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venerdì 20 ottobre 2017

Nascita e morte di Vegana - parte 1

(di Giovanna Rotondo Stuart)





1. Nascita di Vegana

Vegana guarda orgogliosa la bandiera che viene issata, per la prima volta, alta, sul pennone, Oggi si festeggia la nascita e il simbolo di una nuova nazione: un grande cerchio con intorno la scritta “Together”. All’interno del cerchio un girotondo con mammiferi e altri animali. E il nuovo nome “Vegana”, come il suo, scritto in alto. Il Presidente sta finendo il discorso, ci sono tutte le componenti del governo in carica, la folla partecipa attenta:
“In questo giorno, per noi così importante, ho il piacere di presentarvi la madrina della cerimonia, un’altra Vegana. La prima creatura nata tra noi, al tempo del nostro esodo”.Vegana saluta la folla, sorride commossa, tra le prime file intravede la sua famiglia:
“Sono felice dell’esperienza che sto vivendo insieme a tutti voi. Mi sento onorata di portare lo stesso nome del paese in cui viviamo, che voi avete fondato e fatto diventare come io lo conosco ora. Da piccola, mio nonno mi portava spesso con sé a visitare le città e le comunità che stavano nascendo. Mi raccontava la storia coraggiosa e affascinante del vostro viaggio. La ricerca di un rifugio più compatibile con la filosofia di vita che avevate in mente. Le vostre fatiche sono state premiate!”


“Come tutti voi sapete”, riprende il Presidente, “siamo sbarcati qui, nell’Isola del Sud, in Nuova Zelanda. Abbiamo impiegato più di tre anni a trasportare i membri delle nostre associazioni che avevano deciso di trasferirsi a vivere in questa terra. Oggi, dopo averla colonizzata, le abbiamo scelto un nuovo nome: “Vegana”.
La gente si era appassionata alla scelta del nome, aveva prevalso lo stesso nome che i suoi genitori le avevano imposto, come speranza futura, nuova, quando era nata, 25 anni fa, pensa Vegana, guardandosi intorno, felice.
La sua famiglia di origine veniva dall’Europa. I suoi genitori erano emigrati, appena sposati, in un progetto di trasferimento collettivo alla ricerca di un luogo in cui vivere, meno caotico della vecchia Europa. Vivere senza che il profitto economico sovrastasse ogni etica e ci fosse rispetto per la natura intorno e per qualsiasi creatura vivente.
Lei era stata la prima nata sulla nuova terra!
Le persone incominciano a raccogliersi in gruppi informali. Si salutano, qualcuno, dal palco comunica ai presenti:
“Sono state allestite aree di rinfresco in tutta l’Isola, oggi sarà una giornata di festa memorabile”.
Alcuni dei presenti circondano Vegana, la salutano, la baciano:
“Vegana, a presto, ci vediamo domani”.
“Vegana, vieni con noi”?
“Non posso, sto aspettando Andrew…”
Ciao, Vegana”.
“Mamma, papà, avete visto Andrew?”
“No, non l’abbiamo visto, Vegana ti fermi con lui o vuoi che vi aspettiamo?”
“No, probabilmente andremo da qualche parte, se riusciremo a trovare un luogo tranquillo”.
Vegana si guarda intorno alla ricerca del suo amico per alcuni minuti:
“Ciao, bella fanciulla, finalmente ti trovo!” un giovane le si avvicina.
“Andrew, sei riuscito ad assistere alla cerimonia?”
“Si, uno spettacolo da ricordare”.
“Bella vero? La nostra nuova terra!” sussurra lei pensosa.
“Non per me… siete voi i nuovi arrivati”, risponde ironico Andrew.
“Noi siamo nate insieme. Sono commossa!” mormora Vegani.
“Le due Vegane della mia vita!” conclude Andrew, riferendosi alla sua ragazza e al paese in cui vivono e che da oggi porta lo stesso nome.
I due si abbracciano contenti di vedersi. Andrew è di statura sopra la media, con un sorriso simpatico. Vegana sembra la protagonista di una favola. Tutti e due sono nati in South Island, ma gli antenati di Andrew vi si sono insediati un paio di secoli prima, Vegana è alla prima generazione.
“Mi fermo fino a domani”.
“Stai da noi?” gli chiede lei.
“No so ancora, perché non ce ne andiamo insieme, da qualche parte, per qualche ora?”
“Va bene. Dove vuoi”.
“Andiamo a cena?”
“Si, ma lontano da qui. Altrimenti ci troviamo troppa gente”.
“Potremmo fare una passeggiata. E’ una giornata meravigliosa”.
“Mi piacerebbe molto”.
“Conosco un ristorante tranquillo, non lontano”.
Si avviano, tenendosi per mano, e, dopo una mezz’ora di cammino, giungono nei pressi di un locale semplice e accogliente, decidono di sedersi in giardino. E’ un bel pomeriggio di inizio estate e la temperatura è mite. Mentre cammina e chiacchiera con Andrew, Vegana ripercorre con la mente la storia della sua gente. Una storia che il nonno non si stanca mai di raccontare e lei di ascoltare.


2.  La terra, un trentennio prima

All’inizio del terzo millennio, verso il 2023 circa, le condizioni di vita del pianeta non godevano di buona salute. I dati erano a dir poco inquietanti: la voracità umana stava letteralmente saccheggiando il pianeta. Si distruggevano intere foreste ed ecosistemi per dare spazio a coltivazioni usate per la produzione di cereali e soia per alimentare animali - che sarebbero stati a loro volta malmenati e torturati in allevamenti intensivi - o per prodotti che distruggevano l’ambiente ma rendevano finanziariamente.  Scarsa era l’attenzione alla terra e ai suoi abitanti, la legge del profitto economico imperava su qualsiasi altra considerazione.
Ci voleva molta acqua per produrre un chilo di carne e molti metri quadri di foresta, i gas prodotti dalle deiezioni animali e la desertificazione producevano variazioni climatiche devastanti.
La terra ospitava più o meno otto miliardi di persone ed era un gigantesco allevamento: bovini, suini, ovini e quant’altro, senza contare il pollame! Il tutto superava, e di gran lunga, le reali necessità alimentari di coloro che avevano accesso alle proteine animali: l’uso era superiore al bisogno, e, soprattutto, si sarebbe potuto sprecare e consumare molto meno a beneficio di tutti, anche di quei molti che avevano scarso accesso a questi beni di prima necessità.
Il consumo di acqua stava raggiungendo livelli non più sostenibili, migliaia di persone dovevano fare lunghi percorsi per trovare l’acqua. Le multinazionali si impossessavano e brevettavano di tutto, dalle riserve d’acqua ai prodotti alimentari. Molta acqua, inoltre, viaggiava nei prodotti alimentari sotto forma di bibite e simili.
Le risorse della terra incominciavano a scarseggiare. Le turbolenze climatiche erano tali per cui non si potevano fare programmi sui raccolti e l’inclemenza atmosferica portava a perderne ogni anno una buona parte. Si coltivava sempre di più in gigantesche serre e si usavano ibridi e prodotti geneticamente modificati in tutti i campi. Per non parlare delle acque dei mari e degli oceani, inquinate e con molta vita marina estinta o in via di estinzione.
La situazione stava diventando invivibile, l’effetto serra catastrofico, la forbice sociale aumentava invece di diminuire e c’era chi si arricchivano in maniera devastante a scapito di una moltitudine di poveri.
Inoltre, gli allevamenti intensivi, per produrre una massiccia quantità di carne, lavoravano come una catena di montaggio su creature viventi - sensibili al dolore e alla sofferenza - in condizioni di crudeltà inconcepibile.
In quegli anni incominciarono ad apparire manifesti provocatori pensati da Vegani, Vegetariani e Amici degli Animali. Il primo manifesto portava la scritta:
“Chi Mangio Oggi?”
L’immagine, sconvolgente, di quello che a prima vista sembrava un bimbo tagliato a fette e messo in una vaschetta del supermercato, fece infuriare molti carnivori.
Le provocazioni continuarono con manifesti che mostravano corpi di uomini, donne e animali  tagliati a fette e messi in mostra come prodotti alimentari in vendita, con la scritta:
“Preferisci la coscia o la spalla?”, oppure: “Io non mangio cadaveri!” E, spesso:
“Oggi mi mangio il cane o il gatto?”, con sequenze inguardabili sulle terribili torture inflitte agli animali negli allevamenti, durante il trasporto o la macellazione.
I nonni di Vegana furono tra gli ideatori della campagna per sensibilizzare l’opinione pubblica e indurla a mangiare meno proteine animali e più proteine vegetali, ad avere più rispetto per le creature viventi e a non commerciarle e sfruttarle in modo indegno.
Presto si identificarono in Carnivori coloro che mangiavano carne più di due volta la settimana. In seguito sarebbero stati chiamati Cannibali: le loro abitudine conducevano alla distruzione della terra.
A questa campagna di sensibilizzazione venne data grande risonanza con incontri pubblici, articoli, conferenze e molta informazione sui mass media. Si voleva, oltreché provocare, far pensare. Non si chiedeva di non mangiare carne, di non essere onnivori, si chiedeva più controllo, più rispetto, più etica. Una semplice limitazione per il bene collettivo e individuale, oltretutto, conoscendo le complicazioni e i danni alla salute causati da un’alimentazione troppo ricca di proteine animali, poteva essere un recupero non solo ambientale ma anche un risparmio finanziario: meno malattie, meno spese. E c’era la speranza che abolendo la crudeltà dalla catena alimentare con più considerazione per questi nostri sfortunati amici terrestri di altre razze, avrebbe migliorato gli esseri umani.
Si voleva dare un messaggio che portasse al risparmio delle risorse della terra e al rispetto per tutte le creature che l’abitavano.
Il nonno le raccontava di quanto le loro iniziative causassero le ire di alcuni potenti. Le sedi delle loro Associazioni venivano prese di mira e vandalizzate di frequente; in alcune circostanze avevano temuto per la loro stessa incolumità!
E spesso le descriveva la scena di quando aveva avanzato l’ipotesi, ai suoi amici e soci, di cercare un altro luogo in cui vivere. La sua era stata una battuta di spirito, diventata, in seguito, un vero e proprio programma per un progetto di esodo:
“Ieri, in pieno giorno, in diversi punti del paese, sono stati lanciati sassi contro le vetrina dei nostri negozi”.
“Un’azione intimidatoria…”
“Sì, sappiamo tutto, è intervenuta la Polizia”.
“Sta accadendo con troppa frequenza!”
“Siamo stati avvertiti. Le varie lobbies non intendono sottostare a campagne di sensibilizzazione dell’opinione pubblica contro le loro speculazioni e i loro guadagni. Sono gruppi di potere, possono diventare pericolosi, se noi continueremo con i nostri programmi”.
“Non ci lasceremo ricattare, né intimorire, non smetteremo!”
“Bisogna emigrare, la vita sta diventando impossibile”.
“Ma dove? Il mondo, come si dice, è diventato un villaggio”.
“Non c’è scampo! Si sta distruggendo tutto a una velocità incredibile. La terra, presto, non avrà più risorse”.
“Ma sarà così ovunque, impossibile sfuggire: i danni ambientali sono oramai globali”.
“Me ne rendo conto, tuttavia, non potendo andare nello spazio, possiamo cercare sulla terra alcune arre più accettabili di altre, ce ne sono ancora, per adesso, almeno, e preferisco tentare di fare qualcosa intanto che aspettiamo la Tragedia Universale”.
Fu la molla. Un segnale, qualcosa che tutti volevano accadesse.
Nei giorni a venire, Tommaso e Sara, i nonni di Vegana, e alcuni amici, incominciarono a pensare e a discutere seriamente un’eventualità del genere. I loro figli, Carlo e Luigi, si appassionarono all’idea di creare un mondo diverso. Tutti facevano progetti…
Decisero di mettere la proposta di Tommaso, Presidente dell’Associazione Vegetariana, in calendario per una libera discussione: ipotizzare un programma che prevedesse la possibilità di trasferire, in un’altra parte del pianeta, un gruppo numeroso di persone.
Più di ogni altra cosa bisognava verificare se ci fosse ancora un luogo, sulla vecchia terra, in grado di accoglierli, un luogo dove avrebbero provato a vivere in maniera più semplice e naturale.

3. Andare, sì… ma dove?

“Avverto una certa ansia di concludere i punti all’ordine del giorno, per continuare con un argomento che appassiona tutti: “se, come e dove andare”. Suggerirei di proceder nella discussione, per alzata di mano, come al solito, uno alla volta, per non fare confusioni, qualcuno alla fine tirerà le somme e concluderà, cercando di mettere insieme i vari interventi”.
“Va bene Tommaso, ma dobbiamo prima capire di che cosa vogliamo discutere, altrimenti perdiamo tempo!”
“Sono d’accordo con Andrea. Qual’è la proposta?” chiese Ania, l’avvocato del gruppo, era lei ad occuparsi degli aspetti legali e a dirimere le controversie dell’Associazione.
“E’ questo il punto, non c’è una proposta. Dobbiamo elaborarla insieme. Avevo accennato, come battuta, alla possibilità di cercare un luogo, semmai ce ne fosse uno, dove espatriare e vivere secondo la nostra etica, perché non tentare? almeno parliamone!” rispose Tommaso serio.
“Vuoi dire noi, come comunità?”
“Sì, quella parte che accetterà la sfida!”
Per qualche istante il silenzio divenne protagonista:
“Un’utopia”.
“Può sembrare tale, ma abbiamo strumenti, conoscenze e tecnologie”.
“Non dimenticate i pionieri del passato. Loro sì che andavano allo sbaraglio, per loro muoversi era un’avventura, un’incognita, molto spesso senza ritorno, ma andavano comunque. Noi sappiamo tutto o quasi di ogni luogo, abbiamo mezzi rapidi per viaggiare, possiamo muoverci velocemente da un posto all’altro e tornare quando vogliamo”.
“No, non è impossibile: ci sono ancora delle aree poco sfruttate e sconosciute, da qualche parte, bisogna trovare quelle a noi più congeniali e andare a visitarle”.
“Posta in questi termini, sembra la cosa più semplice del mondo”.
“Senza dubbio non lo sarà, ma è un’impresa possibile: la ricerca di un futuro migliore per noi e i nostri figli. Non in un altro pineta, ma sulla vecchia terra!”
“Ci vuole una divisione dei compiti e un gruppo di studio. Inizialmente ci preoccuperemo del luogo o dei luoghi. In seguito definiremo la portata dell’operazione. Chi si offre?” concluse Tommaso.
Tutti alzarono la mano.
“Dobbiamo dividerci i compiti. Di ogni area individuata si studierà tutto ciò che sarà possibile sapere: caratteristiche dell’area, clima, densità abitativa, infrastrutture, collegamenti con il resto del mondo, tipo di governo e religione”.
“Andrea, sei la dimostrazione che le proposte nascono dall’Assemblea. Sì, ci divideremo i continenti e ne studieremo la morfologia e la storia. Possiamo definire, da subito, chi studia che cosa”.
L’operazione venne compiuta in pochi minuti, tutti aderirono con entusiasmo all’iniziativa.
“Bene, la seduta è aggiornata alla settimana prossima, con il compito di portare notizie su luoghi, climi e governi” concluse.
In seguito, Tommaso si rivolse ad Ania: “lascio la parola al nostro avvocato, la quale ci relazionerà sull’esito della riunione avuta con le Autorità. I gravi episodi intimidatori avvenuti nei nostri riguardi, negli ultimi tempi, non devono essere sottovalutati. Noi tutti crediamo siano stati pilotati dai grandi interessi. Seguirà la lettura del comunicato stampa e la sua diffusione attraverso i mass media a chiusura di questa storica riunione”.
“Più o meno tutti siete a conoscenza”, incominciò Ania, “degli episodi di violenza avvenuti contro le nostre sedi e contro le persone. Alcuni dei nostri associati sono stati aggrediti e picchiati al punto da dover ricorrere a cure mediche e persino a ricoveri ospedalieri. C’è stata la promessa, da parte delle Autorità, di vigilare sulla nostra sicurezza e incolumità, anche se non è ben chiaro come lo faranno: non ci possono scortare, siamo in troppi, né mettere guardie fuori dalle nostre attività o luoghi di lavoro, ma hanno promesso che intensificheranno la sorveglianza.
Inoltre, vi leggerò il comunicato che abbiamo compilato alla presenza delle altre Associazioni, in una riunione straordinaria a cui ho partecipato con Sara: un Appello contro la violenza!
Non possiamo correre il rischio che la situazione ci sfugga di mano, che qualcuno dei nostri, stanco di subire, reagisca contro chi ci aggredisce. Al nostro Appello verrà data grande risonanza sui mass media: tg, radio, comunicati stampa, web, manifesti, ecc.:
Appello
Gli Amici degli Animali e della Terra, Le Associazioni Vegetariane e Vegane ribadiscono il rifiuto a qualsiasi tipo di violenza. Chiedono alle autorità e ai cittadini di vigilare sull’incolumità di coloro che lottano pacificamente per migliorare le condizioni di vita della Terra che ci ospita tutti. Chiedono ai loro collaboratori di non abbassare la guardia, di difendersi dalla violenza, ma di non praticarla se provocati. Ogni forma di lotta per il miglioramento della vivibilità del Pianeta e delle sue creature dovrà essere deciso collegialmente, come previsto dal nostro Statuto.



































4. La decisione!

Una settimana dopo alla riunione erano in tanti. Si esaminarono gli esiti del comunicato stampa, che aveva avuto grande risonanza e riscosso le simpatie e l’approvazione di molti cittadini per il suo tono non violento. Dopo i vari commenti, si tornò a parlare dell’argomento che stava a cuore a tutti. Tommaso, in qualità di Presidente dell’Associazione, prese la parola:
“Sono emozionato per quanto stiamo decidendo. Ci stiamo avviando verso una strada senza ritorno, tutti insieme saremo protagonisti della Storia, la nostra storia! Non ci saranno nostalgie, non lasceremo le persone a noi care, ma le porteremo con noi e costruiremo le nostre nuove città. Ci vorrà una vita intera!”
Innanzitutto si decise come procedere. Sarebbe stata nominata una commissione che avrebbe viaggiato e relazionato sui luoghi scelti, indicato perplessità o idoneità circa un’area piuttosto che un altra. Dovevano esserci varie competenze nell’ambito del gruppo che sarebbe partito ad esplorare i luoghi stabiliti, e avere abboccamenti con le Autorità.
Tra le aree prese in visione, la preferita era l’Isola del Sud in Nuova Zelanda, poi Australia e Mongolia. Se Nuova Zelanda e Australia presentavano organizzazioni e infrastrutture, non così la sterminata Mongolia:
“Le costruiremo noi”, disse Sara che era medico, “soprattutto gli ospedali”. Sarà la nostra prima occupazione”.
“La nostra preoccupazione primaria sarà reperire cibo per tutti. Pur coltivando la terra, praticando l’artigianato e lo scambio dei prodotti, nell’immediato non ci sarà sufficiente cibo, dovremo scambiare e comprare molto, ma dovremo anche vendere ciò che produrremo, altrimenti non ce la faremo”.
“Sì, bisognerà studiare un metodo di city planning and living che preveda guadagni e sufficienti introiti da subito. Sarà necessario pensare a scambi e baratti e, in quell’ottica, definire confini e vicinanze.”
“Stiamo divagando. Questi argomenti li affronteremo e svilupperemo in un secondo tempo, quando avremo deciso il dove e il come. Per ora dobbiamo discutere sulla Commissione di esperti che dovrà definire l’abitabilità dei luoghi e la possibilità di fondare piccole comunità autosufficienti”, tagliò corto Tommaso.
“E’ importante che la Commissione sia la stessa per relazionare con lo stesso criterio i vari luoghi”, la proposta veniva da Andrea.
“Non penso sia necessario, anche se possiamo decidere di procedere in questi termini. Non stiamo facendo un paragone tra un’area e l’altra. Dobbiamo avere dei criteri di valutazione che devono definire la vivibilità dei luoghi in base a: acqua, clima, densità abitativa, governo, religione. Più che lo stesso metro di giudizio, dobbiamo confrontarci sulle opportunità, se le troviamo, se ci sono e in che misura e quali sono le problematiche”. L’obiezione fu accolta di buon grado perché di buon senso.
L’aspetto finanziario fu l’altro nodo da risolvere: come inquadrarlo? Chi pagava cosa? Una questione molto delicata! La scelta doveva essere assolutamente democratica e accontentare tutti.
“Non possiamo lasciare la gestione di un progetto così delicato alle singole iniziative, ci devono essere dei parametri uguali per tutti: si deve poter affrontare un’impresa di questo tipo senza l’ansia e l’angoscia dei costi e partecipare se ritenuti idonei”.
“Si, ma come risolviamo la gestione dei fondi?”
“Con delle offerte libere, aperte a tutti, ci sarà un modulo computerizzato a cui si potrà avere accesso per donare in maniera assolutamente anonima. Ci saranno diversi gruppi di supervisori e tesorieri che controlleranno quanto verrà dato e come verrà speso”.
“Nessuno dovrà pagare per il viaggio e l’insediamento. Le spese saranno sostenute dalle Associazioni”.
Dopo varie discussioni si trovò l’accordo, un buon accordo. Si dovevano raccogliere fondi. Ci sarebbero state libere offerte e lasciti, sia nell’ambito delle varie Associazioni sia da parte di privati cittadini che volessero contribuire, anche minimamente, all’ iniziativa.
I viaggi e gli insediamenti sarebbero stati supportati dalla collettività, chi avesse aderito al programma di espatrio, avrebbe venduto i suoi beni personali e contribuito, con una parte del ricavato, all’impresa.
I criteri di scelta dei luoghi dove insediarsi erano stati fissati: il desiderio di tutti era di emigrare in aree dove poter creare  un sistema di vita più ecocompatibile e libero, pur nel pieno rispetto delle regole.

Dopo altri giorni di riunioni e discussioni iniziarono i preparativi. Furono confermate alcune zone scelte inizialmente. La sterminata Mongolia in Asia Orientale, la Nuova Zelanda e L’Australia in Oceania, erano tra queste. Ci fu una selezione molto severa: i partecipanti al progetto dovevano essere convinti e credere in ciò che stavano per fare. Si decise di dividere le aree secondo i gruppi di residenza, per non disperdersi troppo e mantenere unite le comunità. Le famiglie non dovevano essere divise, se non per pochissimo tempo. Presto i nuovi pionieri si sarebbero trovati a ricominciare la loro esistenza.

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