di Marco Moretti
Romolo
spostava la bocca della pistola da Ivanka al gruppo nel salottino. Qualche
goccia di sudore iniziava, lenta, il tragitto dalla fronte alle parti basse del
viso.
-
E che voi fa’? - deglutì, pistola da
destra a sinistra.
-
L’ azienda multinazionale per cui
lavoro, hi hi hi, mi chiama per operazioni di un certo livello. Ho risolto
problemi con capi di stato, ricchi uomini d’affari etc. etc. con efficienza.
Faccio lavori puliti, sì sì sì!
Moony
mugolò, poi sfuggì a Susan da cui si era rifugiata dopo la botta incassata da
Romolo: si portò lesta ai piedi di Ivanka e prese a leccarle una gamba.
-
Carina hi hi hi, ma alle coccole ci
pensiamo dopo.
La
donna parlava senza abbassare l’arma, puntata su Romolo. Questi faceva saettare
gli occhi da un bersaglio all’altro, la pistola che fendeva l’aria. Lei
sorrideva, era di nuovo la modella da rotocalco di moda femminile.
-
Vedi caro, qui abbiamo un problema. Io
ho un buon udito, hi hi hi, e ho ascoltato ciò che dicevi. Sì sì sì.
-
Embè, che ci azzecca? - Romolo cercava
una mediazione, la strada incruenta per risolvere lo stallo. Tradotto: evitare
una pallottola in testa.
Mario
abbassò le braccia, represse la fame: serviva il chirurgo, la freddezza.
-
I cani. - disse - I cani carbonizzati.
Ieri tornavi da Genova, sei andato a riscuotere o firmare il tuo contratto di
sangue?
Romolo
fissò Pinozzi con qualcosa di molto simile all’odio, rapido virò su Alessia che
aveva occhi scuri, colmi di buio. Anche in volto era in ombra.
-
Dottore, tu guardi nelle persone molto
meglio della donna con l’abito arancione.
-
Grazie e bentornata sorella, mi sei
mancata. Ieri ci siamo salutati in modo troppo frettoloso. - Mario sorrise.
-
Non è mai tardi per rimediare. Poi
avevo la testa da un’altra parte.
-
La telefonata durante la cena, avevi un
complice?
Alessia-2
o Ivanka o chiunque fosse in quel momento rispose senza sorridere, ma forse il
suo modo di farlo era quello: lasciare entrare quel filo di luce nel buio degli
occhi.
-
Firmo il mio lavoro con una S, questo
lo sai. E svolgo le “commissioni” in perfetta solitudine: ieri mattina ho messo
la firma, coperta con delle frasche. Poi ho piazzato le cariche incendiarie,
attivate con la telefonata.
Stefan
balzò in avanti, trattenuto a fatica da Bogdan e Mario. Ivanka tese il braccio
armato, spostando gli occhi dai tre a Romolo. Questo alternava movimenti della
testa e della pistola, col risultato di una danza grottesca. Stefan spruzzò gocce
di saliva e parole armate di rabbia.
-
Tu assassina! Tu non lavori, tu uccidi.
Uomini, donne e cani, ma animali no colpa! Ma tu no cuore! Ricordi schiena mio
cugino? Tu vuole vedere ancora?
-
Non capisci, - la fiammella di luce
sparì dalle pupille - io lavoro da sola, ma divido i compiti con Alessia. Lei
ha fatto tutto, ho soltanto “acceso” il fuoco, non sapevo nulla dei cani.
-
Falsa! Io allevo cani, cosa pensavi
trovare in capannone, bestie giocattolo?
Stefan
rivolse l’attenzione a Romolo, in evidente stato di stress.
-
Tu detto lei no cani, tu detto pulizia!
Tu bruciato cani!
Anche
Sandra si unì a Mario e Bogdan per trattenere Juric, il manipolo prese a ondeggiare
come l’arma di Romolo. Moony si era rifugiata da Susan. Ivanka non mostrava
incertezze o cedimenti.
-
Sì sì sì, tutto vero caro il mio
Romano: non sapevo nulla dei cani, certo io non li amo…ma l’altra li adora. -
Alessia was back
-
Anche tu falsa! Miei cani abbaiano,
come tutti altri. Tu non sentiti.
-
No, hi hi hi, durante un lavoro sono
rimasta troppo vicina e il “boom” mi ha rovinato l’udito. Mi è rimasta la fissa
e quando sistemo la logistica stacco l’apparecchio.
La
temperatura era scesa, grazie alla porta spalancata, ma il sudore scorreva in
piccoli rivoli sul viso di Romolo.
-
A ‘Vanka o come cazzo te chiami, -
farfugliò – perché nun la smetti de puntarmi e finimo er lavoro?
-
Io ho finito, non sono qui per lavorare.
- ancora gli occhi oscuri, poi si
rivolse a Sandra - Ti stai chiedendo perché i tuoi guardiani a quattro zampe
non ci hanno intercettato? Un amico del gladiatore qui accanto li ha
narcotizzati, sono stesi con due freccette colorate nella schiena. Anche lui ora
riposa sereno, e ammanettato.
Sandra
non replicò, nessun impeto di rabbia alla stregua di Stefan. La sua era una
resa silenziosa: inerme, di fronte a due pistole in mano ad altrettanti pazzi.
Senza la possibilità di vedere zompare Zuul o Vinz sulla schiena di quei due
killer.
Anche
Stefan e Bogdan erano due automi con la batteria scarica, mentre Susan teneva
Moony ben stretta a sé. Romolo si era spostato pochi centimetri, l’arma su
Alessia-Ivanka, lei faceva altrettanto.
Fu
di nuovo il turno di Mario, una volta mollata la presa su Juric.
-
Quindi cosa facciamo, - fissando Ivanka
- ci uccidete insieme? O lui uccide te, poi noi? O tu spari a lui, poi a noi?
No no, lasciami parlare ho capito: tu ammazzi Romolo, poi ci liberi?
-
Sti cazzi, dotto’!
Fece
fuoco, un tempo infinitesimale più veloce di Ivanka. I due spari si fusero,
Sandrà lanciò un urlo e Susan abbracciò Moony, Stefan sbarrò gli occhi mentre
Bogdan si tappava le orecchie. Mario si avventò su Romolo, mancando la presa e
restando stordito da un terzo sparo.
La
pallottola si era conficcata nel soffitto.
Perché
il braccio destro di Romolo, steso a terra, era stretto dal morso di Zuul che
teneva le zampe anteriori sul petto dell’uomo.
Vinz
si avvicinò barcollando e si piazzò accanto a Romolo, le zanne a pochi
centimetri dal suo collo.
L’uomo
soffriva, Zuul si limitava a stringere il braccio tra i denti, ma non si
azzardava a fiatare. Gli occhi sui denti di Vinz. La spalla sinistra
sanguinava.
-
Sandra fermali. - Mario con voce
allarmata - Sandra!
-
Ti prego ascoltalo, basta sangue. –
Susan in lacrime.
-
Lascia lui morire! –Stefan schiumava.
Vinz
liberò un brontolio sordo, Zuul tornò la statua che era all’aperto.
Bogdan
strattonò un braccio di Mario e indicò la donna a terra, un fiore rossastro si
stava aprendo sulla tuta, nel petto. Mancava il sorriso di Alessia e gli occhi
di Ivanka erano grigi.
Il
medico si inginocchiò, le tastò il polso e chiese un asciugamano. Con sua
sorpresa fu Stefan il più solerte, che procurò anche del nastro. Poi afferrò il
cellulare.
Pinozzi
tamponò la ferita e la fasciò stretta, poi si rivolse a Sandra.
-
Richiama i cani, devo medicare anche
lui!
-
Salveresti un assassino?
-
Per ora non è morto nessuno, ma se non
lo soccorro…
Sandra, datti una mossa. Ficcati
l’orgoglio da qualche parte!
-
Sandra! Ascoltalo, non diventare una
bestia come Romolo - Susan piagnucolò, mentre Moony abbaiava.
Bogdan
restò impietrito, Stefan gridò qualcosa nello smartphone, Mario sentì rizzare i
peli e le pulsazioni accelerare. Gli balenò l’idea di aggredire Sandra per
richiamare l’attenzione dei suoi cani. Ivanka non si mosse, una chiazza di
sangue le scivolava sotto la schiena. Stefan parlò lieve.
-
Basta guerra, basta morte. Sandra, tu
chiama cani. Io prego.
Romolo
aveva smesso di sudare, non di fissare Vinz; la chiazza sotto il corpo di
Ivanka si faceva strada sul pavimento, Mario fissò Sandra e si mosse. Susan si
alzò con Moony in braccio, Bogdan la abbracciò. Stefan lanciò il telefono sul
divano e si piegò su Ivanka. Che biascicò qualcosa.
-
Gra…zie hi hi…hi, ma è un pochino
tardi.
-
Mai tardi in vita. - le accarezzò la
fronte fredda.
-
Ve…ro. Sandra, - la pausa fu anche nel
respiro - fermali finché puoi…farlo.
Lei,
in piedi accanto a Romolo e i suoi animali, fissava in sequenza la strana
composizione e la donna ferita.
-
Che ci fai qui?
Perché non gli hai sparato quando sei
entrata?
Cerchi una redenzione per i tuoi
peccati?
Chi mi darà indietro il povero Jeff?
Mario
la raggiunse e la afferrò alle spalle, scuotendola.
-
Smettila con questa raffica di domande
idiote. Dai quel cazzo di comando o ti giuro che raccolgo la pistola e sparo a
quelle bestie!
Non
aveva mai usato un’arma che non fosse un ferro del mestiere, bisturi o laser,
aghi e forbici.
-
Sandra…- iniziò a spostarsi verso la
pistola di Romolo.
-
Ascoltalo, poi…parliamo - Ivanka con il
sorriso di Alessia - se ci riuscirò…hi hi…hi.
Mario
si acquattò e premette sulla ferita. Stefan digitò ancora sul telefono e prese
a insultare l’operatore del 118. Sandra abbassò gli occhi.
-
Zuul, Vinz…qui!
I
cani si mossero senza esitazione, rapidi. Romolo si mise seduto, tastò la carne
assaggiata dai canini e perse un’occasione.
-
Bastardo di una padrona mignotta!
Mario
prese le mani di Stefan, le spinse sul torace di Ivanka e gli disse di
tamponare la ferita. Raggiunse Romolo e studiò braccio e spalla.
-
Ti faccio un po’ di anestesia, per
medicarti.
-
Grazie dotto’…
Mario
lo mandò nel mondo dei sogni con un destro, gli tamponò le ferite alla meglio. I
due cugini si abbandonarono sul divano, Susan era una fontana di lacrime.
Sandra raccolse il corpo di Jeff. Mario tornò da Ivanka.
Che
agonizzava.
-
Ho vissuto so…la, - sillabò a fatica -
e muoio…sola. Ho inventato…la sorella che volevo, Alessia…la sciocca
allegra…che fuggiva quando c’ero io. Perfino lei temeva Ivanka…che ha amato
solo il suo cane.
E pensavo di combattere il male…con il male.
Mario
le strinse la mano e sorrise.
-
Il male, lo fuggi o lo combatti. O ne
sei amico. Comunque sia ti sta accanto, ogni giorno pronto a sedurti: hai solo
scelto la strada più semplice.
-
Tu dici? Il…prezzo è questo.
-
Tocca a tutti, prima o poi.
Il
respiro si fece leggero e veloce, un fremito.
-
Porta…mi Moony.
Mario
fece un cenno a Susan che si avvicinò esitante, Moony annusava l’aria e seguì
il naso fino alla donna ferita. Si avvicinò al viso e prese a leccarle una
guancia, delicatamente.
-
Grazie…Sinisa.
Una
smorfia della bocca, negli occhi una scintilla di luce.
Poi
buio.
E
silenzio.
Il
funzionario di Polizia studiava svogliato la scena del crimine: le sagome del
corpo di Ivanka e Jeff, macchie di sangue rappreso e una piccola pozza di vino
bianco, oggetti vari sparsi. Due pistole e tre bossoli, all’interno di cerchi
bianchi, due statue enormi di cane, gli parvero perfino fedeli alla realtà. Poi
la componente animata: i colleghi della scientifica nelle tute da astronauta di
serie B, due tipi dall’aria balcanica abbandonati sul divano, una coppia di
donne in stato depressivo, la più giovane che teneva in mano un cagnolino
bianco e nero. E il tipo alto con i capelli arruffati, mani in tasca e occhi
persi da qualche parte nel giardino, dietro occhiali dalla montatura sportiva.
-
Allora, finiti i rilievi ce ne andiamo,
- un’occhiata all’orologio - vi aspetto lunedì per le ultime formalità, restate
a disposizione etc etc.
-
Non credo, io domani torno a Genova.
L’uomo
con occhiali e capelli arruffati era tornato sulla Terra e non aveva perso
l’uso della parola: il funzionario lo pensò, ma disse altro.
-
Crede di essere in vacanza?
-
Lo ero, prima di questo macello, e il
soggiorno termina domani con l’intercity delle 17 e qualcosa.
-
Spiacente per lei, ma c’è di mezzo un
morto. Quindi, se non si tratta di questioni istituzionali tipo ministero o
Vaticano, lei domani dorme a Roma.
Mario
squadrò il poliziotto, poi tornò a scrutare il giardino. Afferrò il cellulare e
chiamò Moruzzi, uno dei due Milanesi di fiducia cui si rivolgeva quando il suo
“senso per i guai” lo trascinava in qualche gorgo. Come nella giornata odierna.
Il
Commissario rispose al terzo squillo, non rinunciando alle formalità. Ma anche
a Mario questo gioco delle parti piaceva.
-
Buonasera
Doc, qual buon vento? O c’è burrasca?
-
Il fiuto da detective non si compra al
mercato, i miei rispetti.
Il
funzionario drizzò le orecchie.
-
Andiamo
al sodo, che succede? È finito in cella?
-
No grazie, non ci tengo a frequentare i
vostri hotel. È solo che un suo collega troppo zelante vuole trattenermi a Roma
fino a lunedì. Come può capire…
-
Poche
chiacchiere, me lo passi.
Pinozzi
mostrò all’ uomo il telefono nel palmo della mano. Solo due parole.
-
Per lei.
L’uomo
afferrò l’oggetto con due dita, forse temendo qualche germe ligure altamente
contagioso. Dopo le presentazioni e un primo scambio di convenevoli si
allontanò di qualche metro. Mario e gli altri non potevano ascoltare, ma al
medico parve che il tipo al telefono diventasse rosso in viso. Inizialmente,
deformazione professionale, pensò a un rialzo pressorio per capire dopo una
frazione di tempo. Quella necessaria al funzionario per lanciargli
un’occhiataccia.
Prima
di restituire il telefono.
-
Buon viaggio. - poi rivolto ai colleghi - Voi
ne avete per molto? Io me ne vado.
Uscì
senza degnare i presenti di un saluto, mentre Mario cercava di capire da dove
giungesse quella voce piccola che lo chiamava.
Sorrise
confuso a Susan che mimava il gesto della telefonata.
E
ricordò Moruzzi, appeso a una cornetta in quel di Milano.
-
Eccomi, ho appena aggiunto un poliziotto ai
miei nemici?
-
Chi,
quel pirla di Silvestroni? Gli ho appena ricordato un paio di guai che aveva
combinato a inizio carriera qui a Milano. Tutto risolto, le manderà al
domicilio un documento da firmare.
-
Le devo un favore.
-
Me
l’ha appena fatto, il ricordo della chiacchierata con quel tipo mi farà ridere
nei momenti tristi. Buon rientro. - e riattaccò.
Il gruppo alle sue spalle, abbandonato dai
poliziotti, lo osservò con reazioni differenti: Stefan e Bogdan mostrarono
curiosità, Susan sorrideva e coccolava Moony, Sandra si era piazzata tra Zuul e
Vinz e sembrava sfidarlo.
-
Ti facevo diverso, eri descritto come
un paladino dei deboli
Ecco
fatto.
-
E invece? - Mario spinse ancora le mani nelle tasche.
-
Mi sembri il solito borghesuccio che
telefona all’amico influente per risolvere il minimo problema.
Allargò
e strinse i pugni, le tasche reggevano.
-
Punto uno: non ho un problema, solo
l’esigenza di essere in sala operatoria lunedì alle otto di mattina. Per
ricambiare la fiducia di persone comuni con guai seri.
Punto due: non mi curo di come sono
descritto da scribacchini della carta stampata o leoni da tastiera.
Punto tre: l’amico influente è un
poliziotto che rischia un trasferimento come premio per un’inchiesta su
borghesi. Influenti., molto influenti.
Punto quattro: in questo posto l’unica
che avrebbe diritto di parlare è Moony. Orfana senza colpe adottata da una
giovane donna, che non voleva vedere ciò che aveva davanti agli occhi. Bogdan è
una vittima del passato, che non ha esitato ad appoggiare il cugino nei suoi
traffici, in cambio di laute mance. In quanto a Romolo non serve dire nulla,
sporcherei le parole.
E tu, paladina dei cani allevati in
lager e abbandonati durante le ferie che mi dici? Piango il tuo Jeff, ma mi è
parso che servisse solo a riempire un vuoto. I tuoi due guardiani da film, poi:
statue animate pronte a uccidere, bastava un tuo comando. Ti ritieni un giudice
pronto a dispensare condanne e assoluzioni?
Dieci occhi erano per lui, compresa
Moony. Le due statue animate stavano in stand-by, la componente umana non
mostrava reazioni. Mario afferrò il giubbotto e portò indice e medio alla
fronte, un saluto rapido.
-
Statemi bene, non consideratelo un
augurio, ma una specie di invito. E pensate che, comunque, oggi qui è morta una
donna. Anzi due, una delle quali nata per consolare l’orfana feroce creata dal
male. E che era tornata sui suoi passi per l’amore mai sopito di qualcuno che
non parlava, ma le aveva regalato molto.
Uscì
e ricordò con ansia il dedalo di viottoli percorsi all’arrivo; studiò la
recinzione e sperò non fosse elettrificata, si arrampicò e la scavalcò. Il
tonfo sul terreno seguì il rumore dello strappo: il giubbotto non era nuovo, ma
faceva freddo, il buio lo circondava e il vento non si era stancato.
Raggiunse
la statale e cercò invano di rimediare un passaggio. Trovò rifugio sotto la
pensilina del bus, che si fece attendere solo venti minuti.
Vide
sfilare la campagna e la periferia, i primi palazzi illuminati e i cartelloni
pubblicitari, i cartelli del GRA con le uscite di vie note e storiche, le
terme, il lungotevere. Luci e ombre si scambiavano i ruoli da protagonisti a
ogni angolo.
Il
mezzo lo lasciò a pochi decine di metri dall’hotel, lo stomaco reclamava il
rifornimento meridiano e quello serale: fu accontentato con tre fette di pizza
fredda, una Coca calda e una tazza di acqua sporca spacciata per caffè
americano.
La notte non era così vecchia, Mario
decise di stare in sua compagnia per qualche ora. Erano due sconosciuti che non
avevano bisogno di parlare, volevano solo trascorrere qualche ora al cospetto
della città che li ospitava.
Rientrò in albergo osservando i primi
netturbini che rimediavano al disordine del vento, si gettò sul letto e staccò
la spina dal mondo.
Il picchio aveva un nido lì vicino, era
inopportuno e insistente. Si pentì di non avere mai imparato a maneggiare il
fucile da caccia e tentò di rimediare avvolgendo la testa con due cuscini.
Oltre a sentirsi un involtino di piume e cotone non aveva zittito il becco
dell’uccello, che adesso articolava parole. Dandogli del lei.
-
Dottore, tutto bene?
Pausa.
Picchiettio.
-
Sono il portiere, mi sente?
Dallo
zoo allo stadio.
Che
voleva, temeva tirasse un rigore?
-
Chiedono di lei, una donna. Le dico di
aspettare di sotto?
Okay,
le frasi iniziavano ad avere una logica, i ricordi combaciavano.
-
Il suo telefono è staccato, che faccio?
Mi risponda.
Vestito,
sul letto, seguì il filo del telefono che si intrecciava con le gambe e
terminava nella cornetta sotto le coperte. Inutile tentare di ricostruire i fatti.
Rassicurò
l’avversario immaginario, preoccupato per il risultato, e disse che sarebbe
sceso entro mezz’ora. Si presentò quarantacinque minuti dopo, venti dei quali
passati a tamponare le tracce di un rasoio troppo affilato.
Moony
lo osservò uscire dall’ascensore e guardarsi intorno con una certa sorpresa; la
donna che l’aveva adottata sedeva al bancone del bar in compagnia di un caffè. Dallo
schienale penzolava una grossa busta. La cagnolina sedeva a pochi passi e
puliva il tappeto con la coda.
-
Buongiorno, fai colazione con me? -
Mario tentò di sorridere a Susan.
-
Se non ti spicci perdi il treno - lei
toccò l’orologio con l’indice.
-
Genova non è poi così lontana. Com’è il
caffè?
-
Freddo, ma non è colpa sua. Sto
tentando di rianimarlo a colpi di cucchiaino.
Trovare
ironia dopo una brutta partita, per giunta finita con un pessimo risultato.
Mario lo considerò un buon segno.
-
Non sprecare le forze, vediamo di
recuperare nel bar di fronte.
-
Okay, ma copriti: fa ancora più freddo
di ieri.
Gli
porse la busta.
-
Il portiere mi ha detto che il tuo
giubbotto aveva perso qualche battaglia, mi sono permessa di rimediare.
-
Cos’è, un indennizzo per ieri? Ti
assicuro che…
Susan
stese la mano, uno stop senza equivoci.
-
Il souvenir di un weekend difficile,
per scaldarti dal freddo del suo ricordo. E un piccolo ringraziamento per ieri.
Prese
in braccio Moony, che cercava di divincolarsi, e la avvicinò a Mario.
-
È uno spirito libero, non ama le
costrizioni. Accarezzala, niente paura.
Pinozzi
allungò la mano verso la testa, si fermò e lisciò il collo della bestiola.
Questa si protese in avanti e gli leccò volto e collo.
-
Le ferite, mi sono rovinato.
-
L’odore di Mario, le piace. Mai pensato
a un cane?
-
Mmhhh, ho un contratto con la
solitudine. Talvolta mi concedo deroghe, ma chi firma con me straccia le carte
in breve tempo.
Per
il tempo di un sospiro sul viso di Susan tornò l’accoppiata rosso-bianco di
labbra e sorriso.
-
Messa così mi sembra una versione
moderna del Dottor Faust.
-
Nessun patto con il diavolo, giuro. Ma
vivo nel disordine e mi caccio nei guai, una vita ad alta intensità.
-
Come quella di un cane, loro vivono
pochi anni e lo fanno al massimo.
-
E come condividono questo con gli
umani? Con il loro linguaggio non verbale? Annusandoli?
-
Certo, ma anche mettendosi ai tuoi
piedi e dormendo con te. Correndo a salutarti quando torni e guardandoti senza
abbaiare. Ma è possibile solo se ha fiducia in te: quando succede sarà per la
vita.
Mario
rimase qualche attimo con il regalo tra le mani, le parole che si mescolavano:
vita, fiducia, linguaggio, coppia…amore. E la morte a scombinare le carte,
interrompere la partita ancora una volta: Milano, Carrara, Genova, Bari, Pisa e
ora Roma. Si sentiva una sorta di autista della signora con la falce: ovunque
andasse se la portava dietro. O era il suo “senso per i guai” che lo portava da
lei. Comunque fosse tornava a casa con un’altra dose di sporcizia negli
anfratti dell’anima, pronto a sfidare quella signora affamata di vite nel campo
a lui congeniale.
-
Ehi, ci sei ancora? - Susan lo guardava
obliquo, versione umana di Moony.
-
Deve essere questo giubbotto, forse
emana qualche incantesimo pagano.
-
Si, il virus di Porta Portese!
Ora ti lascio andare, ma devi togliermi
una curiosità.
-
Spara, hai solo un colpo.
-
Che ci facevi da Sandra? Di certo non
volevi adottare un cane.
Mario
si accarezzò il mento, liscio. Non era una cosa abituale.
-
Vorrei dirti che avevo fiutato
qualcosa, ma il litigio tra Romolo e Sandra sul treno era casuale. Con lei ho
avuto una conversazione pacata di pochi minuti e…niente, solo pura e semplice
curiosità.
-
Il fascino di una donna di mezza età.
-
Non è il mio genere, fidati. Piuttosto
il mondo che difendeva, non ho mai pensato all’altra faccia della medaglia. La
differenza tra padrone e proprietario di cane, gestire una bestia che ti si
affida, dipende da te.
-
E cosa porti a casa, a parte il mio
splendido regalo?
Altra
grattata di mento, poi capelli e sistemata agli occhiali.
-
Confusione, non riesco a rispondere
ora. Ci penserò durante il viaggio e credo anche dopo: troppa gente diversa
intorno a quel mondo. Trafficanti con pochi o nessuno scrupolo, un uomo che non
parla ma aveva il suo tornaconto, la paladina dei cani abbandonati pronta a far
sbranare un uomo. E una killer, o due, che si pente grazie al ricordo del suo
cucciolo. Troppo caos, devo ragionarci.
-
Ehi, non dimentichi qualcuno? - Susan,
imbronciata, diede una spinta al medico.
-
Giusto, Moony: una bambina con tanta
voglia di vivere.
E la sua padrona, ops…mamma?
Dopo essere finita al tappeto si è
rialzata e ha perso solo ai punti.
Il mio consiglio? Cambiare allenatore e continuare a
combattere, ricordando che non è sola.
Le
sfiorò la guancia con la mano. Moony abbaiò ed ebbe anch’essa la giusta razione
di coccole.
-
Adesso meglio che vada a mettere gli
stracci nel trolley e chiami un taxi. Ciao ragazze.
Mario
indossò il giubbotto, le maniche erano lunghe, ma era piacevolmente caldo.
Iniziò a stemperare il gelo entrato il giorno precedente.
Salendo
le scale credette di avere udito un mugolio di Moony, o il cigolio di una
porta.
Chissà.
Imprecò
a bassa voce contro il vento romano, erano certamente merito suo le lacrime che si stavano formando. Solo una
fastidiosa irritazione.
Ancora un saluto a tutti i lettori di Mario: se vi è piaciuto vi invito a leggere la storia dove "nasce": un romanzo che si dipana tra Genova, Milano e la Grecia. La ricerca di una seconda occasione, il ricordo di due splendidi occhi.
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