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mercoledì 23 settembre 2015

Sorelle

di Annalisa Petrella


Ingrid
Ingrid era felice, sentiva la mano della mamma che avvolgeva completamente la sua e la teneva stretta come in un tenero abbraccio. Ormai avevano sorvolato le Alpi così maestose e lei ne era entusiasta, uno spettacolo lucente di neve e rocce e poi fiumi e verde, tanto verde, bellissimo.
Non aveva paura di volare e prima della partenza l’aveva detto alla mamma, ma lei non le aveva prestato molta attenzione: negli ultimi giorni aveva mostrato un atteggiamento insolito, il viso bellissimo e serio era attraversato da un turbamento sconosciuto, il passo deciso accanto al suo aveva un che di nervoso, aveva percorso avanti e indietro mille volte lo spazio esiguo del loro appartamento ad Amsterdam alla ricerca di oggetti e carte che poi aveva infilato nelle valigie con una meticolosità inspiegabile, quasi maniacale.


Ingrid non capiva, in fondo si sarebbe trattato di una vacanza al mare in Italia, il paese di nascita della mamma, e non le pareva il caso di preoccuparsi a tal punto per l’organizzazione di un breve periodo. Ma sapeva che quando lei era di quell’umore era meglio lasciar perdere e rimanere tranquilla, aspettando che il momento passasse. Era fatta così. Quando l’aereo aveva iniziato la discesa su Bologna, Ingrid aveva sorriso a sua madre e le aveva detto di essere orgogliosa di quel primo viaggio da sola con lei. Le occasioni per fare qualcosa insieme erano rare, la mamma era sempre molto impegnata con il suo lavoro e persino la sera, dopo cena, doveva uscire per finire un sacco di cose che erano rimaste in sospeso. A quel punto arrivava a casa la signora Bart che si fermava per farle compagnia prima di andare a dormire.  
Nessuna delle mie compagne di scuola ha mai fatto un viaggio in un posto così lontano e avrò un sacco di cose da raccontare al ritorno; ho promesso alla maestra di portarle un album con i miei disegni sui momenti più belli della vacanza, lei dice che disegno bene! Per fortuna con i miei pastelli acquarellati posso fare tutte le sfumature che voglio.

Disegno numero 1: l’aereo KLM sulle Alpi.

La prospettiva dall’alto mi dà una sensazione strana, non è facile renderne l’idea, ma ci provo. Risultato da 1 a 10: 7.
Non sono soddisfatta del risultato e la mamma è d’accordo, il disegno è un po’ piatto, ma dice che le nuvole sono stupende.
Recuperati i bagagli - fortunatamente è arrivato tutto - li abbiamo messi sul carrello in aeroporto e poi sul taxi per la stazione dei treni, le due enormi valige blu con rotelle nel portabagagli, lo zainetto rosso sulle mie spalle e lo zaino più grande della Mandarina sulle spalle della mamma. Devo dire che ho voluto dimostrarle che, malgrado i miei sette anni scarsi, (li compirò in ottobre), ho una buona capacità di rendermi utile al bisogno e lei ha apprezzato.
Il treno da Bologna a Cervia ha impiegato un’ora e quarantacinque minuti di viaggio. Quasi come il tempo impiegato con l’aereo da Amsterdam a Bologna: non c’è proporzione! Comunque siamo arrivate e ho visto per la prima volta il mare Adriatico di un blu, così blu che per il mio disegno dovrò fare un miscuglio di celeste e blu notte forse con qualche ritocco di bianco qua e là.
Quando siamo arrivate al chiosco con le bandierine e il tetto a righe bianco e rosso, (veramente carino!), la mamma ha fatto fermare il taxi e, con tutti i bagagli sul marciapiede, si è fermata a guardare chi ci fosse alla cassa. Il ragazzo preparava le piadine e la signora dava il resto ai clienti.
 Quando la donna che prima rideva ci ha visto di colpo si è immobilizzata e forse è diventata più pallida, una scena incredibile: guardava la mamma fissa negli occhi e poi, seguendo il suo braccio e le nostre mani allacciate è arrivata a me. Mi ha squadrato con attenzione, ha riguardato la mamma, ha fatto un cenno con il capo, e finalmente mi ha sorriso. Velocemente è uscita dal chiosco e si è avvicinata a noi, ha sfiorato con un tocco leggero della mano la spalla della mamma e chinandosi verso di me ha chiesto: - Cara, la vuoi una piadina con lo squacquerone? Alla tua mamma è sempre piaciuta.

Disegno numero due: Una bimba di quasi sette anni, treccine bionde, pantaloni rossi e maglietta bianca, con due donne dai capelli castano chiaro, quasi identico, (colore non facile da ottenere, provo con marroncino, giallo e un tocco di bianco), sedute su una panchina di legno marrone scuro, (perfetto!), sotto un pino marittimo altissimo dalla chioma verde, (il disegno degli aghi ha richiesto una certa precisione). Tutte e tre sorridono, (bocche a mezza luna in su), con la piadina in mano, la mia è già ridotta a metà.
Risultato da 1 a 10:10 per l’impegno e l’emozione, 8 per il colore dei capelli. La media è 9.  La mamma e la zia propongono comunque 10 per la complessità del disegno.

Karin
Se ripenso a quel pomeriggio di luglio mi sembra ancora d’impazzire.

Nella casa di Mara a Milano Marittima c’era il silenzio della siesta, avevamo trascorso la mattinata in spiaggia tutti insieme: Giorgia, Mara, Pippo con gli amici e la loro madre, bellissima, lunare più che mai, che si proteggeva dal sole leggendo Proust sotto la tettoia dello stabilimento balneare. Io ero la maggiore dei ragazzi e, in verità, cominciavo a stancarmi di quell’invito al mare che si ripeteva annualmente nelle due settimane centrali di luglio. A diciassette anni sei troppo adulta per stare con i ragazzini e troppo giovane per stare con gli adulti. Invece per mia sorella Giorgia, allora non ancora tredicenne, quella vacanza rappresentava un divertimento grandioso ed esclusivo da condividere con la sua simpatica e ricca compagna di banco; la nostra famiglia aveva risorse economiche modestissime e non potevamo permetterci vacanze marine. Se poi arrivava anche Pippo, il fratello scatenato, con la compagnia del ginnasio, il tutto si animava di giochi e serate all’insegna dell’allegria.

La lussuosa villa in stile liberty, dipinta di un gradevole colore giallo chiaro con i profili delle finestre evidenziati in un giallo più intenso, si sviluppava su tre piani ed era circondata da un giardino che confinava con la pineta. In alto c'erano le camere da letto e i bagni, a piano terra la zona giorno con salotti e cucina, nel seminterrato le sale da gioco, compresa quella da biliardo, uno studio e una zona pranzo per le cene invernali.

Giorgia, bellissima, era sbocciata di colpo e a dodici anni e mezzo, tredici a settembre, aveva il corpo già maturo di una sedicenne, seni prosperosi, gambe lunghissime e un'andatura ancheggiante che pareva sfidasse gli sguardi avidi dei ragazzi che la attraversavano con cupidigia. Era orgogliosa del suo successo che la faceva sentire già donna, e non si schermiva davanti a battute e apprezzamenti, anzi si mostrava sicura di sé e non modificava minimamente il suo modo di fare suscitando in me una rabbia che sfociava spesso in litigate furibonde.

- Sei una vanitosa incosciente! Non ti rendi conto che la gente ti prende per una poco di buono? Hai sempre bisogno di esibirti come su una passerella? Piantala, sei ancora una ragazzina!

- Non mi dire che sei invidiosa, non posso crederci! E poi cosa faccio di male? Non preoccuparti che so io come difendermi. Tu piuttosto datti una svegliata che sembri una suora di clausura!

A scuola se la cavava discretamente, aveva frequentato la seconda media, ma alcuni professori avevano segnalato a papà il suo atteggiamento di sfida che spesso risultava fastidioso e provocante. Non avevamo la mamma ed io cercavo di supplire come potevo, ma senza successo. Era difficile tenerle testa, alternava dolcezza a caparbietà, supponenza a promesse di cambiamento. Era come la carta moschicida: non c’era persona di sesso maschile che non restasse ammaliata dal suo modo di fare intrigante e allusivo. Raramente, dopo le terribili litigate tra noi - era una guerra continua - Giorgia si trasformava e, consapevole dell’esasperazione che aveva suscitato in me, mi abbracciava all’improvviso, chiedendomi scusa dei suoi sbalzi d’umore. Io l’amavo tantissimo e non c’era cosa che non avrei fatto per lei.

Quel pomeriggio di luglio, dopo il pranzo in giardino, allestito con una certa abbondanza per fare festa al padre di Mara che era appena arrivato, ci eravamo dati appuntamento alle cinque sulla spiaggia. Io e mia sorella eravamo salite in camera per leggere, ma lei dopo pochi minuti aveva deciso di scendere all’aperto con il suo libro. Mi ero appisolata e al risveglio avevo deciso di raggiungerla sotto il glicine. Ma non la trovai. “L’isola di Arturo” era lì, sul tavolo di pietra, e di Giorgia nessuna traccia. Andai alla spiaggia dove trovai Pippo, Mara e i ragazzi; nessuno aveva sue notizie, tutti pensavano che fosse con me.

Ero turbata e, mentre tornavo verso casa nel silenzio assordante di quell’afoso pomeriggio estivo, fui presa da una profonda sensazione d’ansia che mi spingeva a muovermi con urgenza. Dopo aver perlustrato il giardino da capo a fondo e le sale del piano terra decisi di scendere a quello inferiore.Non li vidi subito, ma li sentii: bisbigli ansimanti e sospiri inequivocabili. Poi entrai nella sala da biliardo e credetti di morire, ero diventata un blocco di ghiaccio, non riuscivo a muovermi, a respirare, a proferire parola. Li guardavo e tutto dentro di me si solidificava in un grumo d’impotenza totale, avrei voluto gridare, ma non potevo, avrei voluto dare fine a quello scempio, ma ero paralizzata: lei, completamente nuda, era distesa sul tavolo da biliardo e s'inarcava gemendo verso il corpo di lui che baciandola la percorreva tutta e la penetrava con vigore dicendole parole irripetibili.

Finalmente esplose in me una scintilla di vita e fui preda di una furia devastante: rabbia, disperazione, schifo, abuso, violenza, bambina, stupro! Reagii come un fulmine e non so come mi trovai tra le mani quell’asta da biliardo, so soltanto che nel momento esatto in cui il padre di Mara alzò gli occhi stupiti verso di me io lo colpii con tutta la forza che possedevo nel tentativo di annullare quell’orrore. Lo schianto fu tremendo, accompagnato da uno scricchiolio sinistro.

Il corpo dell’uomo si abbatté su quello di Giorgia che iniziò a gridare cercando di liberarsi dal peso che la schiacciava. La aiutai a spostarsi e cercai di calmarla, ma lei si scansava e scoppiò in un pianto disperato senza fine, poi si accasciò in posizione fetale accanto al corpo di lui singhiozzando e quando io cercai di abbracciarla e di portarla via lei si ribellò, colpendomi violentemente con pugni e schiaffi.

Non capivo: l’avevo difesa e liberata da uno stupratore travestito da amico di famiglia che aveva tradito la fiducia accordatagli e abusato di una ragazzina di dodici, dico dodici anni! Ma lei soffriva atrocemente perché lo aveva perduto! Inconcepibile! Non contava nulla il fatto che io fossi arrivata mio malgrado a uccidere per salvarla e che, pur completamente sconvolta dagli eventi, mi sforzassi di darle conforto. Niente, lei si disperava per lui. Si era chiusa in un mondo sordido di perversione in cui le coordinate avevano assunto significati completamente rovesciati. Ero incredula, disperata e completamente sola con tutto il peso di una colpa mostruosa di cui prendevo coscienza attimo dopo attimo e che mi faceva sprofondare nel buio di un destino inalienabile totalmente avverso.

Lo scandalo fu enorme, anche se le buone amicizie della famiglia di Mara riuscirono a ridurre al minimo le ripercussioni sul loro nome e a presentare sui media i fatti in modo discutibile ed equivoco. Certo è che il mio nome e la mia foto comparvero sulle prime pagine dei quotidiani che mi definirono: “La sorella omicida”.  Il loro avvocato arrivò a un patteggiamento con il nostro ed io dopo un periodo d'internamento in riformatorio fui affidata ai servizi sociali per il “recupero”.

Non so cosa ci fosse da recuperare, le cose ai miei occhi e nella mia coscienza erano chiare e logiche: avevo colpito, e involontariamente ucciso, lo stupratore di mia sorella minore di dodici anni, colto sul fatto. Non ero pentita di avere cercato di bloccare una situazione orrenda e inaccettabile, certamente ero dispiaciuta di avere causato la morte di qualcuno, ma se pensavo al padre di Mara in fondo ero convinta che avesse avuto una punizione adeguata. Sicuramente, se non l’avessi fermato, lo schifoso avrebbe continuato a insidiare e stuprare altre bambine.

Ci volle molto tempo e pazienza per uscire dall’incubo, il peso del rimorso si era gradualmente affievolito nella certezza di avere agito impulsivamente, mossa da sentimenti buoni verso mia sorella che era la vittima innocente di uno stupratore e, nelle sedute con lo psicologo, imparai a controllare rabbia e dolore e a elaborare col suo aiuto un progetto di vita accettabile malgrado il mio nome e la mia anima fossero marchiati a fuoco.

La cosa più dolorosa che rimaneva come una ferita aperta era il rifiuto totale di Giorgia nei miei confronti. Mio padre dopo la tragedia mi aveva sostenuto con i pochi soldi che aveva da parte e con la sua fragile tenerezza e tre anni dopo il fattaccio era morto per un infarto, ma mia sorella mi aveva cancellato dalla sua vita. Dopo il processo mi aveva comunicato con tono glaciale che non voleva più avere a che fare con me. Ricordo ancora il suo sguardo impenetrabile. Un muro di gomma. Avevo provato a scriverle, ma le mie lettere non ricevevano risposta. Raramente mi arrivavano sue notizie dalla famiglia che l’aveva presa in affido dopo la morte di papà, ma al compimento dei suoi diciott’anni mi avevano fatto sapere che era partita per Amsterdam alla ricerca di un lavoro.

La cooperativa dove lavoravo mi aveva dato finalmente una settimana di ferie, era la mia prima occasione di vita da donna completamente “libera” dopo anni di controlli da parte di poliziotti, assistenti sociali e psicologi. Da tempo avevo fatto fare una ricerca su Giorgia attraverso un’agenzia investigativa che mi aveva quasi prosciugato i risparmi di dieci anni di lavori sociali scarsamente retribuiti e finalmente avevo un indirizzo. Non avevo fatto progetti particolari, volevo solamente rivedere mia sorella.

Partii per Amsterdam, il viaggio di andata fu un sogno di libertà e di bellezza: la luce, la gente, i canali, le biciclette, tutto in quella città mi sembrava accogliente e perfetto, finalmente capivo il motivo per cui Giorgia avesse scelto di trasferirsi lì. Forse col tempo avrei potuto anch’io, se lei lo avesse voluto, cercare un lavoro sul posto e allontanarmi da un passato pesante.

L’indirizzo fornitomi dall’agenzia era nella zona tra la Stazione Centrale e il Nieuwmarkt, nel Red light District, il canale e le costruzioni antiche conferivano alla zona un che di affascinante. Vidi in bella mostra le vetrine con le prostitute che si offrivano ai clienti, notai che molte erano di colore o asiatiche e andai oltre, arrivai al numero 29 e osservai la facciata della palazzina elegante e ridipinta di recente.

Salii le scale e suonai al citofono di fianco al nome Gold Crowne. Erano le 11,45. Lo scatto del portone mi fece entrare in un atrio con due porte. Una era aperta e la spinsi: vidi una sala ampia e arredata con gusto, due divani e alcune poltroncine distribuite accanto a tavolini con riviste che facevano pensare a una sala d’attesa. Apparve dall’interno una donna molto truccata sui quaranta che parlava animatamente rivolgendosi a una bellissima trentenne che si voltò a vedere chi fosse entrato: era Giorgia. Mi squadrò con attenzione, mettendomi a fuoco, e subito assunse un’aria seccata, mi voltò le spalle e rapidamente liquidò la donna.
Quindi mi si avvicinò con uno sguardo furioso:
- Cosa sei venuta a fare qui? Ti avevo detto che tra noi i rapporti erano e sono chiusi. Vattene!
- Ma Giorgia, scusami, desideravo incontrarti… ho fatto tanta strada per trovarti dopo anni di ricerche e tu…hai da dirmi solo questo?
- Tu ancora una volta ti permetti in modo subdolo di intrufolarti nella mia vita con quell’aria da vittima. Io non voglio avere a che fare con te, la vuoi capire? E poi qui ci lavoro, togliti di mezzo!
- Giorgia, scusami, non credevo che mi odiassi ancora a tal punto e pensavo che questa fosse casa tua. Se l’avessi saputo avrei aspettato fuori che tu finissi…

L’uomo apparso sulla porta aveva occhi da lupo e si rivolse a Giorgia in italiano con un’aria da padrone che la fece impallidire:
- Giorgia, non sei ancora pronta? Muoviti, bellezza, che il Console non ama aspettare. – E poi valutandomi con sguardo rapace aggiunse: - Oh! Non mi presenti questa tua amica? Non l’ho mai vista, sembra un nuovo arrivo. Dovrai lavorarci molto per adattarla al contesto.
- Taci, Johnny, e vai avanti, ti raggiungo subito! - L’uomo incuriosito capì che c’era qualcosa di anomalo ma non aveva tempo di discutere e, soprattutto, non voleva far innervosire Giorgia, l’affare con il Console era troppo importante. Si trattava di un sacco di soldi.
- Quante storie…vedi di muoverti! – E uscì lanciandomi un’ultima occhiata indagatrice.

Rimaste sole, ci guardammo in silenzio negli occhi; quelli di Giorgia, dallo sguardo insolente, a un certo punto si abbassarono e io le sussurrai:
- Sei ancora in balìa di un prepotente! Sembra che tu non possa farne a meno anche ora che sei adulta.
- Non t'immischiare, io ho la direzione di questa casa di appuntamenti e pago le tasse regolarmente a mio nome. Posso fare a meno di lui quando e come voglio. Al momento mi è utile solo per i contatti in alto loco.
- Casa di appuntamenti, tu?! Sei la tenutaria di un bordello e ti vanti di pagarne le tasse!?
- Qui è tutto regolare, in Olanda questo è un lavoro come un altro, le ragazze sono registrate e controllate. Siamo in un paese privo d'ipocrisia dove la prostituzione è legale e le donne sono tutelate.
- E tu, Giorgia, hai scelto di dedicarti a questa attività? Complimenti, sei complice dello sfruttamento dei corpi di donne che non si sa come siano finite a vendersi. Ma come puoi appellarti al fatto della legalità?
- Piantala di fare la moralista, io sfrutto i vantaggi della professione più antica del mondo, ne ricavo utili che mi permettono di fare una bella vita lontana dalla miseria nella quale siamo cresciute.
- E la dignità femminile? Il rispetto, l’amore, i sentimenti che danno un senso all’esistenza dove li lasci? Non voglio giudicarti, ma la tua scelta ai miei occhi è abominevole e non posso credere che anche tu nel profondo non te ne renda conto.

Giorgia tacque e dopo qualche minuto rividi per un attimo la bambina che avevo tanto amato, l’espressione del volto si fece incerta e sofferente, la voce s’incrinò e le scesero dagli occhi due lacrime silenziose: -…Non riesco ad allontanare quell’incubo: tutto quel sangue, la polizia, gli interrogatori e il senso di colpa che mi perseguita.

- Io l’ho ucciso e non tu. Eri poco più che una bambina e lui …
- A modo suo credevo mi amasse, ne ero completamente soggiogata. Con lui ho…
- Fermati qui, può bastare, per la prima volta mi rendo conto fino in fondo che ti senti responsabile della morte del tuo violentatore. Mettiti bene in testa le cose che ti sto per dire: tu non hai colpe, sono io che ho sbagliato tutto. Non ho saputo cogliere i segnali di quel maledetto gioco perverso con il quale lo schifoso ti aveva irretito, approfittando della tua incoscienza, e non ho saputo affrontare la tragedia razionalmente, scaricandogli addosso tutte le sue maledette responsabilità e facendolo finire in galera. L’ho ammazzato, agendo d’impulso contro il mio codice etico che non contempla l’omicidio in nessun caso. Ho sbagliato e ho pagato duramente. Ora sono stanca. Volevo solamente rivederti perché tu sei la mia famiglia. Siamo cresciute sole noi due, tu, forse, la mamma nemmeno la ricordi. Prima di morire, ti ha raccomandato a me, a una bambina di sei anni, figurati! Ho provato a mantenere la promessa data. Papà lavorava in cantiere tutto il giorno. E io… è andata com’è andata. Segui la tua strada, ti ho già fatto del male. Io torno a casa. Questo è il mio indirizzo. In qualsiasi momento…Ciao, Giorgia!

Giorgia

E’ bello vedere Ingrid che ride con mia sorella in riva al mare mentre cercano conchiglie, noto persino una certa somiglianza tra loro. Non so esattamente dove si somiglino ma c’è un’indubbia familiarità che le unisce. Karin è ancora un bel tipo e se non fosse così dimessa nel modo di vestire potrebbe sembrare una vera signora, è composta e ha stile. Ingrid già la ama.

Ora si tengono per mano e camminano spensierate sul bagnasciuga. Karin ha una bella voce e le sta cantando le stesse filastrocche di quando io ero piccolina e lei una bambina forse troppo matura per la sua età. Mi avvicino e mi unisco a loro. Ridiamo gesticolando insieme per accompagnare la canzone a tempo e nasce un ballo a tre improvvisato nelle onde basse dell’Adriatico. Vorrei fermare questo momento magico e trattenerlo per sempre.

Mi sento serena, ora non la odio più, penso solo che siamo diverse: lei è forte e incorruttibile. Neanche la catastrofe più nera può piegarla: è un lido sicuro, una certezza. L’unica. Finalmente l’ho capito.

Proprio quello che ci vuole per Ingrid, una bambina meravigliosa e sensibile da tenere lontana dal mio mondo così complicato e, devo pur riconoscerlo, a rischio. Non potrei perdonarmelo. Qui loro due possono stare benissimo insieme, potrei comperare una bella casa con giardino e prendere pure un cane, sì, un cocker, a Ingrid i cani piacciono e sentirà meno la mia mancanza.

 Spiegherò a entrambe che si tratta di una soluzione provvisoria mentre io torno lassù a sistemare le cose con calma. Verrò a trovarle una volta al mese, mi pare che sia sufficiente. Non posso buttare di colpo al vento gli affari che al momento prosperano e, dopo tutto, i soldi anche qui sono necessari.

Amsterdam mi ha dato la libertà, l’amore, e il denaro.

Ai corsi di olandese ho conosciuto Igor: una passione travolgente, non credo di avere mai incontrato in vita mia un uomo così bello! Ogni separazione per noi era una sofferenza. Eravamo così avidi d’amore che ce lo strappavamo di dosso e ci giocavamo con una spensieratezza inebriante.

E’ durata quattro anni e, tramite l’agenzia di Johnny, ero entrata nel giro delle sfilate di moda e lavoravo bene, cosa che mi permetteva di godere di una discreta tranquillità economica. Poi un giorno, inaspettatamente, è arrivata la mazzata: Igor mi confessa di avere una moglie e due figli che l’aspettano in Russia, con aria contrita sostiene che, suo malgrado, “non può mancare ai suoi doveri” e che, in conclusione, è costretto a rinunciare al nostro “splendido amore”. Ero finita puerilmente in una situazione banalissima e disgustosa, purtroppo ancora di grande attualità. Per lui ero stata la giovane amante, un riempitivo piacevole per il periodo del suo lavoro in Olanda e ora mi scaricava. Io lo avevo amato, davvero. La ferita nel mio orgoglio per non avere capito niente mi diede la forza di uscirne facendo buon viso, ma nella solitudine della mia camera piansi tutte le mie lacrime. Stupida!

 Quando mi resi conto di aspettare Ingrid decisi che quella figlia era e sarebbe stata soltanto mia, comunicai in agenzia che sarei ritornata in Italia e mi trasferii ad Anversa. Con i risparmi affittai un appartamentino dove mi segregai per due anni: avevo imparato a centellinare i miei risparmi per far fronte alle nuove necessità. Ingrid era calma, adorabile e tutti i miei stati d’ansia svanivano quando la tenevo tra le braccia o la sentivo respirare abbandonata nel sonno. Ma a volte mi sentivo insofferente, avevo sempre più voglia di rientrare nel mondo reale, vivevo in una dimensione ripetitiva, scandita soltanto dai ritmi di una neonata, meravigliosa, ma io scalpitavo perché non avevo altri che lei. Quando la signora Bart, discreta dirimpettaia ormai vedova da tempo, ci offrì la sua amicizia e il suo aiuto per me fu una rinascita. Ripresi i contatti con Johnny, gli dissi che ero rientrata dall’Italia e che avevo bisogno di lavorare. La sua attività andava a gonfie vele e mi riprese subito, ma mi spiegò che il business ora si basava su “amicizie particolari altolocate” che, in ambienti molto esclusivi, si concludevano in rapporti erotici pagati con cifre iperboliche. Non ne fui sorpresa e non ebbi alcuna esitazione ad accettare. Non me ne sono mai pentita. Ho accumulato denaro e sono riuscita a mettermi in proprio.

Ma ora Ingrid sta crescendo e devo proteggere il suo futuro.  

Potrei provare a cedere a Johnny una grossa fetta dell’attività, così me lo tolgo di torno definitivamente. E poi potrei forse investire il capitale con Max, lui ci sa fare negli affari…e non solo. Questa volta però stabilisco io le regole del gioco!

Ingrid non ha bisogno di un padre, le bastiamo noi, gli uomini, si sa, sono soltanto un di più. Ma questo lo imparerà a suo tempo.

L’unico ostacolo è quella testarda di Karin. So già che tirerà fuori i sentimenti, le responsabilità, i doveri e tutte le cose per le quali si è rovinata la vita. Una scocciatura!

Però, se la guardo, noto in lei una forza incredibile come se la solitudine, la fatica di un lavoro umile, le privazioni, il passato angoscioso non l’avessero imbarbarita… E’ bella perché è pura dentro e coerente, sempre. Ho promesso alla signora Bart che gliela farò conoscere, le ho spiegato che Karin è il lato buono di me che fortunatamente ho trasmesso direttamente a Ingrid.

Non sarà semplice… per niente, ma sono sicura che mia sorella non si tirerà indietro. Di lei mi posso fidare più che di me stessa.

Ingrid! Karin! Aspettatemi che vi raggiungo!


24 commenti:

  1. I racconti di Annalisa sono sempre avvincenti! Un tuo fan

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  2. La storia è originale e ben costruita e si legge tutta d'un fiato. Marilinda

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  3. Gran classe riuscire a trattare un argomento scabroso mantenendo i toni alti dei sentimenti. Luca

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  4. La bambina è una delizia

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    1. Anche a me fa tenerezza, grazie. Annalisa

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  5. Il suo racconto è intrigante... L. T.

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  6. Come sempre Annalisa i tuoi racconti lasciano il segno.
    Miriam

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  7. Le storie di donne sono avvincenti e tu le racconti cosi bene: brava! F. C.

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  8. Dal confronto tra le due sorelle completamente diverse nasce una storia più grande dove bene e male si incontrano e la bambina unisce i due poli. Molto interessante il racconto. Zelda C.

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  9. Il racconto tratta un argomento difficile di attualità con garbo e sensibilità. Enri

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  10. Il racconto mi è piaciuto soprattutto per le tre voci con i tre punti di vista

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