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giovedì 10 novembre 2016

"Io non mi chiamo Miriam", di Majgull Axelsson

(a cura di Mimma Zuffi)


Iperborea - pagg. 576 - € 19,50

Postfazione di B. Larsson

"Io non mi chiamo Miriam", dice di colpo un’elegante signora svedese il giorno del suo ottantacinquesimo compleanno, di fronte al bracciale con il nome inciso che le regala la famiglia. Quella che le sfugge è una verità tenuta nascosta per settant’anni, ma che ora sente il bisogno e il dovere di confessare alla sua giovane nipote: la storia di una ragazzina rom di nome Malika che sopravvisse ai campi di concentramento fingendosi ebrea, infilando i vestiti di una coetanea morta durante il viaggio da Auschwitz a Ravensbrück. Così Malika diventò Miriam, e per paura di essere esclusa, abbandonata a se stessa, o per un disperato desiderio di appartenenza continuò sempre a mentire, anche quando fu accolta calorosamente nella Svezia del dopoguerra, dove i rom, malgrado tutto, erano ancora perseguitati.



Dando voce e corpo a una donna non ebrea che ha vissuto sulla propria pelle l’Olocausto, Majgull Axelsson affronta con rara delicatezza e profonda empatia uno dei capitoli più dolorosi della storia d’Europa e il destino poco noto del fiero popolo rom, che osò ribellarsi con ogni mezzo alle SS di Auschwitz. Io non mi chiamo Miriam parla ai nostri giorni di crescente sospetto verso l’«altro» interrogandosi sull’identità – etnica, culturale, ma soprattutto personale – e riuscendo a trasmettere la paura e la forza di una persona sola al mondo, costretta nel lager come per il resto della vita a tacere, fingere e stare all’erta, a soppesare ogni sguardo senza mai potersi fidare di nessuno, a soffocare i ricordi, i rimorsi, il dolore per gli affetti perduti: «Non si può dire tutto! Non se si è della razza sbagliata e si ha vissuto sulla propria pelle l’intero secolo.»


«Ho pensato spesso a lei. A Miriam. La persona di cui ho vissuto la vita.»
(Majgull Axelsson, Io non mi chiamo Miriam, p.332)

Majgull AXELSSON (1947), scrittrice, drammaturga e giornalista, è una delle più apprezzate autrici svedesi, tradotta in ventitré lingue e premiata con l’ambito Augustpriset. Dopo essersi affermata con inchieste su spinose problematiche sociali, come la prostituzione infantile nel Terzo mondo e la povertà in Svezia, ha esordito con successo nella narrativa, coniugando l’attenzione per le ingiustizie e per le condizioni di disagio materiale ed esistenziale con una grande capacità di calarsi nei destini dei suoi personaggi. È cresciuta a Nässjö, dove si svolge parte della vicenda narrata in Io non mi chiamo Miriam.


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