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domenica 10 novembre 2024

IL CARRO Del NONNO Su carru e’ Nannai

 

di Sandra Romanelli



 

Efisio, il nonno di Gavino aveva un carro. Nel secolo scorso, in Gallura, era una grande fortuna possedere un carro e un giogo di buoi, perché costituiva la garanzia di un reddito per tutta la famiglia. I carrettieri, detti “carrulanti” o  carradoris”, o ancora “ carrettoneris”, a seconda della provincia da cui provenivano, guidavano questi carri, che servivano per il trasporto di varie merci. I carri a buoi venivano utilizzati per trasporti molto importanti.

 

Il temporale

Gavino, da piccolo, aveva paura del temporale e si spaventava quando lampi, tuoni, fulmini e saette l’ annunciavano. 

-Non piangere! Non senti che è il carro del nonno! - gli diceva la mamma  per rassicurarlo. Ma la paura del temporale era comune a molti bambini e per esorcizzarla gli adulti raccontavano loro delle storie.

 

Un’antica leggenda sarda ,“Su carr’e Nannai”, narrava che Nannai fosse un Dio, padrone delle tempeste. Veniva da lontano, su un carro sgangherato, pieno di pietre e sassi che sbattendo  tra loro provocavano un terribile fracasso, simile a quello del tuono.

Un’altra versione raccontava invece che fosse un vecchietto (nannai nel dialetto campidanese è il nonno) a guidare quel carro malridotto, sulla strada sconnessa, per tornare a casa.

Dall’antica leggenda era nata una filastrocca che non tutti conoscono e che aveva lo scopo di richiamare tutti i bambini, per evitare loro il pericolo del temporale e  recitava così:

 

Ohia momia, est su carru ‘e Nannai!
Chi ‘enit a sdorrocai totu s’aposentu!
Sa mama ‘e su bentu si cojat a de noti
Cun-d unu Momoti po dd’anninniai!

Ahi mamma mia, è il carro di Nannai!
che viene a far tremare tutta la stanza!
La “Mamma del vento” si sposa di notte
Con un Uomo-nero per cantargli una ninna nanna

 

La paura del temporale è un’emozione frequente in ogni bambino, per questo  vorrei ricordare anche una favola, molto carina e rassicurante, scritta da Gianni Rodari,  per raccontare ai piccoli il fenomeno della pioggia, dal titolo: “L’omino della pioggia”.

 



C’è un omino che vive sulle nuvole e quando vuole, o si rende conto che la siccità sta bruciando i campi, saltando da una nuvola all’altra, apre i rubinetti della pioggia.

Così piove… e piove... fino a quando lui non decide di richiuderli tutti.

 Gavino, dai carri ai motocarri

 Per tornare a “Il carro del nonno”, voglio raccontare la storia di Gavino.

Aveva sette anni quando, insieme al padre, al nonno e agli altri familiari, comprese le donne di casa, andava nelle foreste per assistere al taglio della legna. Prima di questo evento importante, suo compito e di altri ragazzini, era  quello di portare i buoi al pascolo, negli stazzi vicino al fiume perché il lavoro di questi animali era notevole e dovevano essere ben nutriti. Gavino lo sapeva e si accingeva a svolgere questo  incarico con diligenza. All’imbrunire i buoi, ben pasciuti, tornavano verso la loro fattoria guidati dai cani, e a volte  anche da soli.

Nella foresta i carri a buoi erano numerosi. I taglialegna accumulavano in un luogo adeguato, una piazzola, o comunque in uno spiazzo grande, i materiali  che dovevano essere trasportati in paese: legna, carbone, ma anche sassi e pietre.

Il carro di nonno Efisio era in condizioni abbastanza buone, però le strade sconnesse e i sentieri impraticabili rendevano spesso difficile il lavoro dell’uomo e del bestiame, soprattutto se  la coppia di buoi stava insieme  da poco tempo. Se i buoi erano stati domati e accoppiati da tempo, allora, in quel caso, anche il lavoro dell’uomo risultava più facilitato.

 Nel percorrere le strade sconnesse, i carri facevano veramente un gran fracasso, simile a quello del tuono. Questo era dovuto anche al fatto che avevano un cerchio di ferro intorno alle ruote, mentre i raggi erano in legno.

Gavino, crescendo, si era abituato al fracasso del carro, e per questo, quando arrivavano tuoni, lampi  e fulmini, lui non si spaventava più come i fratellini che la mamma tranquillizzava anche recitando loro l’antica filastrocca del  carro del nonno.

 


I carri, comunque, erano destinati a far parte della vita di Gavino non solo da fanciullo, ma anche più tardi, nel tempo. Infatti, quando fu più grandicello,  suo padre decise che doveva iniziare a imparare un mestiere e così stabilì di mandarlo da un Mastro carraio.

Gavino fu molto felice di andare da un artigiano per apprendere l’arte di realizzare quei mezzi di trasporto, tanto utili nella sua regione. Del resto,  i carri lo avevano affascinato fin da piccolo. Iniziò a imparare a costruire le parti più semplici; invece, per mettere mano alle ruote, essendo la parte più pregiata del mezzo di  locomozione, occorreva essere molto pratici del mestiere.

Il ragazzo aveva una discreta manualità, ma soprattutto una buona volontà e metteva tanto impegno nel fare tutto ciò che gli veniva insegnato. Il Mastro carraio era così soddisfatto dell’allievo che Gavino riuscì a diventare il suo migliore apprendista.

Qualche anno dopo, il padre di Gavino decise di lasciare la Sardegna ; grazie a una sorella che abitava a Torino, aveva trovato un buon lavoro in quella città; quindi si trasferì in Piemonte con tutta la famiglia. Al ragazzo dispiacque molto lasciare la sua isola per il continente, però sapeva bene che altrove le prospettive di lavoro erano migliori e lui, essendo ancora molto giovane, aveva tutto il tempo per imparare un nuovo mestiere. Del resto, le prospettive per il lavoro che aveva imparato e per il quale si stava  perfezionando, non avevano  un gran futuro.  I carri a trazione umana e animale che all’inizio del secolo erano gli unici mezzi di trasporto, nella sua terra, pian piano vennero sostituiti con mezzi più tecnologici, a trazione meccanica, come motocarri e trattori.

 Dall’isola al continente

Nel continente trovò lavoro in Val d’Aosta, nella valle del Lys, in un albergo di Gressoney - Saint Jean, una località turistica alquanto rinomata,  non molto lontana da Torino, città dove si era trasferita la sua famiglia. Il paese era bellissimo, l’albergo si affacciava su una vista stupenda: il massiccio del monte Rosa con i suoi ghiacciai. Nei primi tempi del suo arrivo, durante le ore di intervallo dal lavoro, faceva lunghe passeggiate per conoscere meglio quel luogo incantevole; poi pensò di fissare  quelle immagini meravigliose su un foglio. L’abilità manuale che aveva esercitato a lavorare il legno, ora si manifestava anche nel disegno perché con carta e matita poteva inserire pure  un suo punto di vista su ciò che vedeva. Ma la cameretta che gli avevano riservato aveva un tavolo molto piccolo, non adatto ad esercitare il disegno, per questo chiese e ottenne di potersi fermare, qualche volta, durante il suo intervallo, in un tavolo appartato della hall dell’albergo, naturalmente se ciò non  avesse recato disturbo ai clienti.

Non aveva materiali appropriati per il disegno, ma con la matita cercava di riprodurre in chiaroscuro, ciò che aveva visto. I paesaggi erano i suoi preferiti, ma riproduceva anche nature morte e oggetti che colpivano la sua attenzione.

Un giorno, un cliente che lo aveva notato spesso a quel tavolo,  si fermò a osservare i suoi lavori.

- Bravo! I tuoi disegni sono davvero belli, ma perché usi solo la matita?

- Non ho altro...- disse Gavino, vergognandosi un poco-.

- Ma tu trascorri così il tuo tempo libero? A disegnare qui, nella hall?

Il ragazzo fece un segno affermativo.

- Ah, bene, ne parlerò con il padrone dell’albergo.

Gavino non disse nulla, ma cominciò a preoccuparsi. Temeva che il proprietario, informato dal cliente, potesse decidere di revocargli il permesso e magari pure di licenziarlo. Del resto, lui aveva chiesto al direttore il permesso di fermarsi lì a disegnare, in  quell’angolo strategico della stanza, dove non dava fastidio a nessuno e poteva osservare, oltre la vetrata, la strada che conduceva a quella montagna immensa con le cime innevate.

Passarono giorni e settimane, il cliente che aveva osservato  i suoi disegni, ogni tanto continuava ad avvicinarsi al tavolo dove il ragazzo trascorreva la maggior parte del suo tempo libero e  sembrava apprezzare i suoi elaborati sempre di più. Gli faceva anche qualche semplice domanda sulla sua famiglia, sulla sua vita prima di partire dalla sua isola. Un  giorno gli comunicò che le sue vacanze a Gressoney erano finite e lo salutò molto cordialmente. Dal  giorno seguente non lo vide più.

Dopo la sua partenza, il proprietario dell’albergo lo mandò a chiamare, con la precisa richiesta di presentarsi da lui con i suoi disegni.

In un primo momento, Gavino pensò che volesse rivedere le sue mansioni nell’albergo, magari proporgli qualche cambiamento. Avevano bisogno di altro personale, quindi il temuto licenziamento  non era possibile, non capiva però perché avesse richiesto di portare i suoi disegni.

- Tutti i miei collaboratori sono contenti di te. Mi hanno detto che lavori con impegno e sei sempre disponibile. Mi hanno detto pure  che  disegni molto bene e osservando i tuoi elaborati devo dire che hanno proprio ragione. Questi disegni sono notevoli, pur essendo  a matita dimostrano la tua capacità e predisposizione al disegno; poi sai utilizzare il chiaroscuro in maniera eccellente. Complimenti! Chissà cosa potresti fare, adoperando anche il colore!

- Grazie- rispose Gavino meravigliato, seppure un poco incredulo di fronte a un apprezzamento tanto evidente-. Però  questo è per me  solo un passatempo. Poi  non posso permettermi di acquistare altro materiale. Devo risparmiare per inviare i soldi alla mia famiglia. Ci siamo trasferiti da poco a Torino, abbiamo tante spese. I miei fratelli sono tutti più piccoli di me, solo mio padre porta a casa uno stipendio.

- Certo, comprendo la tua situazione, ma io ti ho fatto chiamare per questo   motivo- disse il proprietario accennandogli un pacco posto sulla sua scrivania-

Gavino non capiva.

- Ricordi quel cliente che si fermava spesso a guardarti disegnare? È  un mio amico. Prima di partire mi ha pregato di consegnarti questo pacco. Aprilo è tuo.

Il ragazzo aprì subito il pacco: conteneva una valigetta. Aprì anche quella e non poté trattenere un oh!… di meraviglia. Dentro c’era tutto l’occorrente per disegnare: matite di diversa consistenza, penne, pastelli, pennarelli, inchiostro, tempere, acquerelli e fogli, tanti fogli!

Ma la sorpresa fu ancora più grande quando l’uomo aggiunse:

- Vicino alla cucina ci sono due stanze attigue, una più grande e una più piccola che utilizziamo come magazzino, se tu vorrai metterle in ordine, posso concederti l’uso di una di esse, così potrai ricavare uno spazio per te, per disegnare in tutta tranquillità, nei momenti liberi.

Gavino non credeva alle sue orecchie! Non solo non voleva licenziarlo, ma, addirittura, gli concedeva una stanza tutta per sé. Si congedò da lui con mille ringraziamenti. Il proprietario aveva aggiunto al suo lavoro il compito di tenere in ordine le stanze del magazzino, in cambio dell’utilizzo di una parte di esso.

Era molto felice di lavorare in quel luogo e in quell’albergo, dove, oltre al lavoro, continuò a esercitare anche il suo hobby. Spesso gli altri lavoranti gli chiedevano di regalargli i suoi disegni, a volte i clienti gli offrivano di pagarglieli, ma Gavino non volle mai accettare  compensi da nessuno. Per lui quello non era un lavoro, rappresentava solo il modo di esercitare la sua passione.

Restò a Gressoney per due anni, poi lasciò quel luogo incantevole e quelle persone tanto gentili, per un altro lavoro.

 


 

 Lui era cresciuto e i suoi progetti di vita stavano cambiando.

 Si trasferì in altre città, trovò altre occupazioni, fino a quando scelse la Toscana come luogo definitivo dove fermarsi. Lì trovò un lavoro molto soddisfacente e la donna giusta per formare una famiglia.

Oggi Gavino ha raggiunto l’età e i requisiti per andare in pensione, ma esercita ancora i suoi hobby: le passioni non si esauriscono mai; anzi ora, per lui, diventano lo scopo più importante per continuare a esercitare la propria creatività.

Così  si impegna a costruire oggetti in legno che risultano di vera utilità o di semplice bellezza e disegna ancora, ma il tutto sempre senza un obiettivo di lucro, solo per la gioia di realizzare oggetti che suscitano l’ammirazione altrui e per esprimere il suo fertile genio.

 

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