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lunedì 3 maggio 2021

Giacomo Manzù

 di Mimma Zuffi

Giacomo Manzù nacque il 22 dicembre 1908 a Bergamo, da una famiglia molto povera e religiosa, undicesimo di dodici fratelli.

Il padre, calzolaio, era anche sagrestano e custode della chiesa delle monache di Sant’Alessandro in Colonna; religiosità unita alla schietta semplicità  popolare influenzeranno il carattere del giovane Giacomo. Il suo vero cognome, Manzoni, attraverso la deformazione dialettale bergamasca si trasforma in Manzù.

L’infanzia di quello che diventerà uno dei più importanti e famosi scultori del Novecento è alquanto dura.

Lasciati gli studi in terza elementare, per raggranellare qualche soldo, entra nella bottega di un decoratore che, accortosi del suo gusto per la scultura, gli affida piccoli lavori di stuccatura e intaglio

A sette anni realizza le sue prime scultura, una sirena e un leone per cui prende a modello il gatto di casa.


Nel 1927 è di leva a Verona, dove frequenta spesso l’accademia Cignaroli per studiare i calchi e le sculture esposte. Una volta congedato, si trasferisce a Milano dove entra in contatto con l’ambiente degli artisti: Sassu, Birolli, Tomea, Montale, Quasimodo.

Ha fatto la sua scelta: l’arte sarà la sua vita, anche se non ha mai amato definirsi “artista”, fedele alle sue origini di umile artigiano. Forse proprio perché considera la scultura “un lavoro da fare seriamente”, va a Parigi, dove non fa in tempo a conoscere gli artisti che vi risiedono e lo straordinario clima culturale che vi si agita perché, vagabondo e affamato, viene rispedito in Italia dalla polizia. È allora che gli viene ritirato il passaporto dalle autorità fasciste, insospettite da quel giovane artista che espatria per respirare altra aria. Gli verrà ridato solo nel 1936, quando il suo nome sarà ormai famoso grazie anche all’appoggio offertogli dai critici Cesare Brandi e Carlo Ludovico Ragghianti, suoi primi appassionati scopritori.

Terminato il breve soggiorno parigino, Manzù si trasferisce a Milano nel 1931 dove partecipa alla sua prima mostra collettiva e Scheiwiller, suo amico, gli pubblica la prima monografia. Scolpisce la Bambina con la sedia (tema che si ripeterà con successo) e, dopo un viaggio a Roma nel 1934, concepisce la serie dei Cardinali, il cui ultimo esemplare è dedicato a Monsignor Lercaro e si trova a San Petronio a Bologna. Ottiene un importante riconoscimento nel 1936 col Premio Principe Umberto alla “Permanente” di Milano. La miseria è finalmente finita. Si sposa e ha tre figli, due dei quali moriranno giovanissimi. Il terzo, Pio,  laureato in architettura, affermato designer a stilista automobilistico, morirà appena trentenne nel 1969 in un incidente d’auto.

Ottiene la medaglia d’oro della Triennale di Milano nel 1937, partecipa alla ventunesima Biennale nel 1938 (dove riceve una feroce stroncatura da Ugo Ojetti) e infine nel 1940 viene chiamato a insegnare all’Accademia di Brera, da cui si dimetterà nel 1954 perché “uno che esce diplomato dall’Accademia delle Belle Arti va bene per fare l’imbianchino o la maschera al cinema. Non sanno nemmeno come si mettono le dita su un pezzo di  creta, nessuno glielo insegna e a loro non interessa di impararlo.”

Intanto prosegue lo studio degli amati maestri: Donatello, Bernini, Medardo Rosso, Brancusi, Picasso, per il quale ha una vera e propria venerazione, Fra i letterati comincia ad amare Leopardi, e poi l’amico Quasimodo ed Ezra Pound. Ma soprattutto Moravia che frequenterà abbastanza assiduamente negli anni della maturità. Per gli artisti italiani non avrà  mai molta ammirazione, tranne che per Morandi e De Chirico.

Schivo ed anche un po’ “orso”, Manzù cercherà sempre di tenersi al di fuori delle mode e delle amicizie mondane, rivendicando per sé l’antica definizione di umile “artigiano delle forme”, sottolineata anche fisicamente da una massiccia corporatura di contadino e dall’abitudine di portare cappellacci su cui infila piume colorate.

Trascorre il tempo di guerra isolato a Clusone, nel Bergamasco, ideando una serie di Crocifissioni, gli “orrori della guerra”, e di studi di foglie ed erbe, ispirandosi ai due fenomeni che aveva di fronte, la Natura e la Guerra, anche se l’artista lo nega.

Tiene poi una grande mostra a Milano nel 1947, vince il premio per la scultura alla Biennale del, 1948, e nel 1951 ottiene l’incarico per la “Porta della Morte” di San Pietro a Roma, incarico che lo terrà  occupato per molti anni fino alla definitiva inaugurazione nel 1964. Questa celeberrima opera, insieme alle altre per la cattedrale di Rotterdam e per il Duomo di Salisburgo, testimonia il complesso rapporto che corre tra l’artista sensibile ai temi sacri e l’uomo divenuto ateo e politicamente orientato a sinistra. Le frequenti visite fatte a Giovanni XXIII durante il suo pontificato, di cui è testimone il busto in bronzo eseguito per il suo concittadino, lasciano una profonda traccia nell’animo dell’artista. “Papa Giovanni
è sempre stato un’altra cosa, da vivo e da morto. Per me conoscere lui è stato ritrovare Lenin, Gandhi, tutti i veri uomini in cui credo. E Giovanni è stato per me la loro continuazione umana. Se ho sentito Dio accanto a lui? Posso dire questo soltanto, dopo la sua morte: anche per un laico come me è certo che persone come Giovanni non muoiono, è certo che lui resterà, non può essere diversamente.”

Nel 1954 tiene dei corsi estivi a Salisburgo insieme al pittore Kokoschka, ed è lì  che conosce Ingeborg Schabel, la donna che gli darà due figli: Giulia e Mileto (“L’ho scelto perché non è un nome cattolico”).

Pochi anni più tardi vanno ad abitare nella grande casa-laboratorio di Ardea, vicino a Roma, anche perché l’impegno in Vaticano richiede una presenza continua. Proprio ad Ardea Inge ha dato vita ad un museo degli “Amici di Manzù” dove sono custodite moltissime opere soprattutto in bronzo, il materiale prediletto dal Maestro.


Nella produzione di Manzù spiccano oltre alle opere già citate il “Cardinale seduto”, gli “Amanti” (che entusiasmò Quasimodo), l’altorilievo per il palazzo del Mercato Comune di Bruxelles, le “Maternità”, ma soprattutto le opere destinate in qualche modo a luoghi aperti (“Preferisco la piazza al museo”), come la “Pattinatrice” di Anversa, o il “passo di danza” posto nel mezzo di un crocevia di Detroit. Celebri sono anche i ripetuti busti di Inge, le sculture sul tema dello strip-tease e i volti di personaggi celebri, come quello di Barnard.

Accademico di San Luca, membro della Reale Accademia del Belgio, eletto ad honorem all’Accademia Americana di Arti e Lettere di New York e all’accademia Nazionale di Belle Arti di Buenos Aires. Premio Lenin per la pace nel 1966, ha dovuto pagare lo scotto di tanta prestigiosa popolarità quando nel novembre 1974 alcuni banditi hanno tentato di rapire i suoi figli, senza peraltro riuscirvi, ma costringendolo a trasferirli in Germania.

Nel 1979 Manzù dona le sue opere allo Stato Italiano.

Nel 1989, a New York, viene inaugurata di fronte alla sede dell'ONU l'ultima sua grande realizzazione, una scultura in bronzo alta 6 metri. Nel 2007 un gruppo di 6 sculture viene esposto, "en plein air", ad Orta S. Giulio, in provincia di Novara.

Manzù muore nella sua villa-museo a Campo del Fico (Aprilia), il 17 gennaio del 1991

 

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