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mercoledì 29 luglio 2015

Il lupo perso nei meandri della mente - 2

(di Selene G. Rossi)


Proseguendo  con  l’alternanza  di  scene  inserite  nella  cupa magione  a scene ambientate in spazi aperti e luminosi, vediamo Lawrence sul ciglio del lago. Raggiunto da Gwen, preoccupata per lui e afflitta dai sensi di colpa per avergli inviato la lettera che l’ha fatto tornare a Blackmoor, il giovane inizia la fase del corteggiamento con una “gara di balzo dei sassi sull’acqua.” Questo momento ludico è interrotto da un’interferenza nel condotto uditivo di Larry che, nonostante la distanza, ode il nitrito di alcuni cavalli in prossimità della casa. Tornato alla magione, Talbot Jr si ritrova accerchiato da una folla di popolani impazziti guidati dal Reverendo Fisk e dal Colonnello. Il sacerdote, ben lontano dalla carità cristiana che dovrebbe contraddistinguerlo, accusa Lawrence: «È quasi luna piena. Siete stato morso dalla bestia. Portate il suo marchio.» Accerchiato e picchiato, il giovane è salvato dall’intervento provvidenziale del padre che, colpito il cilindro del dottore e, forte del suo diritto aristocratico e della presunta presenza di Singh -provetto tiratore, armato di fucile a ripetizione -, intima loro di abbandonare la sua tenuta e di non varcarne mai più i confini.


Rientrati in casa, Gwen chiede cosa possa averli spinti a credere che Lawrence sia una minaccia. La risposta di Talbot Sr introduce ora il tema dell’irruzione dello straniero in grado di sconvolgere lo status quo: «Ebbene, è uno straniero qui, a Blackmoor, Signorina Conliffe. E ciò lo rende molto pericoloso.»

Rimasto solo con Gwen, Lawrence si dice perplesso di fronte alla propria capacità di respingere tre uomini contemporaneamente. È il momento delle rivelazioni. Gwen suggerisce a Lawrence di non curarsi degli abitanti di Blackmoor perché ignoranti e sciocchi, una summa di ciò che più odia di quel posto. La tensione sessuale è palpabile, ma Lawrence non cede alla pulsione, preferendo invece abbandonare la stanza per andare a rimirare la sua ferita, ancora una volta, in uno specchio. In questa moderna fiaba dell’orrore, come in quelle della tradizione, il Doppio è «un essere sconosciuto […] il suo regno è il mondo dei sogni. Se l’Io cosciente dorme, il suo Doppio si sveglia e agisce» (17). Rappresentante della nostra vita non vissuta, delle personalità che avrebbero potuto esistere ma che sono state lasciate in ombra, il Doppio oggettiva l’idea di un’anima che «avrebbe la funzione e il potere di sopravvivere alla morte corporea» (18). Ma, essendo un’entità di forma identica al soggetto non può trovare spazio nel territorio ove agisce l’Io. «La qualità segreta del Doppio è garanzia di vita manifesta per l’Io; ma se il Doppio si afferma soppiantandolo, l’Io muore.» Gemello oscuro dell’Io, il Doppio è una «potenzialità alternativa di esistenza» che non ha potuto realizzarsi perché «l’Io non gli ha concesso, con la propria affermazione, lo spazio necessario; ma che può a un tratto erompere reclamando i propri diritti» (19). Ma è possibile impedire al Doppio di soverchiare l’Io? Lungamente demonizzato «per la sua capacità di evocare immagini dal nulla, figure con la stessa apparenza di quelle reali ma inafferrabili ed effimere» (20), lo specchio è stato sdoganato da Jacques Lacan, secondo il quale lo “stadio dello specchio” è la fase più importante per lo sviluppo cognitivo dell’essere umano. È solo quando un bambino, in braccio alla madre, di fronte a uno specchio vede la propria immagine riflessa che comprende di essere un’entità vivente e pensante, percependo “l’altro” come “sé,” innescando un paradosso che, in The Wolfman, è rappresentato dalla scissione di Lawrence/Licantropo: se, da un lato, vedere la propria immagine riflessa conferma la sua esistenza, dall’altro la mette in crisi. La “seconda nascita” di Lawrence/Licantropo gli permette di aprire gli occhi non sulla realtà del mondo in cui vive, bensì sui mondi reali -ma immaginifici -del suo passato. Secondo Jean Clair (21) «la sopravvivenza della specie è possibile solo perché l’esperienza fondamentale e fondante del riconoscimento del nostro Io nell’immagine allo specchio può essere in ogni momento continuamente rinnovata e confermata. Che cosa sarebbe un mondo in cui scoprendo la nostra immagine allo specchio ci dovessimo dire “non mi assomiglia?”» È quindi grazie alla scoperta dello specchio che è possibile “rinascere” aprendo «gli occhi una seconda volta non più sulla realtà, ma sull’immaginario, sul fantastico» (22). Ma, diversamente dallo “stadio dello specchio” di Lacan in cui il bambino arriva a percepirsi come unità, in The Wolfman, come nella letteratura fantastica in genere, lo specchio stimola anche l’effetto opposto disgregante, facendo scivolare i propri protagonisti nella moltiplicazione della personalità e nell’evocazione del doppio per giungere però, alla fine, al ricongiungimento delle due identità di Lawrence/Licantropo in un’unica entità.

Sempre più intrappolato nel labirinto della follia e del terrore, Lawrence torna da Gwen, ingiungendole di andarsene perché quel posto non è sicuro. Incapace di comprendere i motivi alla base di quest’eccesso di paura, la donna cerca di indagarne la causa e Lawrence, attraverso una dichiarazione tra le righe, risponde che non potrebbe mai perdonarsi se dovesse capitarle qualcosa.

Il giorno dopo, mentre gli uomini del villaggio preparano una trappola per catturare il lupo mannaro, il Reverendo Fisk pronuncia un’omelia volta contro il licantropo: «Ci sono coloro che dubitano del potere di Satana. Il potere di Satana di mutare gli uomini in bestie. Ma gli antichi pagani non ne dubitavano. E neanche i profeti. Daniele non mise forse in guardia Nabucodonosor? Ma l’orgoglioso re non diede ascolto a Daniele. E così, come dice la Bibbia, fu trasformato in lupo e scacciato da consorzio umano. Una bestia è arrivata fra noi. Ma Dio difenderà i suoi fedeli. Con la sua mano destra, Egli abbatterà l’immondo demone. Io vi dico, la trama del nemico è contorta. Trasforma i maledetti in bestie per trascinarci in basso, per renderci simili agli animali, insegnarci il disprezzo di noi stessi così che dimentichiamo di essere creati a immagine e somiglianza di Dio. Perché nostro Signore tollera questa beffa? Prima della rovina viene l’orgoglio, e prima della caduta lo spirito alterno. Io dico che è perché abbiamo peccato contro di lui, che il fetore dei nostri crimini arriva al cielo, a domandare vendetta.» Nel corso della predica, alle immagini del sacerdote infervorato si alternano - permettendo una notevole economia temporale - le immagini dei preparativi dei cittadini per difendersi da un altro attacco - donne e uomini che donano i loro oggetti in argento per preparare i proiettili che permetteranno di uccidere il garou - e quelle di Larry, respinto anche dal fedele cane Sanson che, percependo in lui l’afrore di un maschio Alfa, inizia a ringhiare.

Giunto nella taverna, Abberline viene accusato dalla signora Kirk di non essere sul campo  con  gli altri uomini. Furbescamente, l’Ispettore sostiene di aver scelto quella postazione strategica per difendere gli abitanti del villaggio; infatti, poiché su trecento persone, oltre duecento vivono nei pressi della taverna, la logica vuole che lui resti lì, pronto a difenderle. Infuriata e addolorata per la perdita del marito, l’ostessa rincara la dose chiedendogli per quale motivo non sia a Talbot Hall, sito in cui vive la stirpe maledetta dei Talbot. Uomo sagace e dalla risposta sempre pronta, Abberline le fa presente di non poter perquisire la tenuta per motivi legali o, più probabilmente, per questioni legate alla condizione sociale della nobile famiglia.
La bella addormentata
Sempre quella notte, affacciatosi a una finestra, Lawrence si accorge che il padre si sta allontanando dalla tenuta. Dopo averlo seguito attraverso il bosco, lo osserva varcare la soglia della tomba di famiglia, dove si staglia il sarcofago antropomorfo della defunta signora Talbot. Guidato da una luce che fuoriesce da una fessura sotto una porta, Lawrence scende una rampa di scale spingendosi attraverso le profondità del mausoleo; qui, dopo aver percorso un breve corridoio, varca l’ingresso di una seconda porta dietro la quale si cela una stanza -vero e proprio santuario dedicato alla madre morta, ove si erge un ritratto circondato da candele “votive” - all’interno del quale vediamo una poltrona di contenzione. Da un antro di questa grotta sotterranea, fuoriesce Talbot Sr che rivela alcuni dettagli legati alla sua storia e a quella della sua famiglia: «È un santuario per la tua adorata madre. Era davvero una donna bellissima.  So che…  perderla  ti  ha  ferito  nel  profondo. Ed è mostruoso che un bambino veda la propria madre in quelle condizioni. Io avrei dato la mia vita, Lawrence, perché tu non ci avessi trovati quella notte. Devi credermi quando te lo dico, Lawrence. E tu mi credi, vero? Io amavo tua madre di una passione bruciante quanto il sole. La sua morte mi ha devastato. Ancora vago per la casa, di notte… in cerca di lei. Ma sono morto anch’io. Guardami negli occhi, Lawrence. Lo vedi che, in effetti, sono morto?»
Dopo una breve pausa carica d’intensità, Talbot Sr accompagna il figlio verso l’uscita dicendogli: «Mio caro figliolo, vorrei davvero poterti dire che la tragedia che ha travolto la tua vita è passata. Ma temo che le ore più cupe dell’inferno siano dinanzi a te.» E dopo essersi chiuso all’interno della cripta, si rivolge ancora a lui: «Forse non ti uccideranno, Lawrence, ma ti incolperanno. La bestia avrà il suo giorno di gloria. La bestia sarà fuori.» Ritirandosi nell’oscurità della sua prigionia auto inflitta, vediamo gli occhi di Talbot Sr brillare al buio come quelli di un animale o, rifacendosi al corpus delle pellicole cui ha preso parte Anthony Hopkins, in modo simile a quelli di Hannibal Lecter ne Il silenzio degli innocenti (Jonathan Demme, 1991).

Ed è ora, giunti quasi a metà film, che assistiamo per la prima volta alla meravigliosa e straziante trasformazione  di  Lawrence  in  lupo.
Verso la mutazione
Stravolto dal dolore, Lawrence si trascina verso l'esterno, mentre lo spettatore, attratto ma colmo di repulsione, è costretto a trasformarsi a sua volta in licantropo attraverso il riflesso nella superficie putrida di una pozza. Mani e piedi si deformano, fino alla totale metamorfosi in garou -che però, per il momento, non vediamo se non proiettato sotto forma di ombra su una parete. Un terribile ululato s’innalza verso il cielo, mentre Singh si barrica all’interno della casa e Abberline si precipita fuori dalla taverna. La caccia è aperta. A cavallo del suo destriero, l’Ispettore si lancia alla ricerca della bestia che, nel frattempo, attirata dall’odore del cervo utilizzato come esca, cade in trappola. Ma gli uomini del villaggio non hanno fatto i conti con la forza bruta e con il desiderio di vivere di questo Essere. Travolti da un bagno di sangue, i cacciatori vengono decimati. Inseguito dal Lupo Mannaro, impegnato in una corsa a quattro zampe che permettere di assistere all’emersione definitiva della sua natura ferina, il Colonnello cade in una trappola - naturale, questa volta; l’uomo cerca di colpire la Bestia ma, resosi conto di aver mancato il bersaglio, cerca di togliersi la vita. È tutto inutile: i proiettili sono terminati e il suo destino è ormai segnato. Indeciso su come rendere la trasformazione di Del Toro in licantropo, Rick Baker ha ammesso di essersi trovato in difficoltà; infatti, «sapevamo tutti che ci sarebbe stata una trasformazione, e io ho detto che non avevo idea di come fare affinché fosse una scena da togliere il fiato come in Un lupo mannaro americano [a Londra], perché lì c’era un uomo nudo che si trasformava in un segugio infernale a quattro zampe. In questo film, c’è Benicio Del Toro, e Benicio Del Toro ricoperto da peli» (23). Come ha spiegato però Johnston, «abbiamo discusso a lungo della trasformazione in termini di accorgimenti per il trucco e di come crearli ricorrendo ad acciaio e gomma, come si usava fare in passato, e, in questo campo, nessuno è migliore di Rick Baker. Questo procedimento non permette una flessibilità completa, e bisogna decidere in anticipo come sarà la trasformazione, prima che lui [Rick Baker] inizi a costruire qualunque cosa. E bisogna essere molto attenti ad ogni minimo dettaglio. Con il CGI, si può cambiare idea in qualunque momento. Si può dire, ‘Volevo che il muso fosse allargato qui, ma penso invece di volere che rimanga com’è, mentre vorrei cambiare il colore della pelle.’ Puoi letteralmente fare ciò che vuoi, e questo è ciò che mi attirava del creare le trasformazioni in CGI. Ma a trasformazione completata, sotto il make-up c’è Benicio» (24).
Ho commesso atti orribili?
Giunto sul luogo della carneficina a strage avvenuta, Abberline non può fare altro che osservare, desolato, i corpi degli uomini decapitati e amputati dal licantropo che dopo aver ucciso l’ultimo dei suoi 
persecutori, e ora vittima della propria furia omicida, lancia un ululato.
Si è fatto giorno. La voce off di Talbot Sr sussurra il nome del figlio, mentre l’immagine sfocata del primo piano di Lawrence si rimette a fuoco mostrandoci il volto insanguinato e sconvolto del giovane. Terrorizzato, Lawrence esce dal suo nascondiglio mentre il padre lo aggiorna sugli eventi della notte precedente: «Atti orribili, Lawrence. Hai commesso atti orribili.» Stravolto alla vista del sangue sul suo corpo e dalle parole appena udite, Larry si lancia barcollando verso la casa, ma presto viene accerchiato e tenuto sotto mira, mentre Talbot Sr, nascosto alla vista dei persecutori del figlio, gli sussurra di essere forte.

La scena si sposta ora all’interno del Lambeth Asylum di Londra dove Lawrence, immobilizzato su una sedia  di  contenzione,  sta  per  essere  sottoposto  a  una  serie  di  “torture”  atte  a  curarne  la psicopatologia. Entrato nella camera con indosso un grembiule lordo di sangue simile a quello di un macellaio, il Dottor Jack Hoenneger, dapprima si dice dispiaciuto e deluso nel vederlo ancora lì, poi cerca di “consolarlo” sostenendo che la psichiatria ha compiuto numerosi passi avanti nel trattamento di squilibri mentali. Intanto, mentre Lawrence continua a chiedere del padre, assistiamo a una versione moderna dell’ordalìa dell’acqua: sempre immobilizzato alla sedia, il giovane viene calato in una vasca colma di acqua e pezzi di ghiaccio da un secondino sadico, che sembra divertirsi nell’infliggere questa sofferenza alla vittima di turno. Intervistato da Patrick Kevin Day, Rich Heinrichs, Production Designer di The Wolf Man, ha spiegato come è stata realizzata questa scena, sottolineando, inoltre, come negli anni in cui è ambientata la pellicola «loro [i medici] stessero effettuando esperimenti […] sulla malattia mentale e stessero applicando metodi curativi quasi medievali, utilizzando le persone come cavie» (25). Immerso in una vasca colma di acqua tiepida con pezzi di ghiaccio realizzati in un materiale simile al silicone, e legato non da cinghie di cuoio bensì da pezzi di velcro, Del Toro–Lawrence è dunque vittima dell’ordalìa dell’acqua. Questo tipo di tortura, tra le più praticate nei secoli bui della caccia alle streghe, poteva essere  di  due  tipi:  dell’acqua  fredda  o  dell’acqua calda. Nel primo caso, la presunta strega, dopo essere stata costretta a tre giorni di penitenza, era costretta a immergere le mani in acqua bollente; se dopo tre giorni l’imputata non aveva riportato ferite, significava che, ovviamente, era una strega.
L'ordalìa dell'acqua
Nella seconda, invece, l’accusata veniva legata mani e piedi e immersa in acqua. Se galleggiava, ci si 
trovava di fronte a una strega, per questa sua natura rifiutata dall’acqua; se, invece, affondava era innocente. Qualunque fosse il risultato, l’unica certezza era che la donna era sempre condannata a morte.

Dopo la prima immersione, viene fatta un’iniezione a Lawrence e da questo momento il pubblico viene accompagnato per mano nella follia imposta al giovane che, dopo essere stato sottoposto anche a sedute di elettroshock e aver cercato di convincere i dottori a catturare il padre per porre fine alle stragi, rivede nella propria mente fatti ed episodi del passato vicino e remoto: l’Ispettore Abberline, se stesso calcare le scene come Amleto con in mano la testa di Yorick, mentre quest’ultima, parlando con la voce del fratello Ben, gli si rivolge sostenendo di aver udito un rumore; vagando nel passato, la mente di Lawrence si ritrova in quella notte di tanti anni prima quando rinvenne il cadavere della madre ma non nei panni di Lawrence, bensì in quelli dello spettrale ragazzino - imago mortis visto all’inizio del film. La sua mente è perseguitata anche dalla voce del  padre  che,  ripetendo  le  parole  «atti orribili,» fa materializzare  davanti ai suoi  occhi le  immagini del  cadavere smembrato  di una  delle sue vittime e il corpo nudo di Gwen.
Aveva ragione Goya: il sonno della ragione genera mostri

Le allucinazioni non sembrano volerlo abbandonare e l’inserviente sadico viene sostituito dalla figura paterna, mentre al Lawrence Talbot di oggi si sostituisce il bambino che fu. Anche la madre sembra essere complice di questo processo atto a farlo sprofondare sempre più nei labirinti della mente; infatti, il suo monumento funebre - con la gola solcata da un taglio cremisi - volge il viso verso di lui chiedendogli se sia davvero convinto convinto che lei sia morta. All’immagine del volto marmoreo di Lady Talbot, si sostituisce quella di Gwen, giunta in manicomio per portare Lawrence a casa. Quando la giovane gli chiede di abbracciarla, Talbot Jr si distacca bruscamente vedendo la propria immagine riflessa in forma lupigna per ben due volte. Ma, anche questo, è soltanto un sogno. Ancora disteso all’interno della propria cella, Lawrence si risveglia udendo la confessione del padre: «Licantropia. Licantropia. Io contrassi la malattia, se di questo si tratta, in India, sull’Indukush. Gli indigeni mi avevano diretto verso la caverna in cima alle montagne, dove secondo la leggenda viveva una strana creatura, una creatura molto strana. E dopo una scalata di molti giorni e lunghe ricerche, finalmente ci capitai vicino, la trovai. Trovai la caverna e la strana creatura che viveva lì.» Ha ora inizio un flashback grazie al quale comprendiamo la vera identità del ragazzino che ha perseguitato Lawrence fin dall’inizio della pellicola. «Era un ragazzo. Un ragazzo gracile e feroce, di una forza inumana. Eh, eh. Che all’improvviso mi attaccò e mi morse [inquadratura della cicatrice sul braccio di Talbot Sr]. Così io tornai dai miei compagni di caccia nella valle sottostante pensando di essere stato oggetto di uno scherzo. Eh, eh, eh. Scoprii presto che non era così.» Un secondo flashback ci riporta alla notte della morte di Lady Talbot mentre la macchina da presa scivola dal corpo della donna priva di vita al volto del padre non più umano ma lupigno. Sconvolto, Lawrence comprende la verità. «Dovresti ucciderti,» dice acre il figlio; ma Talbot Sr sembra sempre avere la risposta pronta: «Ah, non so quante volte l’ho preso in considerazione. Ma la vita è troppo splendida, Lawrence, specialmente per i maledetti e i dannati… come me. Sì. Ogni notte di luna piena mi sono fatto chiudere, per molti anni, in quella cripta da Singh, il mio fedele servitore. Per venticinque anni. Poi è arrivata lei, calda e abbacinante come il volto della luna. […] Sì, lei avrebbe portato tuo fratello lontano da me, e sarebbero spariti nella notte, per sempre. E seppure io ero rassegnato a questo, la bestia in me non lo era. E Ben era venuto a dirmi di essere risoluto nella sua decisione di lasciare Talbot Hall per sempre e di portare Gwen lontano da me. Io mi ubriacai e divenni violento, estremamente violento. E colpii Singh che cercava di immobilizzarmi. Eh, eh, eh! Gli feci perdere i sensi… povero, povero vecchio Singh. […] Comunque, di conseguenza, non riuscii a rinchiudermi nella cripta quella notte e… la mattina trovai il corpo di tuo fratello in un corpo vicino casa. Era stato fatto a pezzi. Ora so che è stato un errore… imprigionare la bestia. Non credi anche tu, Lawrence? Avrei dovuto lasciarla correre libera. Uccidere o essere uccisi.» In questa inversione del mito di Edipo, non è il figlio a uccidere il padre e a unirsi carnalmente - seppur inconsapevolmente - con la madre, bensì è il padre che, sovvertendo ogni regola comunitaria, decide di uccidere il primogenito per non separarsi dalla fidanzata di quest’ultimo di cui è segretamente innamorato; inoltre, questo genitore degenere, fa sì che le colpe dei suoi misfatti non ricadano direttamente su di sé, bensì sul secondogenito, reo sia di aver messo in discussione l’autorità patriarcale sia di aver sostituito il primogenito Ben nel cuore di Gwen.

Sconvolto dalle numerose rivelazioni di cui è stato messo al corrente, Lawrence si scaglia contro il padre, ma la catena che ha al collo è attaccata al muro, e l’anziano uomo si trova a distanza di sicurezza. «Mio giovane cucciolo, hai da fare un lungo cammino,» dice, quasi ammirato, Talbot Sr, «ma la tua occasione arriverà molto presto. [indicando la finestrella alle sue spalle] Sarà piena stasera. La luna. [Talbot Sr offre a Lawrence il rasoio che si trovava in mano alla madre il giorno della sua morte] Un piccolo dono per te, Lawrence, nel caso non trovassi la vita… splendida come può essere. O non essere. [strizzando l’occhio getta il rasoio sul petto di Lawrence] Sono molto addolorato Lawrence. Ti voglio bene, figlio mio. Potrà esserti difficile crederlo alla luce di quanto è accaduto. Dormi ora. Dormi. Riposa.» Mentre Talbot Sr esce dalla prigione in cui è rinchiuso Lawrence, quest’ultimo continua a urlare che lo ucciderà.

Omaggiando ancora una volta i grandi classici Universal -sembra infatti di assistere all’autopsia di Lucy Westenra in Dracula di Tod Browning -, il Dottor Hoenneger ha organizzato un incontro atto a confermare che la vera malattia da cui è afflitto Lawrence è di tipo mentale. Mentre lo psichiatra spiega la funzione della dimostrazione, Talbot Jr è introdotto nella sala su una carrozzina, con una benda sulla bocca, e immobilizzato da cinghie di cuoio. «Ho scoperto che le allucinazioni del giovane Lawrence si sono manifestate in illusioni di natura terrificante. […] Siamo qui per dimostrare in maniera conclusiva che le paure del Signor Talbot sono del  tutto  irrazionali.  Perciò rimarremo in quest’aula insieme e una volta che il Signor Talbot avrà osservato che la luna piena non ha alcun influsso su di lui, che egli rimane un essere umano del tutto normale, avrà compiuto il primo piccolo passo sulla lunga strada della guarigione mentale. Dunque, sappiamo tutti che il Signor Talbot ha avuto delle esperienze personali alquanto drammatiche. Ha assistito alle mutilazioni che la madre si è auto inflitta, e la sua giovane mente [Abberline fa il suo ingresso], incapace di accettarlo, ha creato una verità di fantasia per fare di suo padre il colpevole. Per rendere il padre letteralmente un mostro. Ma… Vostro padre non è un lupo mannaro. Voi non siete stato morso da un lupo mannaro. Voi non diventerete un lupo mannaro. Così come a me non spunteranno le ali e non volerò fuori dalla finestra.» Liberato dal bavaglio, Lawrence cerca di mettere in guardia gli astanti, assumendo però un atteggiamento ossessivo compulsivo che sembra confermare l’ipotesi dello psichiatra: «Sei un imbecille. Questa notte io ucciderò tutti voi. Ucciderò tutti voi!» Mentre il Dottor Hoenneger riprende la conferenza illustrando le caratteristiche della licantropia, la luna piena si affaccia alle spalle delle nuvole. Lawrence, implorando di essere ucciso, è vittima di alcune convulsioni che, squassandone il corpo, ne anticipano la dolorosa trasformazione, ripresa ora per la prima volta in ogni singolo dettaglio. I medici presenti, terrorizzati, cercano di mettere in guardia Hoenneger ma questi, dando le spalle a Lawrence, è troppo assorto nella sua boriosa esposizione dei fatti per accorgersi di ciò che sta accadendo. Secondo Johnson, il fattore più importante per la riuscita del film era proprio la trasformazione di Del Toro in licantropo: «[…] Volevo che questa trasformazione fosse una cosa mai vista prima, e, a volte, le cose che sono più indefinibili sono anche le più inquietanti, sia che si tratti di una mano che cambia forma o che si tratti di un dente che spunta. Questo può sembrare più fastidioso a guardarsi, ed è un’immagine in grado di ossessionare. Tutti noi abbiamo visto piedi mutare forma e artigli crescere. Qui c’è un volto che sembra quello di Benicio Del Toro, ma all’improvviso il bulbo oculare si allarga e la pelle intorno a esso si tende e si ritira. Sarà più terrificante che vedere zanne e artigli e piedi che cambiano forma. […] Ciò che più mi importava, era che Benicio fosse riconoscibile sotto il make-up. Nell’originale era andata alla grande facendo così. Piuttosto che dire, ‘Facciamo sì che Benicio assomigli a Lon Chaney,’ volevo che fosse l’interpretazione di come sarebbe stato Lawrence se fosse diventato lupo. Questo era davvero importante, non che ricordasse qualcosa che avevamo già visto in passato. E me ne sono accorto non appena ha indossato il make-up. [Sotto al trucco] posso vedere Benicio, e credo che questo accadrà anche agli spettatori. Ecco cosa fa funzionare il personaggio, il fatto di sapere che sotto il trucco c’è il protagonista» (26).
Benicio Del Toro sotto le grinfie di Rick Baker
Liberatosi dalle cinghie, il lupo mannaro si scatena, vendicandosi innanzitutto sulla sadica guardia e facendola a brandelli. Lo psichiatra, resosi conto della situazione drammatica in cui si trova, cerca di fuggire ma, in preda al panico, non riesce a recuperare la chiave per aprire la porta. Richiamato dalle urla dell’uomo, Lawrence si dirige verso di lui spinto dal desiderio di vendetta e, dopo averlo sollevato come fosse un fantoccio, lo scaraventa fuori dalla finestra, facendolo atterrare sulle lance acuminate della recinzione. Mentre i luminari lì riuniti si danno alla fuga, il garou inizia la sua corsa mozzafiato lungo i tetti di Londra per trovare un momentaneo attimo di riposo - in un’inquadratura che rende omaggio sia ai grandi classici come King Kong in cima all’Empire State Building, nell’omonimo film del 1933 diretto da Merian C. Cooper e Ernest B. Schoedsack, sia un “classico” più recente come La leggenda degli uomini straordinari (2003, Stephen Norrington) in cui Mr Hyde fugge lungo i tetti di Parigi - in groppa a un gargoile. Accortosi di essere inseguito da Abberline armato di pistola, Lawrence riprende la sua corsa mentre l’Ispettore dà l’allarme. Sceso dai tetti, Talbot Jr fa rovesciare una carrozza, scatenando un’orgia di sangue  e  mietendo  numerose vittime.  Accerchiato,  prosegue  la fuga  attraverso  i  vicoli  della  città.  Nessuno  lo  può fermare, nemmeno la raffica di pallottole sparata dai poliziotti.
Le due icone orrorifiche dominano la città
Forse consapevole della propria pericolosità, Lawrence si rifugia sotto il London Bridge, trovando un po’ di requie fino al mattino successivo. Dopo essersi lavato il volto lordo del sangue delle sue vittime in una pozza d’acqua - ancora una volta ricorre il tema portante del riflesso -, si acquatta in attesa che i rumori della città ne possano coprire la fuga.

Con un repentino cambio di scena, la macchina da presa ci trasporta ora di fronte al negozio d’antiquariato di Gwen; una volta entrata, la giovane viene attratta da un tonfo prodotto da Lawrence. Preoccupata per lui, ne ascolta la rivelazione: «È vero quello che dicono di me. Sono un mostro, come mio padre. Ha ucciso lui Ben. E anche mia madre.» Dopo essersi lavato e ripulito, Talbot Jr, assorto in preghiera, attende Gwen nel salottino. Al suo arrivo, mossa da un innegabile spirito da crocerossina, gli rivela di essere convinta di poterlo aiutare perché «se… tali cose… esistono, se sono possibili, esiste tutto. La magia, Dio. Posso trovare il modo di fermare la bestia.» In ginocchio di fronte a Gwen, Lawrence dichiara finalmente i suoi sentimenti, affermando di invidiare il fratello per i giorni trascorsi con lei. «Darei tutto ciò che ho, per averti conosciuta in un’altra vita.» Ma é troppo tardi, e Lawrence deve tornare a casa per fermare tutto. Gwen lo implora di farsi aiutare, ma il giovane sa di non poter restare. In un momento carico di lirismo, i due si scrutano per un istante che sembra dilatarsi nel tempo per poi baciarsi con amore e trasporto. Ma l’arrivo di Abberline e dei suoi scagnozzi interrompe l’idillio. Lì in cerca di Lawrence, l’Ispettore interroga Gwen, ma quando la ragazza nega di averlo visto cerca di convincerla della pericolosità del fuggitivo, mostrandole una pagina di quotidiano in cui sono descritti i misfatti compiuti. Dopo averla data in consegna ai suoi scagnozzi, Abberline entra nel negozio, si ferma di fronte a uno specchio sotto il quale spuntano un paio di stivali ed estrae la pistola. Ricorrendo ancora una volta all’escamotage del riflesso, l’Ispettore colpisce il bersaglio ma, sfortunatamente per lui, non c’è nessuno, se non la statua di un satiro. «Ora avrete sette anni di sfortuna,» dice sogghignando uno dei poliziotti.
E ora, sette anni di disgrazia!

Alle immagini di Lawrence mischiato tra la folla di Londra, si intercalano quelle di Gwen che, intenta a sfogliare un libro dedicato alle antiche superstizioni e magie, colmo di incisioni dedicate alla licantropia, si imbatte in un capitolo ove sono descritte le Ancient Gipsy Lore.

Mentre  la  macchina da  presa  ci  mostra  il  viaggio  a  piedi  di  Lawrence  e  quello in carrozza di Abberline e dei suoi uomini, l’attenzione si concentra su Gwen che, arrivata a Blackmoor in cerca di Maleva, chiede informazioni a uno zingaro. Raggiunta dalla vecchia gitana, la giovane la implora di aiutarla a salvare Lawrence, nonostante la donna le consigli di abbandonarlo al proprio destino. «Dimmi, tu lo ami? […] Lo vuoi condannare o vuoi… renderlo libero? Sai che cosa significa?» Ma Gwen non è pronta a compiere quest’estremo atto d’amore perché Lawrence c’è ancora, seppur nascosto dalla bestia. Purtroppo, le parole di Maleva non lasciano nessuna speranza: «Non esiste cura. Stai rischiando la vita. Che i santi ti proteggano e ti diano la forza di fare ciò che devi.»

Stanziati nella taverna, Abberline e i suoi uomini organizzano il piano per catturare Lawrence. Unica regola: sparare per uccidere.

A  notte  inoltrata,  Lawrence  arriva  alla  tenuta ma, non appena ne varca l’ingresso, davanti ai suoi occhi si staglia uno spettacolo di morte e desolazione. Singh è stato ucciso e appeso come uno dei leoni impagliati. Dopo aver preso la chiave appesa al collo del fedele servitore, Talbot Jr si appresta a portare a termine la resa dei conti.

Mentre Gwen, seguita da Abberline, si dirige verso Talbot Hall, all’interno della tenuta Lawrence, non accorgendosi di essere spiato dal padre, entra nella stanza di Singh per prendere i pallettoni d’argento. La ricerca del padre continua, mentre di sottofondosi odono numerosi topoi orrorifici come scricchiolii, scalpiccii e ululati.

Dal salone, una meravigliosa melodia richiama l’attenzione di Lawrence che, lì giunto, si avvicina a una poltrona ove è seduto colui che pensa sia il padre. Avvicinatosi con fare guardindo,  scopre invece il cadavere di uno dei poliziotti a guardia della casa. Ancora seduto al pianoforte, Talbot Sr si rivolge al figlio citando un passo dalla Bibbia: «Mi alzerò, andrò da mio Padre e gli dirò: Padre ho peccato contro il Cielo e contro di te, non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Ed ecco, mirate, egli è qui, il figliolo prodigo, poiché è ritornato. Devo far portare la mia veste più bella per metterla sulle tue spalle? Anelli per le tue dita? Calzari per i tuoi piedi?» [(Luca 15,11-23)]. Rivolgendosi al secondogenito con tono pacato, e dopo aver afferrato il bastone con l’impugnatura lupigna in argento, Talbot Sr gli chiede se il fucile sia caricato con le pallottole di Singh. Tra i due ha ora luogo un dialogo chiarificatore:

Talbot Sr:  Mi hai colto alla sprovvista. Ciò mi rende felice.
Lawrence: Che cosa?
Talbot Sr:  Ebbene, vederti qui così. Mio figlio è ritornato. È la gloria, non è vero?
Lawrence: No, è l’inferno.
Talbot Sr:  L’inferno? No. La bestia. È la bestia. Lasciala correre libera.

Premuto il grilletto, Talbot Jr rimane sconcertato nell’accorgersi della non avvenuta detonazione. Dimostrandosi, ancora una volta, uomo di azione più di quanto non lo sia il figlio, Talbot Sr si scaglia su Lawrence scudisciandolo, con violenza sempre crescente, con il bastone e, ancora una volta, si rivolge a lui muovendogli un rimprovero: «Povero, piccolo Lawrence. Eri il più debole. Ho rimosso la polvere da quelle pallottole molti molti anni fa. Però, lo confesso Sono rimasto assai colpito dal tuo enorme coraggio. Finalmente sei l’uomo che ho sempre voluto tu fossi. Lawrence, figlio mio.» Talbot Sr continua a brandire il bastone, non aspettandosi reazioni dal figlio che, all’improvviso, estratto un pugnale, lo colpisce. La furia ferina del padre si sta scatenando e, dopo aver afferrato il figlio, lo porta di fronte alla finestra, mentre la luna si mostra accompagnata dalle nubi.

Bloccato il padre a terra mentre la trasformazione si fa strada in lui, Lawrence ode l’ennesima rivelazione dell’anziano genitore: «Tu eri l’erede del mio regno. Tu sei sempre stato il mio erede.» Vittima di una dolorosa mutazione, Talbot Jr non riesce a resistere alla forza bruta del padre che, abituato alla metamorfosi, approfitta di quel momento di debolezza per aggredire il figlio, senza però 
Oh padre, cosa hai fatto?
aver preso in considerazione la forza e la gioventù di quest’ultimo. Ha ora inizio una battaglia senza esclusione di colpi. Inferocito e mosso dal licantropo in sé, Talbot Sr strappa le budella del giovane garou con la bocca. Sembra essere giunto il momento della resa dei conti. L’anziano mannaro si scaglia con un balzo su Lawrence che, facendo però leva con i piedi, lo scaraventa in mezzo alle braci ardenti del camino. Il desiderio di vivere del vecchio è troppo forte e, avvolto dalle fiamme, si rimette in piedi cercando di proseguire la lotta, ma Lawrence, con una zampata, lo decapita facendo rotolare la sua testa lontano dal corpo. Dopo essersi brevemente concentrata sul primo piano della testa glabra di Talbot Sr, la macchina da presa si focalizza ancora su Lawrence che, lanciando un urlo colmo di rabbia e frustrazione, getta uno sguardo al ritratto della madre. In linea con gli standard degli ultimi anni, Johnston, già Visual Effect Artist per la trilogia di Star Wars diretta da Spielberg (rispettivamente1977, 1980, 1983) e per I predatori dell’arca perduta (Steven Spielberg, 1981), aggiunge, rispetto all’originale, numerosi effetti speciali, a partire dal mirabile make up di Benico Del Toro creato dal pluripremiato Rick Baker. Le uniche cadute di stile su cui scivola sono, forse, rappresentate dai momenti in cui l’occhio della macchina da presa indulge voyeuristicamente sulle immagini splatter di teste amputate, budella sparpagliate e corpi sbranati. Come però ha dichiarato lo stesso Johnston in un’intervista pubblicata su Fangoria, «il Wolf Man originale era uno dei miei film preferiti, e desideravo davvero raccontare la storia in modo classico. Non volevo che fosse un film slasher. Volevo rendere [la storia] contemporanea e volevo che i personaggi fossero più interessanti e che la trama  fosse più complessa rispetto a quella del film con Chaney. Ma volevo che i fan del primo film fossero piacevolmente sorpresi scoprendo di poter vedere quella storia all’interno di questa» (27).

Giunta a Talbot Hall, e bloccata dal terrore di fronte alla versione lupigna di Lawrence, Gwen si risveglia dal torpore dei sensi solo per deviare il colpo esploso dall’Ispettore Abberline, permettendo a Larry di contrattaccare, mordendo il collo del suo persecutore. Distratto dalla fuga di Gwen, Talbot Jr non si accorge che Abberline, armato di lancia, è tornato in sé e si accinge a colpirlo come già fece John Banning in The Mummy (1959) di Terence Fisher. Ferito dall’Ispettore, Lawrence si concentra ancora brevemente su di lui, prima di obbedire alla pulsione che lo spinge a rincorrere Gwen. Armato del pugnale in argento con cui Larry ha ferito il padre, Abberline si getta all’inseguimento, mentre la magione viene divorata dalle fiamme.
E ora, Ispettore?
Braccata da Lawrence, braccato a sua volta dalla polizia, Gwen raggiunge il luogo dove i due fratelli Talbot erano soliti giocare durante l’infanzia. Sotto i suoi piedi si distende un baratro e la giovane comprende di non avere nessuna via di fuga. Materializzatosi all’improvviso di fronte a lei, Lawrence viene accolto da una pistola. Vittima del sentimento che la lega a Larry, e incapace di premere il grilletto, Gwen non trova il coraggio per ucciderlo. Cercando di farlo tornare in sé gli si rivolge dolcemente ma, sopraffatta dal panico, fa cadere l’arma dando a Lawrence la possibilità di sferrare il suo attacco. Continuando a rivolgersi a lui come se si trovasse di fronte all’amato e non di fronte alla sua versione bestiale, la giovane riesce a muover qualcosa nelle profondità più oscure di quell’animo stravolto. Pochi istanti dopo che una luce di umanità si è sprigionata dagli occhi della Bestia, in cui vediamo riflesso il volto di Gwen, questo momento carico di lirismo è interrotto dall’abbaiare della muta dei cani che fanno deconcentrare Lawrence. Approfittando di quest’attimo di distrazione, Gwen afferra la pistola sparandogli nel petto. Il licantropo cade a terra. Sembra che tutto sia finito, ma il garou afferra con forza la mano della giovane. O forse non è il licantropo ad averlo mosso a compiere quel gesto, bensì la sua natura umana. Infatti, riprese le sue vere fattezze e stretto tra le braccia dell’amata, la perdona per avergli sparato, ringraziandola per averlo aiutato a liberarsi dalla maledizione.

Al  limitare del bosco, Abberline e i poliziotti osservano ciò che si profila davanti ai loro occhi. Con una sorta di simbolico passaggio del testimone, la scena si chiude sull’Ispettore che, stringendo il bastone con l’impugnatura in argento, guarda la luna piena attraverso i rami.

La voce off di Gwen chiude effettivamente la pellicola prima che i titoli di coda seguano un ululato malinconico:  «Dicono  che  non  ci  sia  peccato nell’uccidere una bestia. Soltanto nell’uccidere un uomo. Ma dove finisce l’una e inizia l’altra?»

Pur lasciando aperta la possibilità di produrre un sequel, The Wolfman è in grado di deviare l’attenzione dello spettatore dai luoghi comune del genere, riuscendo a farlo penetrare all’interno della corruzione mentale non solo caratteristica del protagonista, ma anche il padre -che, diversamente dall’originale, è il vero e primordiale portatore di distruzione all’interno dello status quo -e, soprattutto, l’Ispettore Abberline -che, in modo originale se paragonato alle pellicole del passato, anziché incarnare l’uomo di legge retto, racchiude in sé alcuni dei topoi cinematografici legati ai villain. D’altronde, come ricorda Johnston, « in un film come questo, vuoi che il pubblico non si senta a proprio agio, vuoi che reagisca di fronte alle cose, e il modo per riuscirci è inserirlo all’interno di un contesto che sia in grado di comprendere. Le trasformazioni sono molto raccapriccianti, perché vediamo un uomo mutarsi in bestia contro la sua volontà. Lui combatte, e le sue ossa cambiano forma e la sua pelle si tende, e io voglio che sembri doloroso. Secondo me, queste sono alcune delle parti del film più dure da vedere, perché sembra che lui stia agonizzando. Ma ci sono un sacco di bei momenti in grado di far spaventare» (28).



NOTE
1. Il Licantropo. Un superuomo? Gaël Milin, A cura di José Vincenzo Molle, EECIG, Genova, 1997.
2. Ibid.
3. Ibid.
4. Ibid.
5. Ibid.
6. Ibid.
7. Ibid.
8. Ernesto G. Laura, Boris e Bela: fiabe di mostri, Quaderni di “Filmcronache,” 13, ANCCI, Roma, 2000.
9. David J. Skal, The Monster Show. Storia e cultura dell’horror, Baldini&Castoldi, Milano, 1998.
10. Uno tra tutti è John Landis con Un lupo mannaro americano a Londra (1981).
11. Mark Salisbury, Faces of the Wolfman, “Fangoria,” 291, marzo 2010. Traduzione a cura di Selene G. Rossi.
12. Nell’originale, la poesia tormentone era: ‹‹Anche l’uomo che ha puro il suo cuore e ogni giorno si raccoglie in preghiera, può diventar un lupo se fiorisce l’aconito e la luna piena splende la sera.››
13. David J. Skal, The Monster Show. Storia e cultura dell’horror, Baldini&Castoldi, Milano, 1998.
14. Mark Salisbury, The Wolfman. Hair Today, Gore Tomorrow, “Fangoria,” 290, febbraio 2010. Traduzione a cura di Selene G. Rossi.
15. Mark Salisbury, Faces of the Wolfman, “Fangoria,” 291, marzo 2010. Traduzione a cura di Selene G. Rossi.
16. Mark Salisbury, The Wolfman. Hair Today, Gore Tomorrow, “Fangoria,” 290, febbraio 2010. Traduzione a cura di Selene G. Rossi.
17. Descrizione di Rhode citata da Otto Rank in Il Doppio. Il significato del sosia nella letteratura e nel folclore (1914), SugarCo, Milano, 1978, cit. in Gianfranco Verrua, MostruosaMente, Edizioni IDM, Torino, 1997.
18. Gianfranco Verrua, MostruosaMente, Edizioni IDM, Torino, 1997.
19. Gian Paolo Cesarani, I falsi Adami, Feltrinelli, Milano, 1969, cit. in Gianfranco Verrua, MostruosaMente, Edizioni IDM, Torino, 1997.
20. Aldo Carotenuto, Il fascino discreto dell’orrore. Psicologia dell’arte e della letteratura fantastica, Bompiani, Milano, 1997.
21. Jean Clair, Medusa. L’orrido e il sublime nell’arte, cit. in Aldo Carotenuto, Il fascino discreto dell’orrore. Psicologia dell’arte e della letteratura fantastica, Bompiani, Milano, 1997.
22. Aldo Carotenuto, Il fascino discreto dell’orrore. Psicologia dell’arte e della letteratura fantastica, Bompiani, Milano, 1997.
23. Mark Salisbury, The Wolfman. Hair Today, Gore Tomorrow, “Fangoria,” 290, febbraio 2010. Traduzione a cura di Selene G. Rossi.
24. Ibid.
25. Patrick Kevin Day, ‘The Wolf man’ and the Secrets of Torture Tech, “Los Angeles Times,” 18 febbraio 2010. Traduzione a cura di Selene G. Rossi.
26. Mark Salisbury, The Wolfman. Hair Today, Gore Tomorrow, “Fangoria,” 290, febbraio 2010. Traduzione a cura di Selene G. Rossi.
27. Ibid.
28. Ibid.

2 commenti:

  1. E con questa seconda parte super Selene conferma di aver scritto un super saggio. Complimenti.
    Antonella

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  2. Grazie mille Antonella! Tutti questi super complimenti mi fanno arrossire!!

    Selene

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