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lunedì 22 agosto 2022

1900 TOSCA VA IN SCENA ...Qualche curiosità – parte 4 -

 (di Mimma Zuffi)

DIETRO LE QUINTE

RISCHI DA STUNTMAN


  Il salto di Tosca dagli spalti di Castel Sant’Angelo, epilogo dell’opera, da sempre procura alle cantanti qualche patema d’animo. Fin dalla “prima” al Costanzi di Roma è tradizione provvedere ad attutirne la caduta accatastando dietro la scena qualche vecchio materasso. Non di rado è successo che, nella confusione del cambio di scena fra II e III atto, gli attrezzisti si siano scordati di questa precauzione  costringendo la protagonista a saltare sulle tavole (a meno di optare per un imprevisto “lieto fine”). Fra le  interpreti di Tosca, cui è toccato saltare sul pavimento c’è Gina Cigna. Il fattaccio le capitò al termine di una rappresentazione al teatro Colòm di Buenos Aires nel 1932. Ricorda l’artista: “Mi si conficcarono nella carne le forcine dei capelli ed andai  a ringraziare al proscenio con la fronte sporca di sangue.” Mentre si inchinava tenendo per mano ilo tenore, le venne per un attimo il dubbio che l’ ”incidente “ potesse essere stato ideato proprio dal compagno di scena, notoriamente geloso del suo successo.

 

L’INCENDIO SPENTO DA UN BACIO


 Maria Callas e Tito Gobbi stavano cantando Tosca al Covent Garden di Londra nel 1964: Nel corso del duetto dell’atto II, presa dalla concitazione della recita, la cantante si appoggiò con la schiena al tavolo di Scarpia senza rendersi conto che si stava accostando troppo alla fiamma delle candele. Da una ciocca della sua parrucca cominciò a levarsi un filo di fumo. Anticipando i tempo della seduzione previsti dalla vicenda, Gobbi abbracciò la Callas e, fingendo di immobilizzarla per strapparle un bacio, provvide a soffocare le scintille con il palmo di una mano. Compreso il motivo per cui il collega stava improvvisando, la Callas seguitò a cantare e in una pausa riuscì anche a bisbigliargli: “Grazie, Tito”. Conclude Gobbi, narrando l’episodio nelle sue memorie “Questa era Maria Callas”.

L’INCONFONDIBILE TIMBRO

Nei giorni in cui la Callas stava provando Tosca al Covent Garden, un’ elegante signora con tanto di blasone nobiliare si presentò al portiere del teatro e gli chiese di poter ammirare la cantante in scena. Le bastava una sbirciatina, disse.

L’usciere ovviamente rifiutò. Cocciuta, la dama chiese di poter ascoltare almeno per un istante la voce della Divina attraverso lo spioncino alle spalle del portiere. Stavolta l’inserviente acconsentì e la dama accostò l’orecchio alla finestrella.

Nessuno dei due poteva sapere che la cantante quel giorno era costretta a letto da un fastidioso raffreddore. Per rimediare all’emergenza, aiuto  regista John Copley ne aveva preso il posto sul palcoscenico e, imitando con un  grossolano falsetto l’emissione sopranile, provava con l’orchestra i movimenti scenici di Floria Tosca.

Proprio un istante dopo che l’usciere ebbe aperto lo spioncino, Copley lasciò partire uno strillo spaventevole, da film di Hitchcock più che da opera lirica. “Aah!”,  mormorò estasiata la dama volgendosi all’usciere – The unmistakable voice !” (Che voce inconfondibile!) e filò a  raccontare alle amiche le mirabilia vocali della Callas.

FARE SCARPIA

 Suppongo che ogni interprete di Scarpia abbia cercato fino allo struggimento di fare della famosa entrata una scena impressionante; in realtà, l’impatto e tutto lì, nella musica: quattro minacciosi accordi, misurando i passi – uno- due- tre- quattro – che lo portano nel centro del palcoscenico, esprimono tutta la drammaticità  della sua entrata, cammina verso la ribalta, a tempo, su questi accordi, con passo pesante, che deve trasmettere lo stesso minaccioso potere che Puccini dà alla sua musica, il resto è completato dall’espressione e dall’elegante arroganza del portamento.

Non c’è alcun bisogno di agitarsi a destra e a manca: fermo! Il terrore si esprime con maggior efficacia attraverso l’assoluta immobilità che attraversa uno o sfoggio di azione scenica. Quanto a me, Scarpia, dopo aver concluso il duro interrogatorio del sagrestano, me ne vado in giro senza fretta per la chiesa, calmo ma autorevole, facendo svolazzare la cappa di seta, quasi un uccellaccio di malaugurio, ma sempre elegante. Ho l’aria e i gesti di una persona schizzinosa, che non tocca nulla per non essere profanato, tengo la voce sotto controllo, il che crea un efficace contrasto quando la lascio vibrare all’arrivo di Tosca. La voce si addolcisce allora, e il viso è sorridente mentre con passo elegante, ritmato dalla musica, le vado incontro per offrirle l’acqua santa.

 

Tito Gobbi, “La mia vita”,

Rusconi, Milano, 1985

ITALIANI - ETERNI BURLONI

I grandi teatri di repertorio, dove tutti i santi giorni il sipario si alza per lo spettacolo, da anni hanno smesso di dare opere in traduzione. non più dunque produzioni di Carmen cantate in inglese o della Forza del destino trasformata in una tedesca Macht des Schicksals, ma solo produzioni originali in francese e in italiano.opere italiane questi teatri ingaggiano compagnie di artisti di madrelingua italiana. se lo spettacolo cade in un periodo morto della stagione, vengono scritturati, per risparmiare, cantanti con un nome ancora di richiamo ma di fatto fuori carriera nel nostro paese per raggiunti limiti di età. All'Opera di Stato di Vienna questa circostanza è abbastanza frequente durante i mesi estivi, quando la platea è piena di turisti, asiatici perlopiù, di scarsa competenza operistica. Le compagnie di canto   si rendono conto di prodursi di fronte a un pubblico incapace di apprezzare qualsiasi finezza esecutiva e combattono la frustrazione artistica che ne deriva prendendosi gioco, d buoni italiani, degli ignari spettatori. Si ricorda una Tosca a Vienna che presentava come Scarpia un baritono italiano molto noto negli anni'50 e '60 e, fra i  comprimari (Sagrestano, Spoletta, ecc.) alcune vecchie volpi volpi nostrane di quei ruoli. Durante i recitativi quella Tosca ferragostana e sudaticci sfociò in palcoscenico un vero e proprio torneo di frizzi . Nel primo atto quando Tosca esce piangendo da Sant'Andrea in cerca del suo amante, lo sfortunato Cavaradossi, Scarpia ordina a Spoletta di farla pedinare dicendo:"Tre sbirri, una carrozza...Presto!": Fra la beata indifferenza degli spettatori, quella volta Scarpia passò  a Spoletta un'ordinazione da cameriere: "Tre birre, una scamorza... Presto!".



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