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venerdì 10 settembre 2021

GIORGIO DE CHIRICO

 di Mimma Zuffi

GIORGIO DE CHIRICO

(10 luglio 1888 – 20 novembre 1978)

Nato il 10 luglio 1888 a Volos in Tessaglia, dove il padre ingegnere si era trasferito per seguire la costruzione di una ferrovia, Giorgio De Chirico trascorre l’infanzia in Grecia con la sorella Adele, morta giovanissima, il fratello Andrea, letterato, musicista e pittore egli stesso, che diverrà  famoso con lo pseudonimo di Alberto Savinio.

Di famiglia agiata e colta, il giovane Giorgio viene mandato allo scoppio della guerra greco-turca del ’97 a studiare all’Accademia di Atene. Insieme al fratello Andrea impara a suonare il violoncello e prende lezioni private d’italiano e storia, mentre le prime lezioni di disegno gli erano state impartite da un dipendente del padre, di nome Mavrudis.


Alla morte del padre, 1906, tutta la famiglia si trasferisce dopo un tortuoso viaggio attraverso l’Italia a Monaco di Baviera. Qui De Chirico frequenta l’Accademia di  Belle Arti, subendo una vera e propria infatuazione per l’opera del pittore romantico tedesco Boekclin, e legge Nietzsche e Schopenhauer. Si trasferisce quindi brevemente a Milano, poi a Firenze e a Torino. Ma è a Parigi, dove va con la madre nel 1911, che la sua personalità ha modo di svilupparsi definitivamente, entrando in contatto con quell’ambiente culturale tanti stimolante. Sono anni di ristrettezze, anche perché la scomparsa del padre ha portato conseguenze economiche abbastanza pesanti; ma anche anni di solitudine perché, pur frequentano gli ambienti  dell’avanguardia (e soprattutto il poeta Apollinaire), il carattere dell’artista si manifesta in tutta la sua durezza e bizzarria, che lo porteranno frequentemente a pronunciare giudizi taglienti, a polemizzare e ad alienarsi molte simpatie.

Resta famosa l’avversione nutrita per Modigliani e in genere per tutti i colleghi (con un’eccezione per Picasso anche se, dice, “Non lo si può certo dire un gran pittore”), avversione generata forse dalla volontà di non legarsi a nessuno, di non appartenere a nessuna “scuola”, di essere considerato pictor optimus, come lui stesso si firma.

A Parigi espone al Salone d’Autunno nel ’12, e in questa occasione vende per 250 franchi il suo primo quadro, una delle famose “Piazze d’Italia”.



Allo scoppio della guerra torna in Italia, a Ferrara, a prestare servizio di leva, e conosce Filippo De Pisis e Carlo Carrà con i quali codifica l’estetica della metafisica in pittura: ossia la rappresentazione delle cose che stanno al di là della realtà. Il castello della città emiliana compare sullo sfondo di una celeberrima opera “metafisica” del ’16, Le Muse inquietanti. In realtà il cosiddetto “periodo metafisico” di De Chirico era cominciato già nel 1911, e terminerà verso il ’18, per essere ripreso, e parzialmente corretto, circa cinquant’anni più tardi, sollecitato anche dai mercanti d’arte, convinti che il solo “vero” De Chirico sia quello “metafisico”. A proposito di questa sua prima fondamentale esperienza artistica, l’artista ha detto: ”A chiamare per primo la mia pittura metafisica  sono stato  io. Metafisica vuol dire al di là della fisica, al di fuori cioè del nostro campo visivo abituale e della nostra generale conoscenza, anche se nei miei quadri gli oggetti sono invece tutti riconoscibili, ma la metafisicità  è nella composizione e nell’atmosfera creata dalla disposizione di quegli oggetti, nel rapporto tra di essi e la tela.

Questa non è una pittura che si possa spiegare, è un’idea, un’intuizione che mi è venuta ad un certo momento e che ho cercato di esprimere attraverso i quadri, nata come nasce ogni cosa, non si sa mai perché una cosa nasce, come è nato il mondo; lo spazio vuoto può dire e non dire, non so, l’architettura, specialmente di molte città italiane, e soprattutto di Torino, mi ha fornito idee    che ho tradotto in quei soggetti che chiamo “Piazze d’Italia” ma al di là dell’idea e dell’intuizione non c’è altra spiegazione ed è inutile chiedere come quando e perché”.Con il fratello Alberto Savinio, con Carrà e Morandi dà vita nel ’18  alla rivista “Valori Plastici”, poi dal ’26 al ’32 è di nuovo a Parigi. Conosce Isabella Far, che sarà la sua compagna per tutta la vita e rompe definitivamente con i surrealisti di Breton, ai quali si era accostato, accusandoli di propugnare “l’arte moderna”. Si accentua nel grande artista quell’atteggiamento narcisistico  che lo fa “sparare a zero” contro tutti e tutto.. Particolarmente presi di mira sono gli intellettuali, considerati “individui deleteri”, e i critici, che giudica “inutili e dannosi”, profondamente convinto che  “un uomo intelligente non può essere ostile a me”.

Tornato in Italia, è a Firenze per curare le scene per I Puritani di Bellini, poi a Milano e a New York, chiamato dal potente mecenate Rosemberg che gli allestisce una grande mostra personale. Nonostante affermi “Quello che ho tentato in arte nessuno lo tentò prima di te”, ammira, studi, e talvolta addirittura ripete i maestri del passato che preferisce: i o primitivi italiani, Giotto, Dürer, Velasquez. Oltre naturalmente a Boeklin. Di Rubens dice :” E’ il mio pittore ideale, il migliore di tutti per la qualità che considera indispensabile: l’essere “artigiani superiori”, il possedere quella tecnica che l’arte moderna ha a suo dire ignorato e trascurato.

Fino al 1943 vive a Milano, dopodichè si trasferisce definitivamente a Roma con la moglie. Nel 1948, alla ventiquattresima Biennale di Venezia, un suo quadro viene esposto per cinque mesi. E’ un falso. Nasce allora un “caso” che avrà risvolti anche giudiziari e che coinvolge nella polemica che ne segue mercanti, galleristi, e decine di ignari acquirenti delle tele del Maestro , insieme a falsari e a personaggi che si servono dell’equivoco per lucrare smerciando i falsi in tutti il mondo. Equivoco che è però favorito dalla stessa parabola artistica di De Chirico; egli passa infatti dal periodo “metafisico”, quello più apprezzato e richiesto, a quello “realista” (che alcuni definiscono “Barocco”), a quello neoclassico, per tornare infine, agli anni della maturità, agli inizi, rifacendo i celebri “manichini” e le “Piazze d’ Italia”. Secondo alcuni le opere di De Chirico possono essere suddivise in tre grandi categorie: quadri autentici, quasi autentici, quasi falsi, oltre naturalmente ai veri e propri falso, spesso rozze imitazioni facilmente identificabili. I “quasi autentici” escono dal pennello dell’artista, ma si tratta di varianti di opere fatte in precedenza. I “quadri falsi” sono frutto del lavoro di collaboratori capaci di sfornarne anche tre alla settimana. A complicare ulteriormente le cose si aggiunge il fatto che talvolta De Chirico retrodata le tele recenti, o addirittura distrugge sue opere autentiche, ingenerando confusione nel mercato e spingendo qualche critico a affermare “De Chirico crea e De Chirico distrugge”. Nonostante ciò il suo nome rimane indelebilmente scolpito nella storia dell’arte di questo secolo,  poiché di tutti i pittori che lo hanno contrassegnato è stato, con Picasso, certamente il più grande.   Pictor optimus, sicuro che “il genio è sempre consapevole” non si preoccupa di scandalizzare con il suo gusto della mistificazione, la sua ironia, la sua voluta incoerenza, i suoi giudizi paradossali quanto mutevoli. Sa che opere come Interni metafisici, L’enigma dell’oracolo, Mistero e malinconia di una strada,

le Muse inquietanti o i numerosi Autoritratti  bastano a tacitare per sempre anche i più scettici. Nelle Memorie della mia vita, un libro autobiografico uscito nel ‘ 62, riunisce i giudizi, le stroncature, la sua “filosofia” di artista e di protagonista di mezzo secolo di vicende culturali e di polemiche, e parla dei rapporti avuti con amici e nemici.

Nel ’74 viene nominato Accademico di Francia, e in quell’occasione pronuncia parole rivelatrici: “Il massimo segno di forza è l’essere intrepidi quando si ha un passato da compromettere”.

 

 

 

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