Nasce CALABUIG
il nuovo marchio di narrativa internazionale di Jaca Book
AUTORI INEDITI DEL NOVECENTO, CONTEMPORANEI E NON, SONO I PROTAGONISTI DI QUESTA NUOVA AVVENTURA EDITORIALE
Goli
Taraghi e Mario Levrero inaugurano il viaggio di Calabuig
Calabuig è una nuova avventura
editoriale con la missione di rilanciare la narrativa all’insegna di garanzia e indipendenza. “Qualità letteraria e libertà
di scelta sono i timoni del nostro nuovo marchio" sottolineano gli
editori Vera Minazzi e Sante Bagnoli (Jaca
Book), “che nasce per accompagnare i lettori alla scoperta di narratori inediti contemporanei e della
seconda metà del Novecento destinati
a diventare gli scrittori di culto di domani. Sarà privilegiata una politica d’autore che punta a scoprire più opere
della stessa penna, e al tempo stesso proporre una ricca varietà di prospettive
e provenienze culturali”.
Perché
Calabuig?
È un nome dai mille colori e dalle variopinte suggestioni tra arte e cultura. Al cinema è stato il titolo di un film
del 1956, scritto da Ennio Flaiano e diretto da Luis Garcia Berlanga; in musica appare in un album del 1978
di Roberto Vecchioni: Calabuig, stranamore e altri accidenti. “Nei libri sarà un grande spettacolo di
fuochi d’artificio, a illuminare le letterature del mondo”, promette il
direttore editoriale Mariarosa Bricchi:
“Proporremo storie di terre prossime e
lontane racconti dall'Europa, dall'America, dall'Africa, dall'Asia, selezionati
per l’eccellenza nella scrittura e
per la capacità di riaccendere il gusto
e il desiderio della lettura”.
Un
caleidoscopio di narrazioni confezionate nella migliore tradizione della bella editoria: tutti i passaggi sono
seguiti con cura, precisione e attenzione ai dettagli: dalla scelta delle opere
alla freschezza delle traduzioni (tutte dalla lingua originale), fino alla
definizione della copertina e dell'originale identità grafica dei volumi.
Il viaggio
di Calabuig per terre lontane è iniziato il 23 ottobre 2014, con la pubblicazione dei primi due titoli: Il
romanzo luminoso dell'uruguayano Mario
Levrero, poliedrica figura di scrittore, fotografo, libraio, enigmista, e la
raccolta di racconti La signora Melograno di Goli Taraghi, grande signora della letteratura persiana, nata a
Teheran e residente a Parigi, dove ha ricevuto l'onorificenza di “Chevalier des
Arts et des Lettres”.
L’esplorazione
della letteratura internazionale proseguirà con la luminosa malinconia del
francese Dominique Fabre, la Tokyo
psichedelica del giapponese Kazushige
Abe, la misteriosa trasparenza dei racconti dell'argentina Hebe Uhart, le bizzarre avventure di un
inventore musicista con l’australiano Murray
Bail. In equilibrio fra Storia e vissuti personali, le memorie di Szép Ernő sull’olocausto in Ungheria,
passioni e ossessioni del turco Yusuf
Atilgan e l'Egitto tratteggiato dal maestro della narrativa araba Sonallah Ibrahim.
E
proprio il gioco di prospettive e culture diverse è al centro della raccolta di
Goli Taraghi, La signora Melograno: incontro in quella terra di mezzo che è
l’aeroporto, fra due donne apparentemente agli antipodi ma che scopriranno di
condividere assai più di un posto sul volo Air France da Tehran a Parigi e la
passione per le ricette tradizionali. La Storia, l’Iran, la Rivoluzione, e
insieme, in un rimando di primi piani, le storie dei protagonisti, vite in
transito segnate dall’esperienza dell’esilio che proseguiranno il cammino
aiutandosi a vicenda.
Nel corso della conferenza stampa per il lancio della collana, alcune frasi di Goli Taraghi mi hanno particolarmente colpito:
"Mantenere la propria lingua quando si è in esilio è molto femminile e ti caratterizza in quanto esule (Goli scrive in persiano)."
" L'Iran è un Paese pieno di contraddizioni, tuttavia noi siamo orgogliosi del nostro passato".
"Le madri sono le vere vittime delle rivoluzioni, e la parola 'casa' si identifica con un aereo".
"Scrivere è una valida terapia per uscire dal tunnel della depressione"
Nel corso della conferenza stampa per il lancio della collana, alcune frasi di Goli Taraghi mi hanno particolarmente colpito:
"Mantenere la propria lingua quando si è in esilio è molto femminile e ti caratterizza in quanto esule (Goli scrive in persiano)."
" L'Iran è un Paese pieno di contraddizioni, tuttavia noi siamo orgogliosi del nostro passato".
"Le madri sono le vere vittime delle rivoluzioni, e la parola 'casa' si identifica con un aereo".
"Scrivere è una valida terapia per uscire dal tunnel della depressione"
Un
intreccio di vissuti che ritroviamo in Mario
Levrero: Il romanzo luminoso è
una giostra velocissima e scintillante di aneddoti, contrattempi, scene di vita
quotidiana che l’autore raccoglie nel tentativo di dar loro quel senso che si
comprende solo alla fine: l’obiettivo è restituire al lettore l’esperienza di
un’illuminazione, fatta di apparenti casualità, sentieri interrotti, sorprese.
Una “rotta perduta” ma anche un racconto biografico, in equilibrio perfetto tra
realtà e assurdo: perché anche le vite più semplici, i fatti più
insignificanti, sono invece meravigliosamente complicati.
Mario
Levrero
Storia
di una storia impossibile da scrivere. Di una “rotta persa fin dal principio”, di “strade insospettate” e di sentieri oscuri attraverso frammenti
dell’inconscio. Perché – dice Mario Levrero nell’incipit de Il romanzo luminoso, “ci sono cose che non si possono narrare, e
questo libro è l’esempio di un insuccesso”. Inizia così un’avventura che nasce
da un “impulso dettato da un’immagine
ossessiva”: raccontare l’esperienza di un’illuminazione. Una sfida
che, di fatto, diventa un diario lungo un anno fatto di divagazioni,
vagabondaggi, storie che incollano il lettore alla pagina in un caleidoscopio
di immagini e aneddoti. Perché, precisa subito l’autore, “i fatti luminosi, se vengono narrati,
cessano di essere luminosi, deludono, sembrano sciocchezze. Non sono
accessibili alla letteratura, o per lo meno alla mia letteratura”.
Eppure
è proprio questo, l’obiettivo dichiarato di quello che Levrero chiama “Diario della borsa” (ricevuta dalla
Fondazione Guggenheim per rivedere e ultimare il romanzo): e che prende il via
da un “impulso dettato da un’immagine
ossessiva”. Ovvero, un amico che “mi
aveva spinto a scrivere una storia che io sapevo impossibile da scrivere, e me
lo aveva imposto come un dovere; quell’imposizione era rimasta lì, a lavorare
nell’ombra, severamente respinta dalla coscienza”. C’è l’idea di riprendere
un romanzo lasciato a metà da più di quindici anni, e un sogno che avverte che
“non ci riuscirò senza le chiavi di me
stesso che io stesso ho nascosto; non le ho nascoste troppo bene, non le ho
sepolte nell’inconscio, però mi tocca frugare un po’ nella sabbia del
subconscio per farle saltar fuori”.
Comincia
così una lunga serie di divagazioni che precipitano il lettore in una
dimensione surreale ed estremamente logica allo stesso tempo: un po’ come salire
su una giostra, con tutto il divertimento e lo spaesamento di una corsa a
velocità folle, mentre le divagazioni - che sembrano distrarre dalla
scrittura del libro – in realtà afferrano il lettore, lo divertono, coinvolgendolo
in una storia fatta di mille storie che negano di esserlo. Il romanzo luminoso
si rifiuta di prendere forma: o meglio, si impossessa del suo autore portandolo
fuoripista, in un tentativo – vano - di afferrare l’universo in una serie di
spazi circoscritti, al cui centro troneggia il computer, filtro tra sé e il
mondo e simbolo dell’inconscio.
Abitato
da mille ossessioni e capace di disegnare labirinti immaginari, narratore tanto
più abile quando nega di esserlo, assurdo e ironico, Levrero riempie il vuoto
di strane attrattive: e racconta una vita normale come il più aggrovigliato
degli intrighi. “Avevo la vaga
speranza che tutte le linee narrative aperte potessero trovare un qualche
genere di conclusione – avverte sapientemente l’autore - naturalmente non è stato così e questo
libro, nel suo insieme, è come una mostra o un museo di storie incomplete”.
Pagina
dopo pagina, aneddoto dopo aneddoto, l’autore parla dei romanzi gialli che non
riesce a smettere di leggere, delle sue relazioni sentimentali, del fatto che è
separato, ha cinque nipoti. C’è Chl, la donna amatissima, non più amante ma
amica, sorella, custode, con le sue visite, i cibi che cucina per lui, le passeggiate,
gli scambi di libri, la presenza più viva del romanzo. E poi i vagabondaggi per
le strade di Montevideo, i libri che lo ossessionano, la passione per Internet,
la pornografia e la paura della morte, lezioni di yoga e sedute psichiatriche. Racconti
che attraversano cinque vasti capitoli che non sono altro che il faticoso
tentativo di ritrovare la rotta perduta.
L’idea
di creare un ambiente di contorno per ogni fatto luminoso da narrare porta
l’autore a “complicarsi la vita”
attraverso sentieri oscuri e insospettati, innumerevoli catarsi, “frammenti di me stesso che giacevano sepolti
nell’inconscio”, tutto annotato con una scrittura limpida e precisa che
regala a ogni dettaglio quotidiano il sapore di un’avventura. In equilibrio
perfetto tra realtà e assurdo.
Mario
Levrero – il nome completo è Jorge Mario Varlotta Levrero -
è nato a Montevideo nel 1940, e morto nel 2004. Si interessava di ipnosi,
fenomeni telepatici, computer e libri gialli, e ha svolto molti mestieri, come il
fotografo, il libraio, l’autore di parole crociate e di videogiochi. Ha anche
pubblicato una decina di romanzi che lo hanno trasformato in uno scrittore di
culto per i lettori e per molti scrittori latinoamericani. La rivista “Granta”
lo ha proposto all’attenzione di lettori europei nella rubrica “Best
untranslated writers”.
Goli
Taraghi
La
signora Melograno
Calabuig,
pagg. 224 - €14,00
L’incontro
avviene in quella terra di mezzo che è l’aeroporto, in un “andirivieni eterno” fatto di “muri
di vetro che dividono il gruppo di quelli che rimangono da quelli che partono”.
Inizia così, nel limbo affollato dell’Aeroporto di Tehran, volo Air France 726,
destinazione Parigi, in un mondo dove tutti sono stranieri a se stessi,
l’incontro tra le due donne protagoniste del primo racconto di Goli Taraghi,
che dà il titolo alla raccolta, La
signora Melograno. Tutto comincia in coda alla dogana: una donna deve
rientrare in Francia, dove vive. L’altra donna è un’anziana campagnola, confusa
e smarrita, al suo primo viaggio. Deve andare a trovare i suoi figli in Svezia,
è vestita a strati per non sentire il freddo e ha una borsa piena di
cianfrusaglie: scatole di dolci, un paio di metri di tessuto tipico di Yazd,
tazze di plastica, due paia di scarpe maschili, regali per i suoi figli. La
seconda valigia è piena di melagrane e melanzane.
È
così che il bizzarro trovarsi di due donne agli antipodi si trasforma in
un viaggio l’una alla scoperta dell’altra: una vecchia signora che non è
mai uscita dal suo villaggio e non sa districarsi tra aerei e controlli
doganali si attacca all’altra, costringendola ad aiutarla e raccontandole, con
allegria, la sua vita. L’altra, in bilico tra due mondi, è piena di amarezza e ansia
verso il futuro. “Ho pensieri oziosi
– racconta infatti la protagonista - tipo
vado in Francia, ci rimango e non torno più; o fantasie ancora più oziose,
immagino di rimanere nella cara Tehran, con i suoi pregi e i suoi difetti e di
lì non mi schiodo”.
Sullo
sfondo c’è la Storia, l’Iran, la Rivoluzione. Ma in primo piano ci sono le
storie, le vite in transito dei protagonisti, con la vitalità struggente
che ha solo chi vive in un perenne esilio. “In Svezia non ci sono melanzane – racconta l’anziana signora che si
chiama Anar (e che in persiano significa “melograno”) - allora ne ho portato qualche chilo, magari venisse anche lei in Svezia,
stasera voglio preparare lo stufato di melanzane, e anche il pollo alle
melagrane. Ogni sera cucinerò un piatto iraniano per questi figli ingrati così
che gli venga nostalgia di Yazd”.
Le
donne protagoniste di Goli Taraghi si adattano, tra tristezza e ironia, ai
capovolgimenti di un mondo tutto nuovo. Con lo spaesamento, la curiosità, la
dolcezza difficile che prova chi si abbandona ai rivolgimenti della Storia. Sempre
stranieri a se stessi – nel loro stesso paese così radicalmente mutato,
oppure in luoghi lontani – i protagonisti di Goli Taraghi sono stupefatti,
mai sconfitti. E, con ironia, si addentrano in storie sempre un po’
bizzarre, sempre capaci di dire al lettore qualcosa di inatteso su una cultura
fascinosa e diversa.
C’è
Anar che dopo dieci anni cerca i suoi figli, sradicati dal loro mondo. “Ce ne sono tanti come loro, dovunque vadano
si sentono estranei, non trovano pace – riflette la protagonista - vedrà che un giorno i suoi figli torneranno.
Felici, si stenderanno all’ombra del melograno a fare un pisolino. Beh, anche
partire e ritornare è un modo di vivere”.
L’Iran,
coi suoi colori e i suoi profumi, pulsa nelle pagine di Goli Taraghi, anche
quando le storie si svolgono a Parigi. La Rivoluzione islamica è presente in
ogni racconto, ma non è mai l’argomento centrale. Piuttosto, gli sconvolgimenti
politici e sociali agiscono dietro le quinte. E così, la protagonista
ripercorre i suoi giorni iraniani, quando era “una studentessa al secondo anno della facoltà di Filosofia, e tutto
immaginavo nel mio futuro tranne che sarebbe arrivata la Rivoluzione, che
avrebbero chiuso l’università e che mi sarei trasformata in una nomade”.
Invece
la Rivoluzione arriva, anche se sembrava che “non ci potesse toccare. Stavamo tranquille con la nostra illusione
finché arrivò il decreto di confisca della nostra casa da parte del Tribunale
Rivoluzionario: era un’ingiunzione che, in pratica, diceva che i bei giorni
erano finiti e dovevamo andarcene”. Iniziano anni di scompiglio, ma anche
di biciclettate, lezioni di ballo al femminile. E di inquietudini, come
quella che prende la notte quando si “pensa
al cielo oltre allo spesso soffitto di gesso, agli ampi spazi, agli orizzonti
aperti e alla possibilità di una vita diversa. In un altro posto”.
Goli
Taraghi è una delle grandi autrici della letteratura persiana.
Nata a Tehran nel 1939, in una famiglia colta e agiata, studia tra Iran e Stati
Uniti e comincia a pubblicare negli anni ’60. Nella fase iniziale della
Rivoluzione si trasferisce con i figli a Parigi, ma continua a scrivere in
persiano. I suoi racconti circolano in Iran, dove la scrittrice è amatissima,
ma sono anche tradotti e apprezzati in francese e in inglese. Goli Taraghi è
stata nominata Chevalier des Arts et des Lettres e ha ottenuto il Bita Prize
for Literature della Stanford University.
Non posso far altro che augurare un GRANDE successo a questa nuova iniziativa editoriale che porta un po' di luce in un mondo letterario abbastanza scontato e a volte squallido.
RispondiEliminaFrancesco
Grazie, comprerò La Signora Melograno!
RispondiEliminaMarina
Jaka Book conferma le sue scelte intelligenti e innovative. Corinna
RispondiEliminaGrazie per i commenti positivi su un'iniziativa editoriale destinata al successo.
RispondiEliminaMimma
Ho letto "La signora Melograno". LEGGETELO!
RispondiEliminaArianna