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domenica 29 marzo 2020

IL SEMIDIO - seconda parte

(di Enrico Jessuola)

Una ventina di anni dopo, nel tepidarium delle terme di Caracalla, alcune nobili signore romane parlottavano amenamente tra di loro, mentre uno stuolo di solerti ancelle provvedeva alla loro abluzione con acqua profumata e cenere di faggio.
-  Sapete che vi dico? A letto è proprio un dio! - risuonò alta, sovrastando tutte le altre, la voce di Clelia.
Il chiacchiericcio s’interruppe di colpo, lasciando rimbombare l’eco delle parole appena pronunciate, per poi riprendere più forte di prima.
Le altre signore patrizie si rivolgevano a Clelia con l’urgenza di sapere, di acquisire maggiori dettagli, un resoconto più preciso.
Quelle più lontane, non avendo inteso l’inizio del discorso, si consultavano ansiosamente:
-  Chi è, di chi parla? -
-  Di Calpurnio, naturalmente. In che mondo vivi, lo sa tutta Roma - reagì un’altra, stizzita - anche se io, con quello, non ho mai avuto niente a che fare. Né vorrei averne! -
-  Va là, va là - mormorò una terza donna - ti ci leccheresti i baffi, se non hai già avuto modo di leccarteli. -
Le signore più vicine a Clelia la strinsero d’assedio per approfondire la questione, quasi soffocandola nell’ansia di essere le prime a raccoglierne le confidenze.
-  Che cosa vuol dire, un dio? - chiese quella più vicina di tutte.
Clelia assunse un’aria sognante, mirata a far morire d’invidia le altre, prima di rispondere in un soffio:
 Come posso spiegare? Sa essere dolce e forte, tenero e violento; ma soprattutto attento ai miei desideri, gentile, affettuoso. Insomma, dopo aver fatto l’amore con lui ti senti serena e appagata. -
Da quel crocchio di donne, più o meno giovani, scaturì un cicaleccio in crescendo, frasi che s’incrociavano e si sovrapponevano, risate isteriche come raffiche di mitra sparate a caso.
-  Ma dove lo ricevi, a casa? E tuo marito? - domandò urlando una donna dalle retrovie.
Le fece eco la più anziana del gruppo:
-  Suo marito è abituato… lo manderà a fare la spesa al supermercato, mentre lei fa entrare il suo amante di nascosto. -
-  Io non ci credo, alle doti mirabolanti di questo Catullo… - mormorò una donna alta e dal portamento elegante.
-  Calpurnio, non Catullo - la bloccò subito un’altra.
-  Calpurnio, va bene - proseguì la prima - secondo me è molto meglio mio marito, del vostro Calpurnio. -
-  Come fai a saperlo, l’hai “provato”? - domandò una femmina ossuta e petulante, dalla voce stridula.
La donna dal portamento elegante trasalì accorgendosi di essersi tradita e prese a sventolarsi per dissimulare il rossore delle gote. In un certo qual modo, fu tolta d’impaccio dalla stessa Clelia, che le si rivolse con tono canzonatorio:
-  Sai che ti dico: mandamelo, tuo marito. Se davvero è meglio di Calpurnio lo “assaggerò” più che volentieri! -
-  Macché meglio - Cornelia s’intromise nella discussione - io li ho provati entrambi e posso dirvi che non c’è paragone: Calpurnio ti porta in paradiso, con suo marito ti fermi al limbo. -
-  Cornelia, anche tu? - strepitò la donna ossuta e petulante - E i figli?
Dove li metti i tuoi figli, quando vuoi fare i tuoi comodi? -
-  Ma i miei figli hanno un sacco d’impegni: l’oratorio, la piscina, il calcio, il doposcuola… -
-  Che casino - rimbeccò l’altra - non vi sembra di fare una gran confusione? Che cosa sono l’oratorio, il calcio… -
Quell’ultimo intervento ebbe il potere di far tacere il crocchio assatanato, che poteva ben dividersi in tre gruppi: quelle che avevano già fatto l’amore con Calpurnio, quelle che non l’avevano ancora fatto, ma avevano un appuntamento fissato, infine le poche che, rimaste fuori dal giro, s’informavano febbrilmente su come fare a rientrare.

Nello stesso istante, da una lussuosa casa del centro di Roma, non lontana dalle terme, si levavano al cielo i gemiti di Lucrezia:
-  Sì… sì… mio dio… mio dio… mio dio… -
-  Mio dio - fece eco Giunone da sopra la nuvola - ma quella non è Lucrezia, la donna famosa per la fedeltà al suo sposo? Colei che andava dicendo che si sarebbe uccisa, piuttosto che tradirlo con un altro uomo? -
-  Proprio lei. Però non lo sta tradendo con un altro uomo - replicò Giove con tono petulante - perché Calpurnio non è un uomo: è un semidio. -
-  Un semidio - ponderò Giunone per alcuni secondi - temo però che non sia l’immortalità, come avevo sperato, la prerogativa divina che il Caso ha assegnato a nostro figlio. -
-  Ho questa impressione anch’io - sogghignò il re degli dei con malcelata soddisfazione - visto come sta mettendo in subbuglio tutta Roma, o almeno la parte femminile della città. -
-  Non capisci? I poteri divini in campo sessuale lo faranno certamente sollazzare, ma non lo proteggono dalle disavventure. Anzi, a voler ben vedere, possono solo procurargli dei guai. -
-  Donna - ironizzò Giove - l’hai voluto tu, non ricordi? Dicevi che lo volevi bello come me, forte come me, che facesse innamorare tutte le dee e le donne di Roma. Il Caso ascolta sempre i desideri dei genitori. -
-  Preferivo ne avesse ascoltati altri, di desideri - mormorò Giunone, percorsa da un brivido di freddo - abbracciami, Giove: ho paura per la sorte del nostro Calpurnio. -

Anche Calpurnio incominciava a non sentirsi più tanto sicuro.
Dalla fretta con cui Lucrezia l’aveva congedato, da quello sguardo triste e inquieto che si era impadronito del suo viso dolcissimo solo pochi istanti dopo il culmine del piacere, dalla raccomandazione di allontanarsi rapidamente e di non tornare a meno che non lo chiamasse lei, aveva avuto la sensazione di aver violato un sancta sanctorum da cui avrebbe fatto meglio a stare alla larga.
E pensare che, fino a quel momento, non era stato sfiorato dal minimo dubbio. Aveva vissuto beato la sua esperienza di precursore di Casanova, entrando indisturbato nelle case dei patrizi e uscendone appagato dalla benevolenza e riconoscenza delle signore.
Solo il suo servo Spartaco gli aveva messo una pulce nell’orecchio:
-  Attento Calpurnio, i mariti diventano pericolosi quando scoprono quante corna hanno in capo. Stamane al mercato ho udito di scenette gustose, come quella dei due patrizi che si sono raccontati a vicenda le tue tresche con le rispettive mogli: una all’ora terza e l’altra all’ora sesta, nel pomeriggio dello stesso giorno! -
Calpurnio non sapeva capacitarsi di come le voci potessero correre veloci; posò su Spartaco uno sguardo attonito. Avrebbe voluto dire qualcosa, ma gli si strozzò in gola; fu quindi Spartaco a proseguire:
-  Che poi ti fa anche male, a meno che tu non abbia doti soprannaturali! -
La battuta strappò finalmente il sorriso a Calpurnio, che replicò faceto:
-  E che ne sai, tu, delle mie doti. Magari sono un semidio. -

-  Giove, Giove, abbiamo Skype oppure Whatsapp qui in cielo? -
 SkypeWhatsapp? A cosa ti servono? -
-  Voglio vedere mio figlio, parlargli, raccomandargli di non commettere imprudenze. Quel ragazzo si sta mettendo in un mare di guai. -
 Stupida donna, quante volte ti devo spiegare che le invenzioni del futuro non si possono utilizzare? Peraltro, non ne hai bisogno: basta che tu pensi intensamente a lui e potrai parlargli come fosse qui. -
-  La fai facile tu, che con queste diavolerie hai familiarità - borbottò Giunone - lo sai che a me, invece, non riescono mai. -
Ciononostante, si appartò su una nuvola densa, decisa a cercare la concentrazione giusta.

La sera in cui Spartaco arrivò con tre tavolette di cera, legate assieme da una cordicella di budello, Calpurnio sperò che fosse il segnale che attendeva da Lucrezia, dal momento che quella donna, la più bella e sensuale che lui avesse conosciuto, non si era più fatta viva.
Fu deluso, perché il messaggio non veniva certamente da Lucrezia, visto che sulle tavolette campeggiava il simbolo imperiale del grande Adriano.
Si affrettò a leggerle e grande fu la sua sorpresa nel constatare quanto l’imperatore si occupasse di misere questioni di corna.
Se la prima tavoletta riassumeva infatti la situazione che si era creata in Roma, per cui la vita di Calpurnio appariva in grave pericolo, la seconda suggeriva al ragazzo di trasferirsi per qualche tempo a Tivoli, in quella meravigliosa villa Adriana che l’imperatore si era fatto costruire secondo i suoi desideri, contornata da parchi e canali: lì sarebbe potuto rimanere suo ospite quanto voleva e con la servitù a sua completa disposizione.
La terza tavoletta, ancor più sorprendente delle prime due, si preoccupava dell’esuberanza giovanile di Calpurnio che, diceva la missiva, avrebbe trovato un adeguato sfogo in stuoli di ragazze bellissime e disinibite, assolutamente disponibili per un così bel giovane.
Perplesso, Calpurnio lesse e rilesse più volte quell’oscuro messaggio. Tuttavia, il tono di tutto il paragrafo era così amichevole e promettente da spingerlo ad accettare l’invito.
Erano passati pochi attimi dalla sua decisione, che già Spartaco gli si era parato davanti con la biga carica di bagagli, invitandolo a saltare a bordo:
-  Veloce, Calpurnio, che qui l’aria si sta facendo pesante! Ho pensato io a caricare tutti i bagagli, i tuoi e i miei - disse, borbottando subito dopo a bassa voce:
-  Non vedo l’ora di essere a villa Adriana, con quello stuolo di ragazze. Sempre che il mio padrone me ne lasci qualcuna. -
Il ragazzo salì sulla biga quasi in trance. Sembrava tutta una congiura per farlo andar via da Roma prima possibile, magari per distoglierlo dal dolce corpo di Lucrezia, dall’inesauribile passione di Clelia, dalle risatine e dai gridolini di tutte le altre donne che si erano compiaciute di giacere con lui.
Peraltro, giunto a Villa Adriana, non gli fu difficile, una volta incontrato lo stuolo di cortigiane, capire il significato del messaggio ed entrare rapidamente nella parte.
Le ragazze erano organizzate in turni ferrei, rispettando i quali seducevano Calpurnio ad un ritmo infernale. A tal punto che, dopo qualche giorno, quel sollazzo frenetico si andò trasformando in una noia sottile che attanagliava il ragazzo fino a spingerlo, a volte, a cedere la cortigiana di turno a Spartaco, per ritirarsi solitario a meditare o a suonare la cetra in qualche angolo del parco.

-  Iuppi, sono preoccupatissima - disse nuovamente Giunone sporgendosi dalla nuvola ed additando un punto lontano - il nostro ragazzo si mette sempre più nei guai. -
-  Stai diventando noiosa - ribatté Giove con tono tra lo scettico e l’ironico - a me pare invece che se la stia spassando alla grande. -
 Non devi limitarti a guardare lui. Scruta piuttosto l’animo degli uomini romani: tra gelosi ed invidiosi, cornuti e trascurati, non si contano più quelli che lo vorrebbero morto. -
Il cuore di mamma osservò nuovamente la situazione, con grande attenzione, prima di concludere:
-  E’ stata una buona idea quella di farlo invitare a Tivoli da Adriano, ma ora sento che non è più al sicuro nemmeno là; senza contare che Lucrezia si è suicidata, come aveva promesso, e questo complica maledettamente le cose - sospirò Giunone prima di concludere animosamente: - devo intervenire immediatamente. -

Le vibrazioni della biga che correva come il vento alla volta di Tivoli procurarono in Claudia, la moglie di Pilato, un sottile, intrigante stimolo dalle parti del sesso. Man mano che la strada si snodava davanti alla pariglia di cavalli che la donna incitava a correre sempre più forte, quello stimolo leggero aumentò progressivamente d’intensità, fino a divenire una bramosia d’uomo difficile da controllare.
Claudia sorrise di questa sua imprevista pulsione, attribuendola al fatto che, in vacanza a Roma da più di un mese, era rimasta lontana dal talamo nuziale per un tempo abbastanza lungo da renderla vulnerabile al desiderio.
Cercò di distrarsi pensando ad altro; in particolare, la sua mente tornò al sogno della notte precedente. Le era apparsa Giunone in tutta la sua bellezza ed opulenza ed aveva suggerito che forse Roma non stava ripagando adeguatamente una donna leggiadra e intelligente come lei. Non contenta, la dea aveva tessuto le lodi del suo corpo snello e armonioso, del suo viso dai lineamenti delicati, accesi dal tocco di sensualità dato dalle labbra carnose, dai capelli lucidi e corvini che ne incorniciavano gli occhi scuri e penetranti.
Insomma, la dea l’aveva ubriacata di complimenti alla sua bellezza che Claudia si era limitata ad accettare con un cenno del capo, o almeno così credeva, perché era come se la dea l’avesse rapita dal sonno e trasportata in cielo; da lì le aveva ordinato di recarsi subito, all’indomani, alla villa Adriana, dove avrebbe trovato quanto, sia pure inconsciamente, andava cercando.
Il tono di Giunone era stato dolce ma imperioso, le sue lusinghe le avevano percosso i timpani come un ordine perentorio, tanto che Claudia, al risveglio, non aveva esitato a farsi preparare la sua biga personale, su cui aveva frettolosamente caricato i migliori vestiti ed ora si trovava lì a combattere con quel pizzicore in mezzo alle cosce che la faceva impazzire.
Per sua fortuna, dopo poco vide un giovane bellissimo, che se ne stava appartato e malinconico a suonare la cetra all’ombra di una quercia secolare. Soggiogata da quello sguardo dolce e triste, si fermò con il pretesto di chiedere se villa Adriana fosse ancora lontana. Il ragazzo le disse che era arrivata e, alzatosi dall’erba con uno scatto atletico, le porse la mano per aiutarla a scendere dalla biga.
Nel gesto di sorreggerla nella discesa, i loro corpi si sfiorarono casualmente, gli sguardi s’incrociarono e il giovane lesse, negli occhi scuri della donna, il fuoco che la stava divorando.
La invitò a riposarsi dal viaggio coricandosi sul prato, sotto la quercia. Quindi si distese al suo fianco e si prese cura di lei con grande dolcezza, tanto che in breve tempo il pizzicore fu portato a compimento.

-  Bella, questa villa - mormorò Claudia la mattina successiva, mentre si alzava dal letto, ancora indolenzita dall’intensa attività notturna.
-  A dire il vero, non hai ancora visto niente di questa villa, se non la chioma della grande quercia e il soffitto di questa stanza - le rispose Calpurnio, con tono di dolce derisione - oggi visiteremo le altre stanze del palazzo. Sono certo che resterai stupita di tanta bellezza, come io della tua, della dolcezza del tuo viso, la pienezza delle tue labbra, l’armoniosità del tuo corpo. -
Appena pronti, Calpurnio guidò Claudia attraverso lunghi corridoi e stanze immense, tenendola per mano: una mano dolce e delicata, mollemente abbandonata nella sua; ne percepì quindi la stretta improvvisa, unita alla sudorazione tipica di un’emozione violenta, quando la donna puntò l’indice, perplessa, verso il pavimento:
-  Ma questo è porfido rosso, la pietra imperiale. E anche quello là, e quell’altro ancora - aggiunse, indicando altri intarsi poco distanti - come mai  tutto questo porfido rosso, qui? -
Calpurnio sorrise benevolmente e rispose con dolcezza:
-  Perché questo è il palazzo imperiale. Dove credevi di essere? -
La donna sembrò cadere nella confusione più totale:
-  Toglimi una curiosità, Calpurnio: come mai tu hai accesso alle stanze del palazzo imperiale? -
-  Perché sono l’imperatore - rispose lui gonfiando orgogliosamente il petto - non te l’avevo detto? Il mio vero nome è Adriano… - concluse scoppiando a ridere.
Visto lo sguardo di lei vieppiù disorientato, si affrettò a rettificare:
-  Non darmi retta, sto scherzando! L’imperatore Adriano è solo un vecchio amico di famiglia, nel senso che conosce bene i miei genitori; io sono suo ospite per questo periodo. -
-  Che bello, avere l’imperatore come amico - disse Claudia, finalmente rinfrancata. Batté le mani come una bambina, prima di rabbuiarsi improvvisamente:
 In realtà io non so nulla di te, neanche chi sono i tuoi genitori. Magari li conosco! -
-  No, penso di poterlo escludere - rispose Calpurnio con una fretta forse eccessiva - non credo proprio che tu possa conoscerli. Sono persone molto importanti, talmente importanti che è rarissimo vederli a Roma. E’ per questo motivo che sono in amicizia con l’imperatore. -
A quelle parole, Claudia sembrò percorsa da un’euforia irrefrenabile:
-  Evviva i genitori di Calpurnio, lunga vita a loro - disse, mimando il gesto di sollevare un calice di vino al cielo - per merito loro noi alloggiamo al palazzo imperiale e godiamo di una camera bellissima, con un letto monumentale che regge anche i nostri amplessi. -
Solo il sentir nominare il letto ebbe un effetto afrodisiaco su Calpurnio, che trascinò Claudia, in fretta e furia, verso la camera.

Un  fremito di emozione, seguito da ammiccamenti e bisbigli, salutò la prima uscita dei due amanti dal palazzo imperiale: servi, ancelle, giardinieri, cortigiane, come se obbedissero ad un segnale convenuto, si diressero tutti, più o meno celermente, al tetro palazzo – detto delle cento camerelle – dalle cui finestre potevano osservare la coppia senza essere visti.
Va detto che la loro curiosità fu appagata da uno spettacolo che superò di gran lunga le aspettative, suscitando risatine e commenti eccitati.
I due amanti avevano infatti deciso di conoscere la villa nella sua interezza e, superato l’attimo di disorientamento nel trovarla deserta, avevano pensato di trarre beneficio dalla circostanza. Lasciarono dunque che la reciproca attrazione facesse il suo corso, spingendoli ad accoppiarsi ripetutamente e in ogni luogo.
Si può ben dire che, a metà giornata, non vi era angolo di parco, gradino o colonna che non fosse stato testimone del loro idillio.
Roma, con i suoi pettegolezzi, le ansie delle matrone frustrate, i malumori dei mariti traditi, sembrava veramente lontana. Per non parlare di Pilato, che se ne stava tranquillo in Giudea, ignaro di tutto.
Claudia, al colmo della beatitudine, era tuttavia turbata dalla scomparsa di ogni altro essere umano e comunicò al ragazzo questa sua ansia:
-  Dove sono finiti tutti? Non riesco a togliermi di dosso la sensazione di essere spiata mentre facciamo l’amore. Ad esempio - indicò con un cenno della testa, per non dare troppo nell’occhio - vedi quel muraglione buffo pieno di buchi? Mi sembra che dietro ogni buco ci siano due, quattro, otto occhi che ci guardano. -
-  Su questo non posso darti torto del tutto, perché le cento camerelle sono in effetti un riparo sicuro per i guardoni del posto - rispose Calpurnio.
- E allora, che cosa possiamo fare? Non voglio più che ci vedano, piuttosto torniamo al palazzo. -
-  Vieni - disse Calpurnio prendendola per mano - ti mostrerò qualcosa di magico. -
Non avevano fatto che un centinaio di passi, infatti, quando Claudia ruppe il silenzio con un’espressione carica di stupore:
- Questo cos’è? - esclamò, sorpresa dalla vista di una costruzione imponente e bizzarra, dal portico rotondo e dalle colonne slanciate che contornavano un canale. 
- Il teatro marittimo - sorrise lui, indulgente - praticamente una scenografia teatrale permanente. -
-   Con l’acqua? - ribatté la donna, elettrizzata ed incredula.
-  Certo, per fare spettacoli con le barche, le navi, concludere le lotte buttando il nemico fuori bordo. Ho assistito ad alcuni di questi spettacoli, sono straordinari, mozzafiato. -
-  Possiamo fare l’amore in acqua? - mormorò Claudia, cui l’eccitazione della scoperta del teatro aveva fatto tornare un desiderio simile a quello provato sulla biga.
-  Un attimo di pazienza: ho qualcosa di molto meglio per te. Un luogo appartato, nascosto agli sguardi indiscreti. Lì non avrai più alcun timore di essere spiata. -
Ciò detto, cingendole la vita dolcemente con un braccio, la sospinse verso un ponticello.
Claudia trasecolò: all’interno del bacino d’acqua c’era un’isoletta, su cui troneggiava una splendida villa, con giardino e terme annessi; noi la diremmo una seconda casa, ma certo di gran lusso.
-  Qui non ci disturberà nessuno, fatta eccezione per i servi che verranno a servire i pranzi - commentò Calpurnio con tono soddisfatto - guarda: basta far ruotare il ponticello e siamo isolati. -
La donna sussultò dalla sorpresa, nel vedere il ponte ruotare dolcemente sull’acqua, separando l’isoletta dal resto del mondo.
-  E’ la privacy totale -  commentò Calpurnio sorridendo - vieni, ti mostro l’interno della villa. -
Va detto che, una volta entrati, chiunque li stesse spiando li perse definitivamente di vista, ignorando quindi se la bramosia che li divorava avesse consentito loro di raggiungere il letto, oppure se l’atto fosse stato consumato in una delle prime stanze.

Claudia aveva cominciato a perdere la nozione del tempo in quella full immersion con Calpurnio che li aveva ormai portati a conoscersi profondamente.
L’unica altra attività di quei tre giorni era stata, per il ragazzo, quella di girare il ponticello per farsi consegnare e servire i pranzi, per poi rigirarlo non appena i servi e le ancelle si allontanavano.
Sembrava un sogno. Ma come tutti i sogni non poteva durare in eterno: fu dunque interrotto bruscamente da un clamore inusuale vicino alle colonne del teatro marittimo, voci e urla che rimbombavano sulla parete concava alle loro spalle.
I due amanti, per fortuna, erano in una pausa di ricreazione e stavano rifocillandosi con frutta colta dagli alberi. Claudia era lì, in punta di piedi e con il braccio proteso verso un fico maturo, quando udì chiamare a gran voce il suo nome: “Claudia Procula, Claudia Procula”.
Un messaggero era giunto sull’altra sponda e, all’apparire della donna, non esitò un secondo:
-  Claudia Procula, mia signora, sono incaricato di informarti che Pilato è ritornato a Roma, richiamato dall’imperatore. E’ arrivato ieri sera e si è molto stupito di non trovarti. -
-  Cielo, mio marito! - mormorò la donna, precipitandosi a preparare i bagagli.
Con la coda dell’occhio, vide Calpurnio pallido e spaesato, che cercava una risposta alle mille domande che gli frullavano nella testa.
-  Procula? Tu… sei… Claudia Procula, la moglie di Ponzio Pilato? -
-  Sì, amore mio. Avrei dovuto dirtelo, ma mio marito era così lontano! -
Ne soffocò l’eventuale reazione con un bacio talmente prolungato da ridurlo senza fiato, prima di chiedergli di ruotare il ponticello e avviarsi velocemente verso la biga.
Si voltò solo un attimo; agitò la mano in un cenno di saluto e mormorò:
-  Ci vediamo a Roma. -
Un refolo di vento si portò via la voce, ma Calpurnio riuscì a leggere il labiale e ne fu confortato.

L’improvviso ritorno di Pilato a Roma era stato ordinato dall’imperatore in vista del processo popolare ai danni di un giovane ventenne di nome Calpurnio.
I bene informati mormoravano che la scelta fosse caduta su di lui per via di qualche esperienza precedente nella Giudea, una lontana provincia dell’impero.
Quanto al caso di Calpurnio, si trattava di un processo un po’ strano perché, se da un lato non vi erano prove evidenti di alcun reato ascrivibile a quel ragazzo, dall’altro era facilissimo trovare a Roma innumerevoli testimoni, falsi e corrotti, dei suoi reati: dallo stupro su ragazzini di ambo i sessi, ai furti e alle percosse ai danni di donne ed anziani.
Sulla base di quelle testimonianze, un nutrito gruppo di patrizi romani, tutti maritati a donne di dubbia fedeltà, chiedevano a gran voce che Calpurnio venisse ucciso.
Crocifisso, come si conveniva ad un cittadino di Roma, oppure, per dargli una pur remota possibilità di salvezza, affrontando i leoni nell’anfiteatro Flavio, quello che poi verrà chiamato il Colosseo.

Non l’aveva mai visto in quello stato. Sconvolto, i capelli arruffati e la barba sfatta come chi si è appena svegliato, il re degli dei aveva accostato la sua nuvola a quella di Giunone ed era balzato da una all’altra con l’agilità di un gatto:
-  Si mette male per tuo figlio… voglio dire per nostro figlio. Ora viene addirittura accusato di aver ucciso Lucrezia perché aveva resistito alle sue pressanti richieste d’amore. Non mi sembrava fosse andata proprio così, ma fatto sta che Calpurnio è stato prelevato a Tivoli e condotto a Roma per essere processato. -
Giove prese fiato brevemente, prima di continuare:
-  A giudicarlo sarà Pilato, lo stesso che non ha impedito la crocefissione di un altro innocente: quel Cristo in Giudea. Non sono affatto tranquillo. -
Giunone gli allungò uno sguardo ambiguo, prima di rispondergli con tono di rimprovero:
-  Quando te lo dicevo io, Iuppi, che si sarebbe messo nei guai? Tu niente, eri tutto tronfio delle sue imprese amorose. -
Giove era furibondo. “Ci manca solo Giunone a farmi la lezioncina” pensò, prima di insistere:
-  E tu? Che cos’hai in mente di fare, tu? -
Giunone allargò le braccia e accompagnò le sue parole con il più enigmatico dei sorrisi:
-  Che vuoi che faccia, Iuppi? Sarà fatta la volontà del popolo. -

La volontà del popolo – aveva deciso Pilato – si sarebbe espressa nell’anfiteatro Flavio, tra le urla dei venditori ambulanti e i ruggiti delle belve in gabbia che aspettavano il momento di diventare protagoniste.
Claudia Procula, rientrata a Roma e blandito il marito con tutte le arti femminili di cui disponeva, aveva ben presto capito che la faccenda si metteva male per il suo Calpurnio.
I sondaggi gli concedevano una probabilità minima di salvarsi, prossima allo zero. I bookmakers, che già avevano occupato il perimetro dell’anfiteatro, quotavano 100 a 1 la sua sopravvivenza.
Quanto poi a chiedere a Pilato di non farlo uccidere, ci aveva rinunciato a priori, vista l’inutilità del gesto in un illustre caso precedente.
D’altra parte, Claudia non voleva assolutamente perdere quel favoloso amante di cui aveva goduto i favori per troppo poco tempo. Non restava dunque che agire direttamente.
Chiamò Gaia, l’ancella più fidata, per consegnarle un sacchetto pieno di sesterzi e spiegarle il suo piano: tutte le ancelle si sarebbero dovute muovere nottetempo nei quartieri plebei della città, senza farsi scoprire.
Nel buio della notte, le case di Roma sembrarono vive, brulicanti di ombre che si aggiravano con passi furtivi, di porte che si aprivano e richiudevano, luci flebili che si spegnevano subito, sussurri a malapena udibili, strette di mano, tintinnio di monete.
Solamente alle prime luci dell’alba la città sembrò ritrovare la quiete; le ancelle e la stessa Claudia si abbandonarono ad un sonno ristoratore.
Perfino Giunone, lassù, poté rilassarsi, al pensiero che quella Claudia era proprio una donna in gamba. “Questa volta non ho avuto nemmeno necessità di  apparirle in sogno” mormorò tra sé e sé, prima di chiudere gli occhi.

Verso l’ora terza, tutta la Roma bene si mosse dalle case lussuose per recarsi all’anfiteatro. Era tutto un incontrarsi e salutarsi, in un’eccitazione crescente che pervadeva soprattutto i maschi, scatenandone risate sfrenate e volgari.
Le signore, molte delle quali avevano conosciuto Calpurnio intimamente, dissimulavano imbarazzo e preoccupazione nelle consuete futili chiacchiere sull’abbigliamento:
-  Di’ la verità: questa tunica così particolare l’hai portata dalla Giudea? - chiese una patrizia a Claudia che, unica raggiante del gruppo, aveva confermato con entusiasmo:
-  Certamente. Guarda, è tutta lavorata a mano: le donne della Giudea hanno mani d’oro, non come da noi, che passano il tempo alle terme. -
L’altra, stizzita, avrebbe voluto risponderle per le rime, ma dovette soprassedere perché era giunto il momento di prendere posto nella tribuna d’onore.
Calpurnio era già là. In piedi in mezzo al proscenio, solo e indifeso con il suo sguardo dolce, gli occhi liquidi, i lineamenti aggraziati e i capelli riccioluti da vero romano, il corpo ancora a metà strada tra l’adolescente e l’adulto. Un tremito incontrollato lo scuoteva ad ogni ruggito di leone.
Avrebbe intenerito chiunque, ma non i mariti gelosi e i giovani invidiosi che affollavano la tribuna, ansiosi di votare pollice verso e godersi la sua fine, dilaniato dai leoni.
Le urla erano al massimo livello quando un patrizio non meglio identificato sollevò lo sguardo e gridò:
-  Chi sono quei cenciosi? -
Gli occhi di tutti si spostarono, sorpresi, sulla fila interminabile che stava riempiendo, poco alla volta, le due curve ed il rettilineo di fronte.
Tutte persone mal vestite, nonostante avessero indossato la tunica della festa e i calzari appena riparati dal ciabattino.
Erano tanti e silenziosi. “Plebei? Che cosa vogliono?” si domandavano i patrizi, di colpo ammutoliti dallo stupore “Come mai sono qua, che di solito non vengono mai?”
La risposta non era facile, ma sta di fatto che il loro ingresso ebbe l’effetto di gettare l’anfiteatro in un silenzio irreale. Certamente, l’esito della votazione non era più così scontato, con tutta quella gente che non si sapeva da che parte stesse.
Qualcuno dei patrizi gridò a Pilato di procedere subito con la votazione, ma Pilato era uomo d’onore e solamente quando l’ultimo dei plebei ebbe preso posto sul gradone più alto si decise a procedere.
Claudia, che teneva il suo sguardo adorante fisso sul ragazzo, lo vide impallidire all’urlo di morte che accompagnò il pollice verso della tribuna d’onore, in risposta alla domanda di Pilato “Volete voi che Calpurnio affronti i leoni in combattimento?”.
Lo vide barcollare ad un passo dallo svenimento, ma riprendere colore subito dopo, all’ovazione immensa, incontenibile dei plebei in risposta alla domanda successiva “Volete voi che Calpurnio sia salvo e libero?”.
La tribuna d’onore era annichilita. La seconda ovazione aveva talmente sovrastato la prima che non si poteva certo pensare di truccare il risultato.
Pilato, con un sospiro di sollievo, dichiarò Calpurnio libero. La folla della curva sud sfondò le transenne e lo portò in trionfo, sotto lo sguardo allibito dei patrizi.
Da quella posizione sopraelevata, Calpurnio cercò Claudia tra la folla. La trovò che gli faceva l’occhiolino e, con tre dita della mano destra, gli indicava l’ora del convegno amoroso del giorno seguente.


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