di Sandra Romanelli
Il Bar
Shadow, dove Sara aveva dato appuntamento a Nathalie, non era un luogo ben
frequentato.
Nathalie aveva ordinato e già terminato di bere un pessimo caffè, ed ora stava giocherellando
con il cucchiaino, cercando di mettersi a suo agio, in un luogo che, per
lei, non aveva nulla di confortante.
Si guardò attorno: gli avventori erano
trasandati e rumorosi, ma per fortuna non si curavano affatto di lei.
L’ambiente
era grigio, anonimo e non troppo
illuminato.
Nathalie si era seduta non lontano dalla vetrata: i
luoghi scarsamente illuminati le procuravano un senso di angoscia.
Nell’
angolo più buio della stanza, notò una strana coppia: stavano discutendo ad
alta voce, ma in quell’ambiente squallido, ciò non destava alcun interesse,
per gli altri.
Nathalie,
invece, ne fu subito turbata.
Vide la
donna, una bruna con lunghi capelli ricci, un po’ scomposti, fare l’atto di
alzarsi per andarsene.
«Ti dico e ti ripeto che non voglio vederti più! Basta, è finita!»
A
quelle parole l’uomo che le sedeva accanto la trattenne, tirandola per un
braccio e la obbligò a tornare al
tavolo.
L’uomo
al banco, questa volta sembrò interessarsi a quel diverbio, ma appena la donna
tornò a sedersi, lui si rimise ad occuparsi dei suoi bicchieri.
Nathalie pensò che quel tipo che aveva trattenuto la
donna bruna aveva un aspetto davvero inquietante: i suoi gesti erano sgarbati
ed eccessivi, le ciglia nere e folte rendevano cupo il suo sguardo inferocito.
La donna invece aveva un volto dolce e uno sguardo implorante.
Dopo
essere stata obbligata dall’uomo, a sedersi, iniziò a parlare con un tono più calmo di prima e più titubante, ma le sue
parole venivano immediatamente interrotte e sopraffatte dalla furia dell’uomo.
Nathalie appoggiò le mani sulla borsa che aveva posto
sul tavolino e la tormentò un poco, a
causa di un visibile nervosismo che non riusciva a nascondere, ma notò subito che la tovaglietta che lo ricopriva
era lisa e sembrava anche poco pulita. Provò un senso di disgusto e di
sconforto.
Come
aveva potuto una persona così precisa ed elegante come Sara, darle appuntamento
in un luogo così?
A un
tratto alzò gli occhi. Proprio di fronte a lei, sul muro grigio un po’
scrostato, c’era un orologio a muro. Vide l’ora e notò che il ritardo ingiustificato dell’amica aveva
superato ogni possibile previsione: era veramente seccata, non poteva sopportarlo.
Provò a
chiamarla al cellulare, ma il numero risultava irraggiungibile.
A
Nathalie venne il dubbio di aver sbagliato locale perciò si alzò velocemente e
andò alla cassa per pagare la
consumazione. Mentre si affrettava verso
l’uscita, sentì l’uomo al banco che la richiamava.
« Signora,
è suo quel foulard?»
Si accorse subito che in effetti le mancava il
foulard, si voltò, ma da lontano non vedeva nulla sul tavolino. Guardò l’uomo
al banco con aria interrogativa. Non le piaceva nemmeno lui, aveva qualcosa di
sgradevole nei modi.
« Sulla
sedia… c’è un foulard!…» disse l’uomo, con accento scostante.
« Ah, grazie! »
Nathalie tornò
indietro malvolentieri, passò accanto a un
tavolo dov’erano seduti alcuni
uomini che giocavano a carte e intanto bevevano e imprecavano.
Si
avvicinò al tavolino dove aveva inutilmente aspettato l’amica Sara e si piegò
per recuperare il suo indumento.
Aveva
già il foulard tra le mani quando sentì, alle sue spalle, un urlo.
Tutti
gli avventori ammutolirono immediatamente. Nathalie provò un brivido lungo la
schiena e, lentamente, si voltò.
Nell’angolo
più buio della stanza, la donna bruna dai lunghi capelli ricci giaceva a terra,
con un pugnale piantato nel cuore.
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