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domenica 24 settembre 2017

I DUE ALBERI – TRA FANTASIA E REALTÀ


di Sandra Romanelli


 Van Gogh “Cipressi” dipinto ad olio
(1889 )
   
Ho trascorso le vacanze nella campagna toscana, alloggiando presso un agriturismo. Durante il giorno frequentavo le persone del luogo, soprattutto quelle non più giovanissime perché amavo sentirle ricordare storie vere o anche leggende legate al passato della loro terra. Rimanevo  incantata dalle atmosfere che i loro racconti riuscivano a suscitare, tanto da provare un forte desiderio di mettermi a scrivere per inventare anch'io delle storie o per ricamare, con idee mie, quelle ascoltate, mescolando il frutto di una narrazione tramandata a quello della mia fantasia.

Ogni tanto prendevo la mia auto e, con il quaderno di appunti posato sul sedile a fianco, iniziavo a girovagare per le stradine piene di curve che circondano le colline. Mi piaceva lasciarmi affascinare dalla bellezza di un paesaggio silenzioso e tranquillo, inusuale per una persona, come me, abituata a vivere lontano dalla natura, nel traffico frenetico di una metropoli come Milano.
Lì, nella campagna toscana, ogni albero, ogni collina, ha una storia e ogni strada diventa una piacevole scoperta, perché non sai dove ti porterà. Potresti percorrere un lungo tratto tra filari di cipressi e ritrovarti alla fine davanti all'ingresso di una villa signorile; oppure, dopo una serie di curve sinuose, scorgere in lontananza un casale abbandonato, in mezzo a splendide e ondulate colline. 
È stato durante uno di questi ripetuti vagabondaggi che ho scoperto, proprio in cima a un dolce e vellutato colle, due strani cipressi, uno più alto e uno più piccolo, molto vicini tra loro.
Paesaggio toscano 

In quel paesaggio potevano non rappresentare  nulla di strano o di particolare se non fosse stato per la loro posizione. Infatti i cipressi,  spesso posizionati in filari ben distanziati,  hanno un alto fusto diritto avvolto dai rami che cercano  di elevarsi verso il cielo. Questi due invece erano troppo vicini, le fronde verdi si intrecciavano tra loro, anzi sembravano avviluppati in un abbraccio; ma mentre quello piccolo si elevava verso l’alto, quello grande,  come a voler circondare il piccolo, piegava i suoi rami in giù, non come un cipresso, ma quasi come un salice piangente.      
Questa circostanza mi incuriosiva molto e un giorno, abbandonata la mia auto al bordo della strada,  decisi di inerpicarmi su per la collina, per osservarli meglio.  Raggiunta  la cima, ansimando un po’ per la salita, mi sembrò di sentire aleggiare intorno un altro respiro, oltre al mio. Cercai  di guardarmi intorno, ma non c’era nessuno. Forse era il rumore del vento.
Mi sedetti sull’erba, di fronte a quei due strani alberi. C’era  un  muretto in pietra, vi appoggiai la schiena e, ispirata dal luogo e dal paesaggio, presi il mio quaderno e iniziai a scrivere.
Era un tiepido pomeriggio, c’era vento lassù, ma non tanto, solo quel poco che bastava ad accarezzarmi le membra e ad alleviare la stanchezza per la salita. Mentre il cielo si dipingeva di blu, con sfumature di rosso, mi ritrovai, con la fantasia, dentro una grande casa colonica...




In quell' immensa dimora abitava un’ anziana madre con tre figlie: Fiorella, Margherita e Camilla. Le quattro donne vivevano  sole senza uomini: il padre era morto qualche anno prima e i mariti di Margherita e Fiorella  erano al fronte, in guerra. I figli maschi della donna, invece, avevano scelto due strade molto diverse tra loro: Gualtiero combatteva da partigiano; Anselmo si era arruolato nell’esercito, ma non aveva più dato notizie ed era considerato disperso.  Camilla non era sposata.
Le sorelle aiutavano la madre a mandare avanti l'azienda agricola, in cui
ognuna faceva anche i lavori maschili. Così le potevi vedere alla guida di una macchina agricola o a vangare i loro vigneti. Erano donne abituate a lavorare all’aperto, forti e fisicamente robuste.  Solo Camilla rimaneva sempre in casa, non la si vedeva mai nei campi. Era la più giovane, aveva una pelle chiara e trasparente, era più bella, più delicata, ma anche più raffinata delle sorelle, amava leggere e scrivere, ma  sapeva anche cucire e ricamare. Per queste  caratteristiche, Camilla fu notata da una nobile signora, la contessa Orengo, la quale la volle come dama di compagnia.
Fu così  che la ragazza lasciò la casa materna per andare a vivere in una villa bellissima, dove stava bene, ma non era così libera come a casa sua; e non era protetta dall’amore di sua madre e delle sorelle, ma soggetta alle richieste di una “padrona”, seppur gentile.
In quell’ambiente elegante, ma freddo e austero, dove anche la servitù manteneva un contegno inflessibile, Camilla conobbe Guido, il figlio della contessa, un ragazzo per lei speciale, pieno di attenzioni nei suoi confronti. Guido colmò il vuoto affettivo che Camilla provava in quella casa e forse fu per questo motivo che si innamorò di lui.
La loro storia, per motivi di rango, venne tenuta segreta finchè la giovane potè farlo, ma quando l’evidenza non lo consentì più, perché Camilla rimase incinta, la contessa Orengo fu informata da Guido, il quale decise di assumersi le sue responsabilità.
La contessa aveva però altri progetti per lui: voleva che sposasse la figlia della vedova Malinverni, una ricca  proprietaria terriera. A  malincuore quindi decise di sottostare ai desideri del figlio.  Tuttavia i suoi rapporti con Camilla cambiarono, perché se prima della gravidanza erano gentili ma un po’ freddi, in seguito divennero assolutamente gelidi.
Qualche mese più tardi Guido fu costretto, come tutti i suoi coetanei, a partire per andare a combattere, ma  promise alla ragazza che dopo la nascita del bambino sarebbe tornato a casa e l’avrebbe sposata. La giovane trascorse così il resto dei nove mesi della gravidanza, allietata solo dalle  fugaci visite di sua madre e delle sorelle, le quali erano  sopportate più che accettate dalla contessa.
La  madre le aveva proposto, durante il periodo della gravidanza, di tornare ad abitare nella casa colonica insieme a loro; quel bambino  sarebbe stato il primo nipotino ad arrivare nella loro famiglia, al momento composta da sole donne e tutte loro erano disposte a prendersene cura, ma Camilla temeva che se avesse lasciato la villa sarebbe stato più difficile poi, tornarvi da sposa. A questo punto la giovane era  confortata solo dalla promessa di matrimonio di Guido e viveva per il suo ritorno.
Cominciò così, mentre Guido era al fronte, una fitta corrispondenza tra i due innamorati, ma non tutte le lettere che lui le inviava  arrivavano a destinazione. Spesso la posta veniva intercettata dalla contessa la quale non gliela consegnava neppure. Tuttavia la ragazza viveva nella gioia dell’attesa del suo bambino  e del ritorno di Guido, con la speranza di vedere la fine di ogni preoccupazione.
E finalmente il giorno della nascita arrivò!
Nacque un maschio bellissimo. Appena venne alla luce, il suo pianto riecheggiò per tutta la villa. La levatrice disse che era un bambino sano e perfetto. Camilla se lo strinse al petto, gonfio di latte, e il bimbo si attaccò con voracità.
La contessa Orengo dapprima non voleva neanche vederlo, ma quando Camilla la pregò di prenderlo in braccio, accadde qualcosa di inspiegabile nell’animo di quella donna austera: il bambino le sorrise e lei, pervasa da una gioia inaspettata, ricambiò il sorriso.
Finalmente adesso l’austera signora pareva contenta di quella nascita che aveva portato un po’ di allegria nell’antica dimora, e permise alla madre e alle sorelle di venire ogni giorno alla villa per aiutare Camilla ad accudire il bambino che fortunatamente cresceva bene.
Guido riuscì ad ottenere una breve licenza e tornò felicemente a casa.
Quando il giovane padre vide suo figlio, lo sollevò al cielo ringraziando Dio per quel dono prezioso. Con quell’atto, Camilla sentì che tutte le sue difficoltà e le tristezze fino ad allora vissute, sparivano di colpo; poi l’uomo si rivolse alla madre, raccomandandole di  cercare una balia o una governante esperta che aiutasse la giovane mamma; nel frattempo fece promettere alla madre e alle sorelle di Camilla di continuare a frequentare la villa, eventualmente di alternarsi per stare vicino a mamma e bambino.
Poi Guido ripartì dopo aver promesso alla sua innamorata che sarebbe ritornato presto per fare celebrare le nozze.
Dopo alcuni giorni dalla partenza del figlio, anche la contessa Orengo dovette mettersi in viaggio verso la Maremma per raggiungere la sorella che non stava bene. Prima di partire aveva parlato con una giovane balia che avrebbe dovuto aiutare Camilla nella cura del bambino. La donna doveva presentarsi alla villa entro tre giorni.
Il giorno dopo invece si presentò  una donna anziana. Disse  di essere lei la governante scelta dalla contessa per accudire il bambino. Era invece una vecchia domestica della Malinverni, la ricca proprietaria terriera, la quale aveva inviato quella donna alla villa con le peggiori intenzioni. Quella nascita infatti faceva andare in fumo la promessa di matrimonio della figlia con Guido, il figlio della contessa.
A Camilla non piacque quella persona, ne parlò con la madre la quale si accorse che in effetti la donna era maldestra, non sembrava capace di compiere i compiti che dovevano risultare semplici e normali a una balia, perciò promise alla figlia  che  si sarebbe informata per scoprire se fosse veramente quella la persona scelta  dalla contessa.
La mattina seguente, infatti, la mamma di Camilla uscì presto per iniziare le sue indagini, ma prima volle far visita alla figlia.
Quando entrò nella villa si accorse che c’era uno strano silenzio. Non vide nessuno della servitù. Chiamò la figlia, ma lei non rispose. La cercò in ogni stanza, fino ad arrivare alla sua camera da letto. La trovò lì, ancora addormentata accanto al suo bambino, cercò la governante: era sparita. Allora aprì le tende per far luce nella stanza e cercò di svegliare la puerpera.
Camilla  faceva fatica a svegliarsi, come se fosse immersa in un sonno innaturale, poi quando finalmente aprì gli occhi  vide il suo bambino accanto a lei, lì nel suo letto. Si meravigliò che non fosse nella  culla e lo prese tra le braccia, ma si accorse subito, con orrore, che il bimbo era cianotico e non respirava. Alzò le sue piccole braccia, ma queste ricaddero giù, senza vita.
Fu presa da un senso di paura e di disperazione che non l’abbandonarono mai più.
***
La contessa Orengo, informata dell’accaduto, anticipò il suo ritorno, ma fu dura e inflessibile con Camilla che aveva permesso a un’ estranea di introdursi nella loro dimora e, ritenendola inconsciamente responsabile di quell’evento doloroso, le ordinò di lasciare la villa.
Camilla volle seppellire il corpo del bambino nel piccolo cimitero situato in cima alla collina che sovrastava il  casolare della sua famiglia, dove purtroppo fu costretta a tornare. Più  volte pregò Dio  di prendere anche la sua vita, per essere interrata accanto al figlio che non poteva più stringere tra le braccia. Continuò invece a vivere nella casa colonica, chiusa nella sua stanza come una reclusa o come una malata.
Guido, il padre del  bambino, restò a combattere fino a che la guerra non finì, ma quando tutti tornarono a casa, lui  andò due o tre volte a far visita a Camilla, poi non la cercò più e lei annegò, ogni giorno di più, in una sorta di vita non vissuta. Le pareva di sentire il battito del cuore, solo quando saliva in cima a quella collina e restava vicino al tumulo della sua creatura, come se il suo cuore di donna non fosse più dentro il suo petto, ma lì, interrato insieme al bambino.
Tornarono dalla guerra anche i fratelli, Gualtiero e Anselmo e poi i mariti di Fiorella e di Margherita.
Dopo qualche anno i fratelli si sposarono e andarono a vivere non lontano dalla casa colonica.
Le sorelle ebbero entrambe un figlio. Per loro, Camilla cuciva e ricamava graziosi vestitini, ma quando prendeva in braccio i bambini  il suo pensiero tornava alla tragica fine del suo piccolo e al dolore che la straziava ancora.
Cadde così in una sorte di  disperazione che la condusse alla malattia, e poi alla  morte. Le sorelle e i fratelli vollero seppellirla accanto al corpo della sua creatura, l’unico luogo dove  Camilla era andata ogni giorno per cercare di dare un senso alle sue giornate vuote. In quel luogo, oltre alle croci,  piantarono due alberi: due cipressi, per non dimenticare.
***
Passarono gli anni e col tempo la casa colonica fu abbandonata e cadde in rovina. 
Il piccolo cimitero là sulla collina, dov’erano i tumuli di Camilla e del suo piccolo, divenne sconsacrato, ma restarono i due cipressi che i fratelli avevano piantato, in ricordo di quelle tragiche morti. Uno aveva  il fusto più alto e uno più piccolo, ma con il passare del tempo  i  rami cominciarono a intrecciarsi tra loro, come fossero stretti in un  abbraccio.
In seguito la proprietà del casolare venne acquistata da un costruttore che si impossessò di tutta la collina. L’uomo decise di abbattere la casa colonica e di  adibire il vecchio cimitero ad altro uso.
Cominciò così a togliere le poche lapidi rimaste e a ripulire lo spazio di sassi e sterpaglie. Infine decise di abbattere anche i due  alberi, poiché riteneva che non fossero belli da vedere due cipressi che non rispettavano le consuete forme estetiche.
Ma prima di iniziare il suo progetto, il costruttore ordinò di scavare nel luogo dov’erano radicati i due alberi e si scoprì, con raccapriccio, che le radici avvolgevano  due feretri, di un adulto e di un bambino,  sepolti uno accanto all’altro.
Fece allora ricoprire tutto, meravigliato dalla magia di quella scoperta e decise di lasciarli  lì per sempre, in quello spazio in cima alla collina.   





  
 Ad un tratto sentii una voce che pronunciava il mio nome. Mi alzai e girandomi vidi Sauro, il proprietario dell’agriturismo presso cui alloggiavo. Aveva  visto la mia auto parcheggiata ai bordi della strada ed era venuto fin lassù  a cercarmi. Nello scendere insieme giù dalla collina, gli raccontai la storia che avevo appena terminato di scrivere. 
-  Questa è  una storia di pura fantasia, ma  i personaggi della casa colonica che tu hai descritto sono proprio quelli della mia famiglia. – mi disse sorpreso-. Ed è realtà anche la tragica morte del bambino e di Camilla, sorella di mio nonno. Io sono il nipote di Gualtiero.


4 commenti:

  1. Complimenti per il racconto, ispirazione suggestiva e romantica.
    Maria

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  2. Grazie, Maria, per gli stupendi aggettivi!
    Sandra

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  3. Il tuo racconto, Sandra, è bellissimo. Mi è piaciuto molto. Grazie. Buona giornata.
    Gabriella

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  4. Grazie a te, Gabriella. Cari saluti.
    Sandra

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