Dedicato
ai miei genitori, Massimo e Mara.
Dedicato
a Sandro Fortunati, mio “supervisore”, grazie al quale ho scoperto molto di
Cristina, e che pazientemente ha risposto alle mie domande.
DEL
GIORNO IN CUI HO CONOSCIUTO CRISTINA
Esistono
volti che entrano nella tua esistenza – e non la lasciano più.
Nell’ umana ricerca di qualcuno da ammirare, di solito non è necessario
percorrere grandi distanze, nè nel tempo, nè nello spazio.
Invece io ho fatto qualche passo in più, indietro, fino al Risorgimento.
E lì l’ho trovata.
Malgrado
il sottotitolo, questo saggio non desidera essere un trattato di una
pseudo-femminista arrivata in ritardo – non lo sono.
Vuole semplicemente divenire un contributo minuscolo e orgoglioso che faccia
conoscere una personalità rarissima dai vasti potenziali, che ha fatto della
sua vita un romanzo tenace.
E che, ancora oggi, Anno Domini 2006, è per lo più sconosciuta, mentre suoi
contemporanei non altrettanto attivi e nobili (nobili dentro) sono ancora tra
noi, in versione di statue e pagine da studiare sui banchi di scuola.
Ogni era ha i suoi protagonisti svalutati, ma qui io affermo che questa
creatrice dei propri giorni, con le sue caratteristiche e le sue azioni, mai
sarebbe scivolata nel nulla, via dalla memoria dei fatti, se fosse stata uomo.
Nel
mio amore per la narrativa, so di avere un linguaggio poco ‘scientifico’, ma
non per questo meno lucido o incapace di argomentare con attenzione : ho
conosciuto Cristina da una biografia, poi l’ho trovata in un ritratto di Hayez
e in qualche sito internet.
Da lì, ho capito che anche io avevo finalmente trovato la mia eroina – così
lontana, così vicina.
E,
questa che segue, troppo breve da rendere in qualche foglio, è la sua storia.
BIOGRAFIA

Cognome, Trivulzio – una piccola marchesa, nata a Milano il 28 giugno 1808, nel
palazzo di famiglia, da Gerolamo e Vittoria Gherardini.
Non
era un momento di poco conto, per la città e l’Europa tutta.
Napoleone non aveva ancora preso la via di alcun esilio, e aveva degnato il
padre di Cristinetta, come veniva chiamata, del titolo di Conte della Corona
Ferrea, per poi affiancarlo al proprio figliastro Eugenio, noto per essere
stato Viceré d’Italia.
Di
lei bimba ci rimane una descrizione di proprio pugno in cui non appare certo
un’infanzia infelice, ma nemmeno particolarmente gioiosa.
Del resto, sua madre rimane vedova che la marchesina ha quattro anni, mamma sì
ma assai giovane, non si può pretendere che vesta di nero per il resto del
proprio futuro.
Dalle testimonianze rimaste, Vittoria ci appare seducente, bella, civetta,
amante del divertimento ed estremamente vitale.
Si risposa con Alessandro Visconti d’Aragona, e gli dà quattro figli : per la
Trivulzio significa entrare in una famiglia che non è pienamente propria, anche
se avrà la fortuna di ritrovarsi un patrigno colto, che stimolerà la sua
curiosità e il suo ingegno.
Nell’ondeggiare continuo dalla città al suo feudo presso Locate, paesino nei
pressi di Milano, cresce questa donnina che si definisce piuttosto seria,
sempre appresso al fratellastro, a curarlo e divertirlo, a starsene in disparte
– ben diversa da ciò che sarebbe diventata.
Per quanto provenisse da un casato che da secoli regalava al mondo personaggi
illustri ed eterogenei, nei suoi primi anni nulla pare emergere di sorprendente
nelle inclinazioni : è, come è giusto sia, una bambina come tante.
Le
ragazze della nobiltà non avevano da essere enciclopedie – nessuno lo
pretendeva, ben pochi l’avrebbero apprezzato.
Il cantare, il suonare, il dipingere, il sacro francese, la piacevolezza nella
conversazione senza coltivare chissà che profondità – poteva ampiamente
bastare.
E proprio nelle lezioni di disegno, senza poterlo immaginare, Cristina avrebbe
trovato una futura fonte di sostentamento e un’amicizia duratura e intensa,
quella con la sua maestra di matita, Ernesta Bisi, donna liberale e di
carattere.
Nella
villa di Affori, sempre nel capoluogo lombardo, dove la famiglia ‘allargata’
Visconti d’Aragona vive, la serenità scivola via quando il patrigno di Cristina
finisce per essere arrestato, non avendo il talento del cospiratore.
Metternich non ama i moti di ribellione verso l’Austria, lapalissiano, e quando
il gentiluomo Alessandro tenta, nel 1821, di divenire eroe dai grandi ideali,
si ritrova in carcere.
Per quanto riesca a riottenere la propria libertà, rimane psicologicamente
segnato, e neanche qui l’ancora avvenente Vittoria è presa da istinti da
infermiera : ha la gaia dote di consolarsi in fretta, e stavolta è il turno di
un grazioso conte.
La sua primogenita, invece, che ha ricevuto ben altra cultura rispetto alle
coetanee, inizia a mostrare un fascino per nulla banale.
Abbiamo
tutti presenti i quadri ottocenteschi, i canoni di bellezza in auge.
Stiamo parlando di donne morbide, dalle forme floride, la bocca piccolina e
leziosa, le braccia ben tornite, il collo e le spalle dalla linea delicata, il
colorito roseo.
Le modelle anoressiche non rientravano esattamente nell’immaginario maschile,
ma – c’è un ma – non dobbiamo trascurare il movimento Romantico.
Nel Romanticismo si crea anche un nuovo tipo di estetica, più eterea, delicata,
lunare.
E così fu Cristina.
Oggi credo si potrebbe tranquillamente definire bella, o comunque molto carina
: era più alta della media e magra, con un lungo collo e mani dalle dita
sottilissime. Il suo viso era regolare nei lineamenti, le labbra minuscole, a
quanto pare aveva ammiratissime fossette, quando sorrideva, e anche un’altra
più piccola, sul mento.
Ma gli occhi, soprattutto.
Occhi tondi, grandi, scurissimi, segnati con forza dalle sopracciglia.
Non era una beltà classica, per nulla : chiome corvine e pallidissima, fino ad
essere inquietante, non poteva passare inosservata.
E persino quando le sue attrattive fisiche sbiadirono (e avvenne in fretta, con
la sua mente frenetica e la sua esistenza inquieta), quello sguardo diretto e
senza sosta la rendeva riconoscibile ovunque .
Di lei, oltre a un Hayez, rimane un Lehmann, un Vidal, un Chasseriau, un
disegno di Chiappori, qualche ignoto, un busto in marmo.
Non è
per curiosità femminile, che descrivo il suo aspetto.
E’ perchè bisogna darle una faccia, e quella giusta, perchè se persona
significa maschera, il personaggio che emerge da quella donna dipende anche
dall’impressione ostinata che lascia impressa negli altri, al suo passaggio.
Sa vestirsi in maniera difficilmente ignorabile, ama sorprendere e lo sa fare
bene.
E’ consapevole – della coscienza delle anime brillanti – di sè, del suo essere
affascinante, e le piace civettare.
E’ molto femminile, anche se si occuperà di cose reputate poco adatte a
delicate pulzelle.
E poi
arriva lui – in tutte le storie, prima o poi, arriva.
In questa si chiama Emilio Barbiano di Belgiojoso.
Qui non c’è da scomodare la relatività : bello lo è, e parecchio..
E con una voce che gli consentirebbe tranquillamente una carriera di cantante
nei migliori teatri.
E’ principe, gaudente, ammirato e amato, per nulla fedele.
I primi amori hanno sempre un che di masochistico – comunque di devastante.
Quando si sposano, Cristina ha sedici anni e probabilmente, malgrado sia stata
allertata, non comprende bene con chi dividerà patrimonio e letto.
In seguito sarà comunque assai benevola con lui, per quanto ci siano non pochi
motivi per evitare di fargli qualunque favore – i primi amori hanno un che di
persistente, oltre che di devastante.
Non è
una poesia profonda e dura proprio poco.
La sposa porta una dote notevolissima, che deve pesare non poco allo sguardo
del magnetico Emilio.
Da parte sua, pare proprio – i dubbi sono, se non completamente dissippati,
piuttosto sottili – che il principe non le abbia donato solo un ulteriore
titolo, ma anche un ben poco gradevole regalo di nozze.
La Trivulzio non ha mai goduto di buona salute – si legge persino di una
leggera forma di epilessia.
Ma, a quanto pare (e ciò spiegherebbe anche molto di quella che sarebbe stato
il suo modo di vivere i sentimenti e la sessualità), dopo esser divenuta
Belgiojoso, viene infettata da una di quelle infezioni che rientravano nel
termine sifilide.
Molti dei sintomi che l’avrebbero accompagnata per sempre, rientrano in quelle
manifestazioni di malattie veneree allora tanto in ‘voga’ – in alcune biografie
il fatto viene dato per certo, malgrado si possa ipotizzare un velo di vergogna
e ritrosia che abbia coperto gli effettivi sviluppi della situazione.
Se, a questo, si aggiungono i numerosi tradimenti del consorte, non è difficile
immaginare che l’unione vacilli.
Cristina, poco solidale coi compromessi, vuole dividersi – uno scandalo non da
poco, che le costa, anche, in termini economici : sarà lei a saldare i debiti
del marito, malgrado si sia per lo meno tenuta la magnifica carrozza
appartenuta a lord Byron, oggettino che al byroniano Emilio piace, poichè è una
vera alcova viaggiante.
Da
questa libertà conquistata nel clamore, appena ventenne, nasce la principessa
di Belgiojoso.
E, anche se oggi giorno impolverata e spesso ignota, non morirà più.
Ad
avere sottomano una piantina d’Europa, c’è da farsi venire un’emicrania, e
seguire gli spostamenti di Cristina, in un’epoca in cui, per quanto ricchi, il
viaggiare non è celere e facile come oggi.
In più la nostra amica ha alla calcagna il capo della polizia, il solerte e
inviperito Carlo Giusto Torresani, al soldo dei padroni austriaci.
Per quanto si chiuda qualche occhio sulle idee rivoluzionarie dei ricchi, il
nostro uomo si mette alle calcagna della principessa con particolare foga – c’è
da dubitare che sarà ciò che oggi chiameremmo ‘un appassionante hobby’ (anche
se è semplicistico, pare che l’astio nasca quando Cristina, consapevole del
proprio rango, non domanda il permesso di viaggio all’uomo di legge, come
sarebbe stata prassi, ignorandolo totalmente e rifacendosi alle proprie
conoscenze).
Cristina non sta bene, deve andare in un luogo di mare, e non è una scusa, i
vari accenni testimoniano una sempre più fragile condizione fisica.
Così chiede il passaporto, non sempre rilasciato con facilità, visto che i
gorgheggi rivoluzionari sono ovunque, e dunque è meglio non lasciare andare in
giro l’aristocrazia, così disposta ai rapporti con gente poco raccomandabile,
per usare un eufemismo.
Sistemata la burocrazia, già allora inquietante, si dirige alla volta di
Genova, perla del Regno di Sardegna, luogo ideale, vibrante di vita e aria
sana, e qui scopre, malgrado il corpo debilitato, un ambiente positivo e
stimolante.
Intenzionata a riprendersi ancora meglio si sposta poi ad Ischia (non male, la
vita degli abbienti dell’epoca), fermandosi prima a Roma, dove fa le solite
“frizioni mercuriali” e frequenta l’ex regina d’Olanda, Ortensia, figliastra di
Napoleone.
Siamo in un momento storico di complotti e cospirazioni di ogni genere – per
recuperare posizioni prestigiose, disfare regni, creare repubbliche, cacciare
invasori e così via – e Cristina diviene confidente del figlio secondogenito
della decaduta sovrana, Luigi Napoleone, futuro Napoleone III.
Ed è forse qui, nella Città Eterna, che si può iniziare a parlare di una
principessa Belgiojoso ‘politica’.
Le supposizioni sono varie : che lei nutrisse interessi sovversivi sin da
giovane, grazie al contatto con la Bisi, che questo impeto dipendesse dal
patrigno, che.
Ma è verosimilmente un concatenarsi di cause – sarebbe plausibile.
A questo punto, comunque, possiamo inserire la sua appartenenza alla
Carboneria, nella veste di Giardiniera , ed è quindi ormai innegabile che inizi
a coltivare amicizie sovversive e ribelli.
Ma
non si ferma.
I suoi viaggi, per la salute, per quel dinamismo interiore che non le dà pace,
per gli scopi che ormai occupano i suoi pensieri – i viaggi, appunto,
continuano.
Soggiorna in Toscana, arriva in Svizzera, dove il Canton Ticino – siamo nel
1830 – si regala una Costituzione che la rende piuttosto democratica, cosa che
fa inorridire gli austriaci, e anche Torresani, che viene a sapere che la
stravagante Cristina ha dato una festa in onore della conquista elevtica.
E’ ormai ampiamente sospetta, e in più non ritorna nel milanese, come le viene
ordinato : Metternich sta perdendo la pazienza, Torresani non l’ha mai avuta.
Può parere strano tanta attenzione per un singolo, una ragazza privilegiata, ma
non certo una pericolosa criminale.
In verità si percepisce che il giogo di sapore teutonico è sempre più malvisto,
dagli italiani, e una principessa dai grandi capitali e troppo mobile può dare
fastidio.
Quando quindi si reca nuovamente a Genova, la posizione di Cristina si fa
fragile : stanno iniziando ad arrestare nomi illustri, tra cui Mazzini.
Qualche anima pia la mette in guardia : meglio andarsene, e di nascosto, perchè
nessuno le darebbe il visto per allontanarsi, presto sarà il suo turno.
E quindi fugge, di notte.
Senza soldi e con la sua ironia sempre in tasca – di notte, di fronte a un
fiume freddo, che deve affrettarsi ad attraversare a piedi, Arrigo Petacco
riporta le sua parole : “Questo è il mio Rubicone. Ma Cesare lo attraversò a
cavallo”.
Augustin
Thierry è già noto, anche se ancora giovane.
E’ uno storico arguto e sfortunato che sta diventando cieco e paralizzato, ed è
una figura importantissima nella vita di Cristina.
Si incontrarono quando lei arriva in Provenza, terra tranquilla e sicura, per
poter seguire le cure di un noto medico.
La loro profonda intesa, l’amicizia che li unisce, non li avrebbe più lasciati,
malgrado Thierry fosse innamorato (non ricambiato) della principessa – è
un’affermazione che verrà fatta per un notevole numero di altre persone, il che
ha un che di stridente, se si considera che questo fascino che tanto attira gli
uomini, è il medesimo che la fa percepire come “stravagante” e seccante.
Condividere tempo con un uomo come Augustin le insegna molto – è lui a farle
comprendere che il giornalismo può essere un’arma potente, e nel condividere
sperenze per i propri Paesi afflitti di certo non esauriscono mai gli
argomenti, e mai li esauriranno.
Molti esuli italiani si trovano all’epoca in Francia, e quando la Trivulzio
arriva a Marsiglia trova un fermento unico ed esaltante.
E’ considerata egocentrica e un pò fuori dagli schemi, in effetti c’è di che
guardarla con diffidenza, per via di quelle pose da intellettuale che, in
realtà, può ben permettersi – e lo dimostrerà nei propri scritti seguenti.
All’interno però di tanto patriotico entusiasmo, le posizioni differiscono, e
Cristina non ama gli esagitati che disprezzano le sagge mezze misure : lei
propende per una federazione italiana, sotto il controllo del re.
E per questa causa spende molta parte del patrimonio, finanziando eroi che poi
si scorderanno bellamente quel valore raro che è la gratitudine. Tutto è
dovuto, ai martiri d’Italia.
Ma, per sua stessa ammissione, i denari iniziano a scarseggiare.
Il suo non ritorno a Milano potrebbe portarla alla totale rovina economica, con
la confisca dei suoi enormi beni, e quindi tenta di salvare quanto possibile
intestandolo alle sorellastre e, chissà perchè, al marito.
Nel
1831 i tempi si consideravano più maturi : si parte alla volta della Savoia con
l’intenzione di porre al potere Carlo Alberto, regnante che poi sarà
condottiero verso la Lombardia, vittorioso. A capo dello stravolgimento, Carlo
Pisani.
E si è ottimisti, perchè appoggiati da una Francia che preferisce che i suoi
vicini siano senza padrone straniero e democratici.
Ma se il vecchio La Fayette appoggia pienamente il progetto, il re di Francia,
spaventato dalle ire di Metternich, preferisce cambiare idea.
Questo tipico voltagabbana costa non poche vite : gran parte della penisola
italica è squassata da ribellioni, e perdere un così caro alleato rende
l’Austria assai contenta : può ben mettere in carcere o alla forca senza ormai
troppi problemi – e in effetti di problemi non se ne fa.
Cristina
arriva a Parigi senza più soldi – il fallimento dell’impresa ha reso
impossibile il recupero dei propri beni – preoccupata per i prigionieri suoi
compagni, con solo una lettera di raccomandazione di Thierry per un uomo,
François Mignet, che avrà, anche lui, un ruolo ambiguo ma importante.
Uomo celebre e cerebrale, come la Trivulzio, ma non dotato degli stessi impeti,
si dice abbia un che di compassato ed eccessivamente pacato.
Tra loro nasce una storia sentimental-intellettuale (pare, anche qui, senza
coinvolgimenti fisici), che a lungo li farà sembrare una vera e propria coppia
collaudata.
E’ finita l’era in cui gli scritti veementi di lui compaiono su Le National, ma
le sue parole contano ancora molto, a Parigi.
“Ce
la farò da sola”, scrive lei, e così sarà.
Alloggiata in un appartamentino squallido, per la prima volta alle prese con la
vita pratica del quotidiano, si mette a ritrarre i deputati, per raccimolare
qualche moneta.
Ma non è sola : intriga, l’avventura di questa nobile patriota avversata da
Metternich.
E, fra tutti i curiosi, trova un ammiratore paterno e grandioso : proprio La
Fayette, che si preoccupa teneramente di lei.
Ma i personaggi che la circondavano sono molti, e lei diviene attrazione prima,
e padrona di un salotto che farebbe invidia a chiunque : artisti e nomi di
politica, cospiratori e quanto altro.
Federico Confalonieri,Liszt, Heine, Balzac, de Musset, Piero Maroncelli, forse
George Sand e molti altri, fanno non solo la Storia, in campi diversi, ma
dipingono anche la sua storia.
Quando infine la situazione economica si risolve – recupera parte di quanto le
appartiene – la principessa si trasferisce in un appartamento elegante, sempre
in quel di Parigi, e acquista anche l’abitazione vicino, in cui si stabilirà,
in periodi altalenanti, niente meno che il marito fedifrago – eccentrica
Cristina lo è sine dubio.
Ed eccentrica è anche quella città, dove tanto veleno e tanta ammirazione
riceve l’italiana, presa da una fitta rete di interessi e attività culturali
senza per questo dimenticare il piacere della civetteria e della leggerezza,
che tanto sa recitare bene – ha un talento particolare nel ferire i giovani
attraenti che le sospirano alle spalle, tra cui Alfred de Musset, che, illuso e
abbandonato, scrive e pubblica una poesia per lei , assai feroce, e in seguito
ritrattata con pentimento e scuse – per quanto streghetta nelle sue malie, la
principessa non è per nulla permalosa.
Del resto, ha altro su cui concentrarsi : scrive sul National a favore del suo
Paese, organizza eventi per raccogliere fondi e attenzione per i propri
compatrioti mai arresi, e ospita chiunque passi per la capitale francese, se
può essere importante per la causa – uno su tutti, Cavour.
Le
preoccupazioni non mancano : la morte di La Fayette – cui rimane accanto sino
alla fine – sarà come perdere un padre.
E oltre a ciò, ha il pensiero della propria stessa salute, dei suoi dolori
cronici, anche se continua nelle occupazioni mondane, nello scrivere su
quotidiani e nel partecipare a incontri politici : non si capisce se gli
impegni più fatui siano schermo per quelli più delicati e profondi, o se si
tratti invece, più semplicemente, di una persona con molte sfumature, dentro di
sè – Cristina non è una riposante persona monocromatica, ammesso che ne
esistano.
Fra gli amici dell’epoca si aggiungono Niccolò Tommaseo e Vincenzo Bellini,
biondo e fragile, anche lui alquanto preso dalla principessa, e per questo
coinvolto in una ‘disputa’ col più pungente ammiratore Heine – ma anche il
povero Bellini muore giovane.
Il
1838 è misterioso.
A dicembre Cristina diventa madre di Maria Cristina Vittoria Valentina, futura
Maria Trotti Bentivoglio.
Ma come, lei che provoca e si ritrae?
Sull’avvenimento, ancora oggi c’è mistero – le teorie si sprecano.
Che sia l’improbabile frutto di un fugace ritorno col marito?
Che sia figlia dell’intellettuale Mignet?
O se invece è stata letteralmente ‘comprata’ dai suoi veri genitori, i signori
Bolognini, ossia il segretario di Cristina?
Quale che fosse e sia la verità, un’amnistia le permette il ritorno a Milano, e
più precisamente nel suo feudo di Locate.
Come ogni madre, per quanto scandalosa – e scandalosa lo è, una che non dice di
chi sia la sua bimba – il nuovo ruolo dà altri ritmi alla sua vita.
Ciò che è certo è che inizia una ventennale battaglia legale, affinchè la
piccola sia riconosciuta come Belgiojoso, e alla fine l’avrà vinta.
Ciò che desidera la principessa è che la giovane non sia marchiata con un
titolo che, se a lei poco importa, sarebbe la sfortuna dell’esistenza di Maria.
E’ una vittoria costosa : per avere questo benedetto illustre e preciso cognome
per la sua creatura, deve rinunciare a qualunque pretesa ereditaria sui
Belgiojoso. Peccato che parte di questo patrimonio venga proprio dalle tasche
generose di Cristina.
A
Locate, piccola realtà arroccata ai piedi di Milano, è una riformatrice senza
eguali.
Circa trentenne, fino a quando fu quasi quarantenne, si dedica agli scritti e a
migliorare le condizioni di vita dei suoi contadini.
Le sue serate sono ormai tranquille, ma i giorni restano colmi di progetti
ambiziosi, che puntualmente arrivavano a buon termine : apre a sue spese un
asilo per i bambini di chi lavora nei campi, fonda scuole elementari, anche per
femmine, ‘corsi professionali’, per dar retta “al mio cuore sanguinante nel
vedere che tanti giovani intelligenti non avevano altra alternativa che tessere
o zappare la terra”.
Si occupa anche di lezioni per giovani fanciulle, per insegnare l’igiene e
altre regole che nella povertà dei luoghi non si possono dare per scontate.
A questo aggiunge lezioni per canto e ballo e pittura, non certo per creare
piccole finte madamigelle, ma per allargare gli orizzonti e dare sollievo.
Crea un locale per stampare e il celebre “scaldatoio”, ossia la più grande
stanza del suo castello, che è adibita a camera dove i piccoli e le donne
possono ripararsi dal freddo e riposarsi a qualunque ora.
Sempre nella sua dimora, una cucina per i pasti a prezzo bassissimo, e medicine
e assistenza sanitaria gratuita : cose pratiche che hanno dato molto a persone
che mai nulla hanno avuto.
E i suoi pari non si sono espressi in maniera gentile, di fronte a cotanta
solerzia.
In un qual modo, il dissenso si può capire immaginando la forma mentis del
tempo, e di chi vive di privilegi.
Ma risulta fastidiosa, in un’animuccia che va in giro spacciandosi come
cristianamente caritatevole e amante degli uomini, l’asserzione : “...la mania
di quella signora di diffondere l’istruzione fra i suoi contadini...ma quando
quelli saranno tutti dotti, a chi toccherà zappare la terra?” – ragionamento
cinico, ma pratico, peccato che venga dall’ illustre Alessandro Manzoni.
Nella biografia di Petacco, mio importante riferimento, viene riprodotta la
lettera che la principessa invia nel 1842 a tutti i proprietari di terre della
regione, che ovviamente la accolgono ridendoci sopra con sprezzo :
”Signore, il mio soggiorno in quella negletta parte del nostro Paese che porta
il nome di Bassa, mi ha messo in grado di conoscere lo stato misero degli
abitanti di questa contrada, il danno che da quella sventura si riversa sui
padroni medesimi e i rimedi che gioverebbero a scemarli. La frequenza dei
matrimoni, l’insalubrità dell’aria e la qualità dei lavori fanno sì che gli
orfani trovansi in una proporzione assai maggiore che altrove. Affidati alla
malsicura custodia dei parenti e qualche volta di estranei, adoperati agli
impieghi più fastidiosi, maltrattati, mal nutriti, male allevati, essi formano
una popolazione inferma e oziosa che consuma oltre il guadagno e ricade a
carico dei padroni, o dei fittabili, o dei benestanti diminuendo così la
proprietà di cui quei paesi potrebbero godere. Ho pensato perciò di proporre ai
signori che da quelle terre ricevono le maggiori loro ricchezze, di consumarne
una menoma parte per riparare quei mali, persuasa che non solo la carità loro,
ma la cura dei loro interessi li animerà a ciò fare. Un ospizio per gli orfani
nel capoluogo di Locate in cui i fanciulli privi di madre e di padre sarebbero
accolti, mantenuti e istruiti fino all’età di sedici anni potrebbe fornire alle
nostre campagne lavoratori assidui, robusti e onesti. Non credo di abusare della
benificienza dei miei compadroni proponendo loro di sottoscrivere per
un’offerta annua di cento lire austriache, o più se così a loro piacesse. Tosto
di poter disporre di qualche somma muoverò i necessari passi presso le autorità
competenti, eccetera eccetera”.
Astuta, non evidenzia solo l’aspetto umanitario : sottolinea l’importanza
stessa di queste azioni per il rendimento delle terre – non che a lei non
importi, ma di certo le sue motivazioni sono ben altre, vista la generosità con
cui dona i suoi soldi.
Il parroco che l’ha sposata, don Giulio Ratti, ha anche stampato un pungente
libretto, Le illusioni della pubblica carità, ove attacca le iniziative
benefiche di Cristina. Ed è proprio il prelato che Manzoni invia quando la
Belgiojoso, desiderosa di salutare la morente Giulia Beccaria , si reca alla
porta dello scrittore.
Don Giulio, da ordini ricevuti, non la lascia entrare.
Non è
solo giornalista, Cristina, è una penna ricamata di cultura, prima di tutto, e
purtroppo non ha voglia di parlare degli abiti e delle ultime mode del momento.
Tra il 1842 e il 1843 vengono pubblicati nella capitale francese, in francese
direttamente scritti, i volumi di Essai sur la formation du dogme catholique.
All’inizio non firmati, si scopre in seguito essere frutto del lavoro della
Belgiojoso, che introduce questo ponderoso lavoro specificando di essere
consapevole delle falle potenziali presenti, ma che prosegue in una trattazione
ampiamente composta di biografie, osservazioni, considerazioni.
Sono anche ironiche, quando si riesce, quelle pagine – irrimediabilmente
ironica ne è l’autrice, del resto.
Il libero arbitrio, un tema principale : Cristina è fortemente religiosa, ma in
maniera critica e lucidissima, e proprio per questo sa che la sua iniziativa
sarà ampiamente contestata – molte le considerazioni legate all’incapacità di
una donna di occuparsi di teologia.
Alcuni giudizi probabilmente sono ben ponderati e capaci di cogliere giuste
critiche, ma i più trovavano assurda l’idea, l’idea di una femmina in tali
occupazioni.
Di seguito, traduce e diffonde in Francia la Scienza Nuova di Vico, iniziativa
che persino Bendetto Croce loda – non tutti sono infastiditi dalla donnicciola
“stravagante”.
E, tanto che è immersa nell cultura d’ oltralpe, fonda un giornale, La Gazzetta
Italiana, in seguito Ausonio, unica testata francese riguardante la nostra
Penisola.
Fa quasi tutto da sè, dalla stesura dei ‘pezzi’ alla redazione : agli altri
esuli lì attorno, per loro medesima e netta ammissione, scomodare inchiostro
per dei fogli diretti da una donna fa abbastanza ribrezzo.
Nel 1846 esce l’ Historie de la Lombardie, nella quale attacca, con capacità e
impeto, personaggi usualmente amati – soprattutto il conte Confalonieri :
capisce che non c’è bisogno di eroi sovraumani, ma di iniziative e riforme
pragmatiche per il popolo, affinchè la causa italiana diventi anche della gente
– non è aleatoria nè aulica.
Lei è vera.
E questo le costa una certa solitudine, come confida nell’ampia corrispondenza
con Thierry, cui non fa mancare mai il proprio appoggio – lo storico, oltre a
essere sempre più in precarie condizioni fisiche, ha anche perso la giovane
moglie.
E
proprio in questa stagione di cultura scopre l’amore, quello impetuoso – senza
addentrarci nei soliti dubbi sulla sessualità della Trivulzio, visto che in
realtà poco importa.
Lui è giovane, viene da Locate, è colto, attento e tisico : insomma, tutto ciò
che lei adora.
Gaetano Stelzi è il suo segretario, il suo infaticabile e leale collaboratore,
principalmente.
Il resto verrà col tempo.
Sale
al soglio Pontificio Pio IX : siamo nel 1846.
Un Papa che si può definire liberale – e l’esultanza prende lo Stivale tutto.
Un Papa Liberale!, non c’è più religione!
Nell’entusiasmo generale anche Cristina si reca a Roma, e per una volta non è
la stancante donna che non sta al suo posto, ma un simbolo del Risorgimento –
parla di fronte a centinaia di persone, a Firenze.
Si è fatta meno moderata, l’attesa inutile l’ha resa meno paziente, i moti
liberali si diffondono, l’Europa è tutta in subbuglio.
Pio IX e Carlo Alberto, detto “re Tentenna”, sono la grande speranza, malgrado
il nomignolo dato al sovrano non prometta bene. Infatti, entrambi succubi di
pressioni dall’alto, iniziano a vacillare nei loro sogni gloriosi.
Il Pontefice approva quando il governo romano proprone la formazione di una
Federazione nazionale con escluso il Lombardo-Veneto e di fronte al caos,
Metternich è costretto a dimettersi – a Napoli, il regnante Ferdinando si trova
obbligato a a concedere la Costituzione.
Inizia il famosissimo 1848, Cristina vive a Roma con la figlia, Stelzi e Miss
Parker, che si occupa di Maria. E’ in auge, la Belgiojoso, non più strega, ma
eroina della libertà : lei ne è inebriata, dopo una vita fatta di giudizi
spietati e spesso gratuiti.
A Milano avvengono dei disordini, ci sono morti : vorrebbe partire e
raggiungere la sua terra, ma il solito Torresani è pronto ad arrestarla appena
in zona.
Non le rimane che vestirsi a lutto e, per la salute di Gaetano, trasferirsi a
Napoli, dove ancora più sentita è la moda per quella strana nobildonna del
nord.
Ai primi di marzo, ecco Il Nazionale : il giornalismo non la abbandona mai.
Ma in quel mese accade ben altro : le Cinque Giornate di Milano, i suoi
concittadini vincono sugli austriaci.
Non si può resistere : può tornare, e siccome in molti vogliono seguirla,
noleggia una nave.
Arriva nel milanese, e si sosterrà che la sua truppa di napoletani è composta
da poco di buono.
Ci sono senza dubbio episodi sgradevoli : ma tanta parte di quell’esercito
volontario è composto da giovani di buona famiglia, infervorati dal momento, e
un numero non esiguò morirà in alcune celebri battaglie.
Nell’atmosfera, neanche qui si sfugge : si fonda un altra rivista, Il Crociato
– diventa quasi una compulsione per lei.
Ne Il Crociato la Belgiojoso sostiene che la monarchia è il mezzo per
raggiungere la Repubblica – cambiamenti a piccoli passi.
Gli
austriaci non sono ovviamente sconfitti.
E Carlo Alberto, appunto, tentenna alla richiesta dei milanesi di stare dalla
loro parte, di difenderli.
I repubblicani da soli non possono miracoli, e il re balbettante alla fine ridà
Milano all’Austria – l’eroismo non è un obbligo e le promesse non sono eterne,
si deve essere raccontato.
Nel
1848, un fatto personale getta però un’ombra enorme su Cristina, e senza dubbio
le costruisce dentro un altro dolore.
Stelzi, minato dalla tisi, muore.
E da qui le leggende – nemmeno una sola, ma tante.
Quando Cristina deve riparare in Francia, col ritorno degli austriaci nel
milanese, il suo palazzo di Locate viene occupato senza tanti riguardi.
E all’interno dell’abitazione viene trovato il cadavere imbalsamato di Gaetano,
vestito di tutto punto.
Trama da Mary Shelley, a dir poco.
In realtà, l’imbalsamazione non è pratica rara, all’epoca, nelle famiglia
altolocate.
Nè si ha l’abitudine di seppellire i propri morti coperti solo di un semplice
telo, come avviene per i contadini.
Può darsi che sia un’azione particolarmente “stravagante”, ma senza dubbio non
si tratta di una qualche forma di perversa idolatria di una salma.
Più probabile è che, mentre si attende la preparazione, nel giardino di Locate,
di una tomba idonea, la Belgiojoso debba fuggire per il ritorno degli
austriaci, senza completare il monumento funebre e potervi collocare l’amato.
Mazzini
e altri due triumviri governano nel 1849 Roma, una repubblica, un caso quasi
unico.
Ma anche nella Città Eterna non si sta tanto tranquilli : Luigi Napoleone,
amico di giovinezza di Cristina, nipote di Bonaparte, un tempo tanto dedito
alla causa italiana, adesso ha potere, e non può più fare il ragazzo idealista.
Di certo non appoggia Vienna, ma deve almeno stare dalla parte di Pio IX,
rifugiato a Gaeta – ha da restituirgli Roma.
Garibaldi è l’eroe del momento, da ogni dove arrivano coloro che vogliono ‘fare
l’Italia’, e a Mazzini viene in mente un compito adatto a una donna – e
perfetto per la capacità organizzativa di Cristina : direttrice degli ospedali
di Roma.
Ad affiancarla, alcune signore di grande personalità, fra cui l’americana
Margaret Fuller : in due giorni si rendono funzionanti dodici ospedali.
E chiunque vi entri trova silenzio, tranquillità e pulizia.
Le rivolte provocano molti morti e feriti, e lì ne arriveranno a migliaia.
E, qualche anno prima di Florence Nightingale, la Belgiojoso chiama a sè le
romane di ogni ceto, selezionando lei stessa quelle adatte a lavorare a
contatto con tanti drammi e tanti avvenimenti senza sosta.
Quando viene criticata per aver preso donne non esattamente irreprensibili,
magari dal popolo, risponde sottolineando l’abnegazione e l’umanità di queste
sconosciute eroine nell’accudire i feriti, anche quelli più impressionanti e
dilaniati.
Fra le braccia di Cristina muore anche un uomo poco più che ragazzo, tale
Mameli, famoso per il nostro inno nazionale.
Anche i feriti francesi, vengono curati – col dolore c’è poco da discutere.
Ma i tre triumviri sono sostituiti da tre cardinali, ringalluzziti e in attesa
del ritorno del Papa, e pronti a eliminare dalla città tante anime
disobbedienti.
Cristina è stata a capo della gestione di quei reparti, di quel sistema
ospedaliero; ha fatto l’infermiera, i compiti più ripugnanti e umili, è stata
accanto a chi salutava il mondo.
Ora è tempo di andarsene.
Punta
verso l’Oriente : vuole stare tranquilla.
Causa non poca antipatia in Grecia, dove sostiene, in maniera onestamente snob,
che il fatto che lì non si conosca Liszt è indice di un popolo ben poco civile
: uno scivolone raro, ma proprio per questo degno di nota – la perfezione non è
umana, nessuno qui lo vuole sostenere.
Nel suo viaggiare esotico finisce per acquistare un villaggio con latifondo in
Anatolia : la Turchia le piace e le fa bene alla salute.
Ha voglia di quiete, dopo tanto battagliare – ma il dinamismo interiore non lo
fermi stando in fattoria.
Nel 1852, con appresso la figlia ormai adolescente, inizia un viaggio che la
porta a Gerusalemme, dove Maria riceverà la comunione : attraversa la Siria e
molte altre nazioni attuali, nel deserto, affaticata ma affascinata, ed è
prontissima a mettere su carta le sue considerazioni da quasi sociologa, soprattutto
sugli harem, ben meno poetici di quanto ci si aspetti.
Non potrebbe più condurre una vita serena ed economicamente florida in Europa,
e i nuovi luoghi le sono congeniali.
Gli scritti di quel peregrinare vengono pubblicati e tradotti in molte lingue,
in italiano per ultimo, nel Vecchio Continente e anche a New York.
Quando nel 1853 Mazzini ritenta un rivoluzione nel milanese, per quanto la
Belgiojoso ne sia del tutto estranea, finisce nella spirale : i suoi beni
furono sequestrati una volta per tutte. Non si scompone molto, solo un commento
sul fatto che l’italico guerriero pare proprio non volere imparare dal passato.
Nel
suo piccolo regno turco, tutti le sono affezionati – è una stramba e generosa
regina.
Nel luglio 1853 tale Lorenzoni, che lavora per Cristina, l’accoltella
ripetutamente.
Pare che questi abbia avuto una tresca con Miss Parker, e che, terminata per
l’indole non tenerissima dell’uomo, l’istitutrice abbia chiesto aiuto alla
Trivulzio, che ha detto chiaramente al suo dipendente di lasciare in pace
l’amica e collaboratrice.
La reazione è dunque violentissima, ma non fatale.
Oggettivamente temeraria, si stende a letto e, forte della sua esperienza, fa
chiamare il farmacista. Con uno specchietto vuole controllare da sè la ferita
alla mammella, attenta nel cercare i segni di un perforamento del polmone, cosa
che fortunatamente non è.
Si fa salassare, si medica da sè.
Pare però che non guarisca perfettamente : forse uno dei fendenti lede
irrimediabilmente tendini e muscoli. Solo quarantacinquenne, e fino alla fine,
si dice che la sua testa sia rimasta reclinata, di lato, sulla spalla, incapace
di alzarsi verso niente e nessuno.
Ormai
non ha più nulla, sua figlia ha bisogno di un ambiente adatto a una giovane
donna : deve riprendere la vecchia via.
E dichiararsi sconfitta, in un certo senso, visto che i suoi avvocati hanno
trovato un accordo con l’Austria.
Un compromesso non tanto per il proprio futuro, ma soprattutto per Maria.
Torna
a Milano, che sta vivendo una relativa tranquillità grazie alla maggiore
moderazione di Massimiliano d’Asburgo.
Nessuno pare riconoscere la principessa : è invecchiata velocemente, dimostra
più anni, solo lo sguardo è sempre quello.
Il marito, dopo un ultimo intenso amore con una giovane bellezza, è morto e
molti suoi amici sono malinconicamente venuti meno, mentre a Parigi ormai
furoreggia ben altra italiana : la contessa di Castiglione.
Cristina non ne è abbattuta – non è nella sua natura.
Logicamente, però, guarda con crudele chiarezza ciò che è stato raggiunto, e
ciò che invece non si è ottenuto.
Nel 1860 finalmente, almeno, la legittimazione di Maria.
Ciò
che Cristina ha tanto desiderato si avvera, in quegli anni.
Lei non ne è più protoganista – nella gloria ci sono altri.
Nel marzo 1861, ecco la costituzione del Regno d’Italia.
Non che non partecipi : quando è il momento, ovviamente, si precipita negli
ospedali milanesi.
Ma fa parte di ieri, lei, con le sue idee atipiche, le sue puntualizzazioni
argute e senza diplomazia, le sue strane manie di riformatrice.
E’ stata troppo ingombrante e saccente, e non è più il suo tempo.
Dopo tutto ciò per cui ha combattuto, non viene invitata, lei sola
nell’aristocrazia, al ricevimento indetto da Vittorio Emanuele II – ne ha
un’amarezza immensa.
Viene derisa, anche con sarcasmo, per quel “rudere” che è diventato – stiamo
parlando di aspetto fisico, sia ben chiaro.
Ma non si può frenare l’indole indomabile.
Caso unico, fonda un giornale bilingue, L’Italie per l’Europa, e L’Italia per
la sua Patria.
Nel suo passare dal desiderare la monarchia, poi la repubblica, e infine
ritorno, ha sempre avuto un solo grande desiderio : la libertà del suo Paese.
Quando poi sua figlia diviene marchesa Trotti Bentivoglio, come già accennato,
può dopo poco dedicarsi al dolce mestiere di nonna, con una nipotina che si
chiama – non ci vuole fantasia – Cristina.
La sua scrittura non si ferma : Storia della casa di Savoia, Sulla moderna
politica internazionale, L’attuale stato dell’Italia e il suo avvenire, sono
alcuni dei suoi maggiori titoli : sono studi acuti e precisi, non esenti dal
solito umorismo aguzzo.
E, ma questo merita qualche riga in più, poco più avanti, un saggio apparso nel
1861 nella Nuova Antologia.
Il 5
luglio 1871, sessantatreenne, a quanto pare per ipertrofia del fegato, Cristina
muore.
Negli ultimi anni i dolori sono andati aumentando, dentro e fuori, e l’
abitudine acquisita in Oriente di utilizzare il narghilè per trovare un pò di
conforto è divenuta una dipendenza fisica ormai ben collaudata.
Nessun personaggio importante al suo funerale.
E decenni dopo si scopre che la tomba di Locate nella quale doveva essere il
suo corpo è vuoto, lei si trova là, nella parte ignota del camposanto, dove ci
sono i poveri.
Quelli che le sono stati grati e l’hanno apprezzata, davvero.
Sono
stata a visitarla.
E’ lì, all’ingresso del cimitero, marmo in rovina.
Son sempre molti, i costi di un piccolo comune – e non è colpa di nessuno, se
la si è dimenticata.
Di certo Locate non può compiere miracoli, sulla memoria storica.
Solo un piccolo cartello all’esterno, per ricordare chi lì è sepolto.
Nulla altro.
Lei voleva essere fra la sua gente, quindi giusto così.
Ma poi vengono in mente il sarcofago del Manzoni, quelli degli eroi d’Italia,
di altri.
Per lei, solo nebbia.
E per
quanto concerne il brillante pezzo pubblicato nella Nuova Antologia, ha forse
il merito di farla designare da Terenzio Mamiani come “la prima scrittrice
d’Italia”.
Si intitola Della presente condizione delle donne e del loro avvenire.
E ci lascia un affresco preciso e disincantato, che merita di essere
parzialmente riportato.
“Perchè
il vile è sprezzato e scornato poichè dall’uomo si pretende il coraggio, ma
questa virtù non è permessa alla donna che ricerca l’ammirazione dell’uomo?
(...)
Perchè
nulla è più antipatico dell’intelligenza, della forza e del coraggio femminile?
Perchè gli uomini sapienti godono dell’universale rispetto e gli ignoranti sono
derisi, mentre dalla donna si pretende la più perfetta ignoranza e le
intellettuali sono ridicolizzate?
(...)
Perchè
in una società così ansiosa di abbattere tutte le tirannidi e di aiutare gli
oppressi, ci si dimentica che in tutte le case e in ogni famiglia vi sono delle
vittime rassegnate...
(...)
...le
donne che ambiscono a un nuovo ordine di cose debbono armarsi di pazienza e di
abnegazione contentandosi di preparare il terreno e non di raccoglierne le
messi”.
E
termina, con una richiesta minuscola :
“Vogliano
le donne felici dei tempi avvenire rivolgere il pensiero alle umiliazioni delle
donne che le precedettero nella vita, e ricordare con qualche gratitudine i
nomi di quelle che loro apersero e prepararono la via alla non mai prima
goduta, forse appena sognata, felicità”.
Non
era, come potrebbe sembrare, una femminista sfrenata e in anticipo.
Era solo e semplicemente una grande donna che chiedeva un pò di riconoscenza.
E non
l’ha avuta.
LE
PAROLE SUE E DI CHI ERA NEI SUOI GIORNI
Titoli
ne ebbe molti, e non sto parlando di nobiltà.
Fu definita in parecchi e suggestivi modi : Princesse Malheureuse
(“sfortunata”), Marquise Romantique (sarcasticamente), Princesse Ruinée
(romanticamente), Princesse en ruine (crudelmente, per riprendere il
precedente, ma per evidenziare il suo invecchiamento), Princesse
Révolutionnaire (quasi guerresca), Principessa Socialista (politica) – sono
solo alcuni.
Oggi,
direi Principessa Dimenticata.
Eppure, un tale personaggio ha incrociato e vissuto un’epoca colma di grandi
nomi.
E, in maniere molto differenti, questi personaggi ci hanno lasciato di lei più
di quanto forse avrebbero voluto.
Riporto qui alcune osservazioni ovviamente estrapolate dai vari carteggi.
Per quanto non abbiamo funzione “scientifica”, essendo al di fuori del loro
contesto, permettono comunque di dare un valore aforistico, in grado di
mostrare quanto fossero eterogenee le considerazioni di lei e su di lei.
CRISTINA
:
“Sono
destinata a vivere sola” (concetto espresso in più occasioni)
“Ce
la farò da sola” (una volta trovatasi in povertà)
“Ma
perchè l’originalità deve essere una virtù per l’uomo e un difetto per la
donna?”
“So
che la mia condizione è tale da ispirare a prima vista una sfavorevole
impressione. Ma siccome riconosco, non dirò la giustizia, ma le ragioni che
rendono scusabile questa prevenzione, so rassegnarmi con coraggio e buon umore”
(scritto al momento del suo viaggio a Genova, dopo la separazione dal marito)
“Fra
le tante virtù onde è adornata quella famiglia credetti sempre di ravvisare
anche l’indulgenza, nè crederei di meritare che dessa si smentisse al mio
riguardo. Ma così sia. Una donna divisa dal marito non merita, probabilmente,
di serbare un posto nella memoria di persone irreprobabili, come lo sono i
Manzoni...Io rispetto il loro modo di vedere, ma in questo caso sono fiera del
mio” (ironia a seguito dell’inospitalità e della durezza con cui fu trattata
dal Manzoni)
“Il
mio castello è grande come una piccola città e quasi tutti gli edifici sono
occupati dai lavoratori. Se voi vedeste questa piccola falange dei due sessi
fatichereste a crederla formata da poveri contadini. Sono puliti, i loro volti
intelligenti e aperti...la mia idea era stata accolta con un’alzata di spalle
da qualche ‘civilizzato’. Mi dicevano che i contadini amavano il putridume
delle loro stalle...”
“Ero
dunque a Parigi, senza casa, senza tetto, senza cassa e senza letto...(...)
Senza appoggi, la mia condizione duplice di principessa e di rifugiata serviva
a puntino a darmi arie da eroina da commedia. (...) Potevo dipingere, cantare,
suonare il pianoforte, ma non avrei saputo fare l’orlo a un fazzoletto, cuocere
un uovo sodo od ordinare un pasto. (...) Bisogna essere passati rapidamente da
una vita splendida, sempre circondata da amici e servitori, a uno stato di
isolamento assoluto per sperimentare un senso di angustia così opprimente” (al
suo trovarsi indigente a Parigi)
“La
condizione della donna non è tollerabile se non nella gioventù”
“...le
poche voci femminili che si levano per chiedere agli uomini il riconoscimento
della loro uguaglianza hanno una maggioranza di avversari femminili anche più
grande di quella maschile”
“Ora
indossi un abito che ti obbliga a essere un santo o un impostore, un oggetto di
scandalo per le anime pie e di trionfo per i nemici della religione.
(...)Permettimi che ti faccia un’osservazione, perchè la verità, qualunque essa
sia, uscirà sempre incontaminata dalle mie labbra. Nella penultima tua mi parli
con sdegno e disprezzo di coloro che non credono e che mettono in ridicolo ciò
in cui noi crediamo. Questi tuoi sentimenti naturali, ma non giusti, non
legittimi, sono espressi con quel fuoco, con quella intolleranza che, in grado
più avanzato e in un secolo meno illuminato, dettava la condanna del Santo
Uffizio e accendeva i roghi per quegli infelici che forse altro non meritavano
che compassione. Ma chi sei tu per giudicare, per condannare, per isdegnarti
contro coloro che non sono d’accordo con te? Il ‘santo sdegno’, credimi, non
esiste. E tu invece ti sdegni e dimentichi quella dolcezza evangelica tanto
necessaria. Perdonami, ma è questa quell’intolleranza di cui noi cattolici
siamo purtroppo giustamente accusati” (da alcune missive ad un amico prete)
“Ma
io che penso che con la volontà si può fare tutto, ho persistito dunque a
insegnare alle ragazze che non sapevano una nota di musica”
“Anche
se ho sempre il sembiante di cera”
“Vive
il genio, il cuore è spento” (riferendosi al Manzoni )
“...ho
abbandonato la fede cieca per ricevere dalla conoscenza una fede non meno
completa”
“Non
posso rassegnarmi a dire che è vero ciò che ritengo falso”
“Noi
non siamo i primi d’Europa, ma gli ultimi”
“Una
repubblica ai miei occhi è invece la più perfetta forma di governo, ma siamo
monarchici perchè una nazione in cui la repubblica viene introdotta dovrebbe
essere arrivata a un livello di civiltà non facilmente raggiungibile”
“Se
fallisco verrò a Parigi, mi presenterò alle Camere, nei distretti popolari se
necessario, ma porterò dei salvatori al mio povero paese”
“Mentre
la morte si aggira per le nostre strade, la maggior parte degli uomini che
abbiamo nominato badava a spartirsi le cariche e ad assicurarsi la sua parte di
potere”
“Sappiate
che non cambierei la mia coscienza con la vostra, perchè se ho grandi colpe,
posso almeno dire che non ho mai mancato quando si è trattato di amicizia...”
(a Mignet)
“Vent’anni
di pietosa, sanguinosa esperienza non gli hanno dunque insegnato niente”
(scrivendo di Mazzini)
“Avevo
l’impressione di uscire da un incubo, e mi sembrava che la mia forza e la mia
intelligenza fossero triplicate e che niente fosse impossibile per me in quel
momento” (subito dopo l’attentato che subì)
“Gino
abbiamo buone nuove sull’Italia?” (domanda fatta poco prima di morire)
AUGUSTIN
THIERRY (1795-1856, storico) :
“Conto
su di te per assolvere il mio debito di gratitudine verso una donna che mi ha
profuso la sua amicizia...Madame la princesse Belgioioso, milanese, emigrata
volontaria, ha contribuito con i suoi beni e con la sua attività alla
rivoluzione italiana...Ella ora si dispera, si amareggia e accusa, ed è noi che
accusa, che un’intensità che io comprendo, ma che mi addolora. Non ti parlo del
suo fascino e del suo acume. Giudicherai da te e, dopo avere parlato con lei
non sarà più per amor mio che desidererai offrirle, tutti i buoni uffici in tuo
potere” (a Mignet)
“Organizzò
i servizi ospedalieri con l’abilità di un bravo comandante, emanando regole
severissime, imponendo ovunque ordine e disciplina. Dimostrò l’abnegazione più
assoluta”
MARCHESE
DE LA FAYETTE (1757-1834, generale “eroe dei due mondi”) :
“Non
rimpiango di essermi abbandonato con tutto l’ardore di un giovanotto e la
tenacia del vegliardo a questo affetto appassionato che avrà tanta influenza
sul resto della mia vita”
ALFRED
DE MUSSET (1810-1857, poeta e autore) :
“Con
mille astuzie mi conduceva per mano sulla soglia del suo giardino segreto. Poi
mi chiudeva il cancello in faccia”
GIUSEPPE
MAZZINI (1805-1872, politico e rivoluzionario) :
“E’
una donna che per patrio zelo, per doti d’intelletto, per sincerità di opinioni
proprie, per tolleranza delle altrui, merita, dov’anche si dissenta, molta
stima e molto affetto”
“Un
vero tormento”
“Alla
testa dell’impresa c’è la principessa di Belgioioso : il Leopardi è il di lei
uomo d’affari, il Massari ne è l’amante e così via...”
(con
MAMIANI) : “...sarebbe stata stata un’ignominia scrivere su un giornale diretto
da una donna”
LADY
GRANVILLE (moglie dell’ambasciatore inglese Leveson-Gower) :
“Ieri
sono stata dalla principessa Belgioioso, è snella, distinta, pallida, occhi
grandi come piattini, mani sottilissime, modi nobili e aggraziati, estremamente
intelligente e de l’esprit comme un démon”
CONTE
RUDOLF APPONYI (1812-1876, diplomatico) :
“La
principessa di Belgioioso a parte la sua pretesa di essere una seconda Saffo o
una seconda Corinna, trova piacere ad assomigliare a un fantasma : ha un
pallore spettrale, porta turbanti e acconciature di stile insolito, abiti così
eccessivamente scollati e singolarmente vaporosi, con drappeggi così bizzarri
da far immaginare che un pugnale si nasconda tra le loro pieghe. Gli occhi neri
le escono dalla testa. Ero talmente stupito da tutte quelle stravaganze che mi
circondavano (...) che a stento mi riuscì di avviare una conversazione”
CONTESSA
MARIA D’AGOULT (1805-1876, scrittrice) :
“Mai
una donna seppe recitare l’arte dell’effetto quanto la principessa di
Belgioioso. (...) Pallida, magra, ossuta, con gli occhi fiammeggianti, ella
giocava agli effetti di spettro e di fantasma”
"La
commediante esce di qui e mi affretto a dirvi le mie impressioni senza
reticenza e diplomazia. L'ho trovata con un viso devastato, quasi brutta,
d'apparenza magra ed emaciata, nient'affatto gran signora, meno intellettuale
di quanto pensavo. E' rimasta un ora e non ha detto una parola poco
significativa, ruota gli occhi in un modo affettato e poco gradevole e oltre a
tutto diffonde intorno a sé non so quale impressione di falsità e
malignità..."
“Lei
posava. Lei voleva a tutti i costi farsi notare”
THEOPILE
GAUTIER (1811-1872, scrittore, poeta e critico) :
“Ebbi
la sfortuna di affascinarla. Mi arrivò uno sbuffo di letteratura nascosta e
guardai l’orlo della veste di lei per vedere se qualche sfumatura azzurra non
alterasse il candore delle sue calze. Detesto le donne che fanno il bagno
nell’inchiostro blu. Ahimè! Era peggio di una letterata di professione. La
marchesa contempla romanzi didattici, poesia sociale, trattati umanitari, e sui
suoi tavoli e sedie si vedono tomi solenni con le orecchie alle pagine più
noiose”
LOUISE
COLET (1810-1876, scrittrice) :
“E’
una di quelle donne che vogliono sentire soprattutto che un uomo è sotto il
loro dominio, o per inferiorià morale, o per debolezza fisica, o adirittura per
qualche disgrazia di cui hanno scoperto il segreto”
“La
princesse en ruine ci passò davanti. Il suo corpo, curvo sotto le pieghe
cadenti della sua veste bianca, era orribile a vedersi. La vertebra sporgeva
fuori dal collo. La spina dorsale si curvava in modo prominente sotto la pelle
simile a pergamena; una bocca sdentata, invidiosa e sinistra sorrideva. Gli
occhi fissi, vuoti, ardevano avidi...”
CARLO
CATTANEO (1801-1869, politico, patriota, filosofo) :
“La
prima donna d’Italia”
HONORE’
DE BALZAC (1799-1850, scrittore) :
“Impenetrabile
come una Gioconda”
PROSPER
MERIMEE (1803-1870, scrittore, storico e archeologo) :
“Se
uno le fa la corte e poi le chiede il permesso di montarla, resta scandalizzata
da una simile indecenza e dice che non potrebbe mai amare un uomo con gusti
così bassi...”
HEINRICH
HEINE (1797-1856, poeta) :
“Sognavo
di lei, che non desidero amare, che non devo amare, ma per la quale la mia
passione mi dà una grande felicità segreta”
ARSENE
HOUSSAYE (1815-1896, letterato) :
“Le
due donne più amate da Alfred de Musset [quasi certamente allusione a George
Sand e Cristina, nda] erano però nella posizione ideale per ridere delle sue
persistenti passioni e per commentare da iniziate i piaceri esasperanti di
Saffo...”
“...meravigliosa
organizzatrice dei festini dell’amore, ma pronta a eclissarsi al momento di
mettersi a tavola”
GIULIA
BECCARIA (1762-1841, figlia del giurista Cesare e madre di Alessandro Manzoni)
:
“E’
venuta a trovarmi Cristina e si è comportata con me come la più affettuosa
delle figlie. Sono stata veramente emozionata dalla sua semplicità e dalla sua
tenerezza”
CONTE
FEDERICO CONFALONIERI (1785-1846, patriota) :
“Ecco
un’altra prova della sua follia” (commento alle riforme attuate a Locate)
ALESSANDRO
MANZONI (1785-1873, scrittore e poeta) :
“...la
mania di quella signora di diffondere l’istruzione fra i suoi contadini (...)
Ma quando quelli sarano tutti dotti, a chi toccherà zappare la terra?”
VICTOR
COUSIN (1792-1867, filosofo) :
“Foemina
sexu, vir ingenio (sesso femminile, genio maschile)”
FERDINANDO
II DI BORBONE (1810-1859, re di Napoli) :
“Finalmente
ci siamo liberati di quella scocciatrice!”
PADRE
ANTONIO BRESCIANI (1798-1862, gesuita) :
“Femmina
sfacciata e impudente”
CONTE
TERENZIO MAMIANI (1799-1885, filosofo e politico) :
“La
prima scrittrice d’Italia”
UN
CRITICO SULLA REVUE DES DEUX MONDES :
“E’
nella conversazione che le donne realizzano in gran parte il loro pensiero.
Perciò non possono creare, dato che lo scrivere richiede solitudine. La
scrittrice dell’Essai è tuttavia un’eccezione a quest’ordine naturale, ma i
difetti del libro non possono non essere attribuiti alle solite lacune
femminili...”
UN
PRETE :
“Fuggite
più presto che potete, un fascicolo che vi riguarda è sul tavolo del cardinale
il quale vi ha scritto sopra, di suo pungo : ‘sentimenti irreligiosi’” (durante
il soggiorno della principessa a Roma)
UNA
SPIA A CARLO GIUSTO TORRESANI DI LANZFELD (direttore generale di polizia) :
“Finalmente,
la Principessa di Belgioioso ha dato l’addio a Marsiglia. Ella è partita
martedì scorso per Parigi conducendosi seco il di lei drudo Bolognini che
viaggia sotto il nome di Bianchi. Il soggiorno di Marsiglia deve esserle
costato molto denaro; molti giovanotti ne hanno approfittato : essi hanno celebrato
la sua generosità nobilissima e, nello stesso tempo, hanno denigrato la di lei
reputazione di moralità proclamandola una Messalina”
UN
CONFRONTO : CRISTINA VERSUS VIRGINIA
Non è
mia intenzione svilire un personaggio storico per esaltarne un altro.
Ma credo che il confronto fra queste due donne che hanno fatto parte e fatto il
Risorgimento, ben spieghi la visione essenzialmente maschilista del concepire
il ruolo femminile nella politca dell’epoca.
Cristina
versus Virginia, in parte non possibile, per la differenza d’età – la
Belgiojoso poteva tranquillamente essere madre della Oldoini (1837-1899) – in
parte credibilissimo proprio per il medesimo momento cui hanno partecipato
nell’Italia in nascita.
Virginia
Oldoini, anche lei figlia di un marchese, diviene col matrimonio, neanche
ventenne, contessa di Castiglione.
Adora civettare, avere innamorati, uomini ai suoi piedi, e se lo può ampiamente
permettere, perchè è considerata la più bella donna d’Europa : oggi verrebbe
spietatamente messa a dieta, ma nell’Ottocento è di una carnosa e sana
magnificenza.
Cugina di Cavour, la sua avvenenza diviene arma assai astuta : la
conquistatrice instancabile è inviata a Parigi, con una missione diplomatica
ben particolare : entrare nelle grazie di Napoleone III – una spia fra le
lenzuola.
Ci rimangono molte biografie della dama, una moltitudine di fotografie, e da
entrambe emerge una cosa : una vivacità consapevole e instancabile.
Molti i suoi flirt, e prima del potente francese ci sono stati Vittorio
Emanuele II, il banchiere Rotschild, l’ambasciatore Nigra e altri.
A quanto pare, il suo contributo presso il nipote di Bonaparte ormai
imperatore, è utile : l’appoggio della Francia nella guerra in Crimea (in
effetti non sono incontri sporadici, quelli della nobildonna con Napoleone III,
ma una vera e propria liason sentimentale).
La sua vecchiaia è in ristrettezze e con molta amarezza per la venustà
scomparsa, al punto da coprire gli specchi di casa, per non vedere il
disfacimento di quella che è stata la sua più palese dote : il suo corpo, che
viene descritto persino come “una statua di carne”.
E’ definita, senza molta eleganza, “la vulva d’oro del Risorgimento”, e
qualunque sia stato il suo stile, pare abbia funzionato.
Ma.
Non
condivido la tesi diffusa secondo la quale Virginia fosse esclusivamente una
bella sciocca.
Può essere che, in maniera più trasversale e sottile, sia stata anche lei
vittima di una misoginia dei tempi che furono, per cui non sarebbe azzardato
fare attenzione a cogliere spunti estremamente superficiali
Che le piacesse il rituale del corteggiamento e quanto ne segue, non è nulla di
male, anzi – ben venga un pò meno ipocrisia.
Nelle biografie sulla Castiglione lette, mi permetto di esprimere però un
giudizio in rapporto alla figura di Cristina : non emerge, nella giovane
Oldoini, una sventata, ciò è vero, altrimenti, aspetto e sessualità a parte,
non avrebbe tenuto avvinto a sè un potente per mesi e mesi.
Ma, onestamente, devo anche affermare che non traspare minimamente una
profondità di pensiero o cultura paragonabili a quelle di Cristina.
Nè emerge una forza di carattere, o un’intraprendenza o onestà intellettuali
pari a quelle della principessa.
Non era un’appassionata di letture, o scrittura.
Non era così presa, dentro, dagli ideali di unità nazionale, nè era disposta a
rischiare la propria persona per perseguire mete sociali, col rischio di essere
denigrata e rifiutata.
Non si occupava di riforme, o di diffusione di giornali, nè si sarebbe messa a
cuor leggero a medicare ferite in cancrena.
E preciso : tutte queste manchevolezze non sono difetti, sono anzi
comprensibilissime – come già scritto, nessuno è obbligato ad essere eroe o
eroina, e infatti, quasi nessuno di noi lo è.
Era una giovane che aveva qualcosa da offrire, traendone gloria, prestigio e
riconoscimento.
L’ha fatto con delizia e felicità.
Il dolore era altrove.
Queste
falle divengono però significative quando svelano che una Virginia viene
ricordata non solo per i suoi amori, ma anche come protagonista del
Risorgimento, mentre una Belgiojoso si smarrisce nel nulla.
Una si infiltrava nelle corti, nel talamo imperiale, e sapeva essere seducente
e convincente, quindi affascinante.
Vulva d’oro è una definizione francamente offensiva.
Eppure, mostra chiaramente quale fosse il compito che si era disposti a
riconoscere a una femmina che si impiccia di queste cose : può funzionare sì,
può essere considerata, sì – fra le coperte di chi conta, però.
Lì e solo lì.
La
Oldoini ebbe una sua grandezza – condivisibile o meno.
La Trivulzio, invece, fu grande.
Ma,
ahimè, come notò qualcuno, non si faceva montare.
FIGLIA
DI UN TEMPO CHE NESSUNO SA
Cristina
era donna, su questo siamo certi no?
E, ribadisco, ciò le è costato un penoso oblio che altrimenti avrebbe reso il
suo nome usuale alla nostra memoria.
“Sono d’accordo con lei”, mi scrive Carlotta Sorba, docente di storia
contemporanea e storia del Risorgimento all’Università di Padova, “Si tratta di
una donna eccezionale e certamente poco ricordata”. Ma, aggiunge, “Molti studi
recenti l’hanno in un certo senso ‘riscoperta’ e oggi se ne parla molto di più
(tra gli studiosi che si occupano del periodo)”.
Purtroppo, “Questo interesse non è ancora emerso però nei libri scolastici o
nei volumi per il grande pubblico”.
La
questione della dimenticanza viene poi approfondita da Roberto Pertici, docente
di storia contemporanea, del Risorgimento e storia d’Europa del XX secolo
all’Università degli studi di Bergamo : “C’è un problema più complessivo : la
crisi della memoria risorgimentale. Per una serie di ragioni politico-culturali,
nell'ultimo mezzo secolo si è avuto un progressivo appannarsi ed estinguersi
dell'eredità risorgimentale, che non viene considerata più un valore da
proporre alle giovani generazioni, etc. Questo in conseguenza di quella che è
stata chiamata la ‘morte della patria’, cioè la crisi dell'identità italiana e
del sentimento di appartenenza nazionale successiva alla seconda guerra
mondiale”.
Dunque
: figlia di un momento importantissimo delle nostre radici, ma smarrito.
Figlia di se stessa, donna tenace e in primis donna.
E non fra i nomi principali, fra gli attori noti.
L’eclissi
della Belgiojoso era annunciata.
EPILOGO
Se
anche fosse stata un personaggio “minore”, è innegabile che abbia realizzato
molto.
Non lo raccontano solo le sue parole su carta, ma le sue stesse azioni – la sua
vita è una confessione magnifica.
Se il Risorgimento è caduto nel dimenticatoio, ciò non impedisce comunque di
rendere familiare, alle nostre orecchie, i principali artefici di quella
Storia.
Il
suo invece è qui, coperto di polvere – come i suoi infiniti fogli.
E la vedo, lì, alla finestra della soffitta parigina, in una arida luce
autunnale, nel pieno centro della sua gioventù.
China, con le dita sporche di inchiostro, i pensieri sparpagliati ovunque, i
progetti stipati fino al soffitto, il profilo nitido e pallido.
Della
sua mente intrepida, della sua intraprendenza seccante, restano pochi libri,
forse nemmeno una piazza, in Italia.
E lei lo sapeva – troppo intelligente per illudersi sui riconoscimenti postumi.
Quindi mi metto qui, io pure donna, di un altro tempo, di luoghi simili.
La racconto, e spero che questa immagine – questo dipinto di Hayez, non quello
vero, ma quello nella mia testa, di lei assorta – spero che questa immagine
entri anche in altri.
O anche un pastello, andrebbe bene, dove la si scorge sulla nave, verso il suo
nord, nel momento del bisogno, con un esercito di volontari che la seguono
obbedienti.
La
mia Cristina – e potrebbe essere di molti.
In
fondo, appunto, ha voluto solo (e inutilmente) un po' di gratitudine.
Ben
poco cosa, per una persona come lei.
Come
disse Mazzini, “Un vero tormento”.
BIBLIOGRAFIA
E RISORSE INTERNET
-Ambrosini
F., “Camillo Cavour : il più grande statista della nostra storia”, Edizioni del
Capricorno, Torino 2005 ;
-Berenger J., “Storia dell’impero asburgico”, Il Mulino, Bologna 2003 ;
-Della Peruta F., “L’Italia del Risorgimento : problemi, momenti e figure”,
Angeli, Milano 1997 ;
-Del Negro P., “Le guerre dei Savoia : 1792-1859”, Giunti, Firenze 1996 ;
-Gattey C. N., “Cristina di Belgiojoso”, Vallecchi, Firenze 1974 ;
-Grillandi M., “La contessa di Castiglione”, Rusconi, Milano 1978 ;
-Habsburg F. M., “Il governatore del Lombardo-Veneto : 1857-1859 – Massimiliano
d’Asburgo”, Studio Tesi, Pordenone 1992 ;
-Herre F., “Napoleone III : splendore e miseria del secondo impero”, Mondadori,
Milano 1992 ;
-Incisa L., Trivulzio A., “Cristina di Belgiojoso. La principessa romantica”,
Rusconi, Milano 1984;
-Monti A., “Il 1848 e le cinque giornate di Milano : dalle memorie inedite dei
combattenti sulle barricate”, Frilli, Genova 2004 ;
-Petacco A.,“La principessa del nord. La misteriosa storia della dama del
Risorgimento : Cristina di Belgiojoso”, Mondadori, Milano 1994;
-Petacco A., “L’amante dell’imperatore : amori, intrighi e segreti della
contessa di Castiglione”, Mondadori, Milano 2000 ;
-Rainero R. (a cura di), “I personaggi della storia del Risorgimento”,
Marzorati, Milano 1976 ;
-Spinosa A., “Italiane, il lato segreto del Risorgimento”, Mondadori, Milano
1994;
SCRITTI
PRINCIPALI DI CRISTINA
Questo
elenco non comprende articoli giornalistici, ma le sue opere complete :
-
“Essai sur la formation du dogme catholique”
4 vol. Paris: J. Renouard & C., 1842
- “La Science Nouvelle, Vico et ses ouvres, traduite par
M.me Belgiojoso”
Paris. J. Renouard & C, 1844
- “La
Science Nouvelle, Vico et ses ouvres, traduite par M.me Belgiojoso”
Milano,1844
-“
Essai sur Vico par M.me la Princesse B.***”
Milano, chez Charle Turati, 1844
-“Etude sur l’histoire de la Lombardie dans les trente
dernières années, ou les causes du défault d’energie chez les Lombards”
Jules Laisné, Paris, 1846
- “Emina”
Paris and Leipzig, 1856
- “Scénes de la vie turque (Emina; Un prince Kurde; Les deux
femmes d’Ismail-Bey)”
Paris, 1858
- “Asie Mineure et Syrie, souvenirs de voyage”
Paris, 1858
-
“Histoire dé la Maison de Savoie”
Paris, 1860
-
“Osservazioni sullo stato attuale dell’Italia e del suo avvenire
Milano”, 1868
- “Reflexions sur l’état actuel de l’Italie et sur son
avenir”
Paris, Librarie Internationale, 1869
-
“Sulla moderna politica internazionale. Osservazioni”
Vallardi, Milano, 1869.
-
“Souvenirs dans l'exil”,
Istituto Editoriale Italiano, Milano, 1946
(pubblicato con l'autorizzazione dell'autrice)
(pubblicato con l'autorizzazione dell'autrice)
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RispondiEliminaAvevo fatto un errore di battitura e l'ho riscritto
EliminaBellissimo questo scritto su Cristina Trivulzio Belgioioso, fa parte della nostra storia ed è importante conoscere storie di donne come lei. Ringrazio l'autrice.
RispondiEliminaGiovanna Rotondo
sei grande Alessia!
RispondiEliminaM