(a cura di Mimma Zuffi)
Iperborea - pagg. 576 - € 19,50
Postfazione di B. Larsson
"Io
non mi chiamo Miriam", dice di colpo un’elegante signora svedese il giorno del
suo ottantacinquesimo compleanno, di fronte al bracciale con il nome inciso che
le regala la famiglia. Quella che le sfugge è una verità tenuta nascosta per
settant’anni, ma che ora sente il bisogno e il dovere di confessare alla sua
giovane nipote: la storia di una ragazzina rom di nome Malika che sopravvisse
ai campi di concentramento fingendosi ebrea, infilando i vestiti di una
coetanea morta durante il viaggio da Auschwitz a Ravensbrück. Così Malika
diventò Miriam, e per paura di essere esclusa, abbandonata a se stessa, o per
un disperato desiderio di appartenenza continuò sempre a mentire, anche quando
fu accolta calorosamente nella Svezia del dopoguerra, dove i rom, malgrado
tutto, erano ancora perseguitati.
Dando voce e corpo a una donna non ebrea che
ha vissuto sulla propria pelle l’Olocausto, Majgull Axelsson affronta con rara
delicatezza e profonda empatia uno dei capitoli più dolorosi della storia
d’Europa e il destino poco noto del fiero popolo rom, che osò ribellarsi con
ogni mezzo alle SS di Auschwitz. Io non mi chiamo Miriam parla ai
nostri giorni di crescente sospetto verso l’«altro» interrogandosi
sull’identità – etnica, culturale, ma soprattutto personale – e riuscendo a
trasmettere la paura e la forza di una persona sola al mondo, costretta nel
lager come per il resto della vita a tacere, fingere e stare all’erta, a
soppesare ogni sguardo senza mai potersi fidare di nessuno, a soffocare i
ricordi, i rimorsi, il dolore per gli affetti perduti: «Non si può dire tutto!
Non se si è della razza sbagliata e si ha vissuto sulla propria pelle l’intero
secolo.»
«Ho pensato spesso a lei. A Miriam. La persona di cui ho
vissuto la vita.»
(Majgull Axelsson, Io non mi chiamo Miriam, p.332)
Majgull AXELSSON (1947), scrittrice, drammaturga e
giornalista, è una delle più apprezzate autrici svedesi, tradotta in ventitré
lingue e premiata con l’ambito Augustpriset. Dopo essersi affermata con
inchieste su spinose problematiche sociali, come la prostituzione infantile nel
Terzo mondo e la povertà in Svezia, ha esordito con successo nella narrativa,
coniugando l’attenzione per le ingiustizie e per le condizioni di disagio
materiale ed esistenziale con una grande capacità di calarsi nei destini dei
suoi personaggi. È cresciuta a Nässjö, dove si svolge parte della vicenda
narrata in Io non mi chiamo Miriam.
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