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venerdì 15 ottobre 2021

Prigionie

 di Giovanna Rotondo

la battitura

sul blindo

della porta

l’aveva svegliato

di soprassalto.




Rimaneva

smarrito,

confuso

ogniqualvolta

il suono metallico

del manganello

strisciava

stridente

sulle sbarre

della cella.

Quel suono

metallico,

scomposto,

stridulo,

lo torturava,

occupava

la sua mente,

gli pulsava

nel cuore,

s’imprimeva

nella pelle,

rabbrividendola.  

 

Ombre umane

vagavano,

dentro, fuori

le baracche,

tesi solo

a percepire

affetti lontani

libertà perdute.

Un barlume

di coscienza,

la volontà

di rimanere

vigili

sopravviveva

in quei corpi

prigionieri

straziati

affamati,

frustrati

da condizioni

di solitudine

estrema.

Vite negate

in cerca

di rifugio,

destinate

a vagare

per rotte

impervie.

Moltitudini

intrappolate

in campi

profughi,

baraccopoli,

agglomerati

urbani

senza uscita

né futuro.

Bambini soli

abbandonati,

perduti

senza amore 

né tenerezza.

Il possesso,

il potere,

l’avidità

distruggono

la vita di molti

privandola

della bellezza

del bene comune.

 

 

La società

si alimenta

separando,

isolando,

punendo

chi sbaglia.

O chi perde,

pur tuttavia

incolpevole,

vittima

della guerra,

della malattia,

del caso,

dell’ingiustizia.

Una società

cannibale,

essa stessa

artefice

di alibi sociali

inaccettabili

che creano

prigionie

di massa.

 


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