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lunedì 4 ottobre 2021

Storia di San Pietroburgo - parte dodici

 di Tatiana Bertolini

La rivoluzione d’Ottobre

 

Per i fatti che si svolsero alla fine di ottobre (secondo il calendario giuliano) o inizio novembre (calendario gregoriano) del 1917 è molto preziosa la testimonianza di un giornalista americano John Reed, che trovandosi a Pietrogrado in quei giorni ha lasciato diverse descrizioni di quelle vicende, avendo avuto l’opportunità di trovarsi nei punti caldi al momento giusto. Già il 13 settembre i bolscevichi avevano ottenuto la maggioranza nel Soviet di Pietrogrado, e il 20 in quello di Mosca. Il comitato esecutivo eletto dal congresso panrusso dei soviet era ancora a guida moderata, mentre si era deciso per la fine di ottobre di indire un nuovo congresso panrusso.

In ottobre Lenin era rientrato clandestinamente dalla Finlandia e stava convincendo il suo partito a non seguire la dottrina di Marx in modo ortodosso ma a forzare i tempi.

Nella capitale aveva trovato un valido alleato in Lev Bronštein, meglio noto come
Trockij, già dirigente del Soviet di Pietrogrado nel 1905. 

Sentinelle bolsceviche allo Smolnij

Il tempo in quel mese, benché ancora autunno, era pessimo, segnato da continue piogge che rendevano le strade fangose, e il clima estremamente umido se non già freddo. Questo complicava ulteriormente le code estenuanti per gli approvvigionamenti alimentari, sempre più difficili non solo per la guerra che perdurava, ma per le azioni di sabotaggio messe in atto dagli speculatori che portavano oltre confine, in Svezia, generi di prima necessità quali viveri e combustibili, mentre i proprietari avevano allagato le loro miniere e distrutto le proprie fabbriche tessili. Alcuni funzionari ferroviari avevano messo fuori uso le locomotive. Lo zucchero era introvabile, la razione di pane scesa a poco più di 100 grammi a testa, una candela co­stava 50 centesimi di dollaro. Questa situazione così drammatica non riguardava però la nobiltà e la ricca borghesia che riuscivano ancora a cenare nei ristoranti del centro dove non c’era affatto penuria di cibo.

Una domanda che esse si ponevano, quasi un nuovo gioco di società, era se fosse preferibile la dominazione del Kaiser  Guglielmo o quella dell’Im­peratore Francesco Giuseppe, poiché l’aristo­crazia, l’alta borghesia e il partito dei cadetti auspicavano un’invasione politico-militare da parte della Germania per porre fine alla rivoluzione. I cosacchi, che a febbraio si erano schierati con i lavoratori scesi in sciopero, ora erano incerti e parevano disposti a passare con i reazionari, mentre nuove rivolte di ucraini e bielorussi rendevano la situazione generale ancora più caotica.


Presso l’Istituto Smolny, dove fino a febbraio studiavano le figlie della nobiltà, Lenin aveva posto il quartier generale dei bolscevichi, i quali si apprestavano ad organiz­zare il congresso panrusso dei soviet. Intanto era stata aperta al pubblico la biblioteca dell’istituto e decine di russi prendevano a prestito non solo classici della letteratura, Tolstoij, Gogol, Gorki, ma anche saggi di economia e sociologia.

 

Allo Smolnij si sussegui­vano riunioni e assemblee, quella del 17 ottobre durò tutta la notte: contadini testimoniarono gli arresti dei componenti i comitati per la riforma agraria, operai delle Putilov denunciarono la sparizione di carbone e materie prime, soldati arrivati dal fronte narrarono ciò che lì realmente avveniva, e quali erano le loro condizioni. Il 18 ottobre (per noi 31) sul Rabočij put (tempo del lavoro) Lenin aveva scritto un articolo che spronava all’insurrezione generale: proprio per difendere la rivoluzione era necessario applicare il motto “tutto il potere ai Soviet”; questo in risposta a Miljukov, capo dei cadetti, che aveva accusato i rivoluzionari di disfattismo e di preferire la diplomazia tedesca a quella russa. Il governo non poteva ignorare la propaganda bolscevica e, seppur tardivamente, il 19 ottobre licenziò un progetto di riforma agraria, e lasciò intravvedere un’ipotesi di cessate il fuoco, Kerenskij abolì pena di morte nell’esercito.

I delegati al congresso panrusso, sarebbero dovuti arrivare da tutto il paese, ma vista la situazione ciò procedeva a rilento e con difficoltà, mentre i menscevichi e gli altri avversari di Lenin andavano dicendo che il congresso non si sarebbe mai tenuto tentando così di scoraggiare i delegati dal mettersi in viaggio. Il 20/10 erano presenti solo 15 delegati, il 22/10 erano 175 di cui 103 bolscevichi. Il governo provvisorio aveva pensato di mandare al fronte la guarnigione di Pietrogrado (60.000 uomini) per disinnescare il pericolo bolscevico. La sera del 21 ottobre in una riunione Lenin fissò la data dell’insurrezione per il 25 ottobre (7/11).

La mattina del 24 ottobre (6/11) si vide affisso per le vie un manifesto che accusava i seguaci di Kornilov di far fallire il congresso panrusso e l’assemblea costituente e scatenare possibili pogrom. Il Soviet degli operai e dei soldati di Pietrogrado si assumeva il compito di tutelare la rivoluzione. Era il segnale. La sera di quel giorno giunse la notizia che la Fortezza di S. Pietro e Paolo era passata con i bolscevichi, e nonostante le linee telefoniche fossero state tagliate le comunicazioni con le caserme e le fabbriche erano garantite da una attrezzatura di telefotografia militare. Gli Yunker, militari legati allo zar di stanza a Peterhoff non riuscirono a raggiungere la capitale.

A tarda sera sulla piazza del Palazzo i soldati ammucchiarono cataste di legna dietro cui posizionarsi per difendersi dai cecchini.

 

L’Incrociatore Aurora

 

 


Dopo la mezzanotte dall’incrociatore Aurora ormeggiata alla foce della Neva, partì la prima di una serie di cannonate.

Gli insorti uscirono dal doppio arco del Palazzo di Stato Maggiore prospicente il Palazzo d’Inverno e si diressero verso l’edificio al cui interno era riunito il governo Provvisorio.


Non incontrarono resistenza se si escludono i colpi dei cecchini. Le cannonate dell’incrociatore fecero cadere qualche cornicione; all’interno i bolscevichi si diressero dove era il governo per trarlo in arresto, mentre il commissario del Popolo chiudeva l’accesso alle gallerie e alle pinacoteche che furono così messe in salvo. Ancora oggi il turista può visitare la sala dove era il governo e vedere l’orologio fermo sull’ora in cui si volsero quei fatti.



L’età d’argento

 

Con questo nome i russi hanno indicato il periodo artistico che occupa i primi 15 anni del XX secolo fino alla rivoluzione russa.

Periodo molto ricco di autori che spaziano nei generi e nelle direzioni più diverse.

Dopo la grande stagione del romanzo russo storico-realista, la narrativa si era indirizzata maggiormente verso i racconti, il teatro e la poesia.



Una delle figure più significative a cavallo tra i due secoli è senza dubbio quella di
Anton Čechov (1860-1904). Medico e scrittore, stroncato dalla tisi a soli 44 anni, fu autore di innumerevoli racconti, ambientati sia nella capitale, che nella provincia, e di celebri lavori teatrali. Essi però furono rappresentati per la maggior parte al Teatro dell’Arte di Mosca che in quel periodo stava raggiungendo il culmine della sua attività e rinomanza.


L’ultimo lavoro di Čechov il celeberrimo “Il giardino dei ciliegi” è uno spaccato di quello che stava accadendo in Russia: i nobili proprietari terrieri, rimasti senza soldi, devono mettere all’asta le loro proprietà, che sono acquistate proprio dai figli di quei contadini che prima erano stati loro servi.

Lavoro in un certo senso profetico di quanto sarebbe accaduto di lì a poco.

 

Un altro autore che esordisce con lavori teatrali è Maxim Gorkij (1868-1936),


anche le sue opere, I bassifondi, ambientato in un dormitorio e Piccoli borghesi, sono date al teatro dell’Arte di Mosca. La madre è invece un romanzo che narra la Russia prerivoluzionaria,


A Pietroburgo troviamo compositori quali Scriabin e Rakmaninov, un esordiente Stravinskij (che però lascerà la Russia per lavorare a Parigi con i Ballet Russe di Diaghilev), e poeti quali

 


 

Boris Pasternak, (1890-1960)

 

 

 










Osip Mandel’štam

(1891-1938)

 

 

 

 

 

 

 

 

 


e Anna Akmatova. (1889-1966)

 

Questi ultimi due fecero parte della corrente degli acmeisti. Una corrente che si opponeva al simbolismo, dilagante nell’Europa di fine ‘800, per tornare ad “un mondo sonoro, multicolore, della forma, del peso e del tempo”.



Infine non bisogna dimenticare la corrente futurista, che si sviluppò in Russia parallelamente a quella italiana ma con contenuti profondamente diversi, l’esponente principale di questa corrente fu senza dubbio Vladimir Majakovskij, autore anche di opere teatrali

 

 

 

 

 

 

  

Pasternak, conosciuto soprattutto per il suo romanzo Il dottor Zivago è, in primis, un poeta. Di seguito una sua poesia che sembra scritta per i nostri tempi:

 

ESSERE RINOMATI NON È BELLO


Essere rinomati non è bello,

non è così che ci si leva in alto.

Non c'è bisogno di tenere archivi,

di trepidare per i manoscritti.


Scopo della creazione è il restituirsi,

non il clamore, non il gran successo.

È vergognoso, non contando nulla,

essere favola in bocca di tutti.


Ma occorre vivere senza impostura,

viver così da cattivarsi in fine

l'amore dello spazio, da sentire

il lontano richiamo del futuro.


Ed occorre lasciare le lacune

nel destino, non già fra le carte,

annotando sul margine i capitoli

e i luoghi di tutta una vita.

 

Ed occorre tuffarsi nell'ignoto

e nascondere in esso i propri passi,

come si nasconde nella nebbia

un luogo, quando vi discende il buio.


Altri seguendo le tue vive tracce,

faranno la tua strada a palmo a palmo,

ma non sei tu che devi sceverare

dalla vittoria tutte le sconfitte.


E non devi recedere d'un solo

briciolo dalla tua persona umana,

ma essere vivo, nient'altro che vivo,

vivo e nient'altro sino alla fine.

 

Di Anna Akmatova ecco una breve lirica del 1917 tratta dalla raccolta La corsa del tempo.

 

Si li ho amati quei raduni notturni:

i bicchieri ghiacciati sparsi sul tavolino,

l’esile nube fragrante sul nero caffè,

l’invernale, greve vampa del caminetto infocato,

l’allegria velenosa dei frizzi letterari

e il primo sguardo di lui, inerme e angosciante

 

Infine, del Poema di Lenin di Majakovskij ispirato alla Rivoluzione d’ottobre, l’inizio del canto undicesimo.

 

E quando alle barricate si giunse,

scegliendo un giorno nella serie dei giorni,

Lenin stesso apparve a Pietrogrado:

“Basta, compagni.

Troppo a lungo soffrimmo.

Il giogo del capitale, il mostro della fame,

i banditi delle guerre, i ladri interventisti

ci sembreranno più bianchi dei néi

sul corpo rugoso di nonna storia antica. Basta”.

E guardando di laggiù queste giornate,

vedrai dapprima la testa di Lenin:

il suo pensiero apre una strada di luce

dall’éra degli schiavi

ai secoli della Comune.

Passeranno gli anni dei nostri tormenti

e ancora all’estate della Comune,

scalderemo la nostra vita

e la felicità, con dolcezza di frutti giganti,

maturerà sui fiori dell’ottobre.”

 


Cambia la capitale, cambia il nome



All’indomani della rivoluzione d’ottobre la Russia visse momenti drammatici: dapprima l’armistizio con la Germania, poi la guerra Civile. Il 12 marzo del 1918 Lenin, spostò la capitale da Pietrogrado a Mosca. Dopo 215 anni quindi Pietrogrado cessa di essere la capitale di questo vasto paese, anche se resta un punto di riferimento imprescindibile. La decisione era stata dettata da motivi di sicurezza: il 3 marzo era stato concluso l’armistizio con la Germania a condizioni pesantissime. Poiché la Russia aveva subito parecchie sconfitte militari si trovava in una condizione svantaggiosa, non solo, all’indomani della rivoluzione le truppe tedesche avevano sfondato il confine ed erano avanzate compiendo razzie e saccheggi.


Con la pace di Brest – Litovsk i russi perdevano l’Ucraina, l’Estonia, la Lituania e la Lettonia. Per l’indipendenza della Polonia e della Finlandia si erano già dichiarati favorevoli i governi rivoluzionari di Febbraio e Ottobre. In Ucraina il governo ufficiale era in realtà una copertura poiché questa regione era occupata militarmente della Germania e rientrava nella sua orbita politica.

 


 Trattato Brest - Litovsk

 



Una parte della Transcaucasica fu ceduta alla Turchia, La Russia perse il 26% della popolazione, il 27% delle terre coltivabili il 32% delle colture di largo consumo, oltre il 70% delle industrie e riserve carbonifere.

Questa condizione però perdurò solo fino alla fine di quell’anno. Con la sconfitta della Germania il trattato di Versailles annullò la pace di Brest – Litovsk con il ritiro delle truppe tedesche dai territori occupati.

Intanto il 10 luglio 1918 era stata promulgata la prima costituzione della storia della Russia. Nello stesso mese furono uccisi a Ekaterinburg, dove erano tenuti prigionieri, i componenti della famiglia reale di Nicola II.

Ma un altro grave problema attraversò questo paese per oltre 2 anni: quello della guerra civile iniziata nell’estate del 1918.  Si era infatti nel frattempo costituita un’armata di forze controrivoluzionarie finanziata da potenze europee, dal Giappone e dagli Stati Uniti; questi paesi avevano inviato anche degli uomini: 60.000 i Giapponesi, 40.000 la Gran Bretagna, due divisioni a testa la Francia e la Grecia, 10.000 gli USA, 
anche l’Italia partecipò con alcuni effettivi. I Giapponesi avevano mire espansionistiche territoriali ed occuparono la penisola di Sakalin, gli altri paesi ufficialmente volevano impedire un espansionismo tedesco (assai improbabile viste le condizioni di Versailles), in realtà volevano stroncare la rivoluzione. A tutto ciò si aggiunse una frangia dei socialisti rivoluzionari che nell’agosto del 1918 organizzarono un attentato per uccidere Lenin rimasto però solo ferito.

L’Armata Bianca fu guidata fino all’aprile del 1919, quando cadde in battaglia, da Kornilov. Esso fu sostituito da Dinikin e poi da Kolčak. Questa armata comprendeva, oltre agli stranieri già ricordati, truppe rimaste fedeli allo zar e i cosacchi. Gli scontri più drammatici si ebbero nel Caucaso dove i cosacchi costi­tuirono temporanei governi locali antibolscevichi che si dimostrarono piuttosto sanguinari.


Dall’alta parte l’Armata Rossa, organizzata da Trockij, nominato commissario alla guerra, dopo iniziali sconfitte iniziò a guadagnare terreno, e pur con alterne vicende, alla fine riuscì a vincere la guerra, anche perché, ad un certo punto, buona parte delle truppe straniere si ammutinarono e chiesero di tornare a casa.



Ma nell’ottobre del 1919 mentre Deikin, occupata l’Ucraina avanzava su Mosca arrivando fino a Tula, Judenič avanzava su Pietrogrado dall’Estonia occupando il 16 ottobre Gatčina, a soli 50 km, e poi Pulkovo un sobborgo collinare. L’ex capitale era seriamente in pericolo, e fu salvata in extremis dall’Armata Rossa e dal suo coordinatore Trockij, 

Questo conflitto segnato da rappresaglie e una grave carestia ebbe fine nel 1920, con la sconfitta dell’armata bianca e l’evacuazione delle sue truppe a Costanti­nopoli.

Purtroppo dall’aprile all’ottobre di quell’anno un’altra guerra si aggiunse in coda: quella con la Polonia che intendeva impadronirsi dell’Ucraina e della Russia bianca: Il generale Tuchacevskij respinse l’offensiva e alla fine il 18 marzo del 1921 si giunse al trattato di Riga in cui la Polonia ottenne comunque una piccola parte dei territori richiesti.

Al termine di tutti i conflitti, per ragioni di spazio non possiamo occuparci delle questioni indipendentiste, il 30 dicembre del 1922 venne in essere l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. La Russia si apprestava quindi a divenire uno stato federale.

IL 21 gennaio 1924 moriva Lenin. Alla sua memoria fu dedicata la città di Pietrogrado che era stata la culla della rivoluzione, e fino al 1991 essa si chiamerà Leningrado.

 

 



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