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martedì 4 ottobre 2016

BRIDGET JONES’S BABY

recensione di Stefania Mignoli

E poi ti capita di andare al cinema e avere voglia di scrivere di notte di Stefy, Bridget Jones e delle amiche speciali. 
Se sei un uomo forse non vale la pena neanche di entrare in sala a vedere le “gesta” di Bridget Jones. Comunque, vuoi un consiglio amichevole? Anche se, forse,  sei single, o se ultimamente non capisci le donne conviene andare a vederlo. Non come facciamo noi donne, per guardare in faccia i nostri luoghi comuni e le nostre debolezze, ma per capire, come funziona il giochino. Non stiamo parlando dell’algoritmo di cui si parlerà a un certo punto nel film, quanto dello “schemino classico”, l’eterno cercarsi/respingersi tra uomo e donna, che ancora una volta ripesca da Orgoglio e Pregiudizio di Jane Austen, e a noi tutte piace e rassicura nella scelta finale.


Bridget Jones questa volta è alle prese con i suoi quarant’anni e con il tema della fertilità. Non alla maniera della Lorenzini, ossessiva e banale, ma con la consueta “leggerezza” e umanità di Bridget. A proposito di umanità, in questo film Reneé Zellweger è tremendamente umana: con le rughe sul viso, temibili, solco di esperienza particolarmente marcata, visto che sono dovute risorgere dopo le negative imprese della chirurgia plastica e del botox sul viso dell’attrice. Ma vi dirò: se questo - chiamiamolo dettaglio - è un elemento quasi disturbante nelle prime scene del film, per l’ audience del film, le quarantenni che sono state Bridget Jones negli anni passati, le future quarantenni, le ormai cinquantenni, e le definitivamente 60-70 enni, alla fine è un elemento di identificazione fortissimo, ulteriore collante in un film veramente divertente, che gioca tutto sulla sua capacità di far identificare nella protagonista il pubblico femminile.
Perché tra battute, risate, personaggi di contorno femminili straordinari – tra cui una Emma Thompson in stato di grazia – alla fine questo film ha veramente il pregio di dare un messaggio forte e chiaro che, ancora una volta, va dritto al cuore: come donne, si può avere anche il diritto di essere “normali”. Ma ancora di più: cercando di collegare poi questo messaggio a quello “schemino” iniziale di cui parlavamo: il segreto dei segreti è che questa normalità piace, in fondo in fondo, anche agli uomini. Che non hanno paura della banale sincerità, dei capelli scompigliati, di una donna che non chiede continuamente certezze, e che a sua volta non ne dà. Ma vogliono proprio quella donna: una che si spende, con ironia e semplicità – e qui anche con qualche evidente ruga – per quello che è veramente. Anche davanti a due “mostri” di puro desiderio femminile, come Colin Firth e Patrick Dempsey. Bridget Jones’s Baby, terzo film della serie, ha la stoffa del primo e la forza di fotografare i nostri tempi che ha fatto balzare al primo posto dell’immaginario femminile questo personaggio buffo e familiare. La nostra amica zitella, primipara attempata, che non lo è più. In attesa di nuove e straordinarie avventure.

7 commenti:

  1. Bel pezzo, scritto anche ironicamente bene. Peccato che all'inizio consigli agli uomini di non entrare a vederlo cadendo in un pietoso femminismo. Juanito.

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    1. Carissimo Juanito, sei caduto nella trappola, tesa per appunto allo scopo di portare tutti al cinema. Non sono una femminista, non temere. Evviva la differenza tra uomo e donna.

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  2. simpatica e acuta recensione. Brava Stefania in poche righe hai colto nel segno.
    Antonella

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  3. Senza tergiversare tanto la tua analisi non solo è divertente ma ci mette di fronte a una realtà. Bridget è sempre Bridget
    Federico

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  4. Grandiosa Stefania! Si legge e si ha subito voglia di entrare al cinema e trovare la Bridget Jones che hai saputo descrivere qui come la migliore rappresentazione di una donna finalmente in pace con se e con il mondo, libera e autentica nella sua normalità. Una bella recensione per un film che consiglierei tanto agli uomini quanto alle donne, in generale a tutti coloro che, raggiunti gli 'anta, non sanno ancora arrendersi al "giochino": accettare finalmente la propria sana e imperfetta normalità.

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  5. Risposte
    1. Mi incuriosisce molto: ma lo hai visto?

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