lui a parlarne.
E’ lui ad ammettere che, stanco delle ‘vette’, di un’esistenza perfetta e invidiabile, a un certo punto ha sentito il bisogno della discesa, della tragedia – lui che aveva un debole artistico per il martirio di San Sebastiano.
Per quanto potesse amare Bosie, che una mente come la sua potesse spingersi ad umiliarsi e abbandonare tutto per seguire i capricci inquieti del compagno risulta difficile da comprendere.
Come, con la sua intelligenza, ha portato in tribunale un padre che poteva aveva prove evidenti?, mentendo in aula?
Molti erano i modi in cui sfidava il suo tempo, da sempre : c’era realmente bisogno di arrivare al dramma?
La sua semplice arte era abbastanza per ergersi sui pregiudizi e deriderli con impagabile leggerezza.
Ma ha insistito su di una strada – fino alla fine.
C’è in Wilde, vien da dire, una sorta di sordida passione per l’infelicità, per quegli aspetti della vita che mai aveva avuto la sfortuna di conoscere realmente.
Più o meno consapevolmente si è calato nel dolore e, nel De Profundis, decanta la squisitezza della fattura del dolore e ammette d’essere stato se medesimo, a lasciarsi ‘rovinare’ dalle beghe familiari dei Douglas.
Che poi questa sua debolezza venga imputata a eccessiva bontà (…), non toglie comunque la lucidità della posizione presa.
Non si vuole sostenere, per forza facendo lo psicologo, che tutto nascondesse un motivo inconscio – ma nemmeno credere che sia stato un imprevedibile fato o gli irrazionali risultati di un innamoramento.
Dietro i suoi versi spavaldi e così veri, così moderni, così umani, si nascondono verità scomode sulla nostra natura.
C’era da sempre, in Wilde, al di là delle apparenze, qualcosa di tragico.
E c’è da chiedersi, magari esagerando, se non fosse egli stesso, il proprio censore più feroce.
Questo gettarsi in pasto a una civiltà incivile, condannandosi – coraggioso sì, ma quasi in cerca di un’espiazione (Delitto e Castigo!) illogica.Perse tutto e non si rialzò.
Nella luminosità dei suoi infiniti giorni senza pene, era cresciuto in lui una fame di quel dolore che a tanti tocca sperimentare senza scelta – nei suoi motti spiritosi e solo apparentemente frivoli, nascondeva appunto, forse, una ricerca di ‘borghese’ castigo e di quello sconosciuto dolore che gli avrebbe forse mostrato la parte più vera di sé – un autore francese sostenne che si cerca il dolore più perfetto, per essere se stessi almeno una volta nella vita.
Di fronte alla parabola wildiana si resta attoniti : tutta la gamma dei sentimenti ed esperienze chiuse in un’esistenza fra l’altro breve, con una rarissima intensità.
E ci restano di lui le sue opere, la sua coerenza e i suoi citatissimi aforismi, che da soli contengono, tra paradossi e carezze che son graffi, tutta la nostra realtà : lui così umano, così vero, così ferito.
In fondo, come sostenne lui : “A questo mondo vi sono solo due tragedie : una è non ottenere ciò che si vuole, l´altra è ottenerlo. Questa seconda è la peggiore, la vera tragedia”.
E lui ebbe tutto ciò che cercava.
Divenendo davvero, infine, un immortale se stesso.


(pubblicato con l'autorizzazione dell'autore e di psicolab.net)

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